Ex soldati israeliani rivelano: niente è così integro come un cuore spezzato

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Ex soldati israeliani rivelano: niente è così integro come un cuore spezzato

Jim Miles

11 novembre 2021 –  Palestine Chronicle

La scorsa settimana (11-04-2021) Independent Jewish Voices [Voci ebraiche indipendenti: organizzazione di eminenti intellettuali britannici che combattono l’opinione che tutti gli ebrei sostengano le politiche del governo israeliano, ndtr.] (IJV – Canada) ha presentato un webinar intitolato “From IDF to IJV”, che illustrava la storia di tre ebrei già appartenenti all’esercito israeliano ma che nel corso degli anni e attraverso esperienze simili se pur diverse hanno finito per collaborare con IJV-Canada.

Il conduttore del programma, Aaron Lakoff, ha sottolineato la “solidarietà senza compromessi” di IJV con le lotte del popolo palestinese per i diritti umani e l’uguaglianza civile in Palestina, in sostanza, in tutta la Palestina storica. IJV è stata una delle prime organizzazioni in Canada a riconoscere e sostenere la campagna del BDS. Per riassumere l’immagine complessiva dello scoprire di essere stati ingannati dalla famiglia, dal governo e dalla società civile, si è fatto riferimento agli scritti ebraici radicali di Kokzter Rebbe [il rabbino Menachem Mendel of Kotzk (1787-1859), ndtr.]: “Niente è così integro come un cuore spezzato”. Il suo significato non mi è risultato chiaro fino a quando non ho sentito le tre storie.

I racconti

Tutti e tre i protagonisti risultavano avere delle esperienze simili ma con delle differenze; la principale caratteristica comune era il loro ebraismo laico, per cui la religione insita nell’essere ebrei era sostituita da una fede nel sionismo. L’adesione all’esercito era scontata, incoraggiata da una influente propaganda. Era un esercito come nessun altro, l’esercito più etico del mondo.

La conduttrice del webinar, Lia Tarachansky, ha rilevato come l’esercito sia mutato in tre  aspetti significativi: in primo luogo, la maggior parte degli sforzi è stata dedicata all’Unità 8200, il reparto di intelligence dell’esercito, e ai suoi compiti massicci di sorveglianza e hasbara [parola in lingua ebraica che indica gli sforzi mediatici per diffondere informazioni positive sullo Stato di Israele e le sue azioni, ndtr.]; successivamente ha menzionato l’uso crescente di un esercito “telecomandato”, con l’impiego dell’intelligenza artificiale e la robotica moderne per affrontare qualsiasi presunto nemico; e – cosa più sorprendente, anche se forse non lo è, in linea con quanto avviene negli Stati Uniti – la privatizzazione delle attività dell’esercito nel tentativo di assolvere il governo da responsabilità per i crimini commessi.

Prese di coscienza

Pur accettando inizialmente il loro impegno nell’esercito, con il tempo, a volte rapidamente, questi soldati hanno progressivamente perso le loro illusioni sull’esercito e sulla politica israeliana in generale. Per Daphna Levit, un’ebrea Mizrahi [ebrei originari del mondo arabo, ndtr.], l’esercito presentato nelle scuole era “sempre qualcosa per cui provavamo ammirazione” e il ruolo dell’esercito costituiva un “impegno glorioso ed eroico” nella misura in cui era “bello morire per il paese” – Dio era diventato Sion.   Il suo compito nella guerra del 1967 era quello di scortare gli addetti alle comunicazioni in diverse zone di guerra e, nel far questo, “creare una narrazione” differente da ciò che vedeva. Ha citato in particolare l’immagine dei profughi palestinesi che attraversavano l’Allenby Bridge [importante ponte internazionale che collega la Cisgiordania alla Giordania, ndtr.] verso la Giordania, una scena resa non fedelmente dalla descrizione che le è stata fornita.

Yom Shamash si avventurò in Israele nel 1971, sentendosi “al sicuro” in Israele, che era in pace avendo “neutralizzato” l’Egitto [in seguito al conflitto arabo israeliano del giugno 1967, chiusosi dopo sei giorni con la vittoria di Israele, ndtr.]. Nel descriversi come “un pessimo soldato”, ha raccontato di essere stato distaccato nel deserto del Sinai quando la guerra dello Yom Kippur [conflitto arabo israeliano dell’ottobre 1973, ndtr.] colse “tutti di sorpresa” e che “la mia unità venne decimata”. Iniziò a mettere in discussione il senso di tutto, chiedendosi “per cosa sono morti… per la sabbia?”     Venne totalmente sconvolto quando seppe che Golda Meier aveva respinto la richiesta di colloqui di pace da parte di Anwar Sadat. Ha rievocato come, in precedenza, durante il suo addestramento, fosse all’aperto durante un pattugliamento notturno e si fosse reso conto che la strana sensazione sotto i suoi stivali derivava dal “marciare sugli ortaggi” – si stavano addestrando calpestando gli orti dei palestinesi.

