Nessun permesso di uscita per i palestinesi senza documenti

Ola Mousa

26 giugno 2020 – The Electronic Intifada

Khadija al-Najjar rovistava tra le fotografie dei suoi figli e nipoti agitandosi sempre più.

Alcuni dei suoi figli adesso vivono in Europa o in Nord America. Ma Khadija, di 72 anni, non può andarli a trovare. Non possiede né può ottenere un documento di identità palestinese nemmeno per cercare di andare da loro. Senza quello non ha nessun documento che le consenta di partire.

Non è l’unica. Secondo il locale ufficio del Ministero per gli Affari Civili dell’Autorità Nazionale Palestinese, a Gaza ci sono circa 5.000 palestinesi che condividono la sua stessa situazione. Israele ha interrotto la consegna di carte di identità destinate ai residenti della striscia costiera dopo il 2007, quando Hamas ha preso il totale controllo di Gaza togliendolo a Fatah, avendo vinto le elezioni parlamentari dell’anno precedente.

Kadijja e suo marito, Muhammad Issa al- Najjar, vivono nel quartiere di al-Rimal di Gaza City. Muhammad è nato nel 1945 a Masmiya al-Kabira, un villaggio palestinese nell’allora distretto di Gaza (attualmente sul lato israeliano del confine) che è stato spopolato con la forza e in gran parte distrutto durante la Nakba del 1948.

Ha studiato in Egitto prima della guerra del 1967 ed è uno di quelli che non si sono registrati nel censimento israeliano del 1967 della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

Per questo motivo lui e la sua famiglia non hanno potuto tornare a Gaza fino al 1999 quando, sulla spinta di un’ondata di ottimismo sul processo di pace e della promessa che Gaza sarebbe diventata una versione araba della ricca e dinamica Singapore, lo hanno appunto fatto.

Siamo entrati a Gaza con permessi temporanei, dato che i miei parenti vivono a Gaza”, ha detto Muhammad. Ma solo metà della famiglia è riuscita ad ottenere carte di identità permanenti. “Abbiamo fatto domanda di ricongiungimento familiare; (i miei figli) Nasser, Razan ed io le abbiamo ottenute. Purtroppo mia moglie, Ahmad e Lina non ci sono riuscite.”

Khadijja si arrabbia quando guarda la sua carta di identità temporanea. Non le serve a niente. Non vede sua figlia Lamis, di 41 anni, che vive nel Regno Unito, da 20 anni. Nasser, di 38 anni, ha vissuto in Canada negli ultimi 5 anni. Ha anche dei fratelli a Dubai che spera di andare a trovare.

La madre dei cinque figli spera ancora di ottenere una carta di identità, ma nonostante abbia fatto diverse richieste alle autorità competenti a Ramallah nella Cisgiordania occupata, le è stato sempre detto che la decisione spetta agli israeliani.

Mi sembra di essere in prigione; non posso vedere i miei figli e i miei nipoti né celebrare Hajjj o Umrah. Quando mio figlio Nasser era a Gaza, stava per ottenere un lavoro in una banca, ma è stato escluso quando hanno saputo che non aveva una carta di identità”, ha raccontato Khadijja a The Electronic Intifada.

In trappola

Almeno Mahmoud Mufid Abdel-Hadi, di 40 anni, ha un lavoro. Benché non possegga una carta di identità palestinese, ha trovato impiego come project manager nel settore delle ONG. I suoi genitori avevano lasciato Gaza prima del 1967 per andare a lavorare negli Emirati Arabi Uniti, dove Mahmoud è nato, e la famiglia non ha potuto tornare facilmente dopo il 1967 e l’occupazione.

Il processo di pace e la creazione dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) hanno cambiato tutto per Abdul-Hadis, i Najjars e decine di migliaia di altri che sono tornati nei territori occupati negli anni ’90, dopo la firma degli Accordi di Oslo.

Mahmoud è tornato a Gaza con la sua famiglia nel 1998. Erano otto, ma solo due hanno ottenuto le carte di identità. Lui, i suoi genitori ottantenni e tre dei suoi fratelli sono tra i 5.000 palestinesi che aspettano di ottenerle.

