Soluzione dei due Stati e razzismo israeliano

Il sostegno israeliano ad una soluzione dei due stati basata sul razzismo

Ben White

 

Middle East Eye – Lunedì 19 settembre 2016

 

Quello che unisce i sostenitori irriducibili del colonialismo di insediamento sionista è semplice: il razzismo contro i palestinesi.

La scorsa settimana “The Guardian” [giornale inglese di centro-sinistra. Ndtr.] ha pubblicato la recensione scritta da Nick Cohen di un nuovo libro intitolato “Il problema della sinistra con gli ebrei”. La recensione di Cohen era abbastanza prevedibile, e il libro in sé, scritto da Dave Rich del  “Community Security Trust” [gruppo di autodifesa ebraico sospettato di rapporti con i servizi di sicurezza israeliani. Ndtr.] non è il fulcro di questo editoriale.

Piuttosto, voglio richiamare l’attenzione su una breve citazione della recensione di Cohen, che è istruttiva per quello che evidenzia dell’attuale dibattito su antisemitismo e sinistra, così come su domande più generali su  sionismo, anti- sionismo e sulla continua lotta dei palestinesi per l’autodeterminazione.

In un articolo breve, Cohen dedica parecchio spazio a una definizione parodistica dell’anti-sionismo. Egli scrive:

A partire dagli anni ’70, gli oppositori di Israele hanno dovuto decidere se l’anti-sionismo significasse una realizzazione dei diritti nazionali dei palestinesi attraverso la soluzione dei due Stati, che riconosce che la Palestina era il fulcro dei nazionalismi ebreo ed arabo in conflitto, o se gli richiedesse un appoggio a una guerra mortale, che avrebbe portato ad uno Stato puro dal punto di vista etnico e (con il sorgere del fondamentalismo sunnita) religioso.

Qui Cohen elabora la sua fondamentale alternativa falsa tra una soluzione dei due Stati che preservi Israele come “Stato ebraico” o un unico Stato “puramente sunnita”.

Che dire allora di uno Stato unico, democratico e decolonizzato? Sembrerebbe che Nick Cohen non pensi che i palestinesi siano abbastanza “civilizzati” per questo.

Nessun diritto al ritorno

Naturalmente, come ha sempre scritto, Cohen è assolutamente contrario al ritorno dei profughi palestinesi a casa. Perché? Sulla base del fatto che “distruggerebbero (Israele) in quanto Stato ebraico.” Il che ci porta alla domanda: chi sta effettivamente difendendo qui l’idea di uno “Stato etnicamente…puro”?

Questo tipo di proiezione da parte dei sostenitori di Israele è particolarmente evidente quando il discorso verte sull’idea di una soluzione di uno Stato unico democratico.

“I palestinesi vorrebbero buttare fuori gli ebrei!” sostengono i sostenitori di uno Stato creato attraverso la pulizia etnica, e che continua a praticarla anche adesso.

“Gli ebrei sarebbero cittadini di serie B!” dicono i sostenitori di uno Stato in cui i cittadini palestinesi affrontano una disuguaglianza sistematica, e le cui forze armate tengono milioni di palestinesi senza Stato sotto un regime militare ancora più esplicitamente discriminatorio.

L’argomentazione di Cohen mi ha ricordato le obiezioni di Yiftah Curiel, portavoce dell’ambasciata israeliana, durante un dibattito dell’inizio di quest’anno all’università di Oxford: “L’obiettivo di uno Stato unico,” ha detto, “è già stato sperimentato, e si chiama Siria.”

Da dove cominciare a descrivere le differenze che rendono un simile paragone quanto meno superficiale e semplicistico? Al peggio, si tratta di semplice razzismo: l’assunto implicito – o non tanto implicito, nel caso di Cohen – è che gli arabi sono incompatibili con una democrazia.

Una compagnia preoccupante

La difesa da parte di Cohen dell’attuale pulizia etnica con l’evocazione di un’ipotetica, futura pulizia etnica non è l’unico esempio di proiezione. Forse il suo prediletto argomento centrale da demolire è quello che vede una causa comune tra “sinistra”, o “progressisti”, e “sostenitori della “Fratellanza Musulmana”.

Eppure è  Cohen, in quanto si autodefinisce “liberal”, che si ritrova in allarmante compagnia quando arriva a difendere l’etnocrazia di Israele.

Per esempio, la scorsa settimana il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman, residente in una colonia e capo del partito ultra-nazionalista Yisrael Beiteinu, ha parlato agli studenti nell’università di Ariel (situata all’interno della Cisgiordania) ed ha ripetuto il suo ben noto sostegno ad uno scambio di popolazione e terra tra coloni e cittadini palestinesi di Israele.

Perché? Bene, come lo ha definito Lieberman, è inaccettabile per i coloni ebrei essere spostati dalla Cisgiordania con un accordo di pace, per poi lasciare Israele con tutti quei cittadini palestinesi che distruggono la demografia di uno “Stato ebraico”.

“Abbas non vuole neanche un ebreo sul suo territorio mentre da noi ci si aspetta che diventiamo uno Stato bi-nazionale,” ha detto.

Questa avversione per il “bi-nazionalismo”, o anche per ogni soluzione in cui la “maggioranza ebraica” artificialmente e violentemente creata non sia protetta da un muro (gioco di parole) e garantita per sempre, è un punto di vista condiviso da tutti, da Lieberman fino a gente come la politica dell’opposizione israeliana Tzipi Livni.

Per Livni “pace e due Stati per due popoli” è “un imperativo”, in modo da  “evitare il problema statistico demografico che i palestinesi superino il numero degli israeliani,” e per “preservare l’ebraicità del modello di Israele come Stato ebraico e democratico.”

O, come Livni ha detto una volta agli studenti di una scuola di Tel Aviv, “una volta creato uno Stato palestinese”,  lei potrebbe guardarsi in giro e dire ai cittadini palestinesi di Israele: “La soluzione nazionale per voi è altrove.”

Nick Cohen annuirebbe in segno di approvazione. Perché quello che unisce i difensori incondizionali del colonialismo di insediamento sionista, che siano “liberal” o “falchi”, e indipendentemente dalle loro opinioni su qualunque altra questione, è semplice:  il razzismo anti-palestinese.

Ben White è l’autore di “Aparthied israeliano: una guida per principianti” e “Palestinesi in Israele: segregazione, discriminazione e democrazia.” Scrive per Middle East Monitor e i suoi articoli sono stati pubblicati da Al Jazeera, al-Araby, Huffington Post, The Electronic Intifada, The Guardian’s Comment is free ed altri.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)