Rapporto sulla Protezione dei Civili nei Territori Palestinesi occupati riguardante il periodo: 12 – 25 gennaio 2016 (2 settimane)

Nelle due settimane di riferimento sono stati registrati otto aggressioni e presunte aggressioni palestinesi con conseguente uccisione di due colone israeliane e otto degli autori e presunti autori palestinesi, tra cui quattro minori (una 13enne e tre 17enni).

Altre due israeliane, una delle quali incinta, sono rimaste ferite. Solo uno dei presunti responsabili, un ragazzo di 16 anni fuggito dal luogo dell’aggressione, è stato successivamente arrestato. Tutti gli episodi sono avvenuti in Cisgiordania: quattro ai posti di blocco militari nei governatorati di Nablus e Hebron e altri quattro all’interno o all’ingresso degli insediamenti israeliani di ‘Otniel, Teqoa, Anatot e Beit Horon. In un ulteriore episodio, secondo quanto riferito, palestinesi hanno aperto il fuoco contro un veicolo israeliano nei pressi dell’insediamento di Dolev (Ramallah), senza causare vittime. Dal 1° ottobre 2015, nei Territori palestinesi occupati e in Israele, nel corso di attacchi palestinesi e presunti attacchi contro israeliani, sono stati uccisi 105 palestinesi, tra cui 25 minori, e 25 israeliani [1].

Le autorità israeliane attualmente trattengono i corpi di 12 palestinesi sospettati di aver compiuto aggressioni contro israeliani; alcuni sono stati trattenuti fino a 110 giorni. All’inizio di questo mese, le autorità israeliane hanno restituito decine di corpi che avevano trattenuto, ad accezione dei residenti in Gerusalemme Est.

In due diversi scontri, uno scoppiato durante una operazione di ricerca-arresto a Beit Jala (Betlemme) e l’altro durante manifestazioni ad est del Campo profughi di Al Bureij, vicino alla recinzione che circonda Gaza, le forze israeliane hanno ucciso, con armi da fuoco, tre palestinesi. Durante scontri con le forze israeliane vicino alla città di Al ‘Eizariya, un altro palestinese 17enne è rimasto ucciso allorché un ordigno che egli stava maneggiando è prematuramente esploso.

Durante proteste e scontri avvenuti in varie zone dei Territori palestinesi occupati, sono stati feriti dalle forze israeliane 400 palestinesi, tra cui 130 minori. Anche se, rispetto alle due settimane precedenti, questo numero risulta raddoppiato, tuttavia equivale ad un quinto della media bisettimanale dei ferimenti (2.090) dell’ultimo trimestre del 2015. Dei 400 ferimenti, 30 si sono verificati durante proteste e scontri vicino alla recinzione perimetrale nella Striscia di Gaza. I rimanenti 370 sono stati registrati in Cisgiordania: durante le manifestazioni settimanali a Bil’in, Ni’lin (entrambi a Ramallah) e Kafr Qaddum (Qalqiliya); durante scontri nei pressi della Barriera nella città di Adu Dis (Gerusalemme) e all’ingresso di Silwad (Ramallah); e nel corso di dodici distinte operazioni di ricerca-arresto. In due delle operazioni di ricerca-arresto, sono stati feriti tre soldati e poliziotti di frontiera israeliani, uno dei quali colpito da arma da fuoco. Almeno venti dei ferimenti registrati in Cisgiordania (pari al 5%) e otto di quelli avvenuti nella Striscia di Gaza (pari al 27%) sono stati causati da armi da fuoco, mentre la maggior parte dei rimanenti sono dovuti a proiettili di gomma e gas lacrimogeni (solo le persone che ricevono assistenza medica vengono registrate come “feriti”).

Il 13 gennaio, le forze israeliane hanno sparato un missile contro un sito vicino alla città di Beit Lahiya, uccidendo un membro di un gruppo armato e ferendone altri due; ferito anche un civile. Secondo quanto riferito, in almeno un caso, un gruppo armato di Gaza ha lanciato un razzo contro Israele, senza provocare feriti o danni. Inoltre, in tre diverse circostanze, le forze israeliane sono entrate a Gaza ed hanno spianato il terreno ed effettuato scavi; in un altro caso, hanno arrestato due pescatori e requisito la loro barca.

