Con uno sbadiglio – è così che la maggioranza degli israeliani risponde al furto di terre

Amira Hass

1 novembre 2017, Haaretz

Finché è ancora terra palestinese. Sanno che prima o poi potranno comprare a prezzo stracciato una villa con una fantastica vista su quella terra.

Cosa sarebbe successo se individui non identificati in Iran, Francia o Venezuela avessero aggredito commercianti ebrei e li avessero obbligati a chiudere i loro negozi? Quali scuse e manifestazioni di sconcerto i nostri diplomatici avrebbero chiesto all’Unione Europea, alle Nazioni Unite e chissà a chi altro? E con quanta esultanza vari ricercatori avrebbero tracciato un grafico dell’odio globale e sarebbero stati intervistati a lungo, con espressione seria, sulle inquietanti caratteristiche antisemite – così evocatrici di un oscuro passato – del privare ebrei dei loro mezzi di sostentamento e della distruzione delle loro proprietà?

Ma per noi israeliani questa domanda retorica ha perso il suo potere di educarci, di metterci in imbarazzo e di farci vergognare. Il fatto che così tanti israeliani siano coinvolti nel derubare così tanti palestinesi dei loro mezzi di sostentamento non è registrato neppure dai nostri sismografi. Questi sismografi sono calibrati per registrare, si dice, furti agricoli che sarebbero stati commessi da palestinesi. Al contrario, tutte le azioni che regolarmente noi portiamo a termine in modo che i palestinesi perdano le loro fonti di reddito provocano un grande sbadiglio. Ascolta, lo puoi già sentire.

Questa domanda retorica non è rivolta agli israeliani, perché essi sono i potenziali beneficiari del furto, se non quelli che già ne stanno beneficiando. Ecco un piccolo, parziale esempio recente: secondo rapporti complementari dell’Ufficio dell’ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari e di due organizzazioni non governative, “Rabbini per i Diritti Umani” e “Yesh Din”, nelle ultime settimane individui non identificati hanno rubato olive da più di 1.000 alberi in 11 villaggi palestinesi in Cisgiordania – Azmut, Awarta, Yanun, Burin, Qaryut, Far’ata, Jit, Sinjil, Al-Magheir, Al-Jinya, Al-Khader. Inoltre individui non identificati, che sembravano ebrei, hanno aggredito raccoglitori dei villaggi di Deir al-Khattab, Burin, As-Sawiya e Kafr Kalil e li hanno cacciati dai loro campi.

A parte Burin, dove l’esercito ha individuato alcuni dei ladri ebrei e riportato il raccolto ai proprietari, questi furti significano che un investimento di tempo, denaro e fatica è andato in fumo. Nella maggioranza dei villaggi il saccheggio è avvenuto in zone che avamposti e colonie hanno recintato con l’uso di intimidazioni e violenze e in cui l’esercito, in cambio, ha punito i palestinesi limitandone l’accesso alle loro terre.

E’ così che ci garantiamo il fatto che nel giro di qualche anno ci saranno terre vuote su cui costruire un altro quartiere di lusso. Gli israeliani indifferenti sanno che presto là potranno comprarsi a prezzi stracciati una villa con una fantastica vista. Quindi sbadigliano.

Ci sono furti perpetrati in apparenza da singoli individui, e poi ci sono i furti di Stato – nel villaggio di Al-Walaja, per esempio. E’ molto probabile che questo sia l’ultimo anno in cui la raccolta delle olive vi abbia luogo come al solito. Il prossimo anno gli abitanti saranno soggetti a un sistema di permessi per poter raggiungere le loro terre attraversando un cancello agricolo nel muro di separazione, che verrà aperto quando l’ufficiale di stato maggiore per l’agricoltura dell’Amministrazione Civile israeliana in Cisgiordania deciderà che debba essere aperto – per due o tre mesi all’anno. La mattina verrà aperto e chiuso immediatamente, e così alla sera.

Venerdì scorso un abitante di Al-Walaja e volontari israeliani di Engaged Dharma, che stavano aiutando nella raccolta, hanno preferito parlare di cose piacevoli: della qualità dell’olio d’oliva, delle olive succose che stavano crescendo vicino alla cisterna, di quelle più avvizzite che erano state raccolte dalla terrazza inferiore, dell’ottimo sapore dei rapanelli e delle cipolle verdi che egli coltiva tra gli alberi. Ma il prossimo anno gli abitanti del villaggio dovranno fare i conti con le restrizioni per avere un permesso – condizioni in contraddizione con l’abitudine palestinese di lavorare collettivamente la terra e che molto probabilmente non consentiranno loro di continuare a coltivarvi ortaggi.

Quelli che sbadigliano stanno già facendo un giro sulle terre di Al-Walaja, che sono state dichiarate dagli ebrei parco nazionale per l’ozio e il relax, per giostre ed immersioni rituali. E, se dio vorrà, il prossimo anno, quando la costruzione del muro sarà completata, non vi si vedranno palestinesi – i proprietari legittimi della terra.

Qui il discorso chiarisce perché, diciamo, un boicottaggio europeo e sudamericano dei, diciamo, prodotti agricoli israeliani sia necessario e giustificato. Questa sarebbe l’unica cosa che potrà far smettere gli israeliani di sbadigliare.

(traduzione di Amedeo Rossi)