La strategia anti-BDS di Israele alimenta miti e falsità

Mohammad Makram Balawi

Middle East Monitor15 Febbraio, 2019

Il ministero degli Affari Strategici israeliano ha pubblicato un rapporto dal titolo Terrorists in Suits: The Ties Between NGOs promoting BDS and Terrorist Organizations [Terroristi in cravatta: i legami tra ONG pro-BDS e organizzazioni terroristiche]. L’inchiesta ha i toni del melodramma, specialmente quando raffigura immagini di attivisti pro-BDS affisse su una bacheca in sughero e collegate le une alle altre da tratti rossi, come in una scena di un film giallo.

L’uomo dietro l’inchiesta è il ministro per la Pubblica Sicurezza e degli Affari Strategici Gilad Erdan; senza dubbio ha una fervida immaginazione. Un guazzabuglio di nomi, luoghi, date, eventi, assemblee e immagini mischiati insieme per presentare uno scenario che si presume dissuada la gente dall’appoggiare il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni e spazzi via tutti i crimini di Israele nei confronti del popolo palestinese. Così facendo, non fa che spacciare miti e falsità.

Nel rapporto si asserisce che tutti gli attivisti pro-Palestina e a favore della giustizia che vi sono menzionati non siano in realtà ciò che sembrano. Viene ad esempio citata una descrizione fatta dalla Corte Suprema di Israele nel 2007 a proposito di Shawan Jabarin, direttore generale della Al-Haq Foundation, una delle più antiche organizzazioni per i diritti umani della Cisgiordania, come di una personalità alla “Dr. Jekyll e Mr. Hyde”. Per “rilevanti questioni di sicurezza”, il tribunale ha appoggiato la decisione dell’esercito di vietargli di lasciare il Paese. Anche la vicedirettrice dell’organizzazione per i diritti Addameer, Khalida Jarrar, è stata descritta in modo analogo; dal 2017 si trova in stato di detenzione amministrativa per il suo ruolo come importante membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) e per le sue presunte attività terroristiche. La detenzione amministrativa consente a Israele di mantenere persone – guarda caso sempre palestinesi – dietro le sbarre senza alcuna accusa né processo, per periodi di sei mesi rinnovabili.

Una sezione del rapporto punta a presentare un atto di pirateria in mare aperto come una sorta di gesto eroico contro il terrorismo, ovvero quando nel 2010 le truppe israeliane attaccarono la Mavi Marmara, un’imbarcazione battente bandiera turca che faceva parte di un convoglio di navi che portava aiuti umanitari nella Striscia di Gaza assediata. In acque internazionali e nell’assoluto disprezzo del diritto internazionale e della vita umana, gli israeliani sequestrarono il convoglio e uccisero nove attivisti turchi: İbrahim Bilgen, Çetin Topçuoğlu, Furkan Doğan, Cengiz Akyüz, Ali Heyder Bengi, Cevdet Kılıçlar, Cengiz Songür, Fahri Yaldız, Necdet Yıldırım. Un decimo, Ugur Suleyman Soylemez, fu così gravemente ferito da morire dopo un coma di quattro anni. Israele alla fine ha accettato di pagare un risarcimento di più di 20 milioni di dollari alle famiglie delle vittime. I propagandisti israeliani al servizio del ministro Erdan sono ancora oggi impegnati a infangare l’immagine dei martiri e distorcere la realtà riguardo l’accaduto. Difatti, chiunque abbia mai avuto un qualsiasi legame con la Mavi Marmara e il suo convoglio viene ancora accusato di “terrorismo”, compreso l’allora capo della Campagna Britannica di Solidarietà per la Palestina Sarah Colborne, Ismail Patel dell’associazione Amici di Al-Aqsa e i leader palestinesi esiliati Muhammad Sawalha e Zaher Birawi.

Le accuse contro tali attivisti includono: apparire su canali televisivi di Al-Aqsa, di proprietà di Hamas; incoraggiare le flottiglie di liberazione a rompere l’assedio di Gaza; chiedere la fine della vendita di armi ad Israele e organizzare manifestazioni in favore del legittimo diritto al ritorno dei palestinesi e le proteste nell’ambito della Grande Marcia del Ritorno. Secondo il rapporto di Erdan, sarebbe già sufficiente andare a Gaza per offrire supporto umanitario e morale ai palestinesi, o descrivere Israele come uno Stato di apartheid, per essere additati come terroristi, nonostante Israele rientri perfettamente nei criteri per essere definita tale.

In tutto il testo di Terroristi in cravatta… c’è uno sfrontato disprezzo per il diritto internazionale, per le risoluzioni dell’ONU e anche per il puro e semplice buonsenso, e rispecchia lo spregio che Israele mostra nei confronti di quelle leggi e convenzioni mirate a proteggere chi è più vulnerabile e a offrire loro giustizia. In nessun punto del testo pare che i suoi autori siano anche solo lontanamente consapevoli della brutale occupazione militare di Israele, a cui sono asserviti i tribunali del Paese e le sue agenzie di sicurezza. Il rapporto cita infatti sentenze e inchieste di Shin Bet, l’agenzia per la sicurezza interna, come se fossero documenti indipendenti e completamente imparziali, cosa del tutto irragionevole. Qualsiasi opposizione o resistenza all’occupazione illegale e belligerante viene classificata come terrorismo, e guai a chi la pensi diversamente.

Secondo Erdan e il suo staff, nessuno è immune a tali gravi accuse, siano essi organizzazioni di società civile, fazioni di palestinesi, intellettuali o attivisti. L’inchiesta sostiene che 42 fra le principali ONG su quasi 300 organizzazioni internazionali promuovano la “delegittimazione di Israele” e la campagna BDS contro lo Stato sionista. Anche solo questo, insiste il reportage, è ragione sufficiente per classificarli come “terroristi” e per screditarli, insieme al loro considerevole lavoro. Tale attivismo, agli occhi del ministero degli Affari Strategici, sarebbe accettabile solo quando ciò avvantaggia Israele, altrimenti è bollato come “terrorismo”.

Esattamente come quando il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, in seguito agli eventi dell’11 settembre, affermò che “chiunque non è con noi è con i terroristi”, non viene lasciato alcuno spazio alla via di mezzo, nonostante sia perfettamente ragionevole essere sia contro gli Stati Uniti che anche contro il terrorismo. Israele ha adottato la stessa filosofia, per cui o sei pro-Israele o sei un terrorista, non si può essere a favore della giustizia se quella giustizia va a vantaggio delle popolazioni della Palestina occupata.

Quando, mi chiedo, Israele e i suoi sostenitori si accorgeranno che l’attivismo a favore della giustizia e pro-Palestina non sono un problema, bensì che è l’occupazione israeliana a costituire il nocciolo della questione?

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione di Maria Monno)