Perché l’occidente appoggia ‘il diritto alla difesa’ del regime di apartheid in Israele

Joseph Massad

18 maggio 2021 – Middle East Eye

In occasione del 73esimo anniversario della Nakba, il popolo palestinese è determinato ovunque a resistere a quest’oppressione coloniale e razziale e a porvi fine una volta per tutte

18 maggio 2021 – Middle East Eye

La scorsa settimana la guerra di Israele contro tutti i palestinesi che vivono sotto il suo regime di apartheid suprematista ebraico si è intensificata in risposta alla rivolta del popolo palestinese nella Palestine storica colonizzata.

A circa 140 anni dall’arrivo dei coloni ebrei europei in Palestina con l’intenzione di spogliare i nativi palestinesi delle loro terre e del sostentamento e 73 anni dopo l’insediamento di coloni che hanno rubato il Paese ai palestinesi e ne hanno espulso la maggioranza, la resistenza palestinese non si è mai placata. 

Ostinatamente gli Stati Uniti, i Paesi colonialisti dell’Unione Europea e il Regno Unito non sono stanchi del loro impegno a difendere “Il diritto di Israele a difendersi”.  Quello che questi governi intendono con questo ritornello suprematista bianco è ”il diritto di Israele di difendere” il proprio regime di apartheid e la supremazia ebraica contro la resistenza anti-colonialista dei nativi.

A loro si sono uniti i media dominanti e i canali social che soffocano ed escludono opinioni filo-palestinesi come il loro specifico contributo a difesa del diritto di Israele di difendere il proprio regime di apartheid.

‘Neutralità’ liberal

Per decenni un intero vocabolario ideologico bianco e progressista è stato arruolato con il compito di difendere il regime sionista nel corso della sua ininterrotta guerra coloniale contro il popolo palestinese. I difensori progressisti (e conservatori) di Israele ripetono che quello che succede in Palestina non è una guerra coloniale di conquista e una lotta di liberazione anti-coloniale dei nativi, ma piuttosto un “conflitto”, un termine che ha cominciato ad essere usato fin dagli inizi degli anni ’20 del secolo scorso, prima dai sionisti e poi dagli inglesi, e compare nei primi documenti sionisti, presentato come una definizione neutra.

Altri termini liberal “neutrali” definiscono questa guerra coloniale e la resistenza contro di essa “scontri” e un “ciclo di violenza”.

Nel lessico occidentale bianco progressista raramente i palestinesi sono identificati come la popolazione indigena della Palestina che sta subendo una pulizia etnica e gli ebrei israeliani non sono mai denunciati come coloni ebrei che stanno attuando una pulizia etnica.   

La resistenza palestinese è etichettata in modo “neutrale ” come “violenza” e, cosa più importante, come “terrorismo”, mentre ci si riferisce al bombardamento coloniale israeliano come “rappresaglia”, giustificata dal “diritto di Israele a difendersi”. Il termine ideologico liberal “rappresaglia ” è un’altra parola chiave presentata come “neutrale” nello stesso momento in cui si insiste che i palestinesi sono quelli che commettono “violenza” per primi.

Con ciò si intende eliminare la guerra coloniale sionista contro i palestinesi dagli anni ‘80 dell’Ottocento come causa prima delle loro disgrazie e della Nakba [la Catastrofe, ossia la pulizia etnica operata dai sionisti nel ’47-’48, ndtr.]. Questo termine “neutro” cerca di presentare la conquista coloniale della Palestina come un processo “pacifico” al quale i barbari palestinesi non bianchi hanno risposto con la violenza, contro cui l’Israele civilizzato ed europeo oggi compie delle “rappresaglie”.

La strategia dei media occidentali progressisti dominati dai bianchi spesso insiste nel rappresentare la lotta palestinese come lotta interna religiosa fra “ebrei” e “musulmani”, dipingendole come due comunità autoctone in conflitto l’una con l’altra da tempo immemore. 