In Area C e a Gerusalemme Est, in 24 distinte circostanze, per mancanza di permessi edilizi rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, oppure smontato e confiscato, 58 strutture di proprietà palestinese; 39 persone, tra cui 21 minori, sono state sfollate ed altre 333 sono state in vario modo coinvolte. Tre degli episodi hanno avuto luogo nelle comunità beduine di Jabal al Baba e Abu Nuwar, ad est di Gerusalemme, e ad Al Mashru’, in Gerico: sono state distrutte o confiscate 16 strutture, 14 delle quali fornite come assistenza umanitaria per rimediare a precedenti demolizioni. Queste comunità sono a rischio di trasferimento forzato, a seguito di un piano di “rilocalizzazione” avanzato dalle autorità israeliane. Le prime due comunità si trovano all’interno di un’area attribuita [da Israele] al piano di insediamento E1 che servirà a collegare l’insediamento [colonico] di Ma’ale Adumim a Gerusalemme Est. Il 19 gennaio, in seguito ad una visita alla comunità di Abu Nuwar, compiuta insieme ad un folto gruppo di diplomatici, Robert Piper, Coordinatore Umanitario per i Territori palestinesi occupati (OPT), e Felipe Sanchez, Direttore delle Operazioni UNRWA [Agenzia ONU per i rifugiati] in Cisgiordania, hanno condannato lo smantellamento dell’assistenza umanitaria ed hanno chiesto la fine immediata dei piani israeliani di trasferimento forzato dei beduini palestinesi nella zona di Gerusalemme. Questa richiesta è stata ribadita il 26 gennaio dal Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Sempre in Area C, in episodi diversi, le forze israeliane hanno requisito veicoli ed attrezzature, con la motivazione che gli stessi erano impiegati per realizzare “opere non autorizzate”. Le requisizioni includono: due veicoli da cantiere utilizzati per un progetto di agricoltura, finanziato da donatori, nel villaggio di Tayaseer (Tubas); tre trattori privati a Jenin, Nablus e Betlemme; attrezzature per scavi in Um Fagarah, a sud di Hebron.

Coloni israeliani, sostenuti da militari, hanno occupato due edifici nella zona della città di Hebron controllata da Israele (H2), rivendicandone la proprietà e sgomberando con la forza una famiglia di nove persone residenti in uno degli edifici; il giorno successivo, a seguito di denunce da parte dei proprietari palestinesi, le forze israeliane hanno evacuato i coloni dalle proprietà. Inoltre, durante il periodo di riferimento, per proteggere un gruppo di coloni israeliani entrati nel villaggio di ‘Awarta per visitare un sito religioso, soldati israeliani hanno occupato per alcune ore il tetto della Scuola Secondaria maschile, causando danni alle porte della scuola. Nella Città Vecchia di Gerusalemme, presunti coloni israeliani hanno spruzzato graffiti offensivi sui muri e sulle porte di una chiesa.

Durante questo periodo, in quattro diversi episodi verificatisi sulle strade della Cisgiordania, due autisti di autobus israeliani sono rimasti feriti in seguito a lanci di sassi da parte di palestinesi, e due veicoli palestinesi sono stati danneggiati da sassi lanciati da coloni israeliani.

In tutta la Cisgiordania le forze israeliane hanno dispiegato centinaia di posti di blocco “volanti”, ostacolando il movimento dei palestinesi. Nuovi cncelli stradali e barriere di terra sono stati posizionati agli ingressi dei villaggi di Nahalin (Betlemme), ‘Awarta e Odala (Nablus), Beit Imra (Hebron). Nella città di Hebron ed in altre località del governatorato, la maggior parte delle strade principali, aperte all’inizio di gennaio, sono rimaste aperte. L’accesso dei palestinesi alla zona di insediamento israeliano della città di Hebron è rimasto fortemente limitato, incluso il divieto di ingresso in alcune aree (Shuhada Street e Tel Rumeida) per i maschi tra i 15 ed i 25 anni di età, fatta eccezione per i residenti i cui nomi sono stati registrati dalle forze israeliane.

Nel periodo cui si riferisce questo rapporto, nella Striscia di Gaza la fornitura di energia elettrica ha subito un ulteriore deterioramento, a causa di ripetuti guasti nelle linee di alimentazione israeliane ed egiziane. I blackout si sono protratti fino a 20 ore al giorno, in concomitanza di difficili condizioni meteorologiche invernali. La perdurante crisi energetica continua ad ostacolare pesantemente la fornitura dei servizi di base.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Il valico è stato chiuso, anche per l’assistenza umanitaria, dal 24 ottobre 2014 ad eccezione di 39 giorni di aperture parziali. Le autorità di Gaza hanno indicato che sono registrati, e in attesa di attraversare, oltre 25.000 persone con bisogni urgenti, tra cui circa 3.500 necessitanti cure mediche.

