La legge di Israele sullo Stato-Nazione discrimina anche gli ebrei mizrahì

Orly Noy

2 gennaio 2019, + 972

Accademici e attivisti mizrahì chiedono che l’Alta Corte israeliana bocci la legge dello Stato-Nazione ebraico, affermando che annulla la loro tradizione culturale e perpetua ingiustizie sia contro di loro che contro i cittadini palestinesi di Israele

Martedì più di 50 illustri ebrei israeliani di origine mizrahì [ebrei originari dei Paesi arabi, ndtr.] hanno presentato una petizione all’Alta Corte di Giustizia chiedendo che bocci la legge sullo Stato-Nazione ebraico e affermando che discrimina sia i cittadini palestinesi che gli ebrei mizrahì cittadini di Israele.

Secondo la petizione, la legge, che degrada l’arabo da lingua ufficiale a lingua con uno “status speciale”, è “anti-ebraica” in quanto esclude la storia e la cultura degli ebrei dei Paesi arabi e musulmani, “rafforzando al contempo l’impressione che la cultura arabo-ebraica sia inferiore…e rafforza l’identità dello Stato di Israele come anti-araba.”

Il ricorso, scritto e presentata dall’avvocatessa Netta Amar-Shiff, fa anche riferimento all’articolo della legge che definisce “di importanza nazionale” le colonie ebraiche. Secondo i ricorrenti, ogni volta che Israele si assume l’onere di “riprogettare” la terra dal punto di vista demografico, danneggia i mizrahì spingendoli nella periferia geografica del Paese scarsamente servita. Questo processo ostacola il loro accesso alla terra di maggior valore attraverso comitati di ammissione, che consentono alle comunità in tutto il Paese di respingere chi chiede di andarvi ad abitare in base alla sua “idoneità sociale”.

Tra i firmatari ci sono il noto scrittore Sami Michael, il professor Yehuda Shenhav, la professoressa Henriette Dahan-Kalev, il militante Black Panther [Pantera nera, movimento di protesta dei mizrahì degli anni ’70, ndtr.] e attivista per la giustizia sociale Reuven Abergil, tra gli altri. (Per correttezza: chi scrive è una dei firmatari della petizione). Secondo gli autori della petizione, i mizrahì sono stati sostanzialmente esclusi dalla formulazione della legge, nonostante il fatto che potrebbe danneggiare il diritto della loro comunità a preservare il proprio retaggio culturale, e che i suoi [della legge] palesi pregiudizi antiarabi potrebbero ripercuotersi negativamente sugli ebrei originari dei Paesi arabi.

Seguendo l’establishment di Israele, le autorità fecero il possibile per eliminare l’identità e la cultura arabe tra gli immigrati dai Paesi arabi e musulmani attraverso la dottrina del “melting pot” [mescolanza, termine riferito alla costruzione della società statunitense, ndtr.] forzato, emarginandoli sia materialmente che culturalmente. Più di sei decenni fa, il diplomatico israeliano e arabista Abba Eban disse: “L’obiettivo deve essere instillare in loro uno spirito occidentale e non lasciare che ci trascinino in un Oriente innaturale. Uno dei maggiori timori…è il pericolo che il gran numero di immigrati di origine mizrahì obblighi Israele a paragonare quanto siamo colti con i nostri vicini.”

Per 70 anni questa visione del mondo ha costituito la base riguardo a come Israele vede i mizrahì. L’establishment politico ha chiesto agli ebrei mirzahì di rinunciare alla loro identità araba, creando una frattura tra loro e la loro storia culturale. Eppure, nonostante i tentativi di annullamento culturale da parte dell’establishment, pareri di esperti e dichiarazioni scritte allegate alla petizione mostrano come molti mizrahì – comprese le generazioni più giovani – continuino a considerare l’arabo come culturalmente e linguisticamente importante nella propria vita privata.

I pareri di esperti intendono anche esporre le complesse vicende storiche degli ebrei originari dei Paesi arabi per spiegare perché la legge, paragonabile a una modifica costituzionale, sarebbe al contempo dannosa per l’eredità culturale dei mizrahì e continuerebbe a incidere negativamente su di loro. Secondo il professor Elitzur bar-Asher, un linguista ed esperto della lingua ebraica, l’obiettivo della legge non è “rafforzare l’ebraico (a spese dell’arabo), ma sminuire la sua controparte araba.”

Nel suo parere di esperto, il dottor Moshe Behar dimostra come l’arabo sia stato parte inseparabile del mondo intellettuale ebraico in Medio Oriente durante i periodi sia ottomano che del Mandato britannico. Secondo Behar, gli intellettuali ebrei consideravano la conoscenza dell’arabo come una necessità per tutti gli ebrei della regione.

La ricercatrice culturale Shira Ohayon descrive l’influenza della lingua araba e il suo rapporto con la rinascita della lingua, poesia e liturgia ebraiche, mentre lo studioso culturale e regista Eyal Sagui Bizawe nota come gli ebrei che vivevano nei Paesi arabi abbiano avuto un ruolo attivo nella creazione della cultura araba e come proprio questa cultura sia divenuta parte del loro retaggio culturale.

La petizione è una importante, e forse rivoluzionaria, pietra miliare nella lotta dei mizrahì in Israele. Tra i firmatari ci sono donne e uomini, religiosi, laici e tradizionalisti, quelli che si definiscono sionisti e altri che non si definiscono tali. Gli autori intendono conservare l’identità mizrahì nel suo significato più profondo, rivendicando i nostri diritti culturali e storici, utilizzando ogni strumento giuridico, accademico ed etico per respingere ogni tentativo di isolare gli ebrei mizrahì dal loro contesto naturale – in beneficio dell’ideologia del “melting pot” di Israele.

Una versione di questo articolo è stato pubblicata per la prima volta in ebraico su “Local Call” [Chiamata Locale, sito israeliano di notizie affiliato a +972, ndtr.].

(traduzione di Amedeo Rossi)