Una settimana prima delle elezioni Netanyahu autorizza nuove unità abitative delle colonie nella E1

Yumna Patel

26 febbraio 2020 – Mondoweiss

Solo una settimana prima delle elezioni il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato l’autorizzazione a 3.500 nuove abitazioni illegali per i coloni nella contestatissima zona “E1”, nella parte centrale della Cisgiordania occupata.

Ho dato istruzioni di rendere immediatamente pubblica la presentazione del piano per la costruzione di 3.500 unità abitative nella E-1,” ha detto martedì Netanyahu in un discorso, aggiungendo che i progetti “sono stati ritardati per sei o sette anni.”

I piani di Israele per il corridoio E1, a cui si sta lavorando dal 1995, sono stati considerevolmente ritardati a causa delle pressioni da parte della comunità internazionale, comprese l’UE e l’ex-amministrazione USA.

Il progetto per la E1 intende creare un blocco di colonie che unisca il grande insediamento di Ma’ale Adumim a Gerusalemme, tagliando di fatto la Cisgiordania in due, separando il nord dal sud.

Le conseguenze del piano sono apparse evidenti negli ultimi anni attraverso la lotta per salvare dall’espulsione forzata la comunità beduina di Khan al-Ahmar, che si trova proprio in mezzo al corridoio E1.

La comunità sarebbe una delle decine di enclave beduine del corridoio che, se i progetti venissero portati a termine, verrebbero espulse a forza dalle proprie case.

L’annuncio è arrivato appena una settimana prima che gli israeliani si rechino ai seggi per la terza volta in un anno per eleggere il primo ministro, dopo due falliti tentativi da parte di Netanyahu e del suo rivale Benny Gantz di formare una coalizione di governo.

Nelle ultime due elezioni il governo di destra di Netanyahu si è basato sull’appoggio dei coloni e ha utilizzato promesse politiche simili per garantirsi il loro sostegno.

Nel primo turno delle elezioni nell’aprile dello scorso anno egli si impegnò ad annettere centinaia di colonie nella Cisgiordania occupata e prima delle elezioni di settembre è andato oltre quella promessa giurando che avrebbe esteso la sovranità israeliana alla valle del Giordano, che comprende un terzo di tutta la Cisgiordania.

I leader palestinesi hanno duramente attaccato Netanyahu per il suo annuncio e hanno chiesto agli Stati membri dell’UE di intervenire e di impedire l’attività edilizia israeliana nella zona.

Criticando il piano come un “progetto colonialista”, il capo negoziatore dell’OLP Saeb Erekat ha emanato un comunicato di condanna degli USA per il loro consenso perché Israele vada avanti con tali piani.

In accordo con i progetti concordati tra le delegazioni di USA e Israele, – ha detto Erekat – Israele ora continua a imporre sul terreno nuovi fatti illegali che violano sistematicamente le leggi internazionali e i diritti umani, annullano i diritti inalienabili del popolo palestinese, e minacciano la stessa pace e sicurezza dell’intera regione”.

Ora è chiaro alla comunità internazionale che questo quadro di annessione intende solo seppellire le prospettive di una soluzione negoziata,” ha continuato, chiedendo che la comunità internazionale imponga sanzioni contro Israele per le sue violazioni delle leggi internazionali nei territori occupati.

L’associazione [israeliana] di monitoraggio delle colonie Peace Now ha criticato duramente la decisione, affermando che “costruire nella E1 interromperebbe questa continuità territoriale, silurando la possibilità di uno Stato palestinese praticabile nel caso in cui Israele continui a conservare per sé la terra.”

L’organizzazione ha affermato: “Israele sta ufficialmente scegliendo di rischiare un conflitto permanente invece di risolverlo. Non è niente di meno di un disastro nazionale che deve essere fermato prima che sia troppo tardi.”

Yumna Patel è la corrispondente dalla Palestina per Mondoweiss.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La nuova “strada dell’apartheid” israeliana è molto più della semplice segregazione

Edo Konrad

16 gennaio 2019, +972

Israele sostiene che la nuova strada, che separa israeliani e palestinesi con un muro alto otto metri, decongestiona il traffico per i coloni aiutando al contempo i palestinesi a viaggiare in Cisgiordania. Chi la critica sostiene che aiuterà a creare enclave solo per israeliani, libere da ogni presenza palestinese.

La scorsa settimana Israele ha inaugurato una nuova strada segregata nella Cisgiordania occupata, con un enorme muro di otto metri che separa viaggiatori israeliani e palestinesi su entrambi i lati. Etichettata da chi la critica come la strada dell’apartheid, la motivazione ufficiale della “Route 4370” è decongestionare il traffico per i coloni israeliani che fanno i pendolari verso Gerusalemme e al contempo creare un nuovo modo di viaggiare tra il nord e il sud della Cisgiordania per i palestinesi.

Eppure, nonostante le ragioni dichiarate, i militanti contro l’occupazione e per i diritti umani sostengono che l’autostrada segregata è un ulteriore modo per creare in Palestina aree solo per israeliani – libere da ogni presenza palestinese. Ed è un segno che Israele, e gli israeliani, non vedono più la segregazione come qualcosa di cui vergognarsi.

Mentre in passato c’era un maggiore tentativo di nascondere la segregazione all’opinione pubblica israeliana, oggi essa è percepita come legittima,” afferma Efrat Cohen-Bar, un urbanista e architetto dell’ong “Bimkom” [associazione israeliana che sostiene una pianificazione urbana condivisa con la popolazione, anche quella palestinese, ndtr.]. “In un Paese in cui ogni giorno è proposta una nuova legge discriminatoria, una breve strada segregata non scandalizza nessuno.”

Il ministro della Sicurezza Pubblica Gilad Erdan ha definito l’autostrada “un esempio di capacità di creare la coesistenza tra israeliani e palestinesi proteggendo al contempo dalle attuali minacce alla sicurezza.”

Per Cohen-Bar l’autostrada non può essere disgiunta dal sistema complessivo di strade segregate in Cisgiordania, che spesso obbligano i palestinesi a utilizzare sottopassaggi per non disturbare il traffico dei coloni [che passano] sopra di loro. “L’autostrada 4370 dovrebbe essere vista nel contesto più ampio come una continuazione della politica (da parte di Israele) di separazione e della creazione di enclave solo israeliane.”

