L’antirazzismo selettivo di Macron Un’intervista con Maxime Benatouil

Intervista di David Broder

27 febbraio 2019, Jacobin

Emmanuel Macron ha descritto l’antisionismo come una nuova forma di antisemitismo. Eppure associando tutti gli ebrei francesi allo Stato di Israele rischia di alimentare il risentimento tra le vittime del razzismo.

Se prendiamo in parola Emmanuel Macron, la Francia ha un crescente problema di antisemitismo. La scorsa settimana il presidente si è rivolto al Consiglio Rappresentativo delle Organizzazioni Ebraiche del Paese, denunciando un aumento dell’antisemitismo “senza precedenti dalla Seconda Guerra Mondiale”. Già l’11 febbraio il suo ministro degli Interni ha informato che il 2018 ha visto un incremento del 74% degli attacchi contro ebrei. Fonti governative hanno anche messo in rapporto questa evoluzione con le proteste dei “gilet gialli”, mentre ministri hanno imputato a questo “flagello” atti di vandalismo contro un negozio di bagel [ciambelle tipiche della cucina ebraica, ndt.] e recenti attacchi contro giornalisti.

Eppure molti ebrei francesi sono critici riguardo al tentativo di strumentalizzare affermazioni antisemite. Le notizie sul coinvolgimento di “gilet gialli” nell’attacco al negozio di bagel si sono presto dimostrate infondate, e il tentativo del presidente di considerare l’antisionismo una nuova forma di antisemitismo ha offuscato la distinzione tra ebrei e Israele. Allo stesso tempo gli ebrei antirazzisti hanno sottolineato i pericoli di un atteggiamento di doppio standard che non prenda altrettanto seriamente dell’antisemitismo l’islamofobia e il razzismo contro i neri.

Per Maxime Benatouil, un importante esponente dell’“Union Juive Française pour la Paix” [Unione Ebraico Francese per la Pace] (UJFP), la lotta contro l’antisemitismo deve essere unita a una coerente difesa delle minoranze. Ha parlato con David Broder di “Jacobin” della presenza di atteggiamenti antisemiti nelle proteste dei “gilet gialli”, del tentativo di Macron di strumentalizzare gli attacchi contro gli ebrei e del pericolo di mettere le minoranze le une contro le altre.

D.B.: Il filosofo Bernard-Henri Lévy ha sostenuto che l’antisemitismo è al cuore del movimento dei “gilet gialli”. Le sue affermazioni rientrano in una più complessiva narrazione per cui ministri e la stampa a favore di Macron hanno dipinto il movimento come di estrema destra o guidato da fascisti. C’è qualche prova che le idee contro l’establishment o cospirative tra i “gilet gialli” siano legate ad argomenti antisemiti?

M.B.: I commenti di Bernard Henry-Levy sono sintomatici della reazione contro i “gilet gialli”. Questo è un vero movimento sociale di classi lavoratrici e popolari ed è nato al di fuori delle strutture politiche tradizionali in cui tradizionalmente si inseriva la loro attività. È vero che in questo movimento ci sono stati indizi di antisemitismo, su cui i media francesi si sono particolarmente soffermati, e nelle proteste ci sono state anche figure come l’ex-attore Dieudonné (noto per il suo uso del gesto della quenelle [allungare un braccio sinistro verso il basso piegando il destro verso la spalla sinistra, considerato politicamente sospetto di filo-nazismo, ndt.] e per la promozione di temi antisemiti).

Ma non c’è un particolare antisemitismo tra i “gilet gialli” come tali, più di quanto ce ne sia nel resto della società francese. E anche in quanto il loro movimento riflette la società nel suo complesso, quando è cresciuto è diventato più politicizzato e c’è stata più opposizione tra i “gilet gialli” contro il razzismo, il sessismo, l’omofobia e quindi l’antisemitismo. In questo senso, lo sviluppo politico del movimento è stato veramente sorprendente.

D.B.: Ci sono comunque prove di crescenti aggressioni contro ebrei, dimostrate in particolare dall’uccisione lo scorso anno della sopravvissuta all’Olocausto Mireille Knoll. Infatti è stato detto che c’è stato un aumento del 74% di incidenti antisemiti in Francia. Cosa pensi ci sia dietro a questo?