Siamo vittime delle attuali circostanze politiche. Per quel che so, la pratica per la carta di identità è chiusa. Israele, che non fa che discriminare i palestinesi, non ha interesse ad aiutarci a Gaza. Purtroppo l’ANP, che è parte del negoziato, si è mostrata debole di fronte agli israeliani”, ha detto.

Ma Mahmoud ritiene i leader politici palestinesi di tutte le fazioni responsabili della mancata soluzione di questa questione con Israele.

Queste pratiche dovrebbero essere tra i principali elementi dei negoziati, accanto a questioni come quella dei prigionieri”, ha detto a The Electronic Intifada. “A Gaza Hamas ne porta la responsabilità in quanto fazione dominante.”

Si è dichiarato frustrato dal fatto che la questione delle carte di identità non è più prioritaria.

Siamo in una prigione a cielo aperto, condannati a vita. Senza documenti di identità non abbiamo potuto uscire da Gaza da quando siamo arrivati”, ha detto.

L’ultima parola

Il blocco è interamente causato dagli israeliani, ha detto Saleh al-Ziq, del Ministero per gli Affari Civili di Gaza.

Migliaia di palestinesi vivono attualmente a Gaza senza documenti di identità. Il ministero non ha ricevuto l’autorizzazione israeliana per emettere le loro carte di identità”, ha detto al-Ziq a The Electronic Intifada.

Le 5.000 persone in questione erano l’ultimo gruppo il cui status dei documenti di identità era in corso di trattativa quando Hamas ha preso il controllo di Gaza nel 2007, ha detto al-Ziq. Per la maggior parte si sono trasformati in permessi temporanei a fronte della domanda di ricongiungimento familiare. Quando le trattative sono state interrotte lo status di queste persone non è mai stato risolto.

In base agli accordi tra Israele e l’OLP degli anni ’90, Israele ha l’ultima parola sui documenti di identità. Mentre è l’ANP ad emettere le carte di identità, Israele emette i loro numeri, senza i quali esse non sono valide. Le informazioni contenute nelle carte sono scritte sia in arabo che in ebraico.

Purtroppo alle persone senza carta di identità sono negati i fondamentali diritti sociali e politici. Israele rifiuta di concedere le carte con il pretesto del dominio di Hamas sulla Striscia di Gaza. Non so quale forma di minaccia le carte di identità costituiscano per Israele.”, ha detto al-Ziq, aggiungendo di sperare che la questione possa risolversi presto.

Iman al-Sir, di 30 anni, è originaria di Jaffa. Disponendo solamente di un documento temporaneo, non si è mai sentita stabilizzata in Palestina, ha detto a The Electronic Intifada.

Iman è cresciuta nel campo profughi di Yarmouk a Damasco, ma è tornata a Gaza con sua madre nel 2012 a causa del conflitto in Siria. Suo nonno era stato espulso in Egitto ed è andato in Siria dopo la guerra del 1967, durante la quale aveva combattuto con gli eserciti arabi.

Fin dalla mia infanzia mio padre ci ha sempre parlato della Palestina e della nostra terra a Jaffa, da cui siamo stati sradicati. La prima volta che io ho visto un soldato israeliano è stato in televisione nel 2000.”

Ha detto che per molti anni, prima di poterlo fare realmente, aveva desiderato tornare a vivere in Palestina.

Tuttavia quando sono arrivata a Gaza ho scoperto che è l’occupazione israeliana che controlla la mia identità. Che razza di pace è questa? Come si può promuovere la pace con uno Stato che non riconosce la tua esistenza?”

Ha detto a The Electronic Intifada che se avesse saputo che sarebbe finita in una “prigione a cielo aperto”, avrebbe affrontato il pericoloso viaggio verso l’Europa, intrapreso da tanti rifugiati siriani.

Almeno in Europa non avrei mai dovuto provare l’esperienza dell’occupazione israeliana che decide se io sono o non sono palestinese”.

Ola Mousa è un’artista e scrittrice di Gaza.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)