Agli occhi di Daniel Seidemann, avvocato e attivista che dirige l’Ong israeliana “Terrestrial Jerusalem” [Gerusalemme Terrena, associazione israeliana che studia l’impatto delle politiche sulla città, ndtr.] e che ha passato gli ultimi 20 anni a monitorare i mutamenti nel panorama della città, la Route 4370 ha anche una dimensione geopolitica. L’autostrada, afferma, è parte della strategia israeliana a lungo termine di “creazione di contiguità territoriale tra Gerusalemme e le colonie che la circondano,” soprattutto con la molto discussa area E1, la zona di 12 km2 che si trova tra Gerusalemme e la colonia di Ma’ale Adumim in Cisgiordania.

Per decenni Israele ha desiderato edificare colonie nell’area, collegando l’insediamento a Gerusalemme e dividendo concretamente in due la Cisgiordania.

Oltretutto, afferma Seidemann, la strada è solo il primo passo nel progetto israeliano di escludere i palestinesi dall’utilizzo della Route 1, parte della quale viene utilizzata sia dagli israeliani che dai palestinesi in Cisgiordania. Tutto ciò, ritiene, ha lo scopo di pregiudicare le possibilità di costituzione di uno Stato palestinese e di procedere con la progressiva annessione di ampie zone della Cisgiordania.

Netanyahu è impegnato in un indirizzo strategico per stabilire unilateralmente un confine di fatto tra Israele e la cosiddetta Palestina,” dice Seidemann. “La strada è stata aperta ora perché le politiche del primo ministro stanno finalmente prendendo forma. L’obiettivo finale è l’annessione dell’Area C [più del 60% dei territori occupati, in base agli accordi di Oslo sotto totale ma provvisorio controllo di Israele, ndtr.] della Cisgiordania con una minima presenza palestinese. Ciò è quello che stiamo vedendo succedere nella E1.”

La Route 4370 non è la prima autostrada segregata nei territori palestinesi occupati per uso esclusivo degli israeliani. Durante la Seconda Intifada Israele ha chiuso la Route 443, una seconda autostrada che unisce Gerusalemme alla zona di Tel Aviv, al traffico palestinese in seguito a una serie di casi di spari letali contro veicoli israeliani. Nel giugno 2007 gli abitanti di sei villaggi che si trovano nei pressi della Route 443 fecero richiesta all’Alta Corte di Giustizia israeliana di riaprire la strada ai palestinesi. Due anni e mezzo dopo, la corte stabilì che ai palestinesi doveva essere consentito di utilizzare la strada della Cisgiordania.

L’Alta Corte, almeno sulla carta, sentenziò che Israele doveva smettere di consentire solo agli israeliani di utilizzare la Route 443” continua Seidemann. “Questo caso è diverso. Non si tratta di una politica specifica, ma piuttosto di una scelta già ben ponderata da molto tempo. Riguarda la costruzione di infrastrutture separate e parallele per israeliani e palestinesi; questo tipo di cose non era mai stato fatto prima.”

La Route 4370 è stata concepita per creare un effetto domino,” dice Ahmad SubLaban, un ricercatore sul campo del gruppo per i diritti umani con sede a Gerusalemme “Ir Amim” [“Città di Persone”, Ong israeliana che si occupa delle politiche applicate a Gerusalemme, ndtr.]. “L’autostrada è parte di un puzzle che verrà terminato per collegare prima o poi Gerusalemme a Ma’ale Adumim, a Gush Etzion, alle colonie della zona di Ramallah e a quelle di Givat Ze’ev. Al momento il puzzle non è ancora stato completato.”

Per ora i cittadini israeliani che utilizzano la strada avranno un percorso più rapido dalle colonie della zona di Ramallah verso i quartieri ebraici di Gerusalemme, soprattutto durante l’ora di punta. A quelli che viaggeranno sul lato palestinese verrà impedito di entrare a Gerusalemme, anche se la nuova strada renderà effettivamente più breve il loro viaggio dalla zona di Ramallah alla parte meridionale della Cisgiordania.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Khan al-Ahmar: peggio di un crimine di guerra

Nota redazionale: pubblichiamo solo ora questo articolo del 9 luglio 2018 relativo alla minaccia di demolizione del villaggio di Khan al-Ahmar. All’epoca la distruzione e la deportazione degli abitanti vennero bloccate da un ricorso all’Alta corte israeliana. Lo abbiamo tradotto ora, dopo che la corte ha deciso di dare il via libera alla demolizione, in quanto riteniamo che i punti affrontati nell’articolo siano molto utili per capire le ragioni di questo accanimento e perché l’UE si sia finora mobilitata in difesa del villaggio.

 

La demolizione di Khan al-Ahmar è più di un semplice crimine di guerra

Mentre l’imminente distruzione di Khan al-Ahmar è un gravissimo problema umanitario e molto probabilmente un crimine di guerra, molti hanno trascurato l’importanza strategica di questo piccolo villaggio per il futuro del conflitto israelo-palestinese

+972

 Edo Konrad – 9 luglio 2018

 

Gli abitanti di Khan al-Ahmar hanno passato le ultime settimane in attesa dell’arrivo dei bulldozer israeliani per demolire completamente il loro villaggio e deportare tutte le 170 persone che vi abitano, un’iniziativa che secondo organizzazioni dei diritti umani e qualche governo europeo rappresenterebbe un crimine di guerra.

Ma mentre la situazione umanitaria e la legalità della demolizione e della deportazione rappresentano un grave problema, la maggior parte delle informazioni mediatiche e dell’attivismo relativo a Khan al-Ahmar ha trascurato l’importanza strategica di questo piccolo villaggio.

Khan al-Ahmar si trova nella E1, nome di un’area di 12 km2  situata tra Gerusalemme e la colonia di Ma’ale Adumim, in Cisgiordania. Per decenni Israele ha sperato di costruire delle colonie in quell’area per collegare le due città. Così facendo dividerebbe in due la Cisgiordania, portando a quello che nel corso degli anni è stato descritto come il colpo di grazia alla soluzione dei due Stati.

