‘Non potevo respirare’: un weekend di violenze dei coloni a Hebron

La marcia dei coloni a Hebron il 19 novembre Foto : Wisam Hashlamoun/Flash90
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Oren Ziv

22 novembre 2022 – +972 Magazine

Gli abitanti palestinesi della città occupata, da tempo abituati alle aggressioni dei coloni, descrivono un massiccio attacco da parte di religiosi israeliani affiancati dalle forze di sicurezza.

Lo scorso weekend circa 30.000 ebrei israeliani sono calati sulla città di Hebron nella Cisgiordania occupata per onorare le parole della Torah dal Libro della Genesi in cui Abramo acquista un appezzamento di terreno a Hebron dove seppellire sua moglie Sarah. Ogni anno il “Sabato della Vita di Sarah” viene celebrato da una marcia attraverso la città occupata, spesso accompagnata da atti di violenza contro gli abitanti palestinesi. Il corteo di quest’anno non è stato diverso: infatti gli abitanti del luogo lo hanno descritto come la peggior violenza che la manifestazione abbia comportato in circa due decenni.

Gli attacchi sono iniziati venerdì notte, quando decine di israeliani hanno attaccato per due volte la casa di un abitante palestinese, rompendo le finestre e danneggiando la sua auto. Secondo testimoni oculari soldati e polizia sono arrivati sul posto, ma non hanno eseguito alcun arresto. Poi, sabato, decine di migliaia di israeliani hanno marciato attraverso il mercato, attaccando negozi e abitanti palestinesi, accompagnati da soldati che non hanno fatto niente per impedire le violenze. Intanto gran parte del centro città, dove i movimenti dei palestinesi sono già fortemente limitati, è stato ulteriormente sbarrato ai palestinesi.

Il giorno seguente la zona intorno alla Tomba dei Patriarchi/Moschea di Ibrahim era tranquilla, ma ancora gremita da visitatori ebrei che dovevano ancora ritornare a casa. Gli operai hanno smontato pedane, tende e montagne di rifiuti, che erano la prova delle decine di migliaia di partecipanti. Sulla strada da Kiryat Arba alla Tomba dei Patriarchi/Moschea di Ibrahim comparivano ogni pochi metri striscioni con le parole “Hebron, sempre e per sempre”, mentre i soldati pattugliavano l’area.

Nel quartiere di Tel Rumeida, che si trova vicino alla colonia ebraica nella città e sopra la via Shuhada, gli abitanti hanno cercato di valutare l’ampiezza dei danni provocati dai coloni e di aggiornare i propri vicini sulle persone ferite e arrestate. La gran parte dell’attenzione dei media era rivolta alla zona intorno al quartiere di Bab al-Zawiya, dove coloni accompagnati dalle forze militari sono entrati nell’area sotto controllo palestinese ed hanno aggredito venditori e vandalizzato negozi. Ma centinaia di persone hanno condotto anche attacchi a Tel Rumeida, ferendo diversi palestinesi, inclusa una ragazza di 17 anni colpita in faccia da una pietra.

Dieci abitanti del quartiere hanno detto che gli attacchi sono iniziati intorno alle 15,30 e che vi hanno preso parte centinaia di persone. Secondo questi testimoni i soldati israeliani, oltre a non impedire gli attacchi, in alcuni casi hanno addirittura aggredito i palestinesi venuti a difendere le proprie case o a chiedere aiuto.

La casa di Imad Abu Shamsiyyeh, che nel 2015 aveva filmato il soldato Elor Azaria mentre colpiva a morte un aggressore palestinese ferito e disarmato, si trova su un’altura che sovrasta un posto di blocco della polizia. Sabato pomeriggio centinaia di coloni hanno circondato la sua casa tirando pietre. Alcuni si sono arrampicati sul tetto e hanno lanciato oggetti nel cortile.

Qui ci sono stati molti attacchi, ma come numero e come livello di violenza non ho mai visto niente di simile”, ha detto più volte Abu Shamsiyyeh, in piedi accanto alla rete che protegge il suo cortile, ancora ricoperto da pietre e bottiglie in seguito all’attacco. Secondo lui l’escalation è collegata al governo che si formerà dopo le elezioni dell’inizio del mese. “Ben Gvir è la colonna di questo nuovo governo e vive nel centro di Hebron. Ieri ha marciato con loro fino alla tomba (del giudice biblico Othniel ben Kenaz, che si trova sul lato controllato dai palestinesi).”

