In Israele, ci muoviamo in mezzo agli assassini e ai torturatori

L’atto di censura nei confronti del Teatro Al-Midan [cfr. A.Hass su Internazionale ]scaturisce dall’invidia della capacità dei nostri assoggettati di vincere l’oppressione, di pensare e creare, sfidando la nostra immagine di loro come inferiori.

di Amira Hass | 22 giugno 2015 |

Haaretz

 

 

Nelle nostre case, nelle nostre strade e nei nostri luoghi di lavoro e divertimento ci sono migliaia di persone che hanno ucciso e torturato migliaia di altre persone o hanno diretto la loro uccisione e la loro tortura. Scrivo “migliaia” invece del più vago “innumerevoli” – un’espressione relativa a qualcosa che non si può misurare.

La grande maggioranza di coloro che uccidono e torturano (anche adesso) vanno fieri delle proprie gesta e la loro società e le loro famiglie sono orgogliose delle loro gesta – benché normalmente sia impossibile trovare un collegamento diretto tra i nomi dei morti e torturati ed i nomi di coloro che uccidono e torturano, e anche quando è possibile,[ciò] è proibito. E’ proibito anche dire “assassini”. Ed è proibito scrivere “malviventi” o “persone crudeli”.

Io, crudele? Dopo tutto, le nostre mani non sono coperte di sangue quando schiacciamo il bottone che sgancia una bomba su un edificio che ospita 30 membri di una famiglia. Malvivente? Come potremmo usare questo termine per designare un soldato di 19 anni che uccide un ragazzo di 14 anni che è uscito per raccogliere piante commestibili?

I killer e i torturatori ebrei e i loro diretti superiori agiscono come se avessero un’autorizzazione ufficiale. I palestinesi morti e torturati che si sono lasciati alle spalle negli scorsi 67 anni hanno anche dei nipoti e delle famiglie in lutto per i quali la perdita è una costante presenza. Nei corridoi universitari, nei centri commerciali, negli autobus, nei distributori di carburante e nei ministeri governativi, i palestinesi non sanno chi, tra la gente che incrociano, ha ucciso, o quali e quanti membri delle loro famiglie e del loro popolo ha ucciso.

Ma ciò che è certo è che i loro assassini e torturatori vanno in giro liberamente. Come eroi.

In questa malsana situazione in cui i palestinesi soffrono lutto e angoscia, noi, gli ebrei israeliani, non possiamo vincere. Con la nostra aviazione e le nostre forze armate e la nostra Brigata Givati e le nostre celebri unità di commando d’elite, siamo dei perdenti in questo contesto. Ma poiché siamo i dominatori indiscussi, falsifichiamo il contesto e ci appropriamo del lutto.

Non ci accontentiamo dei terreni, delle case e delle vie di comunicazione dirette che abbiamo rubato loro e di cui ci siamo impadroniti ed abbiamo distrutto, e che continuiamo a distruggere e a rubare. No. Noi in più neghiamo ogni ragione, ogni contesto storico e sociale delle espulsioni, spossessamenti e discriminazioni che hanno costretto un piccolissimo manipolo di quei palestinesi che sono cittadini di Israele a cercare di imitarci prendendo le armi. Si sono ingannati pensando che le armi fossero lo strumento giusto di resistenza, o hanno raggiunto il colmo della rabbia e dell’impotenza e deciso di uccidere.

Che se ne pentano o no, la loro delusione non cancella il fatto che avevano ed hanno tutte le ragioni di resistere all’oppressione e alla discriminazione e malvagità che sono parte del dominio di Israele su di loro. Condannarli come assassini non ci trasforma in vittima collettiva in questa equazione. Invece di indebolire le ragioni della resistenza, noi stiamo soltanto intensificando e migliorando gli strumenti di oppressione. E un mezzo di oppressione è l’insaziabile desiderio di vendetta.

L’attacco al Teatro Al-Midan e lo spettacolo “Un tempo parallelo” sono parte di questa sete di vendetta. E comprende anche tantissima invidia. Invidia per la capacità di coloro che opprimiamo di vincere l’oppressione e il dolore, di pensare, di creare e di agire, sfidando la nostra immagine che li dipinge inferiori. Loro non ballano la nostra musica come poveri smidollati.