In una dichiarazione pubblicata alla fine della scorsa settimana, la missione locale dell’Unione Europea ha condannato duramente i progetti israeliani di demolire Khan al-Ahmar, insieme alla progettata costruzione di una colonia nella E1, affermando che “aggravano le minacce per la praticabilità della soluzione dei due Stati e danneggiano ulteriormente le prospettive di una pace definitiva.”

“Questo è un campanello d’allarme per i membri più importanti dell’Unione Europea,” ha spiegato Daniel Seidemann, avvocato e attivista che dirige l’Ong israeliana “Gerusalemme terrestre”, e che ha passato gli ultimi 20 anni a monitorare come il cambiamento del paesaggio della città stia rendendo sempre più difficile una soluzione politica. “Se dovesse distruggere il villaggio nonostante l’impegno europeo, probabilmente Israele ne patirà le conseguenze.”

+972 ha parlato lunedì [9 luglio 2018, ndtr.] con Seidemann del perché Netanyahu voglia correre un tale rischio per un piccolo villaggio, delle implicazioni geopolitiche della E1 e di come probabilmente l’amministrazione Trump gestirà la crisi.

 

Nelle scorse settimane Khan al-Ahmar è stato la centro dell’attenzione mondiale. Perché il governo israeliano è così deciso a deportare una comunità talmente piccola?

“È una domanda da un milione di dollari. Khan al-Ahmar recentemente è finito sulle prime pagine dei giornali, ma è rimasto latente e oggetto di grande attenzione per molti anni, a tal punto che se svegli capi di Stato europei alle 3 del mattino e gli chiedi cos’è Khan al-Ahmar, sono in grado di risponderti. Quello che questi capi di Stato hanno continuato a dire ai dirigenti israeliani è che deportare con la forza la popolazione civile sotto occupazione è un crimine di guerra. Non lo avete ancora fatto, quindi non fatelo. Non vi possiamo difendere se lo fate, quindi lasciate stare.”

“La domanda è perché Israele voglia esporsi in questo modo. La scorsa settimana 12 consoli generali sono stati nel villaggio. Perché rischiare così tanto per un piccolo accampamento? È chiaro che si tratta di un’ossessione partita dai più alti livelli in Israele. Che viene da Netanyahu. [La minaccia di distruzione di] Khan al-Ahmar non avrebbe potuto avvenire senza il consenso e l’appoggio del primo ministro.”

 

Khan al-Ahmar si trova nell’area estremamente delicata nota come E1, tra Gerusalemme e la colonia di Ma’ale Adumim. Perché è così importante?

“Per quanto disperata e notevolmente problematica sia la situazione di Khan al-Ahmar, non avrebbe ricevuto l’attenzione che ha sollevato se non fosse nella E1, la zona che determinerà se potrà esistere o meno uno Stato palestinese sostenibile e con continuità territoriale. Khan al-Ahmar è diventato il problema umanitario del giorno. L’E1 è diventata il problema geopolitco degli ultimi 23 anni.

“Considera che Gerusalemme è al centro, e immediatamente a est di Gerusalemme, in Cisgiordania, a metà strada dal Mar Morto, c’è Ma’ale Adumim, la terza più grande colonia in Cisgiordania con circa 40.000 abitanti. Fin da metà degli anni ’90, quando Netanyahu è andato per la prima volta al potere, è stata intenzione del governo israeliano costruire un enorme collegamento verso Ma’ale Adumim con decine di migliaia di unità abitative. L’E1 è il settore tra Gerusalemme e Ma’ale Adumim.

 

In un documento del 2012 la sua organizzazione ha affermato che l’E1, “se edificata, è un punto di svolta, forse il punto finale” per la soluzione dei due Stati. Ce lo può spiegare?

“Fin dal momento in cui Ma’ale Adumim è stata fondata, è stata vista come una colonia da giorno del giudizio, in quanto può distruggere la sostenibilità della soluzione dei due Stati, perché smembrerebbe, frammenterebbe e spezzerebbe qualunque possibile Stato palestinese, e dividerebbe la Cisgiordania in un cantone settentrionale di Ramallah e uno meridionale di Betlemme ed Hebron.

“C’è una ragione per cui ogni amministrazione prima di Trump si è opposta a edificare lì. Quando Ariel Sharon iniziò la costruzione nel 2004, il presidente Bush e la segretaria di Stato Condoleeza Rice lo bloccarono dopo un grave conflitto all’interno della Casa Bianca sulla scelta di intervenire.”

 

Qualche anno fa Netanyahu tentò di costruirvi ma si piegò alle pressioni internazionali. Ora che c’è Trump alla Casa Bianca il governo sta preparando il terreno per l’operazione?

“Netanyahu ha proceduto nella E1 dal 30 novembre 2012 come rappresaglia per l’accettazione della Palestina come Stato osservatore non-membro all’Assemblea Generale dell’ONU. Le pressioni internazionali sono riuscite a bloccare le costruzioni, e da allora non è andata avanti. Ora credo che ci siano pressioni da parte del suo governo per procedere nella E1, e quello a cui stiamo assistendo è che Netanyahu sta facendo di tutto tranne andare avanti. Invece stiamo vedendo ogni possibile fase preliminare.

“Dal punto di vista di Israele la E1 è un’importante terreno edificabile. Per i palestinesi è un terreno edificabile devastante. Ma a prescindere, è il terreno più conteso della Cisgiordania, soprattutto perché riguarda i confini di un futuro status permanente. Così quando gli americani sono intervenuti non hanno detto ‘Questo non è Palestina, giù le mani.’ Hanno detto: ‘Volete la E1? Bene. È una questione che riguarda lo status permanente, negoziatelo e non imponete il risultato finale.’”

“La gente di Khan al-Ahmar è finita nel mirino di Netanyahu in quanto si trova in un’area su cui c’è una disputa titanica. E’ anche la più evidente esemplificazione di un crimine di guerra, e c’è anche una popolazione particolarmente vulnerabile. Per cui prendi le implicazioni geopolitiche della E1 e le crude implicazioni umanitarie di Khan al-Ahmar, le metti insieme e hai la miscela perfetta per il BDS [movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele, ndtr.].”

 

L’attuale iniziativa è il risultato della completa mancanza di impegno di Trump in merito? Cos’altro ci si può aspettare come conseguenza?