Secondo Abu Shamsiyyeh la maggior parte dei partecipanti è arrivata da fuori città, ma i coloni del luogo li hanno indirizzati verso la zona vicina alla sua casa. “C’erano dei coloni ben noti qui, che hanno detto loro ‘questa è la casa di Imad Abu Shamsiyyeh, che ha fotografato Elor Azaria.’ E’ durato 40 minuti. Gridavano ‘Morte agli arabi’ e ‘Am Yisrael Chai’ (lunga vita alla nazione ebrea). C’erano quattro soldati qui e non hanno fatto niente.”

Non lontano dalla casa di Abu Shamsiyyeh c’è quella di Basem Abu Aysheh, di 60 anni, che i soldati hanno picchiato durante l’attacco, ferendolo a una gamba. Come racconta, “Sono arrivati qui, alcuni chiaramente ubriachi, hanno fatto danni e l’esercito li ha aiutati mentre ci attaccavano. Il quartiere è chiuso dai posti di blocco, come una prigione. In altri posti la gente scappa quando c’è un attacco, ma qui non avevamo dove andare. Il posto di blocco era chiuso. Sono calati su di noi e noi eravamo bloccati nelle nostre case.”

Secondo Abu Aysheh, dato che gli abitanti sapevano in anticipo che decine di migliaia di persone sarebbero arrivate nella zona, “nessun bambino e nessun adulto ha lasciato la propria casa. Siamo rimasti in casa per difenderli.” Ha anche spiegato che, anche se sono abituati agli attacchi, che a volte l’esercito interviene ad impedire e a volte no, questa volta è stato diverso.

Ci siamo stupiti che l’esercito li aiutasse a lanciare granate assordanti e gas asfissiante mentre eravamo in casa e non facevamo nulla. Ci sono stati molti feriti nella nostra famiglia, almeno dieci dei nostri figli sono stati feriti dal fuoco dei soldati e dalla violenza dei coloni. Non c’è rispetto per adulti come me. Gli ho chiesto aiuto, ma loro hanno attaccato. I soldati mi hanno picchiato con i fucili fuori da casa. Gli stessi soldati con cui parliamo tutti i giorni sono quelli che ci picchiano”, ha detto.

Le finestre in casa di Abu Aysheh, come quelle di molte case nel quartiere, sono protette da doppie sbarre per impedire danni dai lanci di pietre. “Se non fossero sbarrate tutto sarebbe rotto”, ha detto, indicando i sassi rimasti dentro casa. “Hanno raccolto delle pietre vicino al cimitero e ce le hanno tirate. Amici ebrei che hanno visto al notiziario ciò che è successo hanno telefonato dicendo che provavano vergogna.”

Mentre parlavamo, il figlio di Abu Aysheh, che ieri è stato arrestato dai soldati, ha detto di essere stato picchiato in una caserma dell’esercito. Ci sono lividi evidenti sul suo viso e sulle braccia. E’ stato rilasciato nella notte, senza essere interrogato.

Anche Youssef Al-Azza, un altro abitante, è stato aggredito sabato. Il 26enne stava tornando a casa dal lavoro verso le 15,30, quando ha sentito dire che i coloni avevano preso di mira la sua casa, che è proprio vicino ad un posto di blocco, e ferito sua sorella.

Io ero il più vicino a loro tra i membri della mia famiglia, perciò sono corso a casa. Mia sorella è stata ferita al viso da una pietra. Ho chiamato i soldati. Sono arrivati e poi se ne sono andati.” Poi, continua Al-Azza, è iniziato un altro attacco. “Sono andato in cortile a vedere che cosa stava succedendo. C’erano circa 50 coloni. Mi hanno dato pugni sul collo, sulle spalle e sulla schiena, hanno inveito contro di me, mia madre, mio padre, mia sorella e il nostro profeta. Non voglio ripetere quelle parole. Mi girava la testa. Avevo paura che entrassero in casa e nei dintorni non c’era nessuno a cui potessi chiedere aiuto”, ricorda Al-Azza stando nel suo cortile, ancora ingombro di pietre e bottiglie di birra.

Dopo l’attacco è corso sulla via principale, gridando e pregando i soldati di venire in aiuto alla sua famiglia – una situazione ripresa da un video e diffusa sui social media. “Sono corso a chiedere aiuto perché i coloni non entrassero nella mia casa”, dice. “Sono arrivato alla strada. Ho visto i soldati picchiare due miei amici. Uno era a terra e il soldato teneva un ginocchio sul suo collo. Non sapevo che cosa fare. Non riuscivo a respirare e sono caduto a terra”. Di là Al-Azza è andato in una clinica vicina ed è stato dimesso nella notte.

