Attivisti per i diritti umani palestinesi attaccati con con un sistema di spionaggio elettronico israeliano

Attivisti per i diritti umani palestinesi attaccati con con un sistema di spionaggio elettronico israeliano

Un rapporto di Frontline Defenders rivela che sei attivisti, appartenenti alle sei associazioni della società civile recentemente bollate quali “organizzazioni terroriste” da parte del ministro della Difesa Benny Gantz, sono stati bersaglio del sistema di spionaggio militare Pegasus.

Yumna Patel

8 novembre 2021 –   Mondoweiss

 

Un nuovo rapporto ha rivelato lunedì scorso che sei attivisti per i diritti umani palestinesi sