“Proud Boys” e “Liste nere”: gli attivisti BDS negli USA devono affrontare nuove minacce

Nada Elia

Mercoledì 13 settembre 2017 , Middle East Eye

Attivisti nelle università degli USA stanno affrontando nuove minacce da violente organizzazioni suprematiste bianche.

Giusto in tempo per il nuovo anno scolastico, la scorsa settimana l’università di Stanford ha pubblicato un documento che afferma che gli studenti ebrei dei college in California non hanno vissuto situazioni di antisemitismo e si sentono a proprio agio con la loro religione.

Contrariamente a impressioni ampiamente condivise, abbiamo trovato un’immagine della vita nei campus che non è né minacciosa né allarmistica. In generale gli studenti hanno affermato di sentirsi a proprio agio nei loro campus e, più in particolare, a proprio agio come ebrei nei campus che frequentano,” riporta la sintesi del rapporto, aggiungendo che gli studenti intervistati studiano all’università statale di San Francisco, a Berkeley, all’Irvine, all’UCLA e alla Stanford.

Nonostante i risultati del rapporto, organizzazioni ultraconservatrici hanno fatto scritte sui muri dei campus, dalla Georgetown University alla Washington State University fino all’università delle Hawaii, in genere pochi giorni, a volte poche ore, prima che le scuole aprissero le loro porte agli studenti. E, anche se questo inquietante fenomeno non è nuovo, quest’anno potrebbe acquisire maggiore forza, con la crescita a livello nazionale della cosiddetta “alt-right” [estrema destra, ndt.].

Una delle nuove minacce nei campus è “Proud Boys” [“Ragazzi Orgogliosi”], un gruppo di destra di maschi “sciovinisti occidentali” fondato nel 2016, le cui tattiche rivelano un progetto sia antisemita che anti-palestinese ed anti BDS. I “Proud Boys” sono per lo più ex-militari, armati, e alcune sezioni includono membri di colore, il che complica le accuse di “suprematismo bianco”.

Sostengono di promuovere la supremazia dell’ “Occidente”, e un’insegna sulla loro pagina Facebook proclama “I ‘Proud Boys’ non sono alt-right”, anche se spiegano di essere (tra varie altre questioni) a favore delle armi, di Trump, della polizia, contro l’Islam e antifemministi.

Ci sono molte contraddizioni interne all’organizzazione. Per esempio, anche se dichiarano di essere a favore dei gay, durante una protesta all’università di New York nella quale stava parlando Gavin McInnes, il fondatore dei “Proud Boys”, un loro membro è stato sentito dire che dovevano lottare contro “i froci vestiti di nero”.

I “Proud Boys” hanno programmato riunioni e campagne di reclutamento nei campus in tutto il Paese, e le loro conversazioni sui social media rivelano anche un profondo antisemitismo.

Mentre si stanno delineando le linee della battaglia, con molti docenti e dipendenti delle università che si uniscono alla nuova rete “Campus antifascisti” e che si impegnano a non accettare questi gruppi nei propri campus, i “Proud Boys” potrebbero incrementare la violenza, soprattutto in quanto l’ultimo passo dell’iniziazione per l’ammissione al loro gruppo comprende “una grande lotta per la causa.”

Devi picchiare, spaccare la faccia di un antifa [gruppi antifascisti che lottano anche con la violenza contro gli estremisti di destra nelle università e in piazza, ndt.], e magari essere arrestato,” dice McInnis, co-fondatore di “Proud Boys” e di “Vice” [“Vizio”, giornale “libertario” e sito in rete fondato in Canada, ndt.].

Lista nera’ BDS

L’altro nuovo fronte di battaglia dei campus, che finora si è limitato solo a New York, ma con piani dichiarati di prendere di mira persone a livello nazionale, è il nuovo gruppo “BDS fuorilegge”.

Chiamano esplicitamente se stessi una “lista nera”. Nelle scorse settimane studenti, docenti universitari, giornalisti, membri di gruppi no profit e lavoratori della cultura hanno ricevuto questa mail (fornita a MEE da un destinatario):

(Nome) Sappi che sei stato identificato come un sostenitore del BDS.

Secondo le nuove norme dello Stato di New York, singole persone e organizzazioni che si impegnano o promuovono le attività del BDS contro alleati degli USA non riceveranno più finanziamenti pubblici o appoggio.

Inoltre lo Stato e i suoi enti non faranno più affari o ingaggeranno queste organizzazioni e singole persone in quanto sono state considerate problematiche ed anti-americane.

Sei segnato.

Sei stato identificato.

 Hai un ristretto margine di opportunità per smetterla e rinunciare o affrontare le conseguenze delle tue azioni con un procedimento giudiziario. Nel caso tu abbia abbandonato il tuo modo sbagliato di agire del passato, contattaci all’indirizzo admin@outlawbds.com, in modo che il tuo profilo venga eliminato dalla lista nera.

 Per il tuo profilo visitaci qui:

www.outlawbds.com

Poiché le minacce contro i militanti del BDS sono aumentate nel corso degli ultimi anni, avvocati attivisti hanno fondato “Palestine Legal”, un’organizzazione con sede a Chicago che si dedica a difendere i diritti civili e costituzionali di persone che negli USA si pronunciano a favore della libertà dei palestinesi.

Parecchi sostenitori del BDS che hanno ricevuto questa mail hanno contattato l’organizzazione, che ha emesso un comunicato in cui afferma che ogni tentativo di “mettere in una lista nera” i sostenitori del boicottaggio è anticostituzionale e serve esclusivamente per intimidire e minacciare gli attivisti.

In quanto docente consigliera di “Studenti per la Giustizia in Palestina”, membro di “Docenti per la Giustizia in Palestina” all’università ‘Davis’ e organizzatrice del boicottaggio accademico coinvolta in campagne nazionali, ho notato l’effetto agghiacciante che le liste nere sioniste e le campagne di diffamazione hanno avuto su attivisti coinvolti nel movimento per la giustizia in Palestina, soprattutto nei campus in cui gli amministratori puniscono sistematicamente gli studenti che osano chiedere uguaglianza e giustizia per il popolo palestinese,” ha detto a MEE Sunaina Maira, docente di Studi Asiatici e Americani all’università della California “Davis” e membro della campagna USA per il boicottaggio accademico e culturale di Israele.

Le tattiche che i gruppi di attivisti ‘alt-right’ e nazionalisti bianchi stanno utilizzando per attaccare docenti e indebolire la libertà accademica sono state a lungo utilizzate dai sionisti in tutti gli USA per creare quello che Steven Salaita ha chiamato l’ ‘eccezione palestinese’ alla libertà di parola,” ha affermato.

In particolare studenti palestinesi/arabi e musulmani lottano contro la cancellazione della loro identità e contro l’ignoranza della loro storia nelle classi e devono anche fare i conti con il razzismo anti-palestinese/anti-arabo e con l’islamofobia, che nell’attuale periodo storico si è solo intensificata.”

Amministrazioni universitarie sono state anche decisamente implacabili nei confronti di organizzazioni studentesche filo- palestinesi e filo-BDS, come dimostrato dalle misure disciplinari contro di loro.

Per esempio lo scorso anno la Fordham University non ha approvato la formazione di una sezione di SJP [Students per la Justice in Palestine, Studenti per la Giustizia in Palestina, ndt.], e, più di recente, la sezione di SJP all’ UC [Università della California] Irvine è stata messa sotto osservazione per due anni, benché l’ Irvine sia uno dei campus presi in considerazione dallo studio di Stanford, che dimostra che gli studenti ebrei si sentono a proprio agio, sicuri e non minacciati nei campus che frequentano.

Tattica intimidatoria’

Tuttavia alcuni sostenitori del BDS stanno mettendo in ridicolo la minaccia della “lista nera”, in quanto molti hanno postato sulle reti sociali che vogliono essere inclusi in quella bella lista, fornendo dettagli sulla loro adesione e sulla loro militanza. E molte persone inserite nella lista nera stanno anche ignorando la minaccia.

Come illustrato da ‘Palestine Legal’, il messaggio mail di ‘BDS Fuorilegge’ è una tattica intimidatoria senza valore,” ha detto a MEE Remi Kanazi, una poetessa e attivista del BDS di New York che è stata inserita nella lista sul sito “BDS Fuorilegge”.

E’ un altro tentativo, anche se grossolano, di mettere a tacere i palestinesi e gli attivisti del BDS attraverso metodi coercitivi,” afferma. “Ma attualmente il BDS sta solo conquistando terreno. Magari non abbiamo una macchina propagandistica multimilionaria e rappresentanti dello Stato che ci sostengono, ma abbiamo la verità e la storia dalla nostra parte.

Dal movimento ‘Black Lives’ [‘Black Lives Matter’, le vite dei neri valgono, gruppo che lotta contro l’uccisione dei neri da parte della polizia negli USA, ndt.] a gruppi studenteschi e associazioni accademiche in tutto il Paese, la gente si sta facendo avanti, spesso con grave rischio di essere attaccata, per manifestare un appoggio basato sui principi a favore della liberazione dei palestinesi, e questa base non farà che rafforzarsi andando avanti,” ha detto Kanazi.

Con lo scopo ultimo di porre fine alle violazioni dei diritti umani del popolo palestinese, il BDS ha sempre affermato di essere innanzitutto un movimento antirazzista. In quanto tale si oppone e denuncia ogni forma di razzismo, compreso l’antisemitismo. In effetti una percentuale significativa dei membri delle sezioni di “Studenti per la Giustizia in Palestina” a livello nazionale è ebrea, come lo sono molti attivisti all’interno di vari gruppi filo-palestinesi per la giustizia, dalla “Campagna USA per i diritti dei palestinesi” alla “Campagna USA per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele” fino a “Voci ebraiche per la Pace”, ed altri ancora.

Per quanto ho osservato all’università delle Hawaii, i “Proud Boys” hanno una struttura che presuppone di fare dichiarazioni pubbliche su razzismo ed antisemitismo che sono contraddittorie e confuse,” dice a MEE Cynthia Franklin, docente dell’università delle Hawaii, co-fondatrice di “Jewish Voice for Peace Hawaii” [“Voci ebraiche per la pace- Hawaii”] e membro del collettivo organizzatore della campagna per il boicottaggio accademico e culturale di Israele.

Questa incoerenza e questa idiozia da setta non significa che non vadano presi sul serio,” afferma.

Il loro programma è coerentemente –e violentemente – antisemita, anti-indigeni, razzista e patriarcale,” sostiene Franklin. “Insieme ad altre influenze stanno creando un’insicurezza nel mio campus, dove stanno comparendo delle svastiche. Questo è inquietante e preoccupante, e secondo me, in quanto ebrea che è anche antisionista, richiede nuove strategie organizzative contro l’antisemitismo così come contro il sionismo.”

Quindi, poiché le tensioni politiche nazionali si fanno strada nei campus di tutto il Paese, quest’anno gli studenti e i docenti dovranno indubbiamente acquisire molto più di un sapere puramente accademico.

Nada Elia è una scrittrice e commentatrice politica palestinese della diaspora, che attualmente lavora sul suo secondo libro”Chi chiami ‘minaccia demografica’? Note dall’Intifada globale.” Docente (in pensione) di Studi di Genere e Globali, è membro del collettivo dirigente della campagna USA per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (USACBI).

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Jewish Voice for Peace  invita i giovani ebrei a boicottare “Birthright Israel”

Allison Kaplan Sommer – 2 settembre 2017,Haaretz

La campagna #ReturnTheBirthright dichiara che “è fondamentalmente ingiusto che a noi venga concesso un viaggio gratis in Israele mentre i rifugiati palestinesi non possono tornare alle loro case”

Il discusso gruppo filo-palestinese “Jewish Voice For Peace” [Voci Ebraiche per la Pace, ndt] ha lanciato una campagna per convincere giovani ebrei a non partecipare ai viaggi di “Birthright Israel”  [“Diritto di Nascita Israele”, ndt.], proprio mentre gli studenti dei college stanno tornando nei campus e riprendono le iscrizioni per le visite invernali.

Con lo slogan “#ReturnTheBirthright” [“Restituisci il diritto di nascita”], JVP sta lavorando per convincere ebrei dai 18 ai 26 anni, che possono essere scelti per un viaggio di 10 giorni gratis, a rifiutare l’allettante offerta.

Un “giuramento” sul suo sito web prende la forma di una petizione online in cui giovani ebrei dichiarano: “Non parteciperemo a un viaggio “Birthright” perché è fondamentalmente ingiusto che a noi venga concesso un viaggio gratis in Israele mentre i rifugiati palestinesi non possono tornare alle loro case. Ci rifiutiamo di essere complici di un viaggio di propaganda che maschera il razzismo sistematico e la quotidiana violenza che i palestinesi che vivono sotto un’occupazione senza fine devono affrontare. Il nostro ebraismo è fondato su valori di solidarietà e di liberazione, non di occupazione e di apartheid. Su queste basi restituiamo il “Birthright”, e chiediamo ad altri giovani ebrei di fare altrettanto.”

Birthright Israel” invia giovani adulti ebrei a fare un viaggio di dieci giorni in Israele con l’obiettivo di rafforzare l’identità ebraica e il rapporto con lo Stato ebraico. I viaggi sono finanziati attraverso una collaborazione tra lo Stato di Israele e un gruppo di donatori nordamericani. I primi finanziatori del progetto sono stati Michael Steinhardt e Charles Bronfman, ma negli ultimi anni Sheldon Adelson, miliardario delle case da gioco, grande donatore del partito Repubblicano e sostenitore del primo ministro Benjamin Netanyahu, ha inondato il progetto con 250 milioni di dollari, diventando il suo principale benefattore.

Ben Lorber, responsabile di JVP per i campus, ha affermato che la nuova campagna nazionale è sorta da un certo numero di iniziative contro “Birthright Israel” in singoli campus, che hanno suggerito al gruppo di estendere il movimento ai campus di tutto il Paese.

E’ una cosa di cui gli studenti ebrei stanno discutendo e che stanno facendo da tempo,” ha detto Lorber. “E’ un’ingiustizia fondamentale che a noi, in quanto giovani ebrei, venga offerta la possibilità di questi viaggi gratis e che possiamo diventare cittadini di Israele se in seguito lo decidiamo, mentre ai nostri amici e compagni di classe palestinesi viene negata la stessa relazione con la terra da cui provengono i loro genitori o i loro nonni.”

La campagna, ha aggiunto, è rivolta, oltre che agli studenti, ai giovani adulti ebrei che hanno terminato l’università che potrebbero star pensando a viaggiare con “Birthright”. Lorber, che ha quasi trent’anni, ha detto di aver deciso per parte sua di non viaggiare con “Birthright” negli anni in cui poteva essere scelto.

E’ stata una decisione cosciente. Ero molto contrariato dall’annuncio pubblicitario che mi diceva: ‘Guarda questo bel viaggio gratis, puoi andare in spiaggia, fare un’escursione a Masada, metterti in rapporto con la tua patria,’ mentre i palestinesi che conosco hanno parenti che sono stati bombardati a Gaza, e non possono visitare Gerusalemme.”

Per contro, il capo di un’altra organizzazione studentesca ebraica, “J Street U”, che si definisce “filo-israeliana, per la pace”, ha detto di non credere che i giovani ebrei debbano essere dissuasi dal viaggiare in Israele grazie a “Birthright”.

Ben Elkind, direttore di “J Street U”, afferma che per lui fare un viaggio con “Birthright” è stato “una parte importante del mio impegno riguardo a Israele e al più generale conflitto israelo-palestinese” e di credere che “sia importante incoraggiare gli studenti a impegnarsi piuttosto che a non impegnarsi” sulla questione.

Mi sento profondamente coinvolto nelle questioni e nelle preoccupazioni” espresse dalla campagna di JVP, dice. “Penso che (gente come) Adelson non sia stata una forza produttiva nelle politiche su questo problema, e ritengo che ci siano ragioni per essere veramente preoccupati per la mancanza di libertà di movimento a danno dei palestinesi. Ma non sono sicuro che la risposta debba essere il boicottaggio di “Birthright”. Penso che potenzialmente ci siano iniziative alternative più utili.”

Elkind dice che “andare con “Birthright” non significa che la gente ne esca con le posizioni politiche di Sheldon Adelson.”

A questo scopo “J Street U” incoraggia i propri membri a rimanere in Israele oltre il periodo di viaggio con “Birthright” e ad approfittare del crescente numero di “programmi integrativi” in cui chi rimane dopo il tour con “Birthright” risulta “più profondamente impegnato nelle politiche della Cisgiordania.”

Mentre Lorber concorda con il fatto che  sia “uno sviluppo positivo” che alcuni dei giovani ebrei che vanno con “Birthright” prolunghino il proprio soggiorno con programmi alternativi e si informino ulteriormente sul dramma dei palestinesi, egli crede comunque che sia meglio rifiutare del tutto il viaggio. “Per noi si torna all’ingiustizia fondamentale. Accettando questo viaggio, diventi complice delle relazioni pubbliche di “Birthright” e sei parte di un viaggio che i palestinesi non possono fare.”

Il “manifesto” della campagna approfondisce con ulteriori dettagli queste ragioni: “Fare un viaggio di “Birthright” oggi significa giocare un ruolo attivo nell’aiutare la promozione da parte dello Stato del ‘ritorno’ degli ebrei, respingendo il diritto al ritorno dei palestinesi. Non è sufficiente accettare quest’offerta del governo israeliano e conservare una prospettiva critica durante il viaggio. Rifiutiamo l’offerta di un viaggio gratis da parte di uno Stato che non ci rappresenta, un viaggio che è ‘gratis’ solo perché è stato pagato con la spoliazione dei palestinesi.”

Il manifesto “supplica” i giovani ebrei di stare lontani da “un viaggio sponsorizzato da donatori reazionari e dal governo israeliano, dove la continua oppressione e l’occupazione dei palestinesi vi verranno nascoste, solo perché è gratis. Ci sono altri modi per noi di rafforzare la nostra identità ebraica, insieme con quelli che condividono i nostri valori.”

JVP si definisce contraria al “fanatismo e all’oppressione contro ebrei, islamici e arabi” e “chiede la fine dell’occupazione israeliana in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme est; sicurezza ed autodeterminazione per israeliani e palestinesi; una soluzione giusta per i rifugiati palestinesi basata sui principi stabiliti dalle leggi internazionali; la fine delle violenze contro i civili; pace e giustizia per tutti i popoli del Medio Oriente.”

Il gruppo è stato frequentemente e duramente criticato dalla maggior parte della comunità ebreo-americana per la sua partecipazione attiva alla campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS). Secondo l’“Anti-Defamation League” [“Lega contro la Diffamazione”, potente gruppo filo-israeliano statunitense, ndt.] “Jewish Voice for Peace (JVP) è il maggiore e più influente gruppo ebraico anti-sionista negli USA. Nonostante il tono neutrale del suo nome, JVP lavora per dimostrare l’opposizione ebraica allo Stato di Israele e per allontanare l’appoggio dell’opinione pubblica dallo Stato ebraico.”

Birthright Israel” non ha risposto alla richiesta da parte di Haaretz di una replica.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 

 




La polizia israeliana attacca manifestanti e ne arresta 5 durante proteste a Sheikh Jarrah

Ma’an News

9 settembre 2017

Gerusalemme (Ma’an) – Venerdì la polizia israeliana ha arrestato almeno cinque manifestanti, tra cui due minorenni palestinesi, durante una protesta non violenta fuori dalla casa della famiglia Shamasna nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme est occupata, presa martedì da coloni israeliani, e nel contempo una madre è stata ferita mentre cercava di impedire l’arresto del figlio quattordicenne.

Testimoni hanno raccontato a Ma’an che la polizia israeliana ha aggredito e spinto dimostranti palestinesi durante una manifestazione a Sheikh Jarrah dopo che palestinesi avevano recitato le preghiere del venerdì fuori dalla casa di proprietà della famiglia Shamasna da 53 anni, con un’azione di protesta non violenta contro l’espulsione.

La famiglia è stata cacciata dalla casa durante un’espulsione unanimemente condannata dopo che coloni israeliani hanno sostenuto di esserne proprietari.

Durante la protesta le forze israeliane hanno arrestato Mutaz Mahmoud al-Sau, di 14 anni, e suo fratello Muhammad, di 12.

Mentre Mutaz stava per essere arrestato, sua madre ha tentato di impedirlo abbracciandolo e aggrappandosi a lui. Mahmoud, il padre del ragazzo, ha detto a Ma’an che sua moglie ha subito ferite sulla nuca dalla polizia israeliana che la spingeva via. E’ stata portata in ospedale per essere curata.

Mahmoud ha raccontato a Ma’an che la polizia israeliana ha rilasciato Mutaz senza condizioni. Tuttavia Muhammad è stato liberato a condizione che rimanga agli arresti domiciliari per cinque giorni. Ha anche il divieto di avvicinarsi per due settimane alla via della casa della famiglia Shamasna, nonostante viva a pochi metri di distanza.

Testimoni hanno detto a Ma’an che un attivista straniero è stato ferito alla testa dopo che le forze israeliane lo hanno spinto durante la protesta.

Salih Thiab, un attivista del posto, ha detto a Ma’an che le forze israeliane hanno arrestato lui e due militanti della solidarietà internazionale pochi minuti dopo che la manifestazione è stata allontanata [dalla casa dei Shamasna]. Ha aggiunto che qualche ora dopo lo hanno rilasciato, dopo essere stato interrogato come indagato per aver violato la legge. Anche a Thiab è stato vietato di recarsi nella parte occidentale di Sheikh Jarrah per due settimane.

I due attivisti stranieri, secondo Thiab, sono rimasti nel carcere israeliano dopo essere stati accusati di “aver attaccato la polizia israeliana e i coloni.”

Non è stato possibile contattare sul momento un portavoce della polizia israeliana per un commento.

I militanti locali hanno sottolineato che manifestazioni settimanali saranno organizzate ogni venerdì per protestare contro l’occupazione da parte dei coloni della casa degli Shamasna e contro altre espulsioni guidate dai coloni che sono in corso nel quartiere.

La famiglia Shamasna è stata l’ultima famiglia palestinese ad essere espulsa dal quartiere dal 2009 in base ad una legge israeliana che consente ad ebrei israeliani di rivendicare il possesso di proprietà che in precedenza erano di ebrei prima del 1948, quando in migliaia fuggirono da Gerusalemme est durante la guerra arabo-israeliana.

Tuttavia questa legge non si estende ai palestinesi, centinaia di migliaia dei quali nel 1948 furono espulsi dalle loro terre e case in quello che oggi è Israele.

Sheikh Jarrah è diventato un obiettivo fondamentale per le rivendicazioni di proprietà degli ebrei, in quanto una volta il quartiere sarebbe stato la zona in cui viveva la comunità ebraica nel XIX° secolo.

Nel 2009 le famiglie Um Kamel al-Kurd, Ghawi e Hanoun sono state definitivamente espulse dalle loro case, mentre i coloni israeliani hanno in parte occupato la casa della famiglia al-Kurd, che da anni vive ancora di fianco a loro. Più di 60 palestinesi sono stati espulsi durante l’ondata di sgomberi del 2009.

Domenica altre sei famiglie palestinesi hanno ricevuto notifiche di fratto, che ordinano loro di lasciare le loro case entro 30 giorni a causa di reclami dei coloni israeliani sulle loro proprietà.

Secondo la comunità internazionale, ogni colonia israeliana costruita a Gerusalemme est occupata è illegale in base alle leggi internazionali, nonostante l’annessione de facto del territorio da parte di Israele.

L’ONU ha comunicato che 180 famiglie palestinesi – che comprendono 818 persone, 372 delle quali bambini – sono a rischio di sfratto forzato a Gerusalemme est a causa di espulsioni promosse dai coloni. L’UNRWA [l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ndt.] ha sottolineato che a Sheikh Jarrah il 60% delle persone a rischio di espulsione è composto da rifugiati palestinesi.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Le condanne dell’occupazione israeliana non sono sufficienti

Amira Hass

6 settembre 2017, Haaretz

Europei, le vostre denunce non sono considerate da Israele una priorità. Dovete adottare sanzioni che provochino danni.

Olanda, Belgio e Francia: non è sufficiente condannare solo a parole la politica di distruzione da parte di Israele, che danneggia impianti e edifici finanziati con il denaro dei vostri contribuenti. Va bene che siate arrabbiati, ma il ritmo con cui si accumula la vostra rabbia rimane ampiamente in ritardo rispetto alla velocità ed al ritmo pericoloso dei bulldozer dell’Amministrazione Civile (il governo militare dei territori palestinesi occupati, ndt.) in Cisgiordania e delle forze di difesa delle colonie.

Le condanne non vengono viste come una priorità. Dovete intraprendere azioni concrete. Sì, aperte e dichiarate sanzioni che hanno la possibilità di diventare più dure. Sanzioni che provochino danni. Potrebbe essere l’ultima opportunità per scuotere dalla sua indifferenza e criminale compiacenza l’israeliano medio, compresi uomini d’affari, turisti, studiosi, agricoltori e tifosi del calcio estero.

Smettete di aver paura del ricatto emotivo israeliano. Israele fa leva sulla memoria delle nostre famiglie assassinate in Europa per accelerare l’espulsione dei palestinesi dalla maggior parte del territorio della Cisgiordania alle enclave dell’Autorità Nazionale Palestinese. E’ questa l’intenzione che sta dietro a tutte le demolizioni, le confische e i divieti di costruzione, di pascolo e di irrigazione dei campi. Chiunque pianifica ed attua queste piccole, graduali espulsioni sta già pensando alla grande espulsione, verso la Giordania. E che cosa farete allora? Emetterete condanne ed invierete cisterne d’ acqua e tende a chi è stato espulso?

Il 24 agosto il ministro degli Esteri Didier Reynders ed il vice primo ministro e ministro della Cooperazione allo Sviluppo Alexander De Croo belgi hanno reso pubblica una condanna ufficiale della confisca delle roulotte che dovevano essere utilizzate per la scuola dal primo al quarto grado nel villaggio palestinese di Jubbet Adh-Dhib, e della confisca di pannelli solari per la scuola nell’accampamento beduino di Abu Nuwwar.

I belgi hanno sottolineato di essere tra coloro che hanno finanziato quelle strutture. “Il Belgio continuerà a lavorare insieme ai suoi partner, come in passato, per chiedere alle autorità israeliane di interrompere queste demolizioni”, recita il comunicato del ministero degli Esteri.

Uno dei partner è l’Olanda, il cui parlamento ha dedicato del tempo per discutere delle demolizioni israeliane, più di quanto abbia fatto la Knesset (il parlamento israeliano, ndtr.). Questo è ciò che i ministri del governo olandese hanno riferito il mese scorso ai membri del parlamento, relativamente alla confisca dei pannelli solari a Jubbet Adh-Dhib in giugno: il primo ministro Benjamin Netanyahu ha promesso in una lettera di restituire i pannelli solari all’Olanda. (Il portavoce dell’ufficio del primo ministro non ha né confermato né smentito l’informazione).

Dopo la confisca, il villaggio è stato condannato ad avere solo due ore di elettricità al giorno, prodotta da un generatore. Negli ultimi 20 anni il villaggio ha sottoposto almeno quattro richieste all’Amministrazione Civile per essere collegato alla rete elettrica e tutte sono state respinte. L’esperienza insegna che Israele non concede, o difficilmente lo fa, permessi di costruzione nell’area C (che copre circa il 60% della Cisgiordania, ed è sotto totale controllo israeliano). Il tentativo olandese di ottenere un permesso dall’Amministrazione Civile per un progetto, una prova del nove, non ha condotto a risultati positivi. In quanto forza occupante, ad Israele è vietato distruggere e confiscare le proprietà, tranne che in caso di necessità in tempo di guerra.

Anche la Francia ha annunciato orgogliosamente di essere stata partner nella costruzione umanitaria nell’area C e ad Abu Nuwwar. Anche la Francia ha condannato le ultime demolizioni ed ha chiesto che venissero restituite le strutture confiscate. In sei mesi Israele ha demolito 259 strutture palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme est, afferma il comunicato di condanna francese. Nello stesso periodo il governo israeliano ha approvato la costruzione di oltre 10.000 unità abitative nelle colonie – tre volte di più che in tutto l’anno scorso.

Quindi la distruzione delle comunità palestinesi, l’evacuazione della famiglia Shamasneh dalla sua casa a Gerusalemme e i piani del ministro della Difesa Avigdor Lieberman di demolire Sussia e Khan al-Akhmar sono l’altra faccia della medaglia della costruzione delle colonie.

E’ così che Israele attua un’espulsione graduale. In assenza di sanzioni, può tirare un profondo respiro di sollievo e la sua fiducia nella propria capacità di attuare il suo piano è salda. Chi meglio di voi, e soprattutto della vostra vicina Germania, sa a cosa conducono i piani di espulsione limitata, e quale mentalità criminale producono nella società che li progetta?
(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Tre anni dopo la guerra: parlano i giovani di Gaza

Ramzy Baroud

5 settembre 2017, Ma’an News

Quando è ora di andare a letto ho paura di spegnere la luce. Non sono un fifone, è solo che ho paura che quella lampadina che pende dal soffitto sia l’ultima luce che rimane (accesa) nella mia vita.”

Poco dopo aver scritto queste parole Moath al-Haj, giovane artista del campo profughi di Gaza, è morto nel sonno. Dopo che era sparito per due giorni gli amici di Moath hanno buttato giù la sua porta e lo hanno trovato rannicchiato nella coperta nel posto in cui da 11 anni viveva da solo.

Moath abitava nel campo profughi di al-Nuseirat, uno dei più affollati di Gaza, un nome che è legato a sofferenze storiche, guerre ed a una leggendaria resistenza. Cresciuto negli Emirati Arabi Uniti, Moath è tornato a Gaza per frequentare l’università Islamica, ma è rimasto lì, subendo tre guerre e un blocco durato dieci anni.

Comunque il giovane conservava una parvenza di speranza, come rappresentato nei suoi molti disegni e dai suoi toccanti commenti.

Moath ha imparato a vivere in un mondo tutto suo fin da quando era piccolo. Il mondo esterno gli sembrava imprevedibile e, a volte, crudele.

Quando sua madre è morta, Moath aveva solo un anno. Suo padre è morto di tumore negli Emirati Arabi Uniti e, a causa di circostanze al di fuori del suo controllo, Moath ha vissuto da solo. A stare con lui erano i suoi amici del quartiere, ma per lo più erano le sue espressioni artistiche schive, eppure profonde.

Sorridi, che la guerra si vergogni,” era una delle sue vignette. In essa una ragazzina con un vestito a fiori dà la schiena al lettore, guardando altrove.”

I personaggi delle opere artistiche di Moath avevano sempre gli occhi chiusi, come se rifiutassero di vedere il mondo intorno a loro, e insistevano ad immaginare un mondo migliore nei loro stessi pensieri.

Dopo un esame accurato del suo corpo, i dottori hanno concluso che Moath è morto in seguito ad un infarto. Il suo cuore, pesante per le disgrazie individuali e collettive, ha semplicemente ceduto. E così uno dei migliori giovani di Gaza è stato seppellito in un cimitero sempre affollato. I media sociali si sono riempiti di dichiarazioni di condoglianze, fatte da giovani palestinesi di Gaza, sconvolti dalla notizia che Moath è morto, che la sua ultima luce si è spenta e che la vita del giovane è finita, mentre l’assedio e la situazione di guerra rimangono.

Nella stessa settimana, i palestinesi hanno commemorato i tre anni dalla fine della guerra devastante di Israele contro la Striscia. La guerra ha ucciso più di 2.200 palestinesi, la maggior parte dei quali civili, e 71 israeliani, la maggioranza dei quali soldati.

La guerra ha lasciato Gaza in rovina, in quanto più di 17.000 case sono state totalmente distrutte e migliaia di altre strutture, compresi ospedali, scuole e fabbriche sono state demolite o gravemente danneggiate.

La guerra ha totalmente distrutto qualunque parvenza di attività economica avesse la Striscia di Gaza. Oggi l’80% di tutti i palestinesi di Gaza, la maggioranza dei quali dipende dagli aiuti umanitari, vive al di sotto del livello di povertà.

C’è un’intera generazione di palestinesi di Gaza che cresce senza conoscere altro che guerra ed assedio e che non ha mai visto il mondo al di là dei confini letali di Gaza.

Queste sono le voci di alcuni di questi giovani gazawi, che hanno gentilmente condiviso le loro tragiche storie personali, sperando che il mondo ascolti la loro richiesta di libertà e di giustizia.

Isra Migdad è uno studente di finanza islamica:

Dopo che la nostra casa è stata parzialmente danneggiata durante la guerra israeliana del 2014 c’è voluto un anno e mezzo alla mia famiglia per ricostruirla, a causa del ritardo nel materiale da costruzione a cui viene concesso entrare nella Striscia di Gaza e dei prezzi proibitivi di questo materiale, quando si riesce a trovare. Ho perso la borsa di studio per il mio master nel 2014 a causa del blocco e della difficile situazione finanziaria della mia famiglia dopo la guerra.

Ho passato gli ultimi tre anni a presentare domande per una borsa di studio, solo per apprendere che molte università in Europa non sanno niente, o molto poco, dell’assedio israeliano contro Gaza e della continua chiusura dei confini. Ho ottenuto un’altra borsa di studio, solo per riperderla, dato che non ho avuto abbastanza tempo per completare le procedure per il viaggio e per contrattare l’uscita da Gaza.

Sì, voglio una vita migliore, ma amo anche Gaza. Eppure la situazione sta diventando più dura ogni giorno che passa. E’ difficile trovare un lavoro stabile e, anche se si riesce ad avere un’occasione altrove, è quasi impossibile uscire.”

Ghada Abu Karsh, 23 anni, ha studiato letteratura inglese e lavora attualmente come traduttrice:

Giorno dopo giorno la situazione a Gaza diventa sempre più complicata e persino peggiore di prima. Dall’ultima guerra ad oggi niente sembra migliorare. Assolutamente niente.

Durante il mio lavoro al Centro Palestinese per il Commercio (Pal-Trade), che si occupa dell’economia palestinese, vedo ogni giorno gente che lotta in ogni settore economico. La crisi elettrica sta distruggendo gli affari ovunque. Il settore agricolo è in rovina in quanto i coltivatori non possono esportare i propri prodotti e non hanno accesso neppure al mercato palestinese in Cisgiordania.

Nonostante gli impegni da parte di importanti donatori di sostenere la ricostruzione in seguito al conflitto del 2014, la situazione per i palestinesi che vivono a Gaza non è mai stata peggiore. Oltretutto la gente a Gaza sta affrontando una pesante carenza di acqua potabile e di un sistema sanitario adeguato ed equo. Persino il mare è inquinato a causa dei liquami che vi vengono scaricati quotidianamente. Ci sono poche speranze di un miglioramento delle condizioni in prospettiva.”

Banyas Harb è un’insegnante:

La chiusura ed il blocco senza precedenti imposti a Gaza hanno creato una sensazione di impotenza. Il problema più frustrante di cui i giovani stanno soffrendo è la chiusura del valico di Rafah [verso l’Egitto, ndt.]. I giovani a Gaza rappresentano circa un terzo della popolazione palestinese, eppure meno del 10% di tutti i giovani può vedere quello che c’è oltre Gaza. Ci sentiamo abbandonati. Soli.”

Kholod Zughbor ha una laurea in Letteratura inglese presso l’università “Alazhar” a Gaza:

L’assedio contro Gaza è in atto dal 2006. La situazione è stata terribile qui, anche prima che iniziassero le guerre. La disoccupazione tra i giovani di Gaza è stimata al 60%.

Ho assistito a tre guerre. Ho visto la vita peggiorare progressivamente, soprattutto dopo l’ultima guerra. Tre anni dopo la guerra del 2014 la situazione è diventata più dura e misera. La Striscia di Gaza è ancora lontana dal pieno ricupero, e quello che è stato costruito è solo una goccia nell’oceano di rovine.”

Sondos ha una laurea in Letteratura inglese. E’ un’assistente sociale:

In quanto assistente sociale, ho visitato oltre 350 famiglie che sono state colpite dalla guerra e dalle sue conseguenze. Sono gravate da serie conseguenze psicologiche e sono costantemente offuscate dalla sensazione di una catastrofe impellente. In ogni casa che ho visitato c’è una storia straziante di povertà, disoccupazione, paura del futuro, di un’altra guerra israeliana.

Senza pressioni dall’estero su Israele, i gazawi continueranno a rivivere questo incubo nella loro prigione a cielo aperto. Non possono né ricostruire le loro case distrutte, né importare i beni di prima necessità, né avere accesso in modo regolare all’elettricità ed all’acqua potabile.

Ma Gaza continuerà ad aggrapparsi alla vita e non si lascerà prendere dalla disperazione. I nostri giovani continueranno a cercare un’educazione migliore e lavoreranno per ottenere i loro obiettivi, indipendentemente dai problemi. Continueranno a utilizzare la loro immaginazione per superare tutti gli ostacoli, come abbiamo fatto per molti anni. Coraggio e determinazione sono le nostre qualità più preziose.”

Ramzy Baroud è un editorialista, scrittore e fondatore di PalestineChronicle.com stimato a livello internazionale. Il suo ultimo libro è “Mio padre era un combattente per la libertà: la storia non raccontata di Gaza.”

Yousef Aljamal, scrittore e studente di dottorato di Gaza, ha contribuito a questo articolo.

(traduzione di Amedeo Rossi)




I palestinesi esortano i docenti universitari dell’Ue a porre fine alla collaborazione con i torturatori israeliani

Ali Abunimah, 

4 Settembre 2017, Electronic Intifada

Docenti universitari palestinesi stanno esortando i loro colleghi europei a porre fine alla loro collaborazione con un progetto dell’Unione Europea che finanzia i torturatori israeliani.

La Federazione Palestinese dei Sindacati dei Docenti ed Impiegati Universitari ed il PACBI, la campagna palestinese per il Boicottaggio accademico e culturale di Israele, stanno sollecitando l’università belga di Lovanio e l’istituto di ricerche portoghese INESC-ID ad uscire dal programma “LAW-TRAIN” finanziato dall’UE.

Invitano anche tre professori universitari inglesi indicati come supervisori – Claire Nee dell’università di Portsmouth, Jo Taylor e William Finn, entrambi dell’istituto di formazione della polizia – a porre fine al loro ruolo nel progetto.

LAW-TRAIN” ha avuto inizio nel maggio 2015 con lo scopo apparente di “armonizzare e condividere tecniche di interrogatorio tra i Paesi coinvolti per far fronte alle nuove sfide della criminalità transnazionale.”

E’ un progetto in comune con il ministero della Sicurezza Pubblica israeliano, la polizia e l’università israeliana di Bar-Ilan.

Ma in giugno esperti di diritto internazionale hanno affermato che “LAW-TRAIN” viola le norme UE e le leggi internazionali perché il ministero della Pubblica Sicurezza israeliano “è responsabile di, o complice in, torture, altri crimini contro l’umanità e crimini di guerra.”

Finanziare i crimini di guerra

I docenti universitari affermano che la polizia israeliana e l’università Bar-Ilan sono anche direttamente coinvolte in numerose violazioni, comprese esecuzioni extragiudiziarie, torture, crimini di guerra e collusione con la polizia segreta di Israele.

La collaborazione con queste istituzioni tramite “LAW-TRAIN” non solo non tiene conto dei diritti umani dei palestinesi,” aggiungono, “ma fornisce il via libera perché quei metodi di tortura proseguano, e, ancora peggio, li presenta come un esempio da seguire in Europa.”

Fonti ufficiali europee sostengono che “LAW TRAIN” ha superato un esame ed una valutazione etica, ma, secondo esperti di diritto, il procedimento è stato lacunoso ed ha ignorato normative chiave europee che vietano di finanziare individui o enti coinvolti in gravi comportamenti scorretti.

LAW-TRAIN” è finanziato in base a “Horizon 2020”, un programma dell’UE che fornisce milioni di dollari ai produttori di armi israeliani e a violatori dei diritti umani sotto forma di appoggio alla “ricerca”. Per esempio, “Horizon 2020” sta fornendo milioni di dollari alla “Elbit Systems”, un’industria israeliana che sta aiutando l’esercito israeliano ad aggirare un bando internazionale contro le bombe a grappolo.

All’inizio di quest’anno il commissario per la scienza dell’UE Carlos Moedas ha visitato Israele per festeggiare il ruolo di Israele in “Horizon 2020”.

Politica accondiscendente dell’Europa

La logica ufficiale dell’appoggio incondizionato dell’UE ad Israele sembra essere che, impegnandosi nel “dialogo” e rassicurando Israele, questo si senta sufficientemente sicuro da fare passi verso la “pace” e la mitica soluzione dei due Stati.

Ma l’accondiscendenza dell’UE ha avuto l’effetto esattamente opposto, incoraggiando semplicemente Israele a commettere più crimini. Nel 2014, per esempio, l’UE ha lanciato un “dialogo” inteso a convincere Israele a congelare la demolizione di case e strutture palestinesi nella Cisgiordania occupata. Secondo un’analisi, Israele ha risposto accelerando le demolizioni delle strutture finanziate dall’UE.

Negli ultimi anni Israele ha distrutto almeno il valore di 74 milioni di dollari di progetti finanziati dall’UE con totale impunità.

Lo scorso mese Israele ha demolito parecchie scuole e progetti finanziati dai contribuenti europei in Cisgiordania. La risposta dell’UE è stata un debole comunicato, seguito da altri favori ad Israele.

Ironicamente, una delle proteste formulate con parole più dure – anche se innocue – contro le demolizioni è venuta dal governo del Belgio, che è profondamente complice di “LAW-TRAIN”: molte autorità giudiziarie belghe sono coinvolte nel programma.

Ma il fallimento più spettacolare della politica accondiscendente dell’UE si è esplicitato nella forma della recente promessa del primo ministro Benjamin Netanyahu secondo cui Israele non smantellerà nessuna colonia dalla Cisgiordania occupata – distruggendo l’alibi persino del più ingenuo dei dirigenti dell’UE che Israele sia interessato a una soluzione dei due Stati.

Tutte le colonie israeliane sono illegali in base alle leggi internazionali, e persino l’UE afferma di opporvisi.

Ma non c’è da sorprendersi che Israele stia accelerando il suo furto e la sua colonizzazione della Cisgiordania: l’ambasciatore dell’UE a Tel Aviv lo scorso anno ha affermato pubblicamente che prodotti degli insediamenti israeliani sono i “benvenuti” sui mercati europei – anche se i principali gruppi per i diritti umani stanno chiedendo un divieto totale degli scambi commerciali con le colonie.

Ignari

Agendo come se fossero ignari, questa settimana i burocrati dell’UE hanno continuato a gratificare Israele con la visita di Elżbieta Bieńkowska, la commissaria “alle attività imprenditoriali” del blocco di 28 Paesi.

Il suo obiettivo è promuovere un’ulteriore “cooperazione” in campi quali scienza e tecnologia – spesso un nome in codice per sviluppo di armamenti e commercio di armi.

La visita di Bieńkowska è l’ultima di una sfilata di funzionari UE di alto livello a Tel Aviv che ha incluso il commissario alla scienza Moedas.

Un altro importane funzionario ha recentemente garantito l’appoggio dell’UE ai tentativi di Israele per mettere a tacere le critiche alle sue politiche, con il pretesto di lottare contro l’antisemitismo.

Funzionari dell’UE continuano anche a calunniare il movimento nonviolento per il Bboicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni con affermazioni che l’UE non può dimostrare, come l’asserzione secondo cui le attività del BDS hanno portato a un aumento degli episodi di antisemitismo.

Il chiaro e costante messaggio da Bruxelles a Tel Aviv è che l’UE non solo tollera i crimini di Israele, ma che li appoggia entusiasticamente.

E’ improbabile che ciò cambi finché i cittadini europei non rafforzeranno il messaggio che non consentiranno più che il loro danaro sia impropriamente utilizzato dai funzionari dell’UE e dalle istituzioni accademiche europee per appoggiare il regime israeliano di occupazione, colonialismo di insediamento e di apartheid.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Per Israele espellere i beduini è economicamente remunerativo

Jeff Halper 30 agosto 2017, Middle East Monitor

Quando si parla di occupazione, repressione, deportazione e controllo, si tende a guardare alle fonti più potenti ed evidenti della coercizione e dell’ingiustizia: eserciti, politiche governative, poliziesche e diplomatiche.

La decisione della pretura di Be’er Sheva che sei abitanti beduini del villaggio di Al-Araqeeb, nel Naqb/Negev, tutti cittadini israeliani, paghino circa 100.000 dollari allo Stato come indennizzo per le spese sostenute per la demolizione delle loro case dimostra l’efficacia di micro-meccanismi meno visibili per colpire questi obiettivi fondamentali. In questo caso dimostra in che modo la legge possa essere utilizzata come un’efficace arma di deportazione.

Quando la gente non può essere intimidita perché smetta di fare resistenza contro la demolizione delle proprie case, una popolazione povera come quella beduina può essere aggredita nel punto più vulnerabile: economicamente. Circa il 75% della popolazione beduina – 200.000 persone su un totale in tutto il Paese di circa 270.000– vive nel Naqab, rappresentando oltre il 30% della popolazione totale di quella regione. Circa il 65% di loro è stato finora confinato nelle sette township [termine che in Sudafrica indica le baraccopoli in cui vivono i neri, ndt.] che Israele ha costruito per loro, posti isolati carenti di infrastrutture e di posti di lavoro, da cui sono trasportati nelle comunità israeliane come lavoratori manuali. Tutte e sette sono tra le dieci località più povere di Israele. Un terzo dei loro residenti non ha accesso ai servizi elettrici ed idrici nazionali. Solo il 37% dei beduini in età lavorativa ha un’occupazione e il 90% di loro guadagna meno dello stipendio minimo. Il salario medio di un beduino maschio è di 1.200 dollari al mese, quello di una donna di 730 dollari.

Dal 2010 Al-Araqeeb è stato demolito dalle autorità e ricostruito dagli abitanti 116 volte, un caso veramente impressionante di resistenza popolare all’espulsione e allo sradicamento culturale. (Non avendo perso il loro acuto senso di amara ironia, le 500 persone di Al-Araqeeb hanno fatto domanda di essere incluse nel Guinness dei primati per aver superato il record nel numero di demolizioni). Cambiando tattica, lo Stato ha quindi deciso di perseguire ognuna delle famiglie beduine impoverite con ordini giudiziari per fargli pagare i costi della demolizione delle loro case.

Il Comitato Israeliano contro la Demolizione delle Case (ICAHD) stima che più di 130.000 case di palestinesi (compresi i beduini) sono state demolite in tutto il Paese dal 1948. Come nel caso di molte demolizioni di case, l’obiettivo sotteso è di occupare terra araba e confinare la popolazione araba in angoli e nicchie ristretti del Paese. Gli “arabo-israeliani” rappresentano il 20% della popolazione israeliana, ma sono confinati dalle leggi, dalle politiche del territorio e dai piani regolatori solo sul 3,5% della terra.

Quasi metà della popolazione beduina, 90.000 persone, vive in “villaggi non riconosciuti”, come Al-Araqeeb. Dato che storicamente i beduini non registravano la proprietà della terra, sicuramente non come singoli proprietari privati, è stato facile per Israele sostenere in tribunale che non hanno la proprietà giuridica e che le loro terre tradizionali vengano restituite allo Stato. Ciononostante i beduini hanno lottato per i loro diritti sulla terra per anni nei tribunali israeliani, e il risultato finale deve ancora essere definito. Ciò rende le demolizioni delle case di Al-Araqeeb se non illegali (dato che non possono ottenere dallo Stato i permessi edilizi necessari), quanto meno ingiustificate e fatte in malafede, soprattutto dato che il vero motivo dello Stato non è la regolarizzazione della terra a beneficio di tutti i suoi cittadini, ma di impossessarsi delle terre dei beduini per le colonie ebraiche e per ragioni militari. Allontanata dalle proprie terre e dalla vita nomade, la popolazione beduina è quindi trasferita nelle township per languirvi in povertà.

Obbligare i palestinesi a pagare per la demolizione delle proprie case è una prassi comune anche in altre parti del Paese, compresa Gerusalemme est. Una variante di ciò è l’imposizione di pesanti sanzioni pecuniarie a famiglie che costruiscono “illegalmente” (anche se, di nuovo, non c’è modo in cui gli arabi possano ottenere da qualche parte permessi edilizi al di fuori di enclave approvate che non includono la grande maggioranza delle abitazioni e fattorie arabe) – multe che raggiungono i 15-20.000 dollari. Dato che la maggioranza delle famiglie arabe vive al di sotto del livello di povertà, possono essere obbligate dai tribunali a demolire esse stesse le proprie case in cambio di una riduzione dell’ammenda. L’ICAHD stima che l’autodemolizione, anche se non è stata rilevata, rappresenti un ulteriore terzo delle demolizioni di case.

Benché i diritti umani dovrebbero essere messi in pratica all’interno di Israele come nei Territori Palestinesi Occupati (TPO), è molto più difficile che lo siano là, dato che i tribunali israeliani non riconoscono la loro applicazione all’interno di Israele o sentenziano (come nel caso di Al-Araqeeb) sulla base di tecnicismi giuridici, escludendo quindi considerazioni relative ai diritti umani. Nei TPO la situazione è diversa, e a Israele è stata contestata la violazione dei diritti umani – soprattutto della Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta le demolizioni di case.

Sfortunatamente gli attivisti per i diritti umani e l’ANP non sono riusciti a fare in modo che i tribunali internazionali si occupino di questi casi, come hanno l’obbligo di fare in base alla giurisdizione universale. Il sistema legale israeliano sostiene che le Leggi Umanitarie Internazionali (IHL) non si applicano ai TPO perché non c’è un’occupazione. (Israele sostiene che c’è un’occupazione solo quando uno Stato sovrano conquista il territorio di un altro Stato sovrano e che nessuno ha mai avuto sovranità sui TPO, una posizione non accettata da nessuno nella comunità giuridica internazionale, ma efficace nell’intralciare il lavoro giuridico e politico). I tribunali israeliani, quindi, nei TPO decidono solo sulla base delle leggi israeliane. Ciò è doppiamente illegale – rappresenta un’estensione di fatto delle leggi israeliane in un territorio occupato, in violazione delle IHL, e ignora le protezioni che le IHL garantiscono ai palestinesi che vivono sotto occupazione.

Le sei famiglie non hanno ancora deciso se presentare appello. Nel frattempo altre comunità beduine lottano per conservare le proprie terre e il proprio modo di vita – Umm Al-Hiran, le cui terre Israele vuole per un insediamento militare (non si pensi che tutte le colonie sono nei TPO) –rappresentando il bersaglio più immediato – mentre gli abitanti delle township stanno lottando semplicemente per sopravvivere nel sottoproletariato di Israele.

(traduzione di Amedeo Rossi)




La polemica su Shaked e sul sionismo

Nota redazionale: le dichiarazioni della ministra della Giustizia Ayelet Shaked hanno innescato una dura polemica sul giornale israeliano di centro-sinistra “Haaretz” tra le posizioni espresse dallo storico israeliano Daniel Blatman, da Gideon Levy, una delle firme più note del quotidiano, e dalla sua collega Ravit Hecht.

Riteniamo interessante per il lettore riportare lo scambio di opinioni tra gli editorialisti non solo per la questione specifica del giudizio sulle esternazioni di Shaked, quanto soprattutto perché evidenziano una visione radicalmente diversa del sionismo e della sua natura, sintetizzata in questi articoli di fondo e rappresentativa della divisione all’interno della sinistra israeliana. Blatman ritiene che la visione di Shaked rappresenti una novità nel campo sionista, Levy che si tratti di una manifestazione esplicita di quello che il sionismo è sempre stato come ideologia razzista basata su criteri etnico-religiosi, Hecht invece ritiene che si tratti di una sua degenerazione ideologica e politica propugnata dall’estrema destra israeliana. Infine Levy ribadisce la sua opinione, sostenendo che tra le posizioni di Hecht e di Shaked c’è una differenza di forma ma non di sostanza.

  1. Il nuovo sionismo nazionalista

La visione del mondo della ministra della Giustizia Shaked ricorda la xenofobia razzista degli Stati del sud degli USA dagli anni ’30 in poi

 Daniel Blatman, 1 settembre 2017 , Haaretz

La ministra della Giustizia Ayelet Shaked si pone sempre più come leader del nuovo sionismo. Ciò non è solo la conseguenza della rivoluzione costituzionale che sta conducendo, cercando di cambiare l’immagine della Corte Suprema, o della serie di proposte di legge che sta promuovendo, compresa la legge sullo Stato-Nazione. Queste sono solo manifestazioni concrete di una coerente e consolidata visione del mondo, incentrata sull’attuazione di una trasformazione ad ampio raggio delle fondamenta ideologiche su cui è stato fondato lo Stato di Israele.

Il sionismo di Shaked non è solo un’ulteriore variazione ebraica dell’idea liberale nazionalista europea della seconda metà del XX secolo, della scuola di Theodor Herzl, Chaim Weizmann, Ze’ev Jabotinsky ed altri. Il nuovo sionismo di Shaked è una sintesi rivoluzionaria dell’etica colonialista del movimento laburista e delle componenti ebree etnocentriche-razziste, che insieme portarono ad un’importante revisione delle definizioni fondamentali dello Stato ebraico. Shaked sta essenzialmente cercando di sostituire l’idea sionista – la quale, al di là delle dispute che si sono create tra le sue varie componenti, era incentrata sulla sovranità ebraica come necessità esistenziale di un popolo perseguitato – con una basilare consapevolezza che definisce lo Stato di Israele come uno Stato uni-etnico, che attuerà la visione ebraica antiliberale del colonialismo. Le sue dichiarazioni di questa settimana alla conferenza dell’ordine degli avvocati israeliani [Israel Bar Association] a Tel Aviv sono state un’altra tappa della messa a punto di questa ideologia.

Shaked ha già pubblicato recentemente i principi della sua visione del mondo in un articolo della rivista “Hashiloach”, e questo è anche il concetto centrale della proposta di legge sullo Stato-Nazione che sta promuovendo.

Lo Stato ebraico perciò è lo Stato del popolo ebreo. E’ diritto naturale del popolo ebreo vivere come ogni altra nazione,” scrive. “Uno Stato ebraico è uno Stato la cui storia è intrecciata e intessuta nella storia del popolo ebreo, la cui lingua è l’ebraico e le cui principali festività rappresentano la sua rinascita nazionale. Uno Stato ebraico è uno Stato per il quale l’insediamento di ebrei nei suoi campi, città e villaggi è una preoccupazione di primaria importanza. Uno Stato ebraico è uno Stato che favorisce la cultura ebraica, l’educazione ebraica e l’amore per il popolo ebreo. Uno Stato ebraico è la realizzazione di generazioni di aspirazioni per il riscatto ebreo. Uno Stato ebraico è uno Stato i cui valori derivano dalla sua tradizione religiosa, in cui la bibbia è il libro fondamentale ed i profeti di Israele il fondamento morale. Uno Stato ebraico è uno Stato in cui la legge ebraica riveste un ruolo importante. Uno Stato ebraico è uno Stato per il quale i valori della Torah di Israele, i valori della tradizione ebraica ed i valori della legge ebraica sono tra i suoi valori fondamentali.”

Nonostante Shaked si sforzi di presentare la sua visione del mondo come fondata sui principi classici neoconservatori e tenda ad usare citazioni di Milton Friedman [economista e teorico ultraliberista, ndt.], la sua visione del mondo proviene da zone molto più oscure. Più che il conservatorismo americano della fine del XX secolo, la sua visione del mondo ricorda la xenofobia razzista del sud degli Stati Uniti dagli anni ’30 in poi, e la destra razzista ostile all’immigrazione, che prospera oggi nei Paesi creati dal colonialismo europeo. La sua dichiarazione secondo cui “il sionismo non deve continuare, e non continuerà, a chinare la testa di fronte ad un sistema di diritti individuali interpretati in termini universalistici”, lo testimonia chiaramente.

Negli anni ’30, quelli della grande depressione e della nascita dei regimi totalitari in Europa, l’idea universalistica di diritti individuali affrontò una grave crisi negli Stati Uniti. Il rischio di guerra e di tensioni interrazziali creò difficoltà per gli attivisti dei diritti umani, soprattutto visti gli appelli a ridefinire l’essenza dell’ “americanismo” e lo status delle minoranze del Paese, definito attraverso la razza, il colore della pelle, la religione o la provenienza etnica. L’attacco ai diritti di queste minoranze si intensificò anche a causa della crescente popolarità del fascismo europeo, che propugnava la definizione di Stato come una comunità selettiva e collettiva, che escludeva chiunque non appartenesse alla collettività. Questo valeva specialmente negli Stati del sud dell’America e si manifestava attraverso le leggi a favore della segregazione razziale della regione.

La visione di Shaked dello Stato ebraico è parallela a ciò che i sudisti negli anni ’30 chiamavano “preservare lo stile di vita americano”. Per preservare questo concetto, non solo si potevano emanare leggi che lo sostenessero e lo difendessero dal doversi inchinare ai diritti umani; si poteva anche difenderlo con la violenza. Centinaia di casi di linciaggi e violenze contro i neri sono la prova più lampante di quanto fossero profondamente radicate queste concezioni. Israele non è così distante da fenomeni simili di violenza aggressiva non statale, per esempio contro i richiedenti asilo o contro i palestinesi. Ma ciò che caratterizzava in ultima istanza il sud americano era il suo sistema legale di segregazione razziale unico. A questo punta Shaked.

Tuttavia bisogna ricordare che la separazione geografica non è mai stata il principale obiettivo dei bianchi nel sud americano. Certamente essi accettavano la realtà, forse anche la necessità, che i bianchi e i neri vivessero gli uni accanto agli altri, interagendo tra loro e mantenendo relazioni basate su interessi economici o esigenze occupazionali. Tutto era soggetto ai dettami della gerarchia razziale, o ciò che un ricercatore ha definito “l’era del capitalismo razzista.”

A questo conduce la visione sionista di Shaked. Invece della supremazia bianca, avremo la supremazia ebraica, insieme ad una visione etnocentrica-razzista che consentirà alcune prassi economiche vitali. Dopotutto, lo Stato ebraico di Shaked non intende separarsi dai palestinesi e certamente non vuole renderli cittadini. Proprio come nel sud americano la segregazione e la discriminazione politica contro i neri ha creato un ordine sociale e politico brutale e razzista, così sarà nel nuovo Stato nazional-sionista di Shaked, che non accetterà di inchinarsi alle definizioni universali dei diritti individuali e continuerà ad opprimere brutalmente le minoranze, la cui unica difesa contro la tirannia ideologica che lei propugna sono proprio quelle definizioni universali.

All’interno di questa visione dobbiamo inserire anche la paura dei rifugiati e il desiderio di espellerli dal Paese ad ogni costo. L’atteggiamento razzista nei loro confronti è un fenomeno familiare nelle società con un passato ed una tradizione coloniali, di cui Israele fa parte. Dietro all’approccio che considera i rifugiati una minaccia c’è la necessità di preservare la superiorità etnica della maggioranza coloniale, la cui presa sul territorio in cui vive non ha ancora superato l’esame della legittimazione storica a lungo termine. Ecco perché la necessità di controllare rigidamente le frontiere – quelle territoriali, ma soprattutto quelle etniche e razziali – è così cruciale. I migranti e i rifugiati spezzano questi confini; sono diversi per colore, per religione e stile di vita e quindi non solo recano danno all’egemonia etnica, ma potrebbero anche annacquare le caratteristiche umane della maggioranza della società e trasformarla in un’entità etnica e culturale differente da quella originaria.

Si tratta di un concetto nuovo dello Stato di Israele. Il concetto di Shaked di superiorità etnica ebrea poggia non solo su un’ideologia rigidamente chiusa, ma sulle politiche della paura. L’arena politica israeliana è oggi controllata da partiti che propugnano una politica della paura e Shaked vi ricopre un ruolo importante. Il messaggio principale di questa politica della paura è la necessità di mantenere l’identità ebraica dello Stato contro il mondo minaccioso che potrebbe sopraffarla ed eliminarla. Le componenti arabe, islamiche ed africane che circondano lo Stato ebraico da ogni lato potrebbero spazzarla via se essa non si rafforzerà per impedire una simile tremenda invasione.

Proprio come l’estrema destra in Australia o negli Stati Uniti cerca di erigere un muro di leggi, supportato da una potente flotta o da veri e propri muri lungo i confini a protezione della patria (quella coloniale, ricordiamoci) da ogni parte dalle infiltrazioni dal Messico o dall’Afghanistan, allo stesso modo Shaked ed i suoi colleghi stanno promuovendo una legislazione supportata da barriere, checkpoint e da un potente esercito che blinda i confini israeliani dalle orde minacciose delle masse nere. Questa combinazione di superiorità etnico-razziale, legislazione apposita e castrazione del sistema giudiziario in modo che non possa proteggere ciò che Shaked disprezza tanto – le definizioni universalistiche dei diritti universali – sta dando luogo al nuovo nazional-sionismo, il successore del sionismo storico.

Il professor Blatman è uno storico dell’università ebraica di Gerusalemme.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

  1. La ministra israeliana della verità

    La ministra israeliana della Giustizia ha detto chiara e forte la verità: il sionismo si contrappone ai diritti umani, e quindi è proprio un movimento ultranazionalista, colonialista e forse razzista

 Gideon Levy, 1 settembre 2017,Haaretz

Grazie, Ayelet Shaked, per aver detto la verità. Grazie per aver parlato onestamente. La ministra della Giustizia ha dimostrato ancora una volta che l’estrema destra israeliana è meglio degli impostori del centrosinistra: parla con sincerità.

Se nel 1975 Chaim Herzog [all’epoca ambasciatore israeliano all’ONU, ndt.] stracciò platealmente una copia della Risoluzione 3379 dell’Assemblea Generale dell’ONU che metteva sullo stesso piano sionismo e razzismo, la ministra della Giustizia ha ora ammesso la veridicità di quella risoluzione (che venne in seguito revocata). Shaked ha detto, forte e chiaro: il sionismo è in contrasto con i diritti umani e quindi è in realtà un movimento ultranazionalista, colonialista e forse anche razzista, come i fautori della giustizia sostengono in tutto il mondo.

Shaked predilige il sionismo rispetto ai diritti umani, la suprema giustizia universale. Crede che noi abbiamo un diverso tipo di giustizia, superiore a quella universale. Il sionismo al di sopra di tutto. E’ già stato detto prima, in altre lingue e da altri movimenti nazionalisti.

Se Shaked non avesse contrapposto tra loro questi due principi, avremmo continuato a credere ciò che ci è stato inculcato fin dall’infanzia: il sionismo è un movimento giusto e moralmente ineccepibile. Santifica l’uguaglianza e la giustizia: basta vedere la nostra dichiarazione d’indipendenza. Abbiamo imparato a memoria: “l’unica democrazia del Medio Oriente”, “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, “tutti sono uguali nello Stato ebraico”; abbiamo appreso della giustizia della Corte Suprema araba e del ministro del governo druso. Che cosa possiamo volere di più? E’ tutto così giusto, così equo, potremmo esclamare.

Se tutto ciò fosse vero, Shaked non avrebbe motivo di ergersi a difesa del sionismo nei confronti dei diritti umani. Per lei e per la destra, la discussione sui diritti umani e civili è antisionista, addirittura antisemita. Mira a indebolire e a distruggere lo Stato ebraico.

Quindi Shaked crede, come tanti in tutto il mondo, che Israele sia edificato su fondamenta di ingiustizia e che perciò debba essere difeso dal discorso ostile sulla giustizia. In quale altro modo si potrebbe spiegare il rifiuto di discutere sui diritti? I diritti individuali sono importanti, lei dice, ma non quando sono slegati dall’ “impresa sionista”. E nuovamente: l’impresa sionista è in realtà in contraddizione con i diritti umani.

Quali sono oggi le sfide sioniste? “Giudaizzare” il Negev e la Galilea, eliminare gli “infiltrati”, coltivare il carattere ebraico di Israele e preservare la sua maggioranza ebraica. L’occupazione, le colonie, il culto della sicurezza, l’esercito – che è essenzialmente un esercito d’occupazione – questo è il sionismo nel 2017 circa. Tutti i suoi elementi sono il contrario della giustizia. Dopo che ci è stato detto che sionismo e giustizia sono fratelli gemelli, che nessun movimento nazionale è più giusto del sionismo, arriva Shaked e dice: è proprio il contrario. Il sionismo non è giusto, è contrario alla giustizia, ma noi dobbiamo stringerci ad esso e preferirlo alla giustizia, perché è la nostra identità, la nostra storia e la nostra missione nazionale. Nessun militante del movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni potrebbe dirlo più nettamente. Ma nessuna Nazione ha il diritto di rifiutare i principi universali e di inventarsi i propri principi, che chiamano giorno la notte, definiscono l’occupazione giusta e la discriminazione uguaglianza.