“Personalmente ho sentito dire due cose da membri di alto livello del governo. Un’opinione è che la E1 non preoccupa i palestinesi, possono aggirarla. La seconda è che Trump non ha cambiato la politica USA sulla E1.”

“Riguardo a Khan al-Ahmar è impossibile sapere se la demolizione avrà luogo o no. Quello che posso dirti è il presentimento che in un modo o nell’altro Khan al-Ahmar stia per diventare un punto di svolta. Se la demolizione viene bloccata, è chiaro che l’unica ragione sarà il serio, conseguente, articolato impegno internazionale da parte delle principali capitali europee. Questa è una lezione che sarà presa in considerazione sia a Gerusalemme che in Europa. Per quanto possa essere un personaggio problematico, Netanyahu può essere affrontato e può essere dissuaso.

Il secondo scenario è che vada comunque avanti con la demolizione, nel cui caso il messaggio sarà forte e chiaro: ‘Chi ha bisogno di Londra, Parigi, Berlino e Bruxelles quando abbiamo Varsavia e Budapest?’”

 

Perché è diverso da Susya, per esempio, il villaggio che è riuscito a evitare un’imminente demolizione con il sostegno della comunità internazionale?

“Penso che Susya fosse una prova generale per Khan al-Ahmar. Ma annettere Susya, cosa che in ogni caso non auspico, non avrebbe impedito la praticabilità di uno Stato palestinese. Con Khan al-Ahmar c’è l’alchimia di avere un problema umanitario molto grave, che ti obbliga a vedere le cose in bianco e nero, strettamente connesso al dramma geopolitico della E1, che sta chiaramente diventando uno dei problemi più controversi di qualunque futuro negoziato. Unire la questione geopolitica a quella umanitaria all’apice della loro gravità è un’atto da esplosione nucleare.”

 

(traduzione di Amedeo Rossi)




La crociata annessionista di Israele a Gerusalemme: il ruolo di Ma’ale Adumim e del corridoio E1

Zena Agha

26 marzo 2018, Al Shabaka

Sintesi

Negli scorsi mesi Israele ha fatto una serie di continui tentativi di annettersi colonie che confinano con Gerusalemme. Il più ambizioso: la legge della “Gerusalemme più grande”, che intende annettere Ma’ale Adumim, Givat Zeev, Beitar Illit e il blocco di Etzion – una colonia inserita tra Gerusalemme ed Hebron – che era in programma per l’approvazione da parte della commissione ministeriale israeliana per le leggi alla fine dell’ottobre 20171. Il suo scopo finale era di “ebraicizzare” Gerusalemme per mezzo di una manipolazione demografica e di un’espansione territoriale [dei confini di Gerusalemme, ndt.].

Benché Netanyahu abbia rimandato a tempo indefinito la legge a causa delle pressioni degli Stati Uniti, preoccupati che ciò potesse ostacolare gli sforzi di far risuscitare i colloqui di pace, il tentativo recondito continua a vivere in altre misure. In seguito al riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte del presidente USA Donald Trump nel dicembre 2017, Israele ha accentuato i tentativi per annettere la terra e cambiare l’aspetto demografico di Gerusalemme.

L’attuale governo di Benjamin Netanyahu ha sfacciatamente proposto una sfilza di altri progetti, risoluzioni e leggi che rafforzerebbero la presa di Israele su Gerusalemme. Sostenuti dal consenso di Trump, i politici, amministratori e pianificatori israeliani hanno approvato anche la costruzione di migliaia di unità abitative nelle colonie sia all’interno che attorno a Gerusalemme e nei Territori Palestinesi Occupati [TPO], nonostante il fatto che la fondazione di queste colonie nei TPO rappresenti una violazione dell’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra. Garantirsi una maggioranza demografica ed espandere le colonie fanno anche parte di un piano più complessivo di Israele per annettersi la Cisgiordania.

Questo commento politico esplora le implicazioni dell’annessione della zona di Gerusalemme, in particolare l’impatto dell’annessione della colonia urbana di Ma’ale Adumim e dell’area territoriale nota come E1, che la collega a Gerusalemme. Mostra come l’annessione di questi luoghi renderebbe impraticabile un futuro Stato palestinese, separando di fatto tra loro la parte settentrionale della Cisgiordania e quella meridionale. Tale annessione mette in luce anche i metodi di colonizzazione israeliani nei TPO: confisca delle terre, annessione strisciante, manipolazione della demografia e trasferimento della popolazione. L’articolo conclude con dei suggerimenti su quanto la comunità internazionale, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e gli stessi palestinesi possono fare per arginare questo esito catastrofico.

Annessione fin dai primi giorni dell’occupazione

Il 27 giugno 1967, 20 giorni dopo che l’esercito israeliano aveva occupato Gerusalemme fino alla sua parte più orientale, Israele si annesse circa 71 km2 di terre all’interno dei confini ampliati della municipalità israeliana di Gerusalemme. Ciò riunì la Città Vecchia, la parte occidentale israeliana della città, la città in precedenza amministrata dalla Giordania e 28 villaggi palestinesi (ed i loro pascoli) in un’unica area metropolitana – tutto ciò nel tentativo di creare una unificata, “eterna” capitale ebraica. L’annessione incluse circa 69.000 palestinesi che vivevano sul territorio.

Dal 1967 Israele ha limitato potere, proprietà e abitazioni dei palestinesi nella zona di Gerusalemme, incrementando al contempo la presenza ed il controllo da parte degli ebrei israeliani. Mentre Gerusalemme continua ad essere l’unico territorio palestinese ufficialmente annesso dal 1967, la destra nazionalista in Israele ha a lungo chiesto la totale annessione dei TPO.

Nel corso degli anni sono state proposte leggi simili a quella della “Gerusalemme più grande”. La legge in sé è stata una riproposizione di un progetto simile degli anni ’90, e il parlamentare della Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] Yisrael Katz ha presentato una proposta simile nel 2007. Entrambe vennero accantonate a causa delle preoccupazioni in merito a reazioni internazionali e palestinesi.