Alcuni dei bianchi progressisti che ammettono che il loro impegno a sostegno del colonialismo in Palestina, dell’apartheid israeliano e della supremazia ebraica ha creato loro un conflitto di coscienza, si sono uniti in anni recenti alle armate dei difensori dei diritti umani liberal occidentali per negare i diritti nazionali indigeni dei palestinesi, in favore dei loro diritti “umani”, esigendo che Israele non violi questi ultimi. 

Questa retorica spoliticizza la lotta palestinese e ancora una volta cancella deliberatamente la natura coloniale dell’oppressione israeliana a cui i palestinesi sono sottoposti. 

Allo stesso modo, la pulizia etnica dei palestinesi è ribattezza dal lessico progressista come “sfratti” di palestinesi dalle proprie case, cosa che legittima la descrizione di Jared Kushner [genero, finanziatore dei coloni ed ex-consigliere per il Medio Oriente di Trump, ndtr.] e quella ufficiale israeliana della supremazia ebraica dei coloni nel Paese come una semplice “disputa immobiliare”.

L’età delle rivolte

I contadini palestinesi hanno per la prima volta resistito nel 1884 ai coloni ebrei europei che cominciavano a fondare un regime coloniale di apartheid e di supremazia ebraica in Palestina. I coloni ebrei russi, inizialmente finanziati dal barone Edmond de Rothschild, avviarono la pulizia etnica dei nativi palestinesi dalla terra che avevano coltivato per secoli per impiantare colonie ebraiche europee dopo il loro arrivo nel Paese dei palestinesi nel 1882-1883.

I palestinesi resistettero ai nuovi insediamenti coloniali costruiti sulle proprie terre – Petah Tikva, Gedera, Rehovot, Nes Ziyyona, e Hadera.  Nel suo libro intitolato The Arabs and Zionism before WWI [Gli arabi e il sionismo prima della prima guerra mondiale] lo storico Neville Mandel afferma che “prima o poi quasi tutte le colonie ebraiche entrarono in conflitto con” i contadini palestinesi del posto. Secondo Mandel, fra il 1904 e il 1909 scoppiarono altre rivolte di contadini palestinesi contro i coloni ebrei e parecchi palestinesi e coloni furono uccisi, il che portò all’incarcerazione di contadini da parte delle autorità ottomane.

Altre rivolte seguirono nel 1910 nel villaggio di al-Fula, dove i coloni uccisero un palestinese e gli ottomani ne arrestarono moltissimi altri. Le sollevazioni ripresero dopo la Prima guerra mondiale, quando gli inglesi conquistarono la Palestina.

Nel 1920, durante la festività di Nabi Musa che coincideva con la Pasqua ortodossa per cristiani palestinesi e con il Pesach per gli ebrei, milizie coloniali sioniste, a centinaia, marciarono nelle strade di Gerusalemme per intimidire i nativi palestinesi di cui bramavano il Paese. Questo portò a una sollevazione in città da parte dei palestinesi. Cinque ebrei e quattro palestinesi, tra cui una giovane ragazzina, furono uccisi.

Nel 1925, la rivolta dei contadini di ‘Affulah che protestavano contro l’occupazione coloniale ebraica e la pulizia etnica degli abitanti dimostrò che l’ininterrotto progetto sionista coloniale continuava a dover affrontare una dura resistenza. Nel 1929 la rivolta palestinese contro gli inglesi e gli ebrei colonizzatori esplose a Gerusalemme e presto si estese a gran parte della Palestina, uccidendo centinaia di persone di entrambe le parti.

Seguirono altre insurrezioni nel 1933, che culminarono con la formazione di bande di contadini guerriglieri guidate da Izz al-Din al-Qassam nel 1935 e nella Grande Rivolta palestinese che durò dal 1936 al 1939 e costò 5.000 vite palestinesi.

Nessuna di queste rivolte fu in grado di fermare la marcia costante della colonizzazione ebraica, dato che era sostenuta dalla potenza coloniale inglese e dalla Lega delle Nazioni, che preparava la battaglia finale per la pulizia etnica del 1947-48.