[1] I dati OCHA per la protezione dei civili includono gli episodi che si sono verificati al di fuori dei Territori occupati solo se risultano coinvolti, sia come vittime che come aggressori, persone residenti nei Territori occupati. I feriti palestinesi riportati in questo rapporto includono solo persone che hanno ricevuto cure mediche da squadre di paramedici presenti sul terreno, nelle cliniche locali o negli ospedali. Le cifre sui feriti israeliani si basano su notizie di stampa.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: in caso di discrepanze, fa testo la versione originale in lingua inglese. Nella versione italiana non sono riprodotti i

dati statistici ed i grafici.




L’alfabeto di Oslo, linguaggio della colonizzazione

Professor Kamel Hawwash –Middle East Monitor

Sabato 23 gennaio 2016

Le prime tre lettere dell’alfabeto, A, B e C, sono diventate il marchio dell’occupazione e della strisciante colonizzazione della Palestina da parte di Israele. Le linee che delimitano queste aree sono state tracciate negli accordi di Oslo II firmati a Taba nel 1995. Dividono la Cisgiordania in tre zone, con Israele e la Palestina che beneficiano di differenti livelli di diritti amministrativi e relativi alla sicurezza in ognuna di queste.

L’area che copre tutte le città della Cisgiordania e la maggior parte della popolazione palestinese è stata etichettata come A, con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che gode del controllo “integrale”, sia amministrativo che per quanto riguarda la sicurezza. L’area B include vaste zone rurali con l’ANP che ha diritto solo al controllo amministrativo. Il rimanente 60% è stato denominato area C e ricade sotto il totale controllo israeliano, tranne per quello che riguarda i servizi educativi e quelli medici. Significativamente, Israele controlla tutte le questioni relative alla terra, comprese l’assegnazione e le pratiche per la costruzione sia di strutture private che di infrastrutture.

Per completare il quadro del controllo coloniale che Israele esercita sulla Cisgiordania, bisogna aggiungere l’impatto del Muro o Barriera, che Israele ha costruito dopo gli accordi di Oslo e le strade che servono alle colonie, molte delle quali possono solo essere utilizzate dai coloni, nella versione israeliana dell’apartheid.

E’ importante capire che le aree A, B e C non sono tre zone geografiche separate che sono facilmente identificabili, ma piuttosto una divisione amministrativa definita in pratica da Israele per perseguire i propri progetti espansionistici e coloniali. Basta fare un passo fuori dalle città palestinesi e ci si trova quasi sicuramente nell’area C e quindi sotto il totale controllo israeliano. L’area C è abitata da un numero stimato di 300.000 palestinesi, che vivono per lo più in piccoli villaggi e comunità, e di 350.000 coloni israeliani, che vivono in 135 insediamenti e 100 avamposti. Una parte delle terre palestinesi più fertili si trova nella valle del Giordano, che rientra nell’area C.

I 22 anni da Oslo e gli inutili negoziati per raggiungere un accordo finale sono passati con Israele che non ha rispettato neppure questa vergognosa divisione della Cisgiordania. Ogni pretesa di una zona palestinese libera dalle ingerenze israeliane è un mito.

Questa è la terza Intifada?

Le crescenti tensioni nei Territori Occupati hanno portato a dozzine di morti e a centinaia di scontri. Stiamo assistendo ad una terza Intifada?

Prendiamo l’area A, che include tutte le città palestinesi. L’ANP è responsabile della sicurezza e pertanto si potrebbe presumere che le forze di occupazione israeliane non possano entrarvi in nessun caso. Tuttavia si tratta di un mito. Le forze [di sicurezza] israeliane entrano regolarmente a Ramallah, Nablus, Hebron e Jenin per arrestare, ferire e mutilare. Hanno rapito membri del parlamento [palestinese], compreso la sua presidentessa e deputata del FPLP [Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, gruppo politico palestinese di sinistra. Ndtr.] Khalida Jarrar. Più di recente, il primo ministro israeliano Netanyahu ha detto di aver chiamato il presidente dell’ANP Abbas per scusarsi perché le forze di occupazione israeliane hanno condotto attività nei pressi della sua casa e si sono scontrate con la sua guardia presidenziale. Al tempo stesso, le forze di sicurezza palestinesi non possono arrestare nessun colono israeliano che abbia commesso violenze in qualunque parte della Cisgiordania e ogni colono che si sia casualmente avventurato nell’area A è stato rapidamente messo al sicuro e consegnato alle forze di occupazione.

