Storia e politica dei beduini. Rivisitazione del nomadismo nella Palestina moderna

Middle East Monitor

The History and Politics of the Bedouin. Reimagining Nomadism in Modern Palestine [Storia e politica dei beduini. Rivisitazione del nomadismo nella Palestina moderna]

Autore : Seraj Assi

Data di pubblicazione: aprile 2018 Editore : Routledge, 222 pagine

Recensione di Ramona Wadi – 31 gennaio 2019

Lo studio di Seraj Assi sul nomadismo fa chiarezza sulle precedentemente nascoste interpretazioni che hanno contribuito al fatto che si sia discusso dei beduini da un punto di vista colonialista. The History and Politics of the Bedouin –Reimagining nomadism in Modern Palestine [Storia e politica dei beduini. Rivisitazione del nomadismo nella Palestina moderna] (Routledge, 2019) esplora la storia che sta dietro le imposizioni dall’esterno sulla popolazione. Le prime narrazioni, per lo più di rappresentanti dell’impero britannico, hanno influenzato la politica e la retorica contro i beduini “radicate nella visione sedentaria del nomadismo.”

Ispirato alla teoria post-coloniale riguardo a come la rappresentazione di soggetti colonizzati abbia fornito una “giustificazione morale” alla dominazione europea, il libro di Assi è una critica antropologica che gradualmente costruisce una complessa immagine su come il potere definisca ciò che compete allo Stato e, di conseguenza, cosa manipolare e chi escludere.

Il libro esplora cinque temi principali: l’eredità etnologica del “Palestine Exploration Fund” [Fondo di Esplorazione della Palestina, società orientalista britannica fondata nel 1865, ndtr.]; la percezione britannica del nomadismo; l’eredità dell’amministrazione britannica nel sud della Palestina; la percezione araba del nomadismo; come la storiografia sionista ha rappresentato il nomadismo.

Assi inizia con una domanda importante: “Perché Israele, che si vanta del proprio carattere democratico, continua a respingere i diritti dei beduini sulla terra come ‘invasioni tribali’ su terre dello Stato?” La sua ricerca mostra che i britannici rappresentavano gli arabi come nomadi, dando quindi inizio all’individuazione di una tendenza che con il tempo trova un terreno comune con la propaganda sionista riguardo alla terra desolata.

Recuperare le narrazioni dei beduini e sfidare i concetti colonialisti prevalenti, afferma Assi, richiede uno spostamento del centro dell’attenzione e dell’analisi storica. Egli identifica tre problemi principali che ostacolano tali narrazioni: concentrarsi su periodi in cui è emersa la coscienza nazionale palestinese; l’attenzione sulla Palestina urbana, che marginalizza i gruppi subalterni; scarso interesse nei confronti del dominio britannico in Palestina, dovuto al fatto che la maggior parte degli studi si concentra sul contrasto tra Palestina e sionismo.

Il libro ci ricorda che una classificazione storica lineare del nomadismo non è efficace. Il periodo del Mandato britannico, per altro verso, fornisce il punto di partenza per studiare concetti sul nomadismo e su come questi abbiano influenzato sia la narrazione coloniale che nazionale. Assi descrive il nomadismo come un’“eredità condivisa”. Analizza come “nazionalismo e colonialismo siano ugualmente coinvolti nel duplice processo di negazione e di invenzione, di cancellazione e riscatto, associazione e assimilazione, che plasmano la percezione e gli atteggiamenti colonialisti verso il nomadismo.”

La ricerca di Assi mostra che attribuire il nomadismo ai beduini servì in origine agli interessi imperialisti in Palestina. La categorizzazione e le attribuzioni razziali da parte degli esploratori britannici nella Palestina ottomana crearono discordanze sul diritto alla terra. I beduini vennero classificati come una razza pura, diversi dai “fellahin” [contadini, ndtr.] e dalla “gente di città”, ma ritenuti anche invasori che, con il loro nomadismo, “rendevano desolata la terra.”

Questi primi pregiudizi vennero inseriti nelle ambizioni politiche britanniche e gettarono le basi della dominazione coloniale in Palestina. Assi cita il colonnello F. R. Conder [un esploratore inglese, ndtr.] il quale affermò che “a me sembra che il miglior futuro che possa toccare alla Palestina sia di essere occupata da una forte potenza europea, che possa individuare il valore delle (sue) risorse naturali.”