Le bande sioniste conquistarono la Palestina, insediarono una colonia ebraica e immediatamente intrapresero l’insediamento legale e istituzionale di un regime suprematista ebraico di apartheid, accompagnato da decine di massacri di palestinesi.

Massacrare i nativi

I coloni ebrei europei hanno preso in prestito molta della loro strategia coloniale e razziale da altri coloni bianchi europei. Questo include l’importante mantra che i coloni non avevano altra scelta che massacrare i nativi africani.

Difendendo i massacri coloniali dei suprematisti bianchi del popolo indigeno dei Nama in Namibia, nell’Africa meridionale, il rappresentante coloniale portoghese alla Lega delle Nazioni, Freire D’Andrade, il cui Paese aveva parecchie colonie vicino alla Namibia e al Sud Africa, nel 1923 disse che “nell’Africa meridionale esisteva un movimento anti-europeo che era di considerevole importanza; si diceva spesso era che l’Africa era per gli africani e gli europei dovevano essere gettati a mare.” 

Prendendo a prestito questa frase dei coloni bianchi, il capo dell’Organizzazione sionista, Chaim Weizmann, sostenne che nel 1930 che la Lega delle Nazioni non avrebbe dovuto concedere l’autodeterminazione democratica ai palestinesi indigeni, usando l’affermazione coloniale di D’Andrade su ciò che la richiesta di democrazia e indipendenza dei popoli indigeni comportava per i coloni europei. Ciò che i leader arabi “desiderano nel presente,” insisteva Weizmann, “è chiaramente buttarci nel Mediterraneo.”  Ci sarebbero riusciti, spiegava Weizmann, con il loro “desiderio” di stabilire “un Parlamento su base democratica, cioè un’istituzione in cui noi saremmo una piccola minoranza.” 

I coloni ebrei privarono i palestinesi non solo dei loro diritti democratici dal 1948; infatti furono loro, secondo Ilan Pappe in Ethnic Cleansing of Palestine [Pulizia etnica della Palestina, Fazi, 2008] che nel 1948 spinsero i palestinesi nel Mediterraneo e nel deserto mentre procedevano con la pulizia etnica della loro colonia d’insediamento.

La storia degli ultimi 73 anni della resistenza palestinese all’apartheid israeliano e alla supremazia, comunque, sarebbe stata cancellata non solo dai coloni sionisti e dal loro Stato di nuovo insediamento, ma anche da tutti i loro sponsor imperialisti in Europa e dalle colonie di insediamento nordamericane che, a loro volta, hanno fornito e continuano a rifornire Israele di denaro e armi per avanzare con la sua colonizzazione e la pulizia etnica e rimangono sostenitori entusiasti del “diritto di Israele a difendere se stesso” e il suo regime di apartheid e di suprematisti ebrei da ogni resistenza indigena. 

Unire i palestinesi

L’attacco in corso da parte di sionisti e israeliani contro il popolo palestinese ancora una volta distrugge tutti gli strenui tentativi del colonialismo ebraico di dividere i palestinesi e aiuta a cementare l’unità di questo popolo colonizzato contro il suo usurpatore coloniale.

Nel 1948 Israele divise i palestinesi: quelli espulsi dai suoi confini e quelli sottomessi alla supremazia ebraica all’interno di quei confini. I palestinesi in Israele furono ulteriormente divisi secondo criteri sionisti razzisti così cari agli ebrei sionisti europei, ma completamente estranei ai palestinesi.

Quindi i drusi arabi palestinesi che appartenevano a una denominazione religiosa vennero etnicizzati come “drusi”, mentre gli allevatori palestinesi furono etnicizzati come “beduini”. Entrambi i gruppi arabi palestinesi furono legalmente separati dai palestinesi musulmani e dai palestinesi cristiani di tutte le denominazioni, anche se Israele ora continua i suoi sforzi per separare gli ultimi due ed etnicizzarli. 