Il sionismo è la religione fondamentalista di Israele e, come in ogni religione, è proibito negarla. In Israele, “non sionista” o “antisionista” non sono insulti, sono ordini sociali di espulsione. Non c’è niente del genere in nessuna società libera. Ma adesso che Shaked ha messo a nudo il sionismo, ha messo la mano sul fuoco ed ha ammesso la verità, possiamo finalmente pensare al sionismo in modo più libero. Possiamo ammettere che il diritto degli ebrei ad uno Stato è in contraddizione con il diritto dei palestinesi alla propria terra, e che il sionismo di destra ha dato origine ad un terribile errore nazionale che non è mai stato sanato; che ci sono modi per risolvere e riparare a questa contraddizione, ma gli israeliani sionisti non saranno d’accordo.

Adesso quindi è tempo per una nuova divisione, più coraggiosa e più onesta, tra gli israeliani che sono d’accordo con le affermazioni di Shaked e quelli che non lo sono. Tra i sostenitori del sionismo ed i sostenitori della giustizia. Tra i sionisti ed i giusti. Shaked non ha contemplato una terza opzione.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

Quando Gideon Levy si è innamorato di Ayelet Shaked

Il mio collega Gideon Levy preferisce gli estremisti di destra alla sinistra perché dicono la verità; cioè, esprimono sinceramente opinioni pericolose ma popolari tra la gente

 Ravit Hecht – 1 settembre 2017, Haaretz

 

Nel suo pezzo di ieri [in realtà del 1 settembre, ndt.], Gideon Levy ha ringraziato la ministra della Giustizia Ayelet Shaked per aver detto la verità; Shaked ha detto che il sionismo non si inchinerà più alla Corte Suprema. La ministra sta quindi continuando con la sua campagna di provocazione contro la Corte, una campagna che sta prosperando in tutta la destra.

Dal testo di Levy emana un aroma di amore vero per la sua onesta ed audace principessa. Il suo editoriale trasmette un messaggio di ammirazione tra  radicali che dicono le cose come stanno nella loro corsa a fare danni.

E danni sono stati fatti. Che rivoluzione. Apocalypse now. La corte aggressivamente intimidita, e presto i media saranno finalmente addomesticati e messi a tacere. Il razzismo sta avendo un’impennata con l’incoraggiamento dei dirigenti e la corruzione dilaga, senza bisogno di travestirsi, per la semplice ragione che nessuno se ne vergogna più.

Tutto ciò si aggiunge alla calamità dell’occupazione – effettivamente una grande calamità –, che è l’unica cosa che Levy vede. Per quanto lo riguarda, senza risolvere questo disastro, ogni altra cosa potrebbe essere e sarà distrutta. Ciò include, per esempio, il suo diritto fondamentale di dire la sua opinione su Israele, o semplicemente di vivere qui senza essere spedito in un campo di rieducazione se rifiuta di giurare fedeltà al capo della coalizione David Bitan [della destra del Likud, ndt.].

Il danno dell’alleanza di Levy con gente come Shaked è la sua opinione secondo cui quello che Shaked, il ministro del Turismo Yariv Levin e quelli come loro stanno proponendo è il sionismo. Non lo è. E’ una sadica distorsione che interpreta la giustificata difesa degli ebrei attraverso la fondazione di una patria come una selvaggia aggressione verso l’esterno (contro i palestinesi) e verso l’interno (contro chi critica il governo). Chaim Herzog [all’epoca dell’episodio citato ambasciatore di Israele all’ONU, ndt.] aveva ragione a stracciare la risoluzione ONU che sosteneva che il sionismo era una forma di razzismo, perché il sionismo è stato una risposta al razzismo, alla persecuzione degli ebrei ovunque nel mondo e alla reale minaccia alla loro esistenza.

Senza sminuire la tragedia del popolo palestinese nel 1948, senza discolpare il partito Mapai, il predecessore del partito Laburista, per i suoi errori storici, e senza nulla togliere al ruolo del Likud nel fomentare le colonie e nell’accentuare la divisione tra israeliani, la disastrosa destra che è cresciuta negli ultimi anni è una questione completamente diversa. Non è un’evoluzione inevitabile del sionismo o una sua veritiera manifestazione, come sostiene Levy, ma un’espressione di pulsioni malefiche e pericolose – parte di un contesto globale avvelenato – che dirigenti normali ed accettabili hanno l’obbligo di frenare.

Levy preferisce la leadership di Shaked, di Miki Zohar [dirigente della destra del Likud, ndt.] e di Bezalel Smotrich [del partito di estrema destra “Casa ebraica”, ndt.] ai dirigenti del Likud liberali, sicuramente agli abominevoli dirigenti del Mapai, perché essi dicono la verità; cioè, esprimono sinceramente sentimenti popolari tra la gente. Non per fare un paragone diretto, ma anche Hitler diceva la verità, esprimendo i desideri segreti di molti, tedeschi e non solo. Né si faceva molti scrupoli nel metterli in pratica. Nei testi di storia era meglio lui dei dirigenti del suo tempo che dimostravano moderazione?

E’difficile ignorare il tango perfetto danzato da Shaked e Levy. Lei vuole un Israele più grande come parte della fantasia di una dominazione ebraica sancita dalla Bibbia, e lui vuole uno Stato binazionale come parte di un’esotica incursione nel campo del radicalismo selvaggio. Lei vede gli ebrei come una razza dominatrice con privilegi e gli arabi come una spina nel nostro fianco, mentre lui vede gli ebrei come i cattivi e gli arabi come carini Tamagogi senza responsabilità storiche per la loro difficile situazione.

Adesso quindi è tempo per una nuova divisione, più coraggiosa e più onesta, tra gli israeliani che concordano con le affermazioni di Shaked, e quelli che discordano. Tra i sostenitori del sionismo ed i sostenitori della giustizia. Tra i sionisti ed i giusti. Shaked non ha contemplato una terza opzione,” sintetizza Levy .

Ci sono ancora alcuni fautori della giustizia in Israele che credono nel principio fondamentale del sionismo del diritto degli ebrei ad avere una patria in Israele e al contempo aborrono nel profondo l’affermazione di Shaked. Né lei né Gideon Levy li faranno scomparire.

(traduzione di Amedeo Rossi)

Il tango sionista

Perché l’onesto razzismo del ministro della Giustizia Ayelet Shaked è preferibile alle false opinioni della sinistra israeliana.

 Gideon Levy – 3 settembre 2017, Haaretz

Ravit Hecht , nel suo editoriale “Quando Gideon Levy si è innamorato di Ayelet Shaked”, mi attribuisce un “aroma di amore vero” per la mia “onesta ed audace principessa”, la ministra della Giustizia Shaked. Hecht sa che i miei gusti in fatto di donne sono leggermente diversi, e che, nonostante quello che lei scrive, non so ballare il tango. Ma il mio apprezzamento per Shaked e per gente come lei è che non deludono: riconoscono apertamente il loro nazionalismo ed il loro razzismo. 

Non nascondono le loro opinioni secondo cui i palestinesi sono un popolo inferiore, abitanti indigeni che non si guadagneranno mai i diritti che gli ebrei hanno sulla terra di Israele-Palestina; che nessuno Stato palestinese vi sarà mai fondato; che Israele alla fine si annetterà tutti i territori occupati, come ha già fatto nella pratica; che gli ebrei sono il popolo eletto; che il sionismo è in contraddizione con i diritti umani ed è superiore a essi; che la spoliazione è redenzione; che i diritti biblici di proprietà sono eterni; che non esiste un popolo palestinese e non vi è un’occupazione; che l’attuale situazione durerà  per sempre.

Molte di queste opinioni sono diffuse anche tra la sinistra sionista, il campo ideologico di Hecht. L’unica differenza è che la sinistra sionista non le ha mai ammesse. Sviluppa le proprie opinioni nella luccicante carta da regalo dei colloqui di pace, della separazione e nel vuoto discorso dei due Stati, parole che non ha realmente inteso dire e che ha fatto ben poco per realizzare.

Questa è la ragione per cui preferisco Shaked. Con lei, quello che vedi è quello che hai – razzismo. Nelle sue azioni e nei suoi fatti, la sinistra sionista ha fatto di tutto per mettere in pratica le opinioni di Shaked, solo con parole ben educate e senza ammetterlo. La sinistra sionista è in imbarazzo per le cose di cui Shaked e i suoi colleghi non si vergognano. Ciò non rende la sinistra più morale o giusta. Nelle sue azioni è semplicemente stata quasi come Shaked.

L’occupazione non è stata meno crudele sotto i governi della sinistra israeliana, che è stata il padre fondatore dell’impresa di colonizzazione. Questi prìncipi della pace, Shimon Peres e Yitzhak Rabin, hanno fondato più colonie di Shaked e provocato la morte di più arabi. La sinistra ha entusiasticamente difeso ogni operazione militare che Israele ha condotto e ogni azione brutale commessa dall’esercito israeliano. Non è semplicemente rimasta in silenzio di fronte a queste azioni, le ha appoggiate. Sempre.

Le operazioni “Piombo fuso “ e “Margine protettivo” contro Gaza (nel 2008-09 e nel 2014, rispettivamente) hanno implicato migliaia di morti senza senso, e la maggioranza della sinistra sionista le ha appoggiate. La maggioranza di quelli di sinistra ha appoggiato l’assedio di Gaza, le esecuzioni ai posti di blocco, i rapimenti notturni, le detenzioni amministrative, gli abusi, la spoliazione e l’oppressione – durante questi fatti la sinistra è rimasta totalmente silenziosa.

Ma la verità è che non si tratta di Shaked e non si tratta della sinistra. E’ il sionismo. Danni sono stati fatti, come ha scritto la stessa Hecht. Ma invece di cercare di riparare le fondamenta instabili, tutto Israele – e non solo la destra – ha fatto il possibile per indebolirle ancor di più.

Sì, questo riguarda la guerra d’indipendenza del 1948 [definizione israeliana della guerra contro i palestinesi ed i Paesi arabi da cui è nato Israele, ndt.], di cui bisogna discutere anche se è imbarazzante. Lo spirito del 1948 non ha mai smesso di soffiare qui e, a questo proposito, Shaked e Hecht sono dalla stessa parte. Secondo il loro punto di vista c’è solo un popolo qui che deve essere preso in considerazione, solo una vittima, e ha il diritto di fare tutto il danno che vuole all’altro popolo. Questa è l’evoluzione sostanziale del sionismo.

Ciò avrebbe potuto e dovuto essere modificato, senza venir meno al diritto degli ebrei ad avere uno Stato. Ma la sinistra sionista non lo ha mai fatto. Non ha mai riconosciuto la Nakba [l’espulsione dei palestinesi nel 1947-48 dal territorio che sarebbe diventato Israele, ndt.] patita dai palestinesi, e non ha mai fatto niente per espiare i propri crimini. Ciò non è mai avvenuto perché la sinistra sionista crede esattamente in quello in cui crede Shaked.

E’ vero, ci sono molte altri problemi per cui la destra provoca disastri nazionali che la sinistra non avrebbe mai creato. Ma dall’altra parte della frontiera vive un popolo che negli ultimi 50 anni – in realtà negli ultimi 100 – ha sofferto ed è stato oppresso. Non passa un giorno senza che crimini orrendi vengano commessi contro di lui. Non possiamo dire: “Abbiate pazienza. Al momento siamo impegnati con lo status della Corte Suprema.”

E sul problema veramente fondamentale che oscura tutti gli altri, Shaked e Hecht stanno danzando un tango perfetto insieme, con un aroma di vero amore che emana da entrambe – un tango sionista.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Il ministro della Giustizia critica l’Alta Corte israeliana, dice che ignora il sionismo e la difesa della maggioranza ebraica

Revital Hovel

29 agosto 2017, Haaretz

Ayelet Shaked sostiene che il sistema giuridico israeliano assegna un’importanza eccessiva ai diritti individuali, definendo la legge sullo Stato-Nazione una “rivoluzione morale e politica”.

Martedì il ministro della Giustizia Ayelet Shaked ha criticato la Corte Suprema, affermando che il sistema giudiziario non prende sufficientemente in considerazione il sionismo e la maggioranza ebraica del Paese.

Parlando durante una conferenza dell’ordine degli avvocati israeliani a Tel Aviv, Shaked ha detto che il sionismo e “le sfide nazionali sono diventati una zona d’ombra legale” che non hanno un peso determinante rispetto alle questioni dei diritti individuali. Ha aggiunto che le decisioni della corte non prendono in considerazione la questione demografica e che la maggioranza ebraica “ha un valore che dovrebbe essere tenuto in conto.”

Le osservazioni di Shaked sono arrivate il giorno dopo che la Corte Suprema, nelle vesti di Alta Corte di Giustizia, ha deciso che i richiedenti asilo possono essere deportati in Rwanda e in Uganda, ma non possono essere incarcerati per più di due mesi se rifiutano di andarsene.

Il sionismo non può continuare, e lo affermo in questa sede, non continuerà ad inchinarsi al sistema dei diritti individuali interpretati in un modo universalistico che li separa dalla storia della Knesset [il parlamento israeliano. Ndt.] e dalla storia della legislazione che tutti noi conosciamo,“ ha detto Shaked al suo pubblico, che includeva il procuratore generale Avichai Mendelblit, la presidentessa della Corte Suprema Miriam Maor, il procuratore di Stato Shai Nitzan e l’avvocato generale militare, generale Sharon Afek.

Il discorso di Shaked è stato momentaneamente interrotto quando alcuni avvocati tra il pubblico hanno urlato che quello israeliano è uno Stato dell’apartheid.

Il ministro ha detto anche che la legge sullo Stato-Nazione presentata ora dal governo sarà una “rivoluzione morale e politica”. La controversa legge sostiene che Israele è “la patria del popolo ebraico” e che il diritto a realizzare l’autodeterminazione nello Stato è solo suo [del popolo ebraico].

Shaked ha detto che le sentenze della corte riflettono un atteggiamento secondo il quale “la questione della maggioranza ebraica non è comunque rilevante.” Riguardo alla decisione dell’Alta Corte ha aggiunto: “Non è importante quando stiamo parlando di infiltrati dall’Africa che si sono stabiliti nel sud di Tel Aviv ed hanno formato una città nella città, espellendo gli abitanti dai quartieri e la risposta del sistema giudiziario in Israele è di bocciare in continuazione la legge che intende affrontare la questione.”

Riguardo alla maggioranza ebraica, Shaked ha anche citato l’aumento della popolazione ebraica in Galilea.

Shaked ha detto di considerare importante il sistema dei diritti individuali ma “non quando è slegato dal contesto, dai nostri compiti nazionali, dalla nostra identità, dalla nostra storia, dalle nostre sfide sioniste.”

Ha aggiunto che “a partire dalla rivoluzione dei diritti abbiamo smesso di vedere noi stessi come una comunità.”

Riguardo alla legge sullo Stato-Nazione, Shaked ha detto che quelli che vi si oppongono “credono che una Legge fondamentale che dia la preminenza ai nostri valori nazionali e sionisti ci renderà meno democratici. Io, al contrario, vedo i diritti individuali che la Knesset ha riconosciuto come una verità assoluta, così come anche i nostri valori nazionali e sionisti.”

Ha aggiunto: “Solo una rivoluzione morale e politica, sulla linea di quella che abbiamo sperimentato negli anni ’90, che riconfermerà i principali risultati del sionismo fin dalla sua concezione, cambierà questa tendenza problematica.” Il ministro ha affermato che questa tendenza ha portato ad una “interpretazione giuridica che ha trasformato la nostra unicità nazionale in un simbolo e un vascello vuoti.”

Rispondendo alle affermazioni di Shaked, il leader dell’opposizione nella Knesset, il parlamentare dell’ “Unione sionista” Isaac Herzog ha detto: “Di fronte ad un governo che sta ignorando gli orfani, i disabili, gli stranieri e le vedove, abbiamo bisogno di un forte sistema giudiziario che non si mostri di parte. I partiti della coalizione [di governo] dovrebbero togliersi dalla testa la rivoluzione di Shaked, per il bene del popolo nel suo complesso.”

La dirigente della corrente “Hatnuah” dell’ “Unione sionista”, Tzipi Livni, ha detto: “Il sionismo non si sta inchinando ai diritti umani. Sta tenendo orgogliosamente la testa alta, perché la protezione (dei diritti umani) è anche l’essenza dell’ebraismo e parte dei valori di Israele in quanto Stato ebraico e democratico.”

In risposta alla decisione di lunedì sui richiedenti asilo, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro dell’Interno Arye Dery, insieme a Shaked, hanno chiesto norme che consentano la deportazione dei richiedenti asilo contro la loro volontà. Il ministro della Sicurezza Pubblica Gilad Erdan ha criticato la sentenza della Corte Suprema, affermando che rende nulla la sua decisione, quando era ministro dell’Interno, “di mettere in pratica la politica di espulsione verso un Paese terzo e priva lo Stato di un efficace strumento per espellere infiltrati.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 15 -28 agosto 2017 (due settimane)

Il 19 agosto, al checkpoint di Za’tara (Nablus), dopo una tentata aggressione con coltello, le forze israeliane hanno sparato e ferito un ragazzo palestinese di 17 anni. Per le ferite riportate il ragazzo è morto un’ora dopo, durante il trasporto in ospedale;

il suo corpo è ancora trattenuto dalle autorità israeliane. Da parte israeliana non è stato segnalato alcun ferito. Sale a tredici, dall’inizio del 2017, il numero di minori palestinesi uccisi dalle forze israeliane in attacchi, presunti attacchi e scontri.

Nei Territori occupati, in scontri con le forze israeliane, sono stati feriti 60 palestinesi, di cui 12 minori. La maggior parte degli scontri sono scoppiati durante proteste ed operazioni di ricerca-arresto. Sei dei feriti, di cui tre minori, sono stati registrati in scontri vicino alla recinzione perimetrale di Gaza; i rimanenti (54) sono stati contati in Cisgiordania, prevalentemente nel villaggio di Kobar (Ramallah), durante una demolizione punitiva, e a Kafr Qaddum (Qalqiliya), nel corso della dimostrazione settimanale. Inoltre, durante le due settimane, sono state registrate 180 operazioni di ricerca-arresto: 221 i palestinesi arrestati, il 31% nel governatorato di Hebron.

Il 16 agosto, a Kobar (Ramallah), le forze israeliane hanno demolito “per punizione” la casa di famiglia del palestinese responsabile dell’aggressione del 21 luglio 2017, avvenuta nell’insediamento colonico di Halamish, durante la quale furono uccisi tre israeliani; nove persone, tra cui tre minori, sono stati sfollati. Durante l’operazione un appartamento dello stesso edificio è stato danneggiato e 24 palestinesi, tra cui due minori, sono stati feriti dalle forze israeliane in scontri connessi alla demolizione. Dall’inizio del 2017, per “motivi punitivi”, le autorità israeliane hanno demolito o sigillato sei case, sfollando un totale di 33 persone.

Il 21 e 22 agosto, nei governatorati di Betlemme e Gerusalemme, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato sette strutture, fornite a due comunità palestinesi come assistenza umanitaria. Si tratta di sei roulotte, utilizzate come aule da una scuola elementare frequentata da 60 bambini della comunità pastorale di Jubbet adh Dib (Bethlehem), e di un’altra struttura utilizzata come asilo nido nella comunità beduina Jabal al Baba, nell’area C del governatorato di Gerusalemme; in questo caso sono state colpite 28 persone, di cui 25 bambini. Quest’ultima è una delle 46 comunità beduine della Cisgiordania centrale ad alto rischio di trasferimento forzato.

In Cisgiordania, durante il periodo cui si riferisce questo Rapporto, per mancanza di permessi di costruzione israeliani (quasi impossibili da ottenere), altre nove strutture palestinesi sono state demolite o confiscate. Di conseguenza, otto persone sono state sfollate, tra cui sei minori, e altre 34 sono state diversamente colpite. Inoltre, a Ya’bad (Jenin), in Zona B [= territorio sotto controllo civile palestinese e controllo per la sicurezza israeliano; costituisce il 21,8% della Cisgiordania e ci vive il 41% della popolazione palestinese; la zona B è un arcipelago di piccole aree non contigue, circondate dalla zona C, a totale controllo israeliano], le autorità israeliane, adducendo la violazione di normative ambientali, hanno confiscato circa 20 tonnellate di legname, proprietà di tre fabbriche di carbone; sono stati colpiti i mezzi di sostentamento di due famiglie.

A Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno dodici occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, interrompendo l’accesso ai mezzi di sostentamento di agricoltori e pescatori palestinesi; non sono stati segnalati feriti. Per due volte le forze israeliane hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo all’interno di Gaza, lungo la recinzione perimetrale. In un altro contesto, al valico di Erez, un palestinese è stato arrestato dalle forze israeliane.

Media israeliani hanno segnalato che in Cisgiordania vi sono stati tre casi di lancio di pietre contro veicoli israeliani e un caso di lancio di bottiglia incendiaria, con danneggiamento di almeno due veicoli.

Nella città di Hebron, nella zona (H2) controllata da Israele, in tre distinti episodi, coloni israeliani hanno attaccato tre case palestinesi, intimidendo i residenti e causando danni alle proprietà. Una delle case in questione era stata occupata da coloni israeliani il 25 luglio, in violazione di un ordine israeliano che dichiara quella parte dell’edificio “zona militare chiusa”. I coloni israeliani hanno aggredito cinque membri della famiglia, tra cui due donne; non ci sono stati feriti.

Dopo due giorni di apertura straordinaria, il 29 agosto le autorità egiziane hanno chiuso il valico di Rafah fino a nuovo ordine. Il valico era stato aperto, tra il 14 e il 17 agosto, per consentire l’uscita di pellegrini palestinesi in viaggio verso La Mecca, e un’altra volta, tra il 27 e il 28 agosto, per il transito di casi urgenti. Tranne sporadiche eccezioni, il valico di Rafah è rimasto chiuso dal 24 ottobre 2014.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

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