Giungendo poco più tardi, Rafi Silver emigrò in Israele nel 1971 e si stabilì in un kibbutz (dove i soldati “erano venerati”) sulle alture del Golan. Provenendo da una famiglia profondamente sionista rimase “intrappolato nel mito dell’esercito” e le sue convinzioni vennero poi “fatte a pezzi dalla realtà”.  Al momento di decidere dove arruolarsi, il problema comune era “come entrare in un corpo d’élite”: non mettersi alla prova era motivo di vergogna. Cosa che superò nei primi quindici minuti dell’addestramento iniziale.

Ha rievocato l’”incidente definitivo” che fece cambiare le sue convinzioni radicalmente verso la pace.   Nel 1996 prestò servizio in un’unità di riserva che aveva imposto un blocco e un coprifuoco di una settimana in un campo profughi vicino a Betlemme. Ha raccontato che nel buio della notte, cessato il coprifuoco, aveva visto un ragazzo alzarsi dalla posizione accovacciata che i soldati gli avevano ordinato di assumere. Di riflesso, nel buio della notte, teso e impaurito dal contesto del campo, mosse il dito sul grilletto del suo fucile pronto a sparare. “Ero spaventato.” Un altro membro dell’unità gli intimò di non sparare e alla fine lui disse: “Basta… non ce la faccio più… ho quasi ucciso un ragazzino”.

L’altro

Un forte filo conduttore è costituito dal modo in cui venivano rappresentati i palestinesi. Nessuno dei protagonisti ha avuto rapporti diretti con loro.

Yom ha affermato che ogni giorno vedeva giungere dei palestinesi per lavorare nei parchi israeliani a Gaza, ma di non aver avuto contatti con loro. Ha detto: “Ai soldati israeliani veniva chiesto di fare ogni genere di cose orribili” e quando protestava, gli veniva detto “È l’unico modo per farlo… quelle persone non sono come te”, erano “meno che umani”. Il lavaggio del cervello nell’esercito era volto a creare soldati obbedienti, che non facessero domande, sottolineando che “l’altro non è come te”.

Daphna all’inizio li vedeva solo come fredde vittime di una guerra da cui doveva ricavare una narrazione che sostenesse lo Stato e non la realtà. Nata in Israele, ne aveva “sentito parlare” ma non aveva visto nessun palestinese, fornendo così la sua definizione della natura di “apartheid” di Israele. Un po’ più tardi, mentre lavorava con Physicians for Human Rights [Medici per i diritti umani: ONG con sede negli Stati Uniti che documenta e difende contro le atrocità e le gravi violazioni dei diritti umani, ndtr.], si è imbattuta in una ragazzina in una clinica in cui lavorava. La ragazzina le chiese da dove venisse, e quando le disse di essere israeliana, il viso della ragazzina espresse lo sgomento di trovarsi insieme al “nemico”.

Dopo il suo servizio di leva Rafi è tornato a Gaza come civile nel campo profughi di Jabaliya – e ha visto ciò che non vedeva come soldato: degli esseri umani. Era “stupito” dal fatto che, sebbene ogni palestinese sapesse che era stato nell’esercito, “non ho incontrato l’ostilità o l’odio che mi aspettavo”. Divenne, alla fine, un rapporto umano, e non ideologico.

“Niente è così integro come un cuore spezzato.”

Dopo un’educazione che inculca un particolare dogma ideologico, può essere traumatizzante solo fino a un certo punto vedere quelle convinzioni infrangersi o dissolversi gradualmente.

Questi ex appartenenti all’esercito hanno compiuto un percorso emozionale da una fede convinta nella superiorità della loro religione – il sionismo – e nella maggiore eticità del loro esercito fino a diventare attivisti contro i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità israeliani in Palestina. Anche molti altri hanno compiuto questo percorso e si può sperare che molti più cuori saranno spezzati per essere integri.

Jim Miles è un educatore canadese e un giornalista che collabora regolarmente attraverso articoli di opinione e recensioni di libri con Palestine Chronicles. Il suo interesse per questo argomento nasce originariamente da una prospettiva ambientalista, che prende in esame la militarizzazione e la sottomissione economica della comunità globale e la sua mercificazione da parte del dominio delle imprese e del governo americano.

 

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)