30.000 israeliane e palestinesi partecipano alla marcia di “Women Wage Peace” a Gerusalemme

Nota Redazionale

Questo articolo di cronaca parla di una marcia della pace di donne, in prevalenza ebree israeliane, a cui hanno partecipato alcune donne  palestinesi con cittadinanza israeliana e che ha coinvolto in modo trasversale anche donne di destra e colone. Fino ad ora non è emersa una  piattaforma programmatica di questa associazione nata dopo l’ultimo attacco di Israele a Gaza, se non quella della rivendicazione della pace e che le due parti si mettano d’accordo. Abbiamo scelto di pubblicare questo articolo per puro scopo di documentazione, non condividendo  la genericità della rivendicazione e soprattutto un’impostazione che tende a mettere sullo stesso piano le responsabilità israeliane e palestinesi per il mancato raggiungimento di un accordo. Se questo nelle intenzioni delle organizzatrici doveva servire a far partecipare il maggior numero possibile di donne, anche di orientamento politico opposto, così si nasconde la realtà delle cose, in cui c’è una potenza occupante che espropria e colonizza le terre palestinesi, affama e bombarda Gaza ed espelle i palestinesi da Gerusalemme est e i beduini, che pure hanno la cittadinanza israeliana, dal Negev.

Nir Hasson

8 ottobre 2017, Haaretz

Faccio appello ad Abbas e Netanyahu – basta! Smettetela. Smettetela! Noi vogliamo la pace’, dice una ex deputata arabo-israeliana il cui figlio è stato ucciso nell’attacco terrorista sul Monte del tempio.

Domenica sera circa 30.000 persone hanno partecipato alla marcia di “Women Wage Peace” (“Le Donne fanno la Pace”, ndt.) al parco dell’Indipendenza di Gerusalemme.

La manifestazione è stata il culmine di una “marcia per la pace” iniziata due settimane fa a Sderot nel Negev, che ha attraversato i territori ed Israele ed ha visto la partecipazione di migliaia di donne israeliane e palestinesi, che invocavano un accordo di pace. Vi ha preso parte anche Adina Bar-Shalom, fondatrice di un collegio femminile ultraortodosso e figlia dell’ex rabbino capo sefardita Ovadia Yosef [rabbino e politico, fondatore del partito ultraortodosso sefardita “Shah”, noto per dichiarazioni molto virulente contro i palestinesi, ndt.].

Tra gli interventi vi è stato quello dell’ex deputata della Knesset Shakib Shanan [si tratta di una ex-parlamentare del partito laburista di origine drusa, una comunità alleata con gli ebrei israeliani, ndt.], il cui figlio Kamil è stato ucciso in un attentato terrorista al Monte del Tempio tre mesi fa. “Benché il mio cuore sanguini, sono qui questa sera con voi. Con l’orgoglio e la speranza che solo la pace e l’amore debbano unirci. Abbiamo tanto sofferto, famiglie palestinesi e famiglie israeliane hanno perso i loro cari e sono rimaste con una ferita che non si rimargina. Sono venuta qui per dire ‘vogliamo vivere!’. Ci permettiamo di dirlo forte –amiamo la pace. A nome di questa enorme folla qui e di centinaia di migliaia di israeliani faccio appello ad Abu Mazen (il Presidente palestinese Mahmoud Abbas) e (al primo ministro) Benjamin Netanyahu – basta! Smettetela. Smettetela! Vogliamo la pace. Ascoltate il nostro grido, proviene dai nostri cuori. Ascoltate il grido della verità e della giustizia, vogliamo la pace, da questo luogo nasce la speranza.”

“Women Wage Peace”

Il movimento “Women Wage Peace” è stato fondato tre anni fa dopo la guerra di Gaza ed oggi conta 24.000 aderenti.

Per poter avere un’influenza su chi ha il potere di decidere, le fondatrici del movimento hanno compreso che c’era bisogno di una massa critica di sostenitrici. Per ottenerla, sapevano di dover fare appello a donne che erano al di fuori della loro base naturale: israeliane di destra, israeliane religiose, addirittura colone. Per indirizzarsi ad un pubblico così ampio e differenziato, si sono rese conto che dovevano evitare le contrapposizioni e concentrarsi su questioni su cui quasi tutte le donne potessero concordare.

Il messaggio dell’organizzazione è questo: non ci fermeremo finché non ci sarà un accordo di pace. Ma come sarà precisamente questo accordo – includerà, per esempio, uno Stato palestinese indipendente e l’evacuazione delle colonie, oppure, in alternativa, uno Stato bi-nazionale ebreo-arabo? – è una questione che devono decidere i leader israeliani eletti, secondo la dichiarazione di intenti di “Women Wage Peace”.

Il gruppo deve molto del suo successo – si tratta del movimento per la pace maggiormente in crescita in Israele negli anni recenti – alla sua strategia di concentrare la pressione su ciò che vuole ottenere, piuttosto che su ciò a cui è contrario. Evitando la discussioni sulle questioni di fondo del conflitto israelo-palestinese, ha avuto successo laddove movimenti simili hanno fallito, inserendosi in segmenti della popolazione un tempo considerati essere una causa persa.

Judy Maltz ha contribuito a questo report.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)