Cosa c’è dietro la campagna saudita contro Hamas?
Adnan Abu Amer
23 settembre 2019 Al Jazeera
Attraverso i ripetuti arresti dei suoi sostenitori e l’interruzione dei i flussi finanziari verso Gaza, Riyadh cerca di mettere Hamas colle spalle al muro
Il 9 settembre Hamas ha rilasciato una sorprendente dichiarazione ufficiale che condanna gli arresti di alcuni dei suoi sostenitori residenti in Arabia Saudita. Da aprile, decine di palestinesi, giordani e cittadini sauditi sono stati arrestati e accusati di appartenere e sostenere Hamas attraverso la raccolta di donazioni a favore del movimento.
Alcuni sono stati presumibilmente torturati, altri sono stati espulsi; a molti sono state congelate le attività e monitorati i trasferimenti finanziari. Inoltre, sono stati imposti controlli severi sulle rimesse verso i territori palestinesi, cosa che durante l’estate ne ha determinato un blocco quasi completo.
Per mesi, Hamas è rimasto per lo più silenzioso, sperando che la mediazione politica potesse risolvere il problema. Importanti dirigenti di Hamas si sono rivolti ripetutamente alle autorità saudite in merito alla questione chiedendo anche la mediazione di vari funzionari arabi.
La dichiarazione ufficiale che condanna la campagna saudita contro i suoi sostenitori suggerisce che gli sforzi di mediazione siano falliti e che le tensioni non siano state risolte. Sembra che questa crisi sia stata scatenata dall’alleanza saudita con l’amministrazione Trump e il suo “accordo del secolo”, insieme alla sua campagna diplomatica contro l’Iran.
Relazioni tra Arabia Saudita e Hamas
Dopo la costituzione di Hamas negli anni ’80, la sua leadership ha intrattenuto per anni buoni rapporti con l’Arabia Saudita. Sebbene le autorità saudite non abbiano mai inviato al partito finanziamenti diretti, hanno consentito la raccolta di fondi sul proprio territorio.
All’inizio degli anni 2000, Hamas ha iniziato ad avvicinarsi all’Iran, il che ha inevitabilmente influenzato le relazioni con l’Arabia Saudita. Nel 2007, in seguito alla vittoria di Hamas alle elezioni legislative palestinesi e agli scontri con Fatah a Gaza, Riyadh ha cercato di mediare la riconciliazione tra i due, ma non è riuscito a farlo, il che ha inasprito ulteriormente l’atteggiamento saudita nei confronti della leadership di Hamas.
Quando nel 2011 è scoppiata la primavera araba e le proteste di massa contro il regime di Assad si sono diffuse in tutta la Siria, Hamas si è trovata sempre di più in conflitto con l’Iran. Mentre i disordini si trasformavano in una guerra civile, il movimento ha deciso di appoggiare l’opposizione siriana, interrompendo di fatto i rapporti con Teheran, schierata con Damasco.
Questo sviluppo gradito ai sauditi è stato oscurato dal colpo di stato militare del 2013 in Egitto e dalla rimozione del presidente egiziano Mohamed Morsi. Il sostegno saudita all’allontanamento del primo presidente egiziano eletto democraticamente e la contrarietà di Hamas hanno esacerbato le loro relazioni, interrompendo le visite ufficiali della leadership di Hamas a Riyadh.
Il nuovo regime al Cairo ha accresciuto la pressione su Gaza, mentre si approfondiva la crisi nelle relazioni con Fatah. Di conseguenza, sentendosi sempre più isolato, nel 2017 Hamas ha iniziato a riprendere i contatti con l’Iran.
Da allora, le relazioni con Teheran sono notevolmente migliorate, come dimostrato da una visita ufficiale di una delegazione di Hamas nel Paese nel luglio di quest’anno e dal suo incontro con il leader supremo l’ayatollah Ali Khamenei.
Una nuova crisi
L’inizio del riavvicinamento tra Iran e Hamas ha coinciso approssimativamente con la svolta della strategia americana nei confronti dell’Iran. L’amministrazione Trump si è ritirata dall’accordo nucleare e ha annunciato una politica di “massima pressione” verso Teheran, che sia l’Arabia Saudita che Israele hanno accolto con favore.
Allo stesso tempo, Washington ha legato essenzialmente la sua politica verso l’Iran ai suoi sforzi per far passare un “accordo di pace” tra israeliani e palestinesi, che prevede il sostegno da parte degli Stati arabi e la normalizzazione dei loro rapporti con Israele. L’Arabia Saudita ha mostrato abbastanza esplicitamente il suo sostegno al piano.