Come i precedenti tentativi, la legge della “Gerusalemme più grande” riguardava la demografia. Stabiliva che i 150.000 coloni che vivono nelle cittadine e nei municipi in questione venissero considerati abitanti di Gerusalemme, consentendogli quindi di votare nelle elezioni comunali e di influenzare i risultati elettorali. Al contempo la Knesset ha aggiunto un emendamento alla “Legge fondamentale” del 1980, “Gerusalemme capitale di Israele”, che consente al governo di separare zone della città dalla municipalità di Gerusalemme, pur esigendo che queste nuove amministrazioni rimanessero sotto sovranità israeliana. Ciò intendeva chiaramente eliminare i 100.000 palestinesi che vivono nel quartiere di Kufr Aqab, nel campo profughi di Shuafat e ad Anata – che si trova oltre la barriera di separazione – riclassificandoli come municipi di rango inferiore e togliendoli dall’anagrafe [di Gerusalemme].

Queste misure avrebbero garantito che la popolazione palestinese – che attualmente comprende circa il 40% della popolazione di Gerusalemme –scendesse al 32%, semplicemente ridefinendo i confini della città. Il parlamentare Kish ha espresso questa visione demografica in modo piuttosto ingenuo: “Gerusalemme ingloberà una popolazione che garantirà l’equilibrio demografico.” Allo stesso modo il deputato Katz ha sottolineato che la legge avrebbe “garantito una maggioranza ebraica nella città unificata,” insediando in questo modo Gerusalemme come la capitale di Israele.

Inoltre sono già in corso preparativi per l’annessione della Cisgiordania, come dimostra la risoluzione non vincolante votata all’unanimità il 1 gennaio 2018 dal comitato centrale del Likud [principale partito della destra israeliana al governo da molti anni, ndt.]. La risoluzione chiede che Netanyahu, i dirigenti e politici del partito “applichino le leggi di Israele e la sua sovranità su tutte le zone liberate dell’insediamento ebraico in Giudea e Samaria” – il nome utilizzato dai nazional-religiosi in riferimento alla Cisgiordania. Come ha proclamato l’ex-ministro dell’Educazione e rivale di Netanyahu Gideon Sa’ar: “(L’annessione) verrà realizzata in pochi anni. Lasciateci guidare il Likud…L’obiettivo della nostra generazione è rimuovere ogni punto interrogativo che incombe sul futuro delle colonie.”

Mentre a metà febbraio Netanyahu ha scartato una legge basata su questa risoluzione in risposta alla disapprovazione USA, il suo spirito è evidente in una serie di più sottili ma ugualmente pericolose leggi presentate da parlamentari israeliani. A metà febbraio, per esempio, la Knesset ha approvato una legge che estende la giurisdizione dello Stato all’interno della Cisgiordania, mettendo college e università delle colonie sotto l’autorità della commissione israeliana per l’Educazione superiore. Benché il suo impatto diretto sia in qualche modo ridotto, i sostenitori della legge hanno creato un contesto retorico e legislativo in cui l’applicazione della legge israeliana nelle colonie non è più discutibile – un passo verso l’obiettivo finale di annettere parti della Cisgiordania.

In modo ancor più significativo, la ministra della Giustizia Ayelet Shaked (Casa Ebraica [partito di estrema destra dei coloni, ndt.]) ha proposto una legge, fatta propria dal governo all’inizio di marzo, che propone di togliere alla Corte suprema israeliana la giurisdizione sulle terre contese in Cisgiordania. Se approvata, la legge garantirebbe che il tribunale distrettuale di Gerusalemme, invece della Corte suprema, si occupi dei casi riguardanti palestinesi che intendono fare ricorso legale nei conflitti territoriali con i coloni. Questo è un passo che stabilisce un precedente che imporrebbe concretamente la legge israeliana sulla Cisgiordania occupata.

L’intento di questa legge è duplice: in primo luogo, attribuendo a un tribunale israeliano la giurisdizione sui palestinesi non cittadini che vivono al di là della Linea Verde [il confine tra Israele e Giordania prima della guerra del ’67, ndt.], Shaked intende estendere (ulteriormente) le leggi interne e il sistema giuridico di Israele in Cisgiordania. In secondo luogo, dà un ulteriore vantaggio nei tribunali ai coloni rispetto alle denunce palestinesi. Secondo un funzionario del ministero di Giustizia, Shaked vede la Corte Suprema israeliana come “eccessivamente preoccupata delle leggi internazionali e della protezione dei diritti della popolazione ‘occupata’ in Giudea e Samaria.”

Simili atteggiamenti stanno ricevendo una base d’appoggio internazionale. In una riunione durante la conferenza dell’AIPAC [American Israel Public Affairs Committee, principale gruppo di pressione filoisraeliano negli USA, ndt.] a Washington nel marzo 2018, Oded Ravivi, il capo del consiglio della colonia di Efrat, ha invitato i parlamentari statunitensi ad appoggiare l’annessione della Cisgiordania e l’incremento nella costruzione di colonie. Ha affermato: “Non è un segreto che alla Knesset ci sono stati diversi tentativi riguardo all’annessione o all’adozione delle leggi israeliane in Giudea e Samaria…Penso che sia giunto il momento di applicare le leggi israeliane in Giudea e Samaria.”

Quindi, mentre la costruzione (o espansione) di colonie illegali e i tentativi di annessione sono stati messi in pratica senza sosta dal 1967, è chiaro che la Palestina sta affrontando un momento cruciale. Se la legge della “Gerusalemme più grande”, ed ogni modifica di essa, dovessero essere messe in atto, ci sarebbero due conseguenze epocali: taglierebbe fuori i palestinesi dalla loro capitale, Gerusalemme, ebraicizzando la città dal punto di vista demografico e spaziale, e colonizzerebbe il punto più stretto della Cisgiordania, rendendo impossibile uno Stato palestinese con continuità territoriale.

Per entrambi questi risultati è fondamentale la proposta di annessione della colonia urbana di Ma’ale Adumim e della striscia di terra che la unisce a Gerusalemme, nota come corridoio E1. Dal punto di vista demografico l’inclusione di Ma’ale Adumim nel Comune di Gerusalemme farebbe aumentare drasticamente il numero di abitanti ebrei israeliani nella città, e, dal punto di vista spaziale, l’annessione del corridoio E1 sarebbe il colpo di grazia per la soluzione dei due Stati.