Nell’area C le attività di colonizzazione di Israele abbondano, in quanto gode del controllo sia amministrativo che per la sicurezza. Qui la messa in pratica di alcune norme per i palestinesi e di altre per le colonie illegali è più evidente. I palestinesi non possono costruire, ampliare o migliorare le proprie case o le proprie attività senza l’interferenza da parte di Israele, che è spesso violenta. Il rifiuto praticamente certo da parte di Israele della concessione di autorizzazioni per la costruzione di case, scuole, strutture commerciali e agricole non lascia ai palestinesi altra possibilità che costruire senza permessi. Il risultato quasi inevitabile è la demolizione. L’ufficio dell’ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha descritto come 5.000 palestinesi dell’area C vivono nelle denominate “zone di fuoco” e si prevede che lascino le loro case per ore o giorni durante le esercitazioni militari israeliane. L’OCHA inoltre descrive la terribile situazione dei beduini, continuamente soggetti alla minaccia di deportazione dalle loro terre contro la loro volontà.

Anche altre comunità, oltre ai beduini, hanno ripetutamente subito la minaccia di ricollocamento. Un esempio particolarmente chiaro è stato quello della comunità di Susyia, sulle colline di Hebron, i cui membri hanno affrontato tre deportazioni in tre decenni per permettere che una colonia, che ha praticamente lo stesso nome, si installasse e poi che si espandesse.

In anni recenti, un certo numero di politici israeliani che si oppongono radicalmente all’esistenza di uno Stato palestinese hanno invocato l’annessione di ampie zone, se non di tutta l’area C. L’attuale ministro dell’Educazione, Naftali Bennet, ha persino chiesto che ai 300.000 palestinesi che vi vivono venga concessa la nazionalità israeliana. Pensa che il fatto che i rimanenti palestinesi della Cisgiordania potrebbero gestire i propri affari e una piena indipendenza sarebbe impossibile. Altri politici israeliani non sono magari stati altrettanto espliciti come Bennet nel chiedere l’annessione di aree della Cisgiordania, tuttavia è ora difficile trovarne uno che sostenga una onesta soluzione dei due Stati che porti ai palestinesi una qualche speranza della fine dell’occupazione.

Più di recente, il Coordinatore Israeliano delle Attività di Governo nei Territori (COGAT) ha annunciato che intende confiscare 370 acri [149 ettari. Ndtr.] di terra nel distretto di Gerico, dichiarandoli “terra dello Stato”. Questo tipo di iniziative rende la designazione di un lotto di terreno come A, B o C totalmente insensato. Israele agisce con totale impunità. Se decide di dichiarare la sede dell’Autorità Nazionale Palestinese a Ramallah zona militare chiusa o zona di fuoco, chi lo più impedire?

A Oslo i negoziatori palestinesi non solo hanno accettato di riconoscere Israele senza un concomitante riconoscimento della Palestina, hanno anche concordato l’ulteriore spartizione in queste tre aree del 22% di quella che hanno accettato come “Palestina”. La realtà è stata che palestinesi e coloni hanno vissuto in tutte e tre le aree e che Israele ha utilizzato questa designazione perché si adattasse ai propri piani. Gli accordi di Oslo sono stati pensati come temporanei, dovevano portare a un accordo negoziale entro cinque anni. A fronte di ciò, i negoziatori palestinesi devono aver pensato che tutte e tre le aree sarebbero state restituite alla fine dei cinque anni, libere di coloni, per far parte dello Stato funzionante e con continuità territoriale che loro avevano sognato. Tuttavia, 22 anni dopo, non è stato raggiunto nessun accordo e in pratica Israele ha quotidianamente violato l’accordo provvisorio indistintamente nelle aree A, B e C. Questa denominazione è diventata un ulteriore ostacolo per la pace e non cambierà rapidamente senza una pressione esterna. Perché si ottenga la pace in terra santa, devono essere esercitate su Israele chiare e non ambigue pressioni per porre fine all’occupazione, spedendo l’alfabeto della colonizzazione nella pattumiera della storia.

Il professor Kamel Hawwash è un docente universitario anglo-palestinese in ingegneria presso l’università di Birmingham. E’ un commentatore di questioni mediorientali e vice presidente della campagna di solidarietà con la Palestina. Qui ha scritto a titolo personale.

(Traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto ONU OCHAoPt: 29 dicembre 2015 – 11 gennaio 2016 (147)

Nel periodo di riferimento di questo rapporto (due settimane), sono stati registrati dodici attacchi e presunti attacchi palestinesi contro israeliani, nel corso dei quali tre israeliani, tra cui due soldati, sono stati feriti; nove attentatori e presunti attentatori palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane. Due dei palestinesi uccisi erano minori (16 e 17 anni). Gli attacchi ed i presunti attacchi includono: otto accoltellamenti e tentativi di accoltellamento, un investimento con auto e due scontri a fuoco effettuati da presunti palestinesi, poi fuggiti. Tutti questi episodi sono stati segnalati in Cisgiordania, di cui due a Gerusalemme Est. Le circostanze di numerosi incidenti rimangono controverse. Secondo quanto riferito, nessuno degli autori e presunti colpevoli apparteneva a fazioni o gruppi armati. Dal 1° ottobre fino alla fine del periodo di riferimento del presente rapporto [102 giorni], 97 palestinesi, tra cui 21 minori, e 23 israeliani sono stati uccisi nei Territori palestinesi occupati ed in Israele [1] nel corso di attacchi e presunti attacchi contro israeliani.

C’è stato un forte calo della frequenza e dell’intensità di proteste e scontri avvenuti nel periodo cui si riferisce questo rapporto: in tutti i Territori palestinesi occupati sono stati registrati un totale di 203 feriti palestinesi [nell’arco di due settimane] (per confronto: nel corso dell’ultimo trimestre del 2015, la media è stata di 240 feriti [palestinesi] ogni settimana). I feriti includono 41 minori e 3 donne. Dodici dei ferimenti si sono verificati durante scontri vicino alla recinzione perimetrale nella Striscia di Gaza, nei pressi del valico di Erez e ad est del campo profughi di Al Bureij. Il resto dei feriti (191) sono stati registrati in Cisgiordania; il numero più alto è stato registrato nel governatorato di Gerusalemme (85), seguito dai governatorati di Qalqiliya (27), Hebron (24), Betlemme (25) e Ramallah (20). Almeno 25 dei ferimenti in Cisgiordania e 8 nella Striscia di Gaza sono stati provocati da arma da fuoco, mentre la maggior parte dei rimanenti sono stati causati da proiettili di gomma o inalazione di gas lacrimogeno (solo le persone che ricevono assistenza medica sono conteggiate come feriti).

Un quarantenne palestinese è morto per le ferite riportate il 31 dicembre, quando fu colpito con arma da fuoco durante gli scontri nel campo profughi di Al Jalazun (Ramallah). Questo decesso porta a 51 (28 in Cisgiordania e 23 nella Striscia di Gaza) il numero di palestinesi uccisi dal 1° ottobre durante proteste e scontri con le forze israeliane.

Il 6 gennaio, in Area C, ad est di Gerusalemme, nella comunità beduina di Abu Nuwar, adducendo la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno distrutto undici strutture: cinque abitazioni, cinque latrine finanziate da donatori ed un ricovero per animali; sono state così sfollate cinque famiglie, composte da 26 persone, tutte rifugiati, tra cui 18 minori. Quattro giorni più tardi, le forze israeliane hanno smantellato e confiscato le cinque tende residenziali fornite, in risposta alle demolizioni, dalla Mezzaluna Rossa Palestinese. Abu Nuwar è una delle 46 comunità beduine nella Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato, a seguito di un piano di “rilocalizzazione” delle autorità israeliane. Si trova all’interno di una zona conosciuta come E1, destinata [dalle autorità israeliane] all’espansione verso ovest dell’insediamento [colonico] di Ma’ale Adummim, realizzando così un abitato continuo tra questo insediamento e Gerusalemme Est.

Sempre in Area C, in altre due comunità di pastori, a causa della mancanza di permessi di costruzione, è stato notificato l’ordine di blocco dei lavori per due progetti umanitari: il rifacimento di una strada in Khirbet ar Rahwa (Hebron) e la realizzazione di una cisterna d’acqua in Kardala (Tubas). Nel primo caso, le autorità israeliane hanno anche sequestrato parte dei materiali da costruzione.