In questo contesto, gli atteggiamenti ufficiali nei confronti della Palestina hanno cominciato a cambiare.
Il principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS) ha iniziato a fare pressioni sull’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) perché accettasse l’accordo americano già nel 2017. Nel 2018, circolavano delle voci secondo le quali [MBS] avrebbe minacciato il presidente palestinese Mahmud Abbas e gli avrebbe offerto sostegno finanziario per incoraggiarlo ad accettare i termini dell’accordo americano.
Quindi, all’inizio di quest’anno, Riyadh ha rivolto il suo sguardo su Gaza. Ad aprile hanno avuto luogo i primi arresti dei sostenitori di Hamas, inclusa la detenzione del dott. Mohammed al-Khodary, da oltre 20 anni responsabile delle relazioni bilaterali. Ciò è stato seguito da un chiaro cambiamento nel linguaggio saudita sui social media e su quelli tradizionali.
A maggio, il quotidiano saudita La Mecca ha pubblicato un elenco di 40 personaggi islamici in tutto il mondo descritti come terroristi influenzati dalle idee dei Fratelli Musulmani. Tra questi, il fondatore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, l’ex leader Khaled Meshaal, l’attuale leader Ismail Haniya, e i suoi comandanti militari Mohammad al-Deif e Yahya al-Sinwar.
Quindi, durante l’offensiva israeliana contro Gaza, nello stesso mese, attivisti e blogger sauditi hanno scritto tweet di solidarietà con Israele e hanno attaccato Hamas, accusandolo di lavorare per l’Iran e la Turchia e chiedendo a Israele di contrastare quello che hanno definito il “terrorismo” del “sangunario” Hamas. Queste affermazioni sono state unanimemente accolte con favore da Israele.
Secondo i funzionari di Hamas con cui ho parlato, l’Arabia Saudita ha affermato che Hamas deve “risolvere i suoi problemi con gli americani”. Sebbene non sia chiaro cosa significhi in modo specifico, la leadership di Hamas ritiene che questa campagna miri a spingerla ad accettare “l’accordo del secolo” dell’amministrazione Trump e a cessare la sua resistenza armata contro l’occupazione israeliana.
Oltre che cercare di soddisfare il desiderio americano di esercitare pressioni sul movimento e di prosciugarne le fonti di finanziamento, la campagna saudita contro Hamas sta anche tentando di frenarne il riavvicinamento all’Iran.
E adesso?
La decisione di Hamas di rendere pubblica la campagna saudita contro i suoi membri mostra chiaramente il suo rifiuto di perseguire migliori relazioni con l’Arabia Saudita attraverso il taglio delle relazioni con l’Iran. In passato [Hamas] ha mantenuto relazioni equilibrate con entrambi i Paesi e vuole che ciò continui.
La resistenza di Hamas alle pressioni saudite potrebbe spingere Riyad a intensificare la sua campagna contro il movimento. La sua demonizzazione nei media sauditi probabilmente continuerà, così come gli sforzi per tagliare i suoi canali di finanziamento.
Il regno potrebbe anche esercitare pressioni politiche ed economiche su altri Paesi arabi per dare un giro di vite su Hamas e fare pressioni affinché la Lega araba lo definisca come un’organizzazione terroristica, come fece con Hezbollah nel 2016.
Se la pressione saudita persistesse e aumentasse, ciò inciderebbe senza dubbio sulla precaria situazione di Hamas nella regione e rafforzerebbe le sue relazioni con l’Iran, il quale ha ripristinato il suo sostegno militare e finanziario a favore del movimento.
Mentre Hamas si sentirà sempre più con le spalle al muro, il popolo palestinese sarà quello che ne pagherà il prezzo, poiché nella Striscia di Gaza le condizioni di vita e il disastro economico continueranno a peggiorare .
Per ora, nonostante le attuali tensioni, Hamas appare desideroso di non interrompere completamente le sue relazioni con l’Arabia Saudita. Tenterà di resistere alla tempesta nella speranza che la situazione politica nel regno e nella regione cambi e ci si avvii a un eventuale disgelo nelle relazioni.
Nel contesto del crescente allineamento arabo con le posizioni statunitensi e saudite, questa crisi è vista dai palestinesi come un’ulteriore indicazione del fatto che [essi] sono stati in gran parte lasciati in balia dei loro occupanti e dei loro sostenitori occidentali dai governi arabi.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.
Il Dr. Adnan Abu Amer è il responsabile del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Ummah a Gaza.
(Traduzione di Aldo Lotta)