Ma’ale Adumim: il gioiello nella corona della colonizzazione

Ma’ale Adumim si trova nei pressi di Gerico, nei TPO, e funge da sobborgo ebraico di Gerusalemme, contando 40.000 abitanti. L’esatta “fondazione” di Ma’ale Adumim è incerta. È nata come avamposto di 15 coloni estremisti nel 1975 ed ha ottenuto lo status di cittadina nel 1991 – la prima ad ottenerlo in Cisgiordania.

Il primo governo di Menachem Begin (1977-81) la pianificò e la costruì. I confini, definiti nel 1979, coprivano circa 3.500 ettari con 2.600 unità abitative. Contrariamente alla voce corrente secondo cui le terre tra Gerico e Gerusalemme vennero “ereditate” dai giordani e quindi erano “terre dello Stato”, Ma’ale Adumim venne costruita su terreni di proprietà di abitanti dei villaggi palestinesi di Abu Dis, Anata, Azariya, At-Tur e Isawiya. Inoltre i Jahalin, la tribù beduina che in precedenza abitava sulle colline di Ma’ale Adumim, vennero deportati a forza in una vicina discarica dopo la demolizione dei loro accampamenti di tende. La colonia venne estesa ad altri 1.300 ettari che Israele dichiarò “terre dello Stato” durante gli anni ’80 e ’90. Ciò determinò un’ulteriore espulsione forzata dei Jahalin nel 1997 e 1998, con la deportazione di 100 famiglie.

Ma’ale Adumim mirava a raggiungere due obiettivi generali: penetrare strategicamente all’interno dei TPO e consolidare il controllo di Israele su Gerusalemme. Nel primo caso, la posizione di Ma’ale Adumim venne scelta espressamente: il principale architetto e urbanista della colonia, Thomas Leitersdorf, disse che il suo posizionamento nella parte centrale della Cisgiordania era “senza dubbio, politico …(e) accuratamente prefissato – il luogo più distante da Israele che fosse plausibilmente possibile.”

Nel tentativo di creare concreti “fatti sul terreno”, a Ma’ale Adumim vennero fornite tutte le risorse necessarie e si sviluppò alla velocità della luce. In un periodo di tre anni gli urbanisti israeliani costruirono una cittadina composta da migliaia di appartamenti identici. Una pianificazione così rigida, in cui ogni casa è una copia esatta della successiva, è, nelle parole di Dana Erekat [architetta ed urbanista palestinese, ndt.] “la quintessenza del colonialismo di popolamento. È egemonia colonialista” – in contrasto con lo sviluppo organico del paesaggio palestinese circostante.

Il governo israeliano intendeva aumentare il numero di ebrei israeliani all’interno ed attorno alla città, anche finanziando la colonia e incentivando i propri cittadini a sistemarvisi. Il principale obiettivo era appoggiare la migrazione di coppie giovani di classe media, offrendo loro migliori condizioni abitative vicino a Gerusalemme ad un costo significativamente inferiore. Questi coloni non ideologizzati erano spinti dal desiderio di una migliore qualità di vita. Oggi la ripartizione demografica è circa di [abitanti] per il 75% laici e per il 25% religiosi2.

Dal 1975 Ma’ale Adumim è diventata una vera e propria città, con una biblioteca, un teatro, un’area industriale, centri commerciali, 15 scuole e 78 asili. Circa il 70% degli abitanti si reca a Gerusalemme per lavoro, senza quasi neanche accorgendosi di attraversare un territorio occupato.

Ma’ale Adumim, insieme a colonie vicine che sono spuntate tutto intorno, forma una zona edificata impattante che si frappone al paesaggio palestinese e isola i palestinesi dalla loro capitale e tra loro. È il gioiello nella corona del progetto di colonizzazione israeliana.

Gli effetti devastanti dell’annessione della E1.

Qualunque annessione di Ma’ale Adumim e di altre parti della Cisgiordania dipenderebbe dall’acquisizione di una parte strategicamente significativa della terra nota come E1. Il corridoio E1misura approssimativamente 12 km2 e si trova all’interno dell’Area C controllata da Israele, tra Gerusalemme e Ma’ale Adumim. Il principale obiettivo di Israele nell’acquisizione dell’E1 è garantire la continuità territoriale tra Ma’ale Adumim ed Israele, creando un blocco urbano ebraico tra Ma’ale Adumim e Gerusalemme. Ciò rafforzerebbe il controllo di Israele su Gerusalemme est, schiacciando i suoi distretti palestinesi tra quartieri ebraici e rendendo lo schema dei due Stati ancor meno possibile.

Il membro della Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] Naftali Bennett (Casa Ebraica [partito di estrema destra dei coloni, ndt.]), ministro dell’Educazione di destra, ha parlato di annettere Ma’ale Adumim e l’E1. In preparazione della presentazione di una legge per l’annessione, nel 2017 ha dichiarato che “evidentemente è tempo di un cambiamento quantistico… L’approccio incrementale non ha funzionato. Dobbiamo comprendere che è una nuova situazione. Dobbiamo fare le cose in grande, con coraggio e in fretta.” Questa “nuova situazione” è un primo passo verso la totale annessione della Cisgiordania.

L’E1 non è semplicemente una fascia di terra, ma è anche destinata alla colonizzazione. Il primo ministro Yitzhak Rabin (1992-95) estese il confine di Ma’ale Adumim per mettere l’E1 sotto il suo controllo – coprendo circa 4.800 ettari – ed ogni primo ministro israeliano dopo Rabin ha tentato di costruire blocchi di edifici nella zona. Il piano generale dell’E1 (piano n° 420/4) ha ricevuto l’approvazione nel 1999 ed è diviso in piani dettagliati separati, che coprono circa 1.200 ettari di terreno, la maggior parte dei quali sono stati dichiarati da Israele “terra dello Stato”. Attualmente una riserva d’acqua, una zona industriale e una stazione di polizia sono state sottoposte a controllo pubblico e costruite. Inoltre la maggior parte delle infrastrutture per i servizi è già stata realizzata, comprese strade asfaltate, muri di sostegno, rotonde e illuminazione delle strade, per oltre 5.5 milioni di dollari.