Come in una caricatura antisemita, per noi tutto si concentra nelle finanze, nel denaro. Noi non stiamo zitti, noi ci vantiamo. Siamo felici se solo togliamo loro i finanziamenti. Li abbiamo trasformati in una minoranza nella nostra terra quando li abbiamo espulsi e non abbiamo concesso loro il ritorno, ed ora il 20% che è rimasto qui dovrebbe dirci grazie e pagare con le tasse degli spettacoli che esaltano lo Stato e la sua politica. Questa è democrazia.

Non è una guerra culturale, o una guerra sulla cultura. E’ un’altra battaglia – probabilmente una causa persa, come quelle precedenti – per un futuro sano per questo paese. I cittadini palestinesi di Israele erano una forma di assicurazione per la possibilità di un futuro sano: si può dire un ponte, bilingue, pragmatico, anche se contrario alla loro volontà. Ma dobbiamo attuare dei cambiamenti, dobbiamo imparare come ascoltarli, perché questa assicurazione sia valida. Ma noi, gli indiscussi dominatori, non prevediamo di ascoltarli e non conosciamo il significato di cambiamento.

Una nota finale: I rapporti sull’omicidio di un residente di Lod, Danny Gonen, alla sorgente di Ein Bubin vicino al villaggio di Dir Ibzi’a erano accompagnati da collegamenti a recenti precedenti attacchi: la persona ferita in un attacco terroristico vicino alla colonia di Alon Shvut, il poliziotto di frontiera accoltellato vicino alla Tomba dei Patriarchi a Hebron. E che cosa si ometteva di menzionare? Ovviamente, due giovani palestinesi recentemente uccisi dai soldati israeliani: Izz al-Din Gharra, di 21 anni, colpito a morte il 10 giugno nel campo profughi di Jenin e Abdullah Ghneimat, 22 anni, schiacciato il 14 giugno a Kafr Malik da una jeep dell’esercito israeliano.

In media ogni notte l’esercito israeliano compie 12 raid di routine. Per i palestinesi, ogni raid notturno, che spesso comporta l’uso di granate stordenti e di gas e sparatorie, è un mini attacco terroristico.

( Traduzione di Cristiana Cavagna)




Bruciate chiese e moschee in Israele

Fino a quando Israele permetterà che vengano bruciate le sue chiese e le sue moschee?

Israele deve trattare i mandanti dei crimini motivati d’odio, come quello commesso vicino a Tiberiade, con la stessa severità riservata a coloro che mandano le auto bomba nel centro delle città.

Editoriale di Haaretz 21 giugno 2015

L’incendio doloso di giovedì [18 giugno] della chiesa “Della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci” a Tabgha, vicino a Tiberiade, è il diciottesimo attacco incendiario a una chiesa o a una moschea negli ultimi quattro anni. Nessuno di questi casi è stato risolto, nessun responsabile è stato individuato e, naturalmente, nessun colpevole è stato accusato per gli attacchi, che sono parte di un’ampia serie di azioni, comprendenti scritte con lo spray sulle chiese e sulle moschee incitanti all’odio, sputi ai sacerdoti cristiani a Gerusalemme e la pubblicazione di editti di vari rabbini contro i “gentili”.

Danneggiare luoghi sacri non è solo un atto criminale o un o un crimine qualunque motivato dall’odio. Proteggere la libertà di culto è uno dei principi fondamentali universali previsti da tutti i trattati e dalle costituzioni di tutti i Paesi, in quanto costituisce l’aspetto principale dell’identità culturale. Persino nazioni che si costituiscono in base alla religione prevalente, come alcuni Stati islamici, considerano le istituzioni religiose di altre fedi come luoghi sacri, perseguendo e punendo coloro che le profanano.

Le leggi israeliane contro il danneggiamento dei luoghi sacri sono di una chiarezza cristallina, così come il discorso ufficiale apparentemente portato avanti dal governo. Se si considera la fedeltà nei confronti della definizione di Israele come Stato ebraico, il governo condanna vigorosamente tutti i casi in cui un luogo di culto non ebraico viene deturpato. Tuttavia è difficile prendere in seria considerazione le condanne espresse dal primo ministro, dai ministri e dagli esponenti della Knesset quando, nello stesso momento, fanno l’occhiolino a quelli che infrangono la sovranità dello Stato e intraprendono personali campagne religiose e culturali contro i cristiani e i musulmani.

Quale messaggio ha realmente trasmesso al pubblico il primo ministro Benjamin Netanyahu dopo l’ultimo attacco incendiario? Ha dato istruzioni al capo dei servizi di sicurezza Shin Bet [il servizio segreto interno n.d.t.] di accelerare l’inchiesta per trovare i colpevoli. Significa che deturpare le istituzioni religiose fino ad ora non era tra i compiti dello Shin Bet? Possiamo trarre la conclusione che individuare i colpevoli dei crimini motivati dall’odio contro gli arabi non è un fatto degno della loro attenzione?