M.B.: È terribile che siano avvenuti così tanti incidenti antisemiti – è stato detto che lo scorso anno ci sono stati 531 di questi atti. Ma non sono sicuro che sia una buona idea presentare questi dati in questo modo. Mentre i numeri che il ministero degli Interni ha fornito ai media francesi hanno riferito di un aumento del 74% da un anno all’altro, di fatto anche solo dieci anni fa il numero di questi incidenti era attorno a 800 all’anno, molti di più di ora. Forse la decisione di parlare di un aumento senza dare un’indicazione della tendenza generale è stato un errore, o forse ci sono ragioni politiche per voler dipingere questo quadro.

Il governo sta tentando di suggerire che c’è un aumento di incidenti antisemiti legati ai “gilet gialli” – per esempio quando ci sono state scritte razziste su un negozio di bagel a Parigi, il fatto che fossero in giallo è stato preso dal governo come una prova che fosse stato fatto da questi dimostranti dei “gilet gialli”, e i ministri hanno twittato in tal senso. Ma è risultato che i graffiti erano comparsi due giorni prima della manifestazione in questione, e in ogni caso non lungo il suo percorso.

D.B.: La scorsa settimana c’è stata una tempesta mediatica dopo che lo scrittore Alain Finkielkraut è stato chiamato “sporco sionista” da un “gilet giallo”. Mentre la parola “sionista” potrebbe essere usata come una parola in codice per “ebreo” oppure no, non pensi che questo tipo di incidenti prestino il fianco a critiche contro il movimento, o almeno diano l’impressione che non dimostri solidarietà agli ebrei di fronte all’antisemitismo?

M.B.: Finkielkraut è uno scrittore notoriamente di destra ed è certamente un sionista, con una lunga lista di polemiche contro i palestinesi. Ma chiamarlo “sporco sionista” o dire “tornatene a Tel Aviv” può chiaramente avere una dimensione antisemita.

Oltre che riconoscere questo, è anche il caso di chiarire due cose su Finkielkaut e su questo incidente. Ha immediatamente tentato di strumentalizzarlo come se lui fosse un antirazzista. Ma non è stato affatto come se un cittadino ebreo qualunque, magari con una kippah [zuccotto tipico degli ebrei, soprattutto religiosi, ndt.], fosse passato per caso vicino alla manifestazione e fosse poi stato aggredito da “gilet gialli”.

Invece Finkielkraut è un personaggio pubblico famoso. In effetti lui stesso è noto per attacchi razzisti, per esempio in un’intervista con Haaretz [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndt.] qualche anno fa in cui definì la squadra di calcio francese “nera-nera-nera” (stravolgendo la descrizione corrente della sua caratteristica multirazziale, “bianco-nero-arabo”), lamentando che non ci fossero abbastanza giocatori bianchi.

Finkielkraut lavora per una delle principali emittenti radio statali ed ha invitato nel suo spettacolo un polemista ebreo ancora più di destra, Éric Zemmour. Zemmour ha riabilitato l’eredità del regime di Vichy del maresciallo Pétain, affermando che aveva cercato di salvare gli ebrei francesi e cose del genere.

Quindi ovviamente questi incidenti sono negativi e non dovrebbero avvenire, ma difficilmente possono essere utilizzati da simili personaggi per dipingere i “gilet gialli” come promotori dell’antisemitismo.

D.B.: In seguito all’incidente di Finkielkraut, martedì scorso a Parigi ci sono state due diverse proteste contro l’antisemitismo: cosa le divideva?

M.B.: Esse rappresentavano due concezioni molto diverse di cosa significhi “antirazzismo”. Prima ho parlato di strumentalizzazione politica, e infatti una delle proteste è stata convocata dal partito Socialista (PS), nell’evidente tentativo di raccogliere sostegno dietro di sé. Il PS è stato a lungo un partito importante, ma nelle elezioni presidenziali del 2017 è crollato al 6% dei voti ed è stato persino obbligato a lasciare il suo storico quartier generale.

Cercando di rivitalizzare la sua base ha convocato una manifestazione che includeva i principali partiti, o almeno “La République en Marche” di Emmanuel Macron e i “Republicains”, di destra. La dimostrazione era un modo per mettere insieme i partiti politici di centro e di destra.

Non sono stati invitati non solo il “Rassemblement national” (ex–Front National) di Marine Le Pen, ma neppure, inizialmente, “La France Insoumise” [partito di sinistra, ndtr.]. È stato un tentativo di strumentalizzare l’antisemitismo, con la volontà di dare l’impressione che al partito di Jean-Luc Mélenchon non gliene fregasse niente di questo problema. Tuttavia personalità di destra e razziste sono state incluse nella marcia convocata dal partito Socialista, compreso Éric Ciotti, un parlamentare dei “Républicains” che voleva introdurre misure per vietare a chi accompagna i bambini per attività extra-scolastiche di portare simboli religiosi, in particolare da aprte di donne che indossano l’hijab [velo islamico, ndt.].