Tali infrastrutture sono in previsione di una nuova colonia israeliana chiamata “Mevaseret Adumim”, che includerebbe 3.500 unità abitative nella sua zona residenziale. Apparentemente intesa per alleviare la carenza di abitazioni a Ma’ale Adumim e offrire servizi regionali e strutture commerciali e turistiche, in sostanza incrementerebbe la popolazione ebraica nella zona di Gerusalemme. “Mevaseret Adumim” è diventata un grido di battaglia della destra israeliana in Israele. Netanyahu ha ripetutamente promesso di costruirla – sotto la pressione sia dei gruppi di destra che dell’astuto sindaco di Ma’ale Adumim, Benny Kasriel.

L’effetto dell’annessione e/o colonizzazione nel corridoio E1 sarebbe devastante. In primo luogo creerebbe una “punta sporgente” a metà strada attraverso il punto più stretto della Cisgiordania (28 km tra est e ovest). Ciò taglierebbe la strada tra Ramallah e Betlemme, interromperebbe la contiguità territoriale tra la Cisgiordania settentrionale e quella meridionale e in ultima analisi porrebbe fine alle speranze di uno schema a due Stati.

In secondo luogo isolerebbe ulteriormente i palestinesi di Gerusalemme e separerebbe i palestinesi della Cisgiordania da Gerusalemme. Per molti palestinesi dei TPO Gerusalemme è il centro economico e culturale. La costruzione del “Muro di Separazione” attraverso parti della Cisgiordania e attorno all’anello delle colonie attualmente esistenti ha già negato ai palestinesi l’accesso a Gerusalemme. I palestinesi con la carta d’identità della Cisgiordania non possono più commerciare, studiare, ricevere cure mediche o visitare amici e familiari senza un permesso dell’apparato di sicurezza israeliano.

Oltretutto non dovrebbe essere trascurato il significato religioso di tale annessione. Gerusalemme è la sede di molti dei luoghi religiosi più sacri per i palestinesi musulmani e cristiani, compresa la “Spianata delle Moschee” (dove si trova la moschea di Al-Aqsa) e la chiesa del Sacro Sepolcro. L’annessione non farebbe che esasperare le restrizioni religiose imposte sui palestinesi, a cui viene negato il diritto di pregare liberamente nei luoghi santi.

Inoltre l’E1 è disseminata di enclave di circa 77.5 ettari di terra palestinese di proprietà privata. Dato che Israele non è stato in grado di dichiararle “terra dello Stato”, non sono ufficialmente incluse nell’annessione o nei piani di colonizzazione. Qualunque costruzione di insediamenti nell’E1 le circonderebbe inevitabilmente con zone ebraiche israeliane edificate, limitando la possibilità dei proprietari palestinesi di accedervi e coltivare i loro campi.

Ciò inciderebbe sulle infrastrutture locali. Per esempio, le strade attualmente utilizzate dai palestinesi diventerebbero, come nel caso di altre colonie, strade locali per l’uso dei coloni e verrebbe negato l’accesso ai palestinesi. Un rapporto dell’Ong israeliana B’Tselem afferma che, se non venissero costruite strade alternative, il divieto di accesso ridurrebbe notevolmente la libertà di movimento dei palestinesi nella già ridotta area.

Riconoscendo le conseguenze spaziali, politiche e diplomatiche del fatto di tagliare a metà la Cisgiordania, Israele sta costruendo la “Circonvallazione orientale” nei pressi di Gerusalemme. Soprannominata la “strada dell’apartheid” a causa del muro che corre a metà separando automobilisti israeliani e palestinesi, intende agevolare gli spostamenti dei palestinesi tra il nord e il sud della Cisgiordania per garantire la “contiguità dei trasporti”. Ma è anche intesa a collegare meglio le colonie israeliane a Gerusalemme, impedendo agli automobilisti palestinesi di accedere a Gerusalemme. Le implicazioni della strada sono devastanti per la libertà di movimento dei palestinesi e per il loro eventuale futuro “Stato”.

Insomma, la contestata annessione del corridoio E1 intende inserire formalmente Ma’ale Adumim nell’enclave di Gerusalemme, dividendo diagonalmente il territorio e tagliando anche fuori i palestinesi da Gerusalemme – quella che dovrebbe essere la loro capitale. Espellerebbe anche comunità palestinesi che hanno vissuto lì da generazioni.

Trasferimento di popolazione

La messa in pratica delle intenzioni di annessione/colonizzazione dell’E1 richiederebbe l’immediata espulsione dei beduini che vivono sulla terra, una violazione delle leggi internazionali. Attualmente ci sono circa 2.700 beduini, la metà dei quali sono bambini, nei pressi di Ma’ale Adumim. La maggioranza di queste comunità fa parte della tribù Jahalin.

Benché i beduini abbiano vissuto dagli anni ’50 su quella terra – che Israele ha destinato loro dopo averli espulsi dalla zona di Tel Arad, nel Negev – l’amministrazione civile [in realtà il governo militare israeliano, ndt.] (che gestisce le attività nei TPO) ha stabilito che essi non possano fare costruzioni considerate “legali” da Israele. Le autorità israeliane hanno anche privato deliberatamente i Jahalin dell’accesso a servizi fondamentali, come acqua ed elettricità, per rendere insopportabile la loro vita sul territorio. Non gli viene consentito di lavorare o di costruire sulla terra. Oltretutto l’esercito israeliano limita la loro possibilità di accedere alle loro terre per pascolare le greggi, obbligandoli a dipendere dall’acquisto di costoso foraggio per le pecore. Alcuni pastori sono stati obbligati a vendere le proprie greggi, con il risultato che solo il 30% dei residenti continua a guadagnarsi da vivere con l’allevamento. Gli altri lavorano come braccianti, anche nelle colonie vicine.

Tentativi da parte di stranieri di migliorare la situazione dei beduini sono stati ostacolati. Nel marzo 2017 Israele ha emanato 42 ordini di demolizione contro il misero villaggio di Khan al-Ahmar nell’E1, facendo arrabbiare l’Unione Europea, che aveva finanziato molti degli edifici del villaggio, compresa una scuola che ospitava più di 150 bambini dai sei a quindici anni – alcuni di comunità vicine3. Nel settembre 2017 a Khan al-Ahmar vivono 21 famiglie che rappresentano 146 persone, compresi 85 minori.