In Gerusalemme Est e nel villaggio di Surda (Ramallah), le autorità israeliane, con ordinanze punitive, hanno demolito due case e ne hanno sigillato un’altra, sfollando 19 persone, tra cui 7 minori. Le case appartenevano alle famiglie di tre palestinesi accusati di aggressioni verificatesi nel mese di ottobre 2015, nel corso delle quali furono uccisi sei israeliani e gli stessi palestinesi accusati di essere gli aggressori; altri nove israeliani rimasero feriti. Il 16 novembre, il coordinatore umanitario per i Territori occupati palestinesi ha chiesto di fermare le demolizioni punitive, che violano il diritto internazionale.

A Gerusalemme Est, nei quartieri di Silwan, Sur Bahir e Beit Safafa, a motivo della mancanza dei permessi edilizi, il Comune ha demolito tre case in costruzione di proprietà palestinese ed una struttura commerciale. Sono state coinvolte un totale di 28 persone, la metà dei quali minori.

Il 30 dicembre, le autorità israeliane hanno emesso un decreto di espropriazione che riguarda oltre 10 ettari di terreni di proprietà palestinese ad est della città di Qalqiliya, per la realizzazione di un by-pass stradale. Secondo un giornale israeliano, questa misura è stata presa in risposta alle richieste di sicurezza dei coloni che affrontano rischi quando percorrono il tratto di strada che attraversa il villaggio di Nabi Elyas. I lavori richiederanno lo sradicamento di centinaia di alberi di ulivo appartenenti a diversi contadini del villaggio di Azzun.

Nel governatorato di Hebron, nel periodo di riferimento si è assistito ad una attenuazione di alcune delle restrizioni di movimento imposte dalle autorità israeliane dall’ottobre 2015; è così leggermente migliorato l’accesso della popolazione ai servizi ed ai mezzi di sussistenza. Ciò ha comportato, in primo luogo, la rimozione dei posti di blocco permanenti allestiti agli ingressi principali delle località principali: le città di Hebron, Halhul, Sa’ir, Samu’, Yatta, Beit Ummar, Tarqumiya, e il campo profughi di Al Arrub, riducendo in modo significativo i ritardi. In questi luoghi, durante il periodo di riferimento, sono stati dispiegati ad intermittenza e per brevi periodi di tempo, posti di blocco “volanti”. Sono tuttavia rimasti al loro posto la maggior parte degli ostacoli che, posizionati a partire da ottobre 2015, bloccano le vie di accesso secondario che incanalano il traffico verso le strade principali menzionate sopra.

L’accesso e la circolazione interna della zona H2 di Hebron, sotto controllo israeliano, sono rimasti gravemente limitati. Uno dei principali punti di controllo dell’ingresso a questa zona, il checkpoint 56, è stato riattivato dopo lavori di fortificazione. A causa di procedure di controllo più severe, il tempo medio di attraversamento per i residenti registrati è aumentato da 10 a 40 minuti. Inoltre, l’ordine di chiusura della zona H2 di Tel Rumeida, che permette l’ingresso solo ai residenti registrati, è stato prolungato fino al 31 gennaio e la zona interessata è stata ampliata.

Nel corso del periodo di due settimane cui si riferisce il presente rapporto, nel governatorato di Nablus, sono stati registrati due attacchi di coloni israeliani con conseguenti lesioni o danni materiali: un 24enne palestinese è stato aggredito e ferito nei pressi dell’insediamento di Shave Shamron; coloni israeliani provenienti, secondo quanto riferito, dall’insediamento Itamar hanno compiuto atti di vandalismo e danneggiato una casa palestinese nel villaggio di Beit Furik. Le autorità israeliane hanno emesso atti d’accusa contro due coloni israeliani in relazione all’incendio doloso, appiccato nel villaggio di Duma nel luglio 2015, che provocò la morte di tre membri della stessa famiglia, tra cui un bambino, e lesionò gravemente un altro minore.

I media israeliani hanno riportato cinque episodi di lancio di pietre, da parte di palestinesi, contro veicoli con targa israeliana, con conseguenti danni a tre veicoli privati vicino ad Hebron e a Betlemme, oltre che alla Metropolitana leggera di Gerusalemme (due casi)

Nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) a terra e in mare, sono stati registrati almeno dieci episodi in cui le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro civili palestinesi, senza causare vittime. È stato riferito che in almeno un caso, membri di un gruppo armato di Gaza hanno sparato una serie di razzi verso Israele, due dei quali sono caduti in Israele, in una zona aperta, mentre i rimanenti sono ricaduti in Gaza. Non sono stati segnalati feriti o danni.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno condotto 144 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 252 palestinesi; il governatorato di Hebron conta il maggior numero di operazioni e arresti. Tra i luoghi interessati alle incursioni: l’Università Birzeit a Ramallah, dove sono stati confiscati computer e documenti e arrecati danni alla proprietà; nella città di Nablus, gli uffici di un’organizzazione per i diritti umani che sono stati chiusi per sei mesi, con ordinanza militare, per presunta istigazione contro gli israeliani; ancora a Nablus, una scuola secondaria nella quale sono stati anche arrecati danni materiali.