Per noi dell’“Union Juive Française pour la Paix” (UJFP) – un’organizzazione ebraica antirazzista e antisionista – non ha senso manifestare mano nella mano con gente come quella. Allo stesso tempo forze della sinistra – “France Insoumise”, il partito comunista, ma anche quelli come il “Parti des Indigènes de la République” [Partito degli Indigeni della Repubblica, partito che si definisce antiimperialista, anticolonialista e antisionista, ndt.], la cui portavoce Houria Bouteldja per anni ha affrontato attacchi diffamatori infondati, probabilmente in quanto donna araba che difende la giustizia – non dovrebbero farsi coinvolgere in un dibattito di merda, come quello che è divampato in contesti britannici e americani, riguardo a se sono o meno “antisemiti”.

Invece noi di UJFP martedì abbiamo contribuito a organizzare una manifestazione separata che ha insistito sulla necessità di lottare contro l’antisemitismo come parte di un antirazzismo coerente. La manifestazione nel quartiere di Menilmontant a Parigi si è tenuta insieme al “Nuovo Partito Anticapitalista” [gruppo di sinistra di origine troskista, ndt.] e ad altre organizzazioni, come “Indigènes de la République” e altri gruppi che rappresentano lavoratori arabi e persone di origine africana.

Non si può lottare contro il razzismo in un modo che non fa che assolvere lo Stato dalle sue responsabilità nel promuovere l’antisemitismo, l’islamofobia, il razzismo contro i neri e i rom, e quindi la dinamica distruttiva creata quando cerca di dare la prevalenza alla lotta contro una forma di razzismo rispetto alle altre.

D.B.: Enzo Traverso ha segnalato la sensazione di discriminazione che può nascere quando lo Stato prende in considerazione meno seriamente il razzismo contro alcune minoranze rispetto ad altre – facendo loro intendere che sono considerate e protette di meno. Infatti, mentre lo Stato francese proclama di lottare contro l’antisemitismo, è da notare quanto poco i suoi dirigenti abbiano respinto l’idea che in Francia gli ebrei non siano sicuri, per esempio, quando dopo gli attacchi del novembre 2015 a Parigi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha spiegato che gli ebrei francesi dovrebbero andare in Israele per essere davvero sicuri. Come si può separare l’antirazzismo dalla “vittimizzazione competitiva” o dallo scatenare le minoranze le une contro le altre?

M.B.: Nel 2017 Emmanuel Macron ha organizzato la prima commemorazione delle incursioni di “Vel d’Hiv”, in cui gli ebrei vennero radunati in un velodromo di Parigi prima di essere trasportati ai campi della morte in Germania. Scandalosamente lo ha fatto insieme a Benjamin Netanyahu, con il risultato che il capo di una potenza straniera è stato dipinto come se fosse un rappresentante degli ebrei francesi, e quindi come se questi ultimi cittadini fossero meno francesi. Comunque durante questo evento Netanyahu è stato molto contento di sentire Macron descrivere l’antisionismo e la campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) come una pericolosa nuova forma di antisemitismo.

Quello che vorremmo sarebbe che la società e lo Stato francesi prendessero ogni forma di razzismo altrettanto seriamente di quanto fanno con l’antisemitismo. La lotta contro gli attacchi agli ebrei non può essere perseguita in un modo che alimenta al contempo l’islamofobia o prende di mira altre minoranze. Quindi stiamo cercando di creare uno spazio antirazzista in cui possiamo collaborare e studiare strategie con altri movimenti antirazzisti in modo che non ci si limiti a rispondere all’ultima offesa antisemita e poi non si dica nient’altro sul razzismo.

Per fare un esempio di ciò, quando la sopravvissuta all’Olocausto Mireille Knoll è stata uccisa e poi c’è stato un corteo contro l’antisemitismo, certo non ci siamo sentiti di partecipare a una manifestazione che includeva anche il Front National [partito di estrema destra francese, ndt.] (FN). Di fatto in quell’occasione persino la Lega per la Difesa Ebraica, un’organizzazione di estrema destra e ultra-sionista, non ha voluto rimanere in silenzio riguardo alla presenza del FN. Il modo particolare in cui lo Stato lotta contro l’antisemitismo, ignorando altre forme di razzismo, mentre presenta ogni attacco contro un cittadino ebreo come un attacco a tutta la repubblica francese, può in parte alimentare teorie cospirative e risentimento verso gli ebrei, se sono visti come protetti in un modo in cui altri non lo sono. Facciamo molto di più contro l’antisemitismo quando lottiamo contro ogni razzismo che quando lo prendiamo in considerazione come qualcosa di isolato.

