Gli ebrei stanno cominciando a temere la democrazia

Anshel Pfeffer

12 luglio 2018, Haaretz

Non possiamo essere vittime un’altra volta’: grazie a Trump, Netanyahu e Putin, i tempi gloriosi della democrazia liberale sono finiti. La bilancia della storia non pende dalla parte della giustizia. Da che parte staranno gli ebrei?

Martedì mattina una parlamentare della Knesset è stata espulsa da una riunione della commissione parlamentare per aver declamato una parte della Dichiarazione di Indipendenza israeliana.

L’articolo che ha letto sancisce che lo Stato di Israele “promuoverà lo sviluppo del Paese a beneficio di tutti i suoi abitanti; si baserà sulla libertà, la giustizia e la pace, come previsto dai profeti di Israele; garantirà la completa eguaglianza dei diritti sociali e politici per tutti i suoi abitanti, a prescindere dalla religione, dalla razza o dal sesso.”

Dubito che la ‘Legge sullo Stato-Nazione’, che la commissione stava discutendo e che cerca di vanificare formalmente quella “completa eguaglianza”, verrà davvero approvata in tempi brevi.

Benjamin Netanyahu la sta improvvisamente promuovendo per ciniche ragioni elettorali. La legge, al centro di controversie, non ha bisogno di percorrere tutto il suo iter perché i suoi detrattori – i partiti di opposizione, i consiglieri legali dello stesso governo, i media, potenzialmente l’Alta Corte – siano tacciati di essere traditori.

E comunque, al di là della sceneggiata parlamentare di Tzipi Livni (dirigente della coalizione di centro “Unione Sionista”, all’opposizione, ndtr], quegli articoli non sono stati mai applicati in 70 anni di esistenza di Israele. Ma è stato certamente un momento simbolico.

L’espulsione di Livni, dopo che le è stato vietato di presentare una copia della Dichiarazione d’Indipendenza in una tribuna nell’aula della commissione, ha rappresentato un chiaro slittamento di Israele da ogni aspirazione a costruire il proprio futuro in base a valori, verso un Israele edificato esclusivamente sul nazionalismo ebraico.

Ciò significa una scelta tra due tipi di democrazia e due tipi di stile di vita ebraico. E non si tratta solo di Israele. Lo stesso slittamento sta avvenendo dovunque.

Nel 1945, quando gli ebrei hanno incominciato a realizzare il fatto devastante che un terzo del loro popolo era stato sterminato in pochi anni, si è verificato un altro mutamento importante. Con la distruzione di ciò che era stato il cuore della civiltà ebraica per 1000 anni, per la prima volta gli ebrei che vivevano nelle democrazie vittoriose del nord America e della Gran Bretagna stavano diventando la maggioranza [degli ebrei in Occidente, ndtr.].

Per molti secoli il benessere degli ebrei, spesso la loro stessa sopravvivenza, erano dipesi dalla benevolenza di monarchi e dittatori. Questo aveva imposto un certo tipo di discreta ricerca di indulgenza. I dirigenti delle comunità ebraiche dovevano valutare quale despota ingraziarsi. Era una questione di sopravvivenza.

Con lo spostamento del centro di gravità della vita ebraica verso le Nazioni democratiche e con l’aumento del numero di ebrei che conducevano una vita di cittadini liberi ed uguali – con l’emigrazione dei sopravvissuti in Europa e degli ebrei Mizrahi [ detti anche sefarditi, ndtr.] dai territori arabi verso l’Occidente ed Israele – l’attivismo ebraico assunse un carattere molto differente. Venne allo scoperto, con campagne pubbliche, pressioni politiche, uso dei media e attività di sensibilizzazione. Infine gli ebrei ebbero eguali diritti e parallelamente fiducia in sé stessi sufficiente per esigerli fino in fondo e pubblicamente.

Gli anni del dopoguerra annunciarono anche un nuovo tipo di coinvolgimento degli ebrei nella società. Alcuni ebrei in precedenza erano stati importanti in tutti i movimenti per l’eguaglianza e la giustizia, ma questo avveniva normalmente a livello personale. Spesso, come nel caso degli ebrei comunisti, era un passo verso l’assimilazione e la perdita di identità religiosa e nazionale a favore di una più grande fratellanza umana. Nelle situazioni in cui ebrei si univano tra loro per lottare per cause sociali, si occupavano abitualmente delle questioni specifiche dei lavoratori ebrei.

Ma vivere in un ambiente più aperto e libero incoraggiò per la prima volta l’ampia partecipazione degli ebrei nelle Nazioni democratiche a cause più generali, per i diritti civili, identificandosi come ebrei, sia che si trattasse di rabbini in quanto membri di intere comunità. Non vi era più la preoccupazione che marciare per obbiettivi controversi e contestati avrebbe provocato la collera delle autorità verso tutti gli ebrei.

E vi era anche un senso del dovere. Gli ebrei conducevano una vita tranquilla. Nella diaspora ogni grave minaccia fisica di antisemitismo stava scomparendo. Per coloro che lo scegliessero, vi era uno Stato ebraico sovrano dove vivere. Per gli altri, una vita come membri di una minoranza rispettata e ben integrata.

Per molti ebrei una nuova era di sicurezza e prosperità significava che noi ora dovevamo garantire che altre, meno fortunate, minoranze, come anche i rifugiati e gli immigrati, avrebbero ricevuto il nostro incondizionato appoggio: un grande senso etico di ‘tikkun olam’ [riparare il mondo, ndtr.], che ha animato molti ebrei negli ultimi 60 anni. E quando nei primi anni ’90 l’impero sovietico crollò, rendendo liberi ancor più ebrei sia di emigrare in Occidente e in Israele, sia di restare nelle loro patrie di nuova democrazia, la tendenza sembrò irreversibile.

Un quarto di secolo fa, per la prima volta nella storia, quasi l’intero popolo ebraico viveva in società libere. Con l’eccezione dell’Iran e di poche piccole e isolate sacche, tutti gli ebrei, dovunque vivessero, sono stati liberi e uguali ormai da una generazione.

Non abbiamo ancora cominciato a comprendere il vero significato di quel fenomeno storico – e stiamo ormai affrontando un enorme problema riguardo a quale sia il tipo di libertà in cui vogliamo vivere.

Non avviene solo in Israele, dove siamo in un limbo tra la costruzione di una società basata sui valori ed una che considera la preservazione della nazionalità ebraica superiore ad ogni considerazione morale. Lo stesso divario si sta aprendo nell’America di Trump ed in tutta Europa, dove un Paese dopo l’altro soccombe alla nuova ondata di politiche populiste.

La grande maggioranza degli ebrei americani può in questo momento mostrare tendenze progressiste, ma vi è una sostanziale, forse crescente, minoranza tra loro che crede fermamente che una stabile sicurezza si possa trovare soltanto nell’alleanza con un establishment conservatore, e sì, bianco.  

E se si parla con gli ebrei in Europa si troveranno molti con un approccio sfrontatamente illiberale. Non solo tra le comunità ebraiche in Francia e Belgio, dove gli ebrei sono stati uccisi in anni recenti per il fatto di essere ebrei. Questa mentalità si rafforza più si va verso est.

Come mi ha detto il capo di una comunità regionale in Russia: “Quando Israele bombarda Gaza ed uccide gli arabi è una buona cosa per gli ebrei. È ciò che fa sì che i nostri vicini qui ci rispettino molto di più. È il miglior antidoto all’antisemitismo.”

Questa settimana un rabbino in Ungheria mi ha detto: “Gli ebrei progressisti sono attori di un dramma storico in cui loro rappresentano le vittime, tutte le vittime. Perché questo è ciò che apprendono dall’esperienza storica ebraica. Ma questo è solo un sacco di buoni propositi.

Il mondo adesso sta diventando un posto meno liberale, un posto in cui i non ebrei stanno dimenticando l’olocausto. Gli ebrei hanno bisogno di una strategia di sopravvivenza, perché non diventiamo vittime un’altra volta. Questo significa essere una Nazione forte, alleata con altre Nazioni forti. Non con le vittime.”

È una strategia di sopravvivenza nel mondo di Trump, Putin e Netanyahu. 

In Europa, non più un importante centro di vita ebraica, ma ancora una patria per ben due milioni di ebrei sparsi nel continente, ho incontrato sempre più ebrei alle prese con i valori liberali del dopoguerra con cui sono stati educati.

Istintivamente rifiutano la retorica anti-immigrati e islamofobica che li circonda. Non gli appare soltanto sbagliata. È troppo simile a ciò che i loro genitori e nonni sentivano non molto tempo fa.

Ma poi portano i figli nelle sinagoghe e nelle scuole ebraiche circondate da guardie armate e temono di dover scegliere da che parte stare.

Potrebbe essere terminato il breve periodo nella storia ebraica in cui è sembrato che il mondo intorno a noi stesse allineandosi con ciò che volevamo credere fossero valori sia ebraici che liberali, che la bilancia pendesse dalla parte opposta al razzismo e all’odio, non solo verso gli ebrei, ma verso chiunque, ed in cui pensavamo che fosse solo questione di tempo perché potessimo costruire società migliori e più giuste, in Israele ed in ogni altro Paese dove vivono gli ebrei.

Di sicuro non può più essere dato per scontato. Prepariamoci a dover mettere alla prova quei valori.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)