Nella Striscia di Gaza la fornitura di energia elettrica si è deteriorata per due giorni a causa di danni riportati da due delle tre linee egiziane di alimentazione che provvedono alla fornitura a Gaza-Sud, così come ad una delle linee israeliane che alimentano Gaza City. Nelle zone interessate il black-out è giunto fino a 18 ore al giorno, compromettendo l’erogazione di servizi di base e rendendo ancora più precari i già scarsi mezzi di sostentamento e le condizioni di vita.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Il valico è stato chiuso, anche per l’assistenza umanitaria, dal 24 ottobre 2014 ad eccezione di 37 giorni di aperture parziali. Le autorità di Gaza hanno indicato che sono registrati, e in attesa di attraversare, oltre 25.000 persone con bisogni urgenti, tra cui circa 3.500 bisognosi di cure mediche.

1]  I dati OCHA per la protezione dei civili includono gli episodi che si sono verificati al di fuori dei Territori occupati solo se risultano coinvolti, sia come vittime che come aggressori, persone residenti nei Territori occupati. I feriti palestinesi riportati in questo rapporto includono solo persone che hanno ricevuto cure mediche da squadre di paramedici presenti sul terreno, nelle cliniche locali o negli ospedali. Le cifre sui feriti israeliani si basano su notizie di stampa.

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 12 gennaio tre palestinesi, tra cui un ragazzo di 17 anni, sono stati colpiti con armi da fuoco e uccisi dalle forze israeliane in due episodi separati: durante un presunto tentativo di accoltellamento al bivio di Beit ‘Einun (Hebron) e durante gli scontri nel corso di una operazione di ricerca-arresto a Beit Jala (Betlemme).

Il 13 gennaio, nei pressi della recinzione perimetrale di Gaza, vicino a Beit Lahia, le forze israeliane hanno colpito con armi da fuoco e ucciso un palestinese e ne hanno feriti altri tre; non sono ancora chiare le circostanze.

Ezio R. e Giovanni L.V. per “Associazione per la pace – gruppo di Rivoli”

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Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazioni, corredate da dati numerici e grafici statistici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati. Sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

Sullo stesso sito sono reperibili mappe dettagliate della Striscia di Gaza e della Cisgiordania:
Striscia di Gaza:
http://www.ochaopt.org/documents/Gaza_A0_2014_18.pdf
Cisgiordania:
http://www.ochaopt.org/documents/Westbank_2014_Final.pdf

La scrivente “Associazione per la pace – gruppo territoriale di Rivoli”, stante l’imparzialità dell’Organo che li redige, utilizza i Rapporti per diffondere un’informazione affidabile sugli eventi che accadono in Palestina. Pertanto, traduce i Rapporti in italiano (escludendo i dati statistici ed i grafici) e li invia agli interessati. Tali Rapporti sono anche scaricabili dal sito Web dell’Associazione, alla pagina:
https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali




Sì, Israele sta commettendo esecuzioni extragiudiziarie

Nel 2016 non c’è bisogno di essere Adolf Eichmann per essere giustiziato in Israele – basta essere un’adolescente palestinese con delle forbici.

Di Gideon Levy – Haaretz – 17 gennaio 2016

Potremmo dirlo così: Israele giustizia persone senza processo praticamente ogni giorno. Ogni altra definizione sarebbe una menzogna. Se una volta c’era qui una discussione sulla pena di morte per i terroristi, ora sono giustiziati anche senza processo (e senza che se ne discuta). Se una volta c’era un dibattito sulle regole d’ingaggio, oggi è chiaro: spariamo per uccidere ogni palestinese sospetto.

Il ministro della Sicurezza Pubblica, Gilad Erdan, ha illustrato chiaramente la situazione quando ha detto: “Ogni terrorista deve sapere che non sopravviverà all’attacco che sta per compiere,” e praticamente tutti i politici lo hanno seguito con nauseabonda unanimità, da Yair Lapid [fondatore del partito di centro “Yesh Atid” (C’è un futuro). Ndtr.] in su. Non erano mai stati rilasciati tante licenze di uccidere, né il dito era stato così nervoso sul grilletto.