D.B.: Negli scorsi giorni Emmanuel Macron ha proposto di classificare l’“antisionismo” come una forma di antisemitismo in sé. C’è stato persino il suggerimento che ciò potrebbe portare a una nuova legge per criminalizzare alcune forme di critica a Israele. Quali reali misure vi aspettate che ciò comporti?

M.B.: L’antisionismo e l’opposizione contro Israele sono opinioni politiche che non dovrebbero in nessun caso essere soggette a restrizioni da parte della legge. Ovviamente l’antisionismo è un’idea che può avere molti significati diversi, dalla generalizzata opposizione al progetto sionista tra gli ebrei prima della fondazione dello Stato di Israele nel 1948, alla posizione di quanti non vogliono distruggere Israele ma piuttosto trasformarlo in uno Stato per tutti i suoi cittadini, compreso il circa 20% della popolazione che è arabo-palestinese. Ovviamente di recente la legge sullo Stato-Nazione ha invece declassato lo status ufficiale dell’arabo in Israele ed ha imposto una discriminazione ancora più pesante contro i palestinesi.

Emmanuel Macron è stato invitato a pronunciare il discorso inaugurale della cena del Consiglio delle Organizzazioni Rappresentative degli Ebrei (CRIF), che, nonostante un passato più di sinistra, è diventato molto di destra e una forza filo-israeliana tra gli ebrei francesi – quasi una seconda ambasciata israeliana – anche se i media francesi spesso lo presentano come la voce di tutta la “comunità ebraica”. È molto più di destra e tollerante riguardo ai neonazisti persino dell’AIPAC [potente organizzazione lobbystica degli ebrei americani a favore di Israele, ndt.]. Lo possiamo vedere nella sua totale mancanza di reazione riguardo all’iniziativa di Netanyahu di offrire posizioni chiave ai kahanisti [dal rabbino Meir Kahane, capo del partito israeliano di ultradestra Kach, messo fuori legge negli anni ’80, ndtr.] (suprematisti ebrei, che si oppongono fermamente alle critiche per l’uccisione di palestinesi), se verrà rieletto.

Il CRIF ha spinto perché l’antisionismo venga classificato come antisemitismo, e quando Macron ha parlato alla cena ha detto che dietro all’opposizione all’esistenza di Israele c’è “la negazione dell’ebreo”. Ha detto che la definizione di antisemitismo proposta dall’“International Holocaust Remembrance Alliance” [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa che intende promuovere la memoria dell’Olocausto formata da 31 Paesi membri, ndtr.] (IHRA) dovrebbe essere adottata per legge, compresi gli esempi specifici che elenca. Questi ultimi hanno già provocato polemiche nel partito Laburista in Gran Bretagna, perché specificano che è antisemita dire che “l’esistenza dello Stato di Israele è un’impresa razzista.”

Ciò significherebbe che chi critica il colonialismo di insediamento potrebbe essere considerato un “antisemita” sulla base del fatto che si oppone al “diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico”. Non si sa quali passi concreti si stiano per fare. Ma, dato che Macron ha parlato di inserire la definizione dell’IHRA nel codice penale, questo potrebbe ulteriormente criminalizzare e impedire il lavoro della campagna francese del BDS e il movimento di solidarietà con la Palestina.

Per ora i partiti di sinistra – come “La France Insoumise” (LFI) e il partito comunista francese – sono rimasti piuttosto silenziosi riguardo alle critiche nei confronti di questa iniziativa, perché non vogliono essere trascinati in un’altra polemica a questo proposito. Non hanno dimostrato molto coraggio. Adrien Quatennens, un giovane e brillante deputato di LFI, ha detto che “non è un’idea molto buona”.

Ma noi, come organizzazione ebraica antisionista, stiamo rispondendo in modo più deciso. Insieme ai nostri alleati resisteremo contro questo attacco alla libertà di parola. In quanto oppositori coerenti dell’antisemitismo e antirazzisti conseguenti difenderemo il diritto a criticare Israele e – soprattutto – a dimostrare solidarietà con i palestinesi.

(traduzione di Amedeo Rossi)