Ai beduini venne anche attribuita una lealtà tribale che, secondo gli esploratori britannici, escludeva caratteri nazionali. Tuttavia, dati i tentativi di limitare le possibilità del nazionalismo in Palestina, queste caratteristiche devono essere lette all’interno del contesto coloniale. Classificandoli come nomadi, tribali ed estranei alla Palestina, i beduini vennero automaticamente esclusi da qualunque nozione di formazione di uno Stato.

Assi afferma chiaramente che i concetti britannici di nomadismo servivano agli scopi colonialisti. L’esclusione della proprietà beduina sulla terra con l’imposizione del sistema britannico portò a una conferma delle originarie caratteristiche nomadiche. La situazione economica dei beduini era etichettata come “un’economia primitiva della povertà…a cui manca il tipo di economia che esiste tra le popolazioni sedentarie.” Facendo ricorso alla superiorità per evitare di riconoscere in modo costruttivo la politica e la società beduine, i britannici dissociarono i beduini dalla causa nazionale palestinese.

Le tre principali caratteristiche imposte sui beduini dai britannici li resero una etnia separata, distinta dagli altri gruppi etnici in Palestina, estranei alla Palestina raffigurandoli come una tribù di conquistatori privi di Stato a causa della definizione coloniale di nomadismo.

Benché ci siano stati tentativi dei palestinesi di integrare i beduini nella lotta nazionale, gli sforzi iniziali portavano con sé un punto di partenza simile a quello dei colonialisti britannici, in termini di attribuzione di purezza razziale. Assi tratteggia i tentativi dello storico palestinese Aref Al-Aref, un funzionario del Mandato britannico che agiva contro gli interessi sionisti e britannici e il cui lavoro sui beduini è considerato una narrazione storica che “rasenta l’antropologia politica.” Al-Aref, tuttavia, tentò di ribaltare i parametri di esclusione britannici e sionisti, mostrando come i beduini “non fossero fuori dalla storia, ma gli attori del ritorno degli arabi alla storia.”

L’autore descrive anche come Al-Aref abbia tentato di coinvolgere i beduini nel fondare diritti tribali sulla terra attraverso la proprietà privata piuttosto che collettiva. A questo proposito, afferma Assi, “nella sua mente persisteva il concetto che regolamentare la proprietà equivalesse a formare uno Stato-Nazione.”

Per i sionisti conquistare il deserto del Naqab [in ebraico Negev, ndtr.] equivaleva alla “concretizzazione finale del sionismo.” Assi descrive come i primi coloni inizialmente si siano assimilati con i beduini, ma fu una fase transitoria nella rivendicazione ebraica sulla terra che inaugurò i legami sionisti tra il nazionalismo agrario e il colonialismo di insediamento.

Riguardo alla strategia di colonizzazione sionista l’autore cita Ben Gurion: “Se lo Stato non mette fine al deserto, il deserto rischia di mettere fine allo Stato.”

Questa citazione del primo capo del governo di Israele è analizzata meglio se contrapposta all’analisi di Assi delle opinioni di Al-Aref sui beduini e sul nomadismo. Al-Aref afferma che i beduini non possono essere considerati come estranei e nomadi, in quanto i loro spostamenti avvengono nel loro stesso territorio, regolato dalla proprietà beduina. Il colonialismo intendeva eliminare la tradizionale proprietà della terra dei beduini, da cui l’assunzione degli originari concetti britannici di nomadismo per descrivere la comunità beduina.

Il dettagliato studio di Assi accresce la consapevolezza riguardo ai legami tra la percezione imperialista e le imposizioni sioniste e a come questa abbia modellato la narrazione esterna sui beduini e sul nomadismo. Inventare il nomadismo serviva agli interessi britannici e sionisti per fondare il lungo processo di colonizzazione. In un momento in cui l’espulsione forzata della comunità beduina rimane una priorità per il governo israeliano, questo libro è una lettura obbligata per comprendere l’invenzione politica della narrazione degli autoctoni.

(traduzione di Amedeo Rossi)