C’erano soldati, anche ufficiali, ma nessuno ci ha aiutati a difenderci”, continua Al-Azza. “Sono un cittadino palestinese. Non ho voce, non ho un’arma, non ho forze di sicurezza o soldati che mi difendano. Non ho mai visto niente del genere. Ci sono centinaia di soldati, dove erano ieri? Hanno attaccato qui decine di volte. Sono cresciuto qui, ma mai nella mia vita è successa una cosa simile. Se un palestinese avesse fatto qualcosa di questo tipo, in un minuto sarebbe arrivato qui l’intero esercito.”

So come comportarmi con i palestinesi, ma con gli israeliani ho delle esitazioni’.

Stranamente l’esercito ha confermato in una dichiarazione ufficiale che gli eventi di sabato sono iniziati dopo che cittadini israeliani hanno lanciato pietre. Il portavoce della comunità ebraica di Hebron ha sostenuto che si trattava di “gravi incidenti immotivati” che sono avvenuti “a margine dell’evento” e che “devono essere considerati in termini legali”. Il portavoce di Hebron ha anche criticato il portavoce dell’esercito per aver “enfatizzato un increscioso e marginale incidente e averne fatto l’unico argomento della sua dichiarazione”, descrivendo questo come “un approccio ostile e non professionale con cui bisogna immediatamente fare i conti.”

Un soldato che era presente a Hebron sabato ha detto a +972, riguardo alla preparazione dell’esercito per gli eventi: “Tutta la settimana è stata pazzesca: pattugliamenti, turni di guardia continui, arresti, tutto per garantire che il weekend trascorresse pacificamente. Abbiamo a malapena dormito”.

Sabato quel soldato era di stanza su una delle strade dove i coloni passavano accanto alle case palestinesi. “Nel pomeriggio diverse centinaia di adolescenti, ma anche alcuni di più di 20 anni, hanno cominciato a lanciare pietre dall’alto sulle case degli arabi. Alla fine siamo riusciti a riprendere il controllo degli eventi, insieme alla polizia. Ci sono volute due ore. Ogni tanto tiravano altre pietre e non siamo riusciti a prenderli. Ci hanno chiamati (nazisti) tedeschi e ci hanno insultati. C’è anche stata qualche violenza fisica, ci hanno dato spintoni.”

Secondo il soldato non vi era una reale preparazione per affrontare coloni scatenati. “Siamo stati avvertiti in anticipo che sarebbe potuto accadere, ma ci hanno messo sotto pressione, lavorando 24 ore al giorno per 7 giorni. Non c’erano istruzioni a riguardo. I coloni sapevano che potevano fare quel che volevano. Io personalmente esitavo ad ammanettarli o tirargli contro una granata stordente, mezzo legittimo [di controllo della folla]. Come prassi, non si usa la mano pesante contro i coloni. Non ho visto nessuno essere arrestato. C’erano 30.000 persone qui, centinaia hanno preso parte alle violenze. E’ solo una piccola percentuale, ma sono riusciti a fare un vero casino.”

Non ci sono ordini chiari”, continua il soldato. “So come affrontare i palestinesi, ma con gli israeliani ho delle esitazioni. [Sabato] non ho potuto scegliere. Avevo un equipaggiamento pesante e i coloni tiravano pietre e poi scappavano via. Se avessimo avuto maggiori forze, spero che li avrei arrestati, ma è difficile dirlo.”

A Beit Hadassah, vicino a via Shuhada, uno di quelli arrivati da fuori città domenica mattina ha detto che durante il weekend non aveva sentito niente né visto alcun attacco. “E’ stato uno Shabbat (sabato, festa ebraica, ndtr.) bello e tranquillo. Non ho visto problemi con i soldati e gli arabi. Sabato sera ho sentito che ci sono stati attacchi. La tomba è fuori dalla colonia; questo in realtà non è un’indicazione di ciò che è accaduto sabato. C’era chi pregava, vi era una bellissima atmosfera.” Un altro residente ha detto che è impossibile controllare “ogni ubriaco” e impedirgli di unirsi alla marcia.

Il portavoce dell’esercito ha detto in risposta: “Dopo aver lasciato la tomba di Othniel ben Kenaz, sono scoppiati violenti scontri tra israeliani e palestinesi. Le forze di sicurezza hanno faticato a separare le parti. In seguito ai violenti eventi sono stati arrestati diversi cittadini israeliani e del loro caso si sta occupando la polizia israeliana. Non si è a conoscenza di denunce di violenze di soldati contro palestinesi. Qualora venissero inoltrate denunce, saranno esaminate come sempre.”

Oren Ziv è un fotogiornalista corrispondente di Local Call e membro fondatore del collettivo di fotografia Activestills.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

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