In base agli attuali progetti dell’E1, i Jahalin devono essere espulsi e ricollocati in tre baraccopoli. Ciò costringe i beduini a uno stile di vita che è in totale contrasto con il loro nomadismo. Nel contesto dell’occupazione militare ogni trasferimento di “persone protette” – come queste comunità – compresa la confisca e la distruzione di proprietà da parte del potere occupante, rappresenta una grave violazione delle leggi internazionali4. Per estensione, ogni progetto militare inteso a deportare permanentemente persone sotto occupazione è un crimine di guerra5. Eppure, nonostante il chiaro contesto giuridico internazionale che condanna queste pratiche, i tentativi israeliani di spostare i beduini continuano – utilizzando leggi interne come mezzo per occultare le rivendicazioni di beduini e palestinesi sulla terra6.

Suggerimenti

L’annessione dell’E1 e di Ma’ale Adumim altererebbe in modo drammatico la situazione geopolitica in Palestina-Israele. Non solo sancirebbe l’”ebraicizzazione” di Gerusalemme da parte di Israele, ma metterebbe a repentaglio il futuro Stato palestinese definito dagli accordi di Oslo. Queste tensioni si manifestano continuamente nella Knesset, nel congresso USA, alle Nazioni Unite, all’Unione Europea, sui media e più generalmente nel campo umanitario. Le molte parti coinvolte nel progetto di annessione di Ma’ale Adumim la rendono una perenne fonte di discussioni, contrasti e resistenza.

La comunità internazionale, l’ANP e la società civile palestinese possono prendere iniziative per bloccare questa flagrante violazione delle leggi internazionali:

  • Dato che è evidente che l’amministrazione Trump non sarà la forza di contenzione della coalizione di destra alla Knesset, Nazioni diverse dagli USA così come istituzioni internazionali devono esercitare pressioni sul governo israeliano per fare in modo che ogni legge di annessione risulti onerosa. La società civile palestinese e il movimento di solidarietà con la Palestina nelle loro attuali e future campagne con i parlamentari devono approfondire la sensibilizzazione su quanto il progetto di colonizzazione israeliano sia vicino al punto di non ritorno.

  • L’UE dovrebbe andare oltre le frasi fatte di condanna quando la sua assistenza umanitaria a comunità vulnerabili è confiscata o distrutta. Dovrebbe rendere responsabile attivamente Israele con pressioni diplomatiche, come il riconoscimento dello Stato palestinese. Allo stesso tempo il movimento di solidarietà con la Palestina dovrebbe identificare modi per fare pressione sull’UE spingendola ad attenersi alle sue stesse regole e ai suoi obblighi in base alle leggi internazionali.

  • L’ANP dovrebbe chiarire che la messa in atto di qualunque legge per l’annessione rappresenterebbe la linea rossa che, se superata, metterebbe fine a qualunque cooperazione tra l’ANP ed Israele. Un movimento di base organizzato dovrebbe sia far pressione sull’ANP che rafforzare la propria azione.

  • L’ANP dovrebbe creare un proprio progetto territoriale della zona tra Gerusalemme e Ma’ale Adumim, appoggiata da fatti che sottolineino l’importanza dell’area per l’esistenza di un futuro Stato palestinese. Questa visione alternativa dovrebbe essere creata da geografi, urbanisti e gruppi di ricercatori palestinesi.

La valanga di recenti leggi è semplicemente l’ultimo esempio del furto di terra palestinese da parte di Israele e del processo di colonizzazione sionista che ha avuto inizio da prima della fondazione dello Stato di Israele. Benché sia improbabile che la realizzazione di questi suggerimenti bloccherebbe Israele nella sua missione ideologica di “ebraicizzare” tutta la Palestina-Israele, tali iniziative potrebbero sfruttare il sentimento filo-palestinese raccogliendo impulso in Occidente e richiamare all’ordine Israele per la sua occupazione consolidata e per le pratiche di colonizzazione.

Note

  1. La legge è stata proposta dai membri della Knesset Yoav Kish (Likud) e Bezalel Smotrich (Jewish Home) ed appoggiata dal ministro dei Trasporti Yisrael Katz (Likud) e dal primo ministro Benjamin Netanyahu (Likud).

  2. Sebbene in Cisgiordania le colonie rurali superino quelle urbane di 94 a 50, il numero di coloni israeliani che vivono in insediamenti urbani è di circa 477.000, più di otto volte quello dei coloni israeliani in colonie rurali, che è di circa 60.000.

  3. L’UE ha invitato Israele ad “accelerare l’approvazione di piani regolatori palestinesi, interrompere la deportazione forzata di popolazione e le demolizioni di case ed infrastrutture palestinesi, semplificare le procedure amministrative per ottenere concessioni edilizie, garantire l’accesso all’acqua e a soddisfare le necessità umanitarie.”

  4. Le leggi umanitarie internazionali proibiscono il trasferimento forzato se non per la sicurezza degli abitanti o per urgenti necessità militari.

  5. Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale stabilisce che il trasferimento forzato di popolazione include “minaccia dell’uso della forza o coercizione, come quella provocata dalla paura di essere vittima di violenze, di costrizione, di detenzione, di oppressione psicologica o di abuso di potere contro una o più persone o altre persone, o approfittando di un contesto di coercizione.”

  6. Questa prassi di trasferimento di popolazione trova riscontro all’interno della Linea Verde. I beduini che vivono nei cosiddetti “villaggi non riconosciuti” nel deserto del Naqab/Negev sono perennemente a rischio di “ricollocazione”. Più di recente le autorità israeliane hanno annunciato l’espulsione degli abitanti della cittadina beduina di Umm Al-Hiran per fare spazio alla cittadina ebraica chiamata Hiran.

Zena Agha è la collaboratrice politica per gli USA di Al-Shabaka, la rete politica palestinese. L’esperienza di Zena si concentra sulla politica, la diplomazia e il giornalismo. In precedenza ha lavorato all’ambasciata irachena di Parigi, alla delegazione palestinese all’UNESCO e a “The Economist”. Oltre a editoriali su “The Independent”, le esperienze mediatiche di Zena includono El Pais, PRI’s the World, il BBC World Service e BBC Arabic. Zena è stata premiata con una borsa di studio Kennedy per frequentare l’università di Harvard, dove ha completato un master in studi sul Medio Oriente. I suoi principali interessi di ricerca includono la storia moderna del Medio Oriente, la memoria e la produzione narrativa, le pratiche territoriali.

(traduzione di Amedeo Rossi)