È giusto dire che profanare luoghi di culto non è percepito come un atto “classico” di terrorismo che mette in pericolo la sicurezza nazionale. Tale interpretazione vale anche ovviamente per i colpevoli di delitti motivati dall’odio e per i fanatici religiosi. La loro continua libertà gli da un senso di impunità che gli permette di continuare nei loro crimini.

Il governo di Israele, giustamente, non avrebbe ignorato l’incendio di sinagoghe, la distruzione di tombe nei cimiteri ebraici o l’aggressione contro ebrei in altri Paesi se i governi [di questi Paesi] si fossero scarsamente impegnati nell’indagare simili crimini. Ora deve dimostrare determinazione nello sradicare analoghi crimini di incitamento all’odio dall’area sotto la sua giurisdizione, definendo i colpevoli come terroristi che minano la sicurezza d’Israele, né più né meno di quelli che mandano le auto bomba nel centro delle città.

 

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Attacchi di Israele contro bambini palestinesi

Mondoweiss


Un rapporto delle Nazioni Unite elenca gli attacchi di Israele contro i bambini palestinesi, ma lascia Israele fuori dalla “lista della vergogna” di chi abusa dei diritti dei bambini

 

Allison Deger 12 giugno, 2015

 

Mesi fa dei giornalisti hanno fatto trapelare che Israele verrebbe tenuto fuori dalla lista delle Nazioni Unite dei peggiori violatori dei diritti umani dei bambini nel 2014, grazie all’accanita attività di lobby di Israele e degli Stati Uniti. The Guardian ha riferito che delle autorità hanno fatto telefonate alle Nazioni Unite, il Jerusalem Post ha ammesso che Netanyahu ha parlato personalmente con Ban Ki-moon e Foreign Policy ha scoperto che l’amministrazione Obama ha inviato in missione l’ambasciatrice Samantha Power – tutto per far pressione sulle Nazioni Unite per modificare la bozza.

“Le alte autorità si sono piegate alle pressioni politiche”, ha detto al Guardian un funzionario in marzo, “Come risultato, è stato dato un chiaro messaggio che Israele non sarà nella lista”.

Eppure Israele figura distintamente nel rapporto pubblicato ieri e viene additato come uno dei peggiori autori di abusi dei diritti dei bambini nel mondo con “conseguenze devastanti” sui minori. Il rapporto ha segnalato che lo scorso anno l’esercito israeliano ha ucciso 200 bambini in più a Gaza rispetto al numero totale dei bambini uccisi in Siria. Comunque Israele – secondo quanto riferito dai media ad inizio settimana, quando sono circolate le anticipazioni della bozza finale – è stato escluso dalla lista nell’allegato, una lista nera dei principali soggetti che compiono abusi sui bambini.

 

                                                                                                                                     Israele e lo Stato di Palestina

  1. Nel 2014 la situazione di sicurezza nello Stato di Palestina si era molto deteriorata, con un’altra escalation di ostilità a Gaza e un notevole aumento della tensione in tutta la Cisgiordania, con conseguenze devastanti per i bambini. I bambini palestinesi ed israeliani continuavano ad essere danneggiati dall’occupazione militare, dalla guerra e dall’assedio.
  2. Il periodo considerato ha visto un drammatico aumento del numero dei bambini uccisi e feriti, specialmente a Gaza. Almeno 561 bambini (557 palestinesi e 4 israeliani) sono stati uccisi e 4.271 feriti (4.249 palestinesi e 22 israeliani).
  3. In Cisgiordania sono stati uccisi 13 ragazzi palestinesi, tra gli 11 e i 17 anni. Dodici sono stati uccisi dai proiettili delle forze di sicurezza israeliane (11) e da pallottole di gomma (1) durante dimostrazioni, indagini militari e operazioni di arresto, ed un ragazzo è stato ucciso dai coloni. Il 15 maggio due ragazzi palestinesi di 16 e 17 anni sono stati colpiti ed uccisi con proiettili nel corso di scontri con soldati israeliani vicino al check point di Beituniya. Secondo alcune dichiarazioni, non sembra che i bambini uccisi dalle forze di sicurezza israeliane costituissero una minaccia letale. Il 19 marzo un ragazzo è stato colpito a morte dalle forze di sicurezza israeliane mentre attraversava il confine della Cisgiordania. In un altro caso, un bambino palestinese di dieci anni è stato colpito a morte alla schiena da proiettili delle forze di sicurezza israeliane nel campo di Al- Fawwar. Il governo israeliano riferisce che sono state o sono tuttora in corso indagini su questi casi.

Nonostante l’inserimento nel rapporto, i gruppi per i diritti umani criticano la rimozione di Israele dalla ‘lista della vergogna’. “Rimuovendo l’esercito israeliano dalla ‘lista della vergogna’, il Segretario Generale Ban Ki-moon ha dato un tacito assenso alle forze armate israeliane per portare avanti impunemente gravi violazioni nei confronti dei bambini”, ha detto Khaled Quzmar, direttore generale di Defense of Children International Palestine

Ciò che è incluso nel rapporto sono cinque pagine nel documento principale che riportano 35 distinti incidenti, sotto il titolo di “Israele e lo Stato di Palestina”. E’ la sezione più lunga su 22 regioni geografiche esaminate, più lunga delle schede su Iraq e Yemen messe insieme, due paesi coinvolti in combattimenti contro l’organizzazione del terrorismo islamico e in bombardamenti delle forze di coalizione.

Nella sola Gaza, le Nazioni Unite hanno documentato l’uccisione di 557 bambini, il terzo maggior numero di minori uccisi in una singola regione, dopo Afghanistan e Iraq, ma davanti alla Siria. Dei 4.249 bambini feriti, il 70% aveva meno di dodici anni. Inoltre l’esercito israeliano ha distrutto o colpito 543 scuole, compresi 274 asili infantili. Le Nazioni Unite hanno evidenziato che sono state danneggiate più scuole a Gaza durante la guerra estiva di 51 giorni che in tutti i paesi del mondo nell’intero 2014.

“Il numero delle vittime tra i bambini supera il numero complessivo dei bambini palestinesi uccisi durante i due precedenti attacchi”, ha rilevato l’indagine, aggiungendo “notizie di civili palestinesi e beni civili direttamente colpiti in circostanze in cui non vi era lancio di razzi né attività di gruppi armati nelle vicinanze” – ivi compresa una quantità di droni che hanno ucciso bambini.

In Cisgiordania, “I bambini uccisi dalle forze di sicurezza israeliane non sembravano costituire una minaccia letale”, ha scritto l’ONU sulla vicenda dei 13 minori uccisi dai colpi dell’esercito israeliano.

A Gerusalemme erano detenuti 700 minori e 151 nella Cisgiordania al momento della conclusione dell’indagine nel dicembre 2014. L’ONU ha inoltre ottenuto la testimonianza giurata di 122 minori precedentemente incarcerati, che furono “soggetti a maltrattamenti, come pestaggi, bastonate, bendature, calci e abusi e minacce verbali di violenza sessuale.”

Le Nazioni Unite hanno anche accertato che militanti di Gaza erano responsabili dell’uccisione di quattro bambini israeliani e 13 bambini palestinesi nel 2014 a causa dei razzi. Tre scuole israeliane sono state danneggiate. C’erano anche cinque casi confermati di reclutamento da parte di gruppi militanti di bambini palestinesi in combattimento, in seguito uccisi dall’esercito israeliano.

Il rapporto non ha rilevato che l’Autorità Palestinese, al governo in Cisgiordania, abbia provocato alcuna uccisione di bambini nel 2014.

Ogni anno l’ONU redige un rapporto sui paesi con il più alto numero di uccisioni ed abusi fisici e sessuali. Alla fine del documento un allegato elenca i principali autori degli abusi, un insieme di forze militari statali e gruppi militanti descritti nelle precedenti schede regionali. Normalmente i soggetti elencati nell’allegato coincidono con i gruppi dettagliati nel rapporto principale, mentre Israele costituisce una rilevante eccezione.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Palestinese in sciopero della fame ospedalizzato e legato con la forza

Khader Adnan Musa, al nono periodo di detenzione amministrativa, ha fatto lo sciopero della fame per un mese.

 

Di Amira Hass, 9 giugno 2015

 

Haaretz

 

Un detenuto amministrativo palestinese che è stato in sciopero della fame durante lo scorso mese è stato ospedalizzato con la forza ed incatenato al letto.

Khader Adnan Musa si trova nell’ospedale Assaf Harofeh di Tzrifin con un braccio e una gamba legati al letto 24 ore al giorno e tre poliziotti giorno e notte nella sua stanza, secondo quanto hanno riferito due attivisti israeliani contro l’occupazione, che lo hanno visitato venerdì.

Musa, che è stato posto in detenzione amministrativa per la nona volta 11 mesi fa, ha iniziato lo sciopero della fame per protestare contro la sua prolungata detenzione senza processo. Tre anni fa, durante un altro periodo di detenzione amministrativa, ha ottenuto il rilascio dopo uno sciopero della fame durato 66 giorni. In tutto, ha passato più di sei anni nelle prigioni israeliane.

Il servizio di sicurezza Shin Bet sostiene che egli è un membro attivo della Jihad Islamica, un’organizzazione terroristica.

Secondo il suo avvocato, Jawad Boulus, Musa, che rifiuta di sottoporsi ad esami medici, si è opposto alla propria ospedalizzazione perché sapeva che sarebbe stato ammanettato al letto. Boulus lo ha visitato mercoledì scorso, quando si trovava ancora nella clinica della Polizia Penitenziaria Israeliana a Ramle.

Il regolamento della Polizia Penitenziaria vieta di incatenare un prigioniero tranne nel caso in cui la guardia carceraria tema che egli possa fuggire o aiutare altri a fuggire, o provocare danni a persone o oggetti, danneggiare o distruggere delle prove, o riceva o spedisca un oggetto passibile di essere usato per commettere un crimine o minacciare la disciplina nel suo luogo di custodia. Però, alla domanda da parte di Haaretz di quale tra queste infrazioni la guardia temesse che Musa avrebbe commesso, il portavoce della Polizia Penitenziaria Israeliana Sivan Weizman non ha fornito spiegazioni.

Weizman ha detto che il detenuto è stato trasferito in ospedale in modo che la sua situazione potesse essere monitorata. E’ stato ricoverato in ospedale in base alla decisione del medico. Si tratta di un detenuto di sicurezza che è sorvegliato secondo regolamento, in base alle circostanze e alla adeguata valutazione della situazione.

Una portavoce dell’ospedale Assaf Harofeh ha detto che le decisioni sulla contenzione dei prigionieri sono di esclusiva competenza della Polizia Penitenziaria. Ha aggiunto che loro cooperano con la Polizia Penitenziaria come da regolamento.

Sia Boulus che gli attivisti israeliani hanno riferito che Musa è pienamente cosciente e vitale, benché I media palestinesi abbiano riportato il contrario. Comunque, ha aggiunto Boulus, Musa ha perso molto peso.

Musa potrebbe essere presto affiancato da un’altra persona in sciopero della fame, il segretario generale del Fronte per la Liberazione della Palestina, Ahmad Saadat, che sta scontando una sentenza di 30 anni per il suo ruolo nell’assassinio dell’ex ministro Rehavam Zeevi. Saadat domenica ha informato sia i suoi avvocati che la Polizia Penitenziaria che avrebbe iniziato uno sciopero della fame il 19 giugno, un anno dopo da che la sua famiglia ebbe il permesso di fargli visita per l’ultima volta: questo è stato riferito ad Haaretz dagli avvocati Boulus e Sahar Francis.

Francis ha detto che lo sciopero della fame di Saadat ha lo scopo di protestare non solo per la mancanza delle visite dei suoi famigliari, ma anche per ciò che molti prigionieri lamentano come ripetute violazioni da parte della Polizia Penitenziaria degli accordi che posero fine allo sciopero della fame di massa dei prigionieri palestinesi nel 2012.

Lo sciopero della fame del 2012 fu indetto per protestare contro il divieto delle visite dei famigliari, i prolungati periodi di isolamento ed il largo uso della detenzione amministrativa. Ma secondo Saadat non vengono applicati né gli accordi scritti né quelli orali raggiunti a quel tempo. Tuttora i prigionieri vengono mandati in isolamento, a centinaia di prigionieri vengono negate le visite dei famigliari ed il numero dei detenuti amministrativi è in aumento. Attualmente circa 450 palestinesi sono trattenuti senza processo.

Intanto, secondo Addameer, l’Associazione per l’Appoggio ai Prigionieri e per i Diritti Umani, lo Shin Bet e l’esercito israeliano lunedì hanno arrestato una dottoressa palestinese-americana, Sabreen Abu Sharar, che ha studiato in Egitto. Un tribunale l ‘ha posta in custodia cautelare per sette giorni.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)