Quando Israele conquistò il resto della Palestina nel 1967 il suo primo atto fu separare i palestinesi di Gerusalemme Est dal resto della Cisgiordania e dopo il 1993 cominciò a separare i palestinesi in Cisgiordania e Gaza con i checkpoint permanenti dell’esercito israeliano.

Nel 2000 ha separato i palestinesi della Cisgiordania a occidente del muro dell’apartheid di nuova costruzione da quelli che vivono sul suo lato orientale. Nel 2005 ha separato i palestinesi di Gaza dai palestinesi della Cisgiordania, tutto ciò mentre cerca di de-palestinizzare i palestinesi espulsi che vivono in esilio dal 1948, un tentativo che negli ultimi dieci anni cerca di ridefinire chi è un rifugiato palestinese riconosciuto dall’ONU, per ridurre il loro numero da sette milioni a poche migliaia.

Nonostante tutti questi sforzi di etnicizzazione, razzializzazione e denazionalizzazione, l’unità palestinese continua, anche perché tutti i palestinesi continuano a essere sottomessi e oppressi dal sionismo e dalla supremazia ebraica israeliana.

La rivolta dell’altra settimana ancora in corso contro l’apartheid israeliano e la supremazia ebraica nella colonia di insediamento, nei suoi confini del 1948 così come in quelli del 1967, prova questa unità e l’apartheid in cui tutti i palestinesi che vivono sotto il dominio israeliano sono sottoposti e che impedisce a tutti i palestinesi che Israele ha espulso fuori dai suoi confini di tornare a casa.

Questa settimana la marcia lungo il confine fra Palestina e Giordania dei palestinesi espulsi e dei loro alleati giordani dimostra ancora una volta che l’unità palestinese continua nonostante i coloni ebrei e il loro Stato. 

La resistenza continua

Durante la scorsa settimana, come è successo dal 1948, anche l’unità del governo israeliano e della popolazione ebrea israeliana si è manifestata nel fatto che tutti gli ebrei israeliani (con poche eccezioni degne di nota) prestano servizio nell’esercito coloniale israeliano e restano riservisti per decenni dopo aver finito il loro servizio militare obbligatorio che dura vari anni.

Mentre l’esercito israeliano e i civili ebrei estremisti attaccano e assassinano i palestinesi in Cisgiordania e Gaza, la polizia israeliana e i coloni ebrei attaccano i palestinesi a Gerusalemme Est e nelle città palestinesi colonizzate in Israele.

Ebrei intenzionati a portare avanti un pogrom e folle di linciatori aiutati dalla polizia hanno attaccato comunità palestinesi, bruciando bambini con bombe incendiari e distruggendo negozi a Giaffa, attaccando passanti ad Haifa, uccidendo giovani a Lydda, aggredendo palestinesi nelle loro auto a Ramleh e commettendo altre atrocità. 

La reazione più importante dei Paesi occidentali di suprematisti bianchi è stata di affermare chiaramente che sono al fianco di Israele e il suo “diritto” di difendere il suo regime di apartheid e la supremazia ebraica.

In risposta e in questo 73esimo anniversario della Nakba, il popolo palestinese perseguitato ovunque è determinato a resistere a questo persistente marchio europeo di oppressione coloniale e razziale e mettervi la parola fine una volta per tutte. 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Joseph Massad è professore di storia politica e intellettuale araba moderna alla Columbia University di New York. È autore di numerosi libri e articoli, sia accademici che giornalistici. Tra le sue opere figurano: “Colonial Effects: The Making of National Identity in Jordan” [Effetti coloniali: la creazione dell’identità nazionale in Giordania], “Desiring Arabs” [Arabi Desideranti] e, in francese, “La persistance de la question palestinienne” [La persistenza della questione palestinese] (La Fabrique, 2009). Più di recente ha pubblicato “Islam in Liberalism” [L’Islam nel liberalismo]. I suoi libri e articoli sono stati pubblicati in una decina di lingue.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)