Nel 2016, non c’è bisogno di essere Adolf Eichmann [criminale nazista rapito in Argentina, processato e giustiziato in Israele. Ndtr.] per essere giustiziati, basta essere un’adolescente palestinese con delle forbici. I plotoni d’esecuzione sono attivi ogni giorno. Soldati, poliziotti e civili sparano a quelli che hanno accoltellato israeliani, o hanno cercato di farlo o sono sospettati di averlo fatto, e anche a coloro che hanno investito israeliani con la loro auto o sembra che lo abbiano fatto.

In molti casi, non c’era bisogno di sparare, e sicuramente non di uccidere. Nella maggior parte dei casi la vita di chi ha sparato non era in pericolo. Sparano per uccidere persone che avevano un coltello o persino forbici, o gente che ha semplicemente messo le mani in tasca o ha perso il controllo della propria auto.

Li uccidono indiscriminatamente – donne, uomini, ragazzine, ragazzini. Gli sparano mentre stanno fermi, ed anche quando non sono più pericolosi. Sparano per uccidere, per punire, per sfogare la propria rabbia e per vendicarsi. Qui c’è un tale disprezzo che questi incidenti sono a malapena raccontati dai media.

Sabato scorso [16 gennaio 2016] al checkpoint di Beka’ot (chiamato Hamra dai palestinesi), nella valle del Giordano, alcuni soldati hanno ucciso l’uomo d’affari Said Abu al-Wafa , di 35 anni, padre di 4 figli, con 11 pallottole. Contemporaneamente, hanno ucciso anche Ali Abu Maryam, un bracciante agricolo e studente di 21 anni, con tre pallottole. L’esercito israeliano non ha spiegato le ragioni dell’uccisione dei due uomini, salvo sostenere che c’era il sospetto che qualcuno avesse sfoderato un coltello. Ci sono delle telecamere di sicurezza sul posto, ma l’esercito israeliano non ha mostrato il filmato dell’incidente.

Il mese scorso altri soldati dell’IDF hanno ucciso Nashat Asfur, padre di tre figli che lavorava in un mattatoio israeliano per polli. Gli hanno sparato nel suo villaggio, Sinjil, dalla distanza di 150 metri, mentre stava camminando verso casa per un matrimonio. All’inizio di questo mese, Mahdia Hammad, quarantenne madre di 4 figli, stava guidando verso casa attraverso il suo villaggio, Silwad. Ufficiali della polizia di frontiera hanno crivellato la sua macchina con dozzine di proiettili dopo aver sospettato che volesse investirli.

I soldati non hanno avuto sospetti di nessun genere sulla studentessa di cosmetologia Samah Abdallah, 18 anni. Hanno sparato all’auto di suo padre “per sbaglio”, uccidendola; hanno sospettato il pedone sedicenne Alaa al-Hashash di volerli accoltellare. Ovviamente hanno giustiziato anche lui.

Hanno ucciso anche Ashrakat Qattanani, 16 anni, che aveva un coltello e inseguiva una donna israeliana. Prima un colono l’ha investita con la sua macchina, e quando era a terra ferita, soldati e coloni le hanno sparato per almeno quattro volte. Un’esecuzione, cos’altro?

E quando i soldati hanno sparato alla schiena a Lafi Awad, 20 anni, mentre stava scappando dopo aver lanciato delle pietre, non si è trattato di un’esecuzione?

Sono solo alcuni dei casi che ho documentato nelle scorse settimane su Haaretz. Il sito web dell’associazione [israeliana] per i diritti umani B’tselem presenta un elenco di altri 12 casi di esecuzioni.

Margot Wallström, ministra degli Esteri svedese, una dei pochi ministri al mondo che hanno ancora una coscienza, ha chiesto che si indaghi su queste uccisioni. Non c’è una richiesta più morale di questa. Avrebbe dovuto essere fatta dal nostro stesso ministro della Giustizia.

Israele ha risposto con i suoi soliti ululati. Il primo ministro ha detto che ciò era “oltraggioso, immorale e ingiusto”. e Benjamin Netanyahu comprende bene questi termini: è esattamente il modo in cui descrivere la campagna di esecuzioni criminali da parte di Israele sotto la sua guida.

(traduzione di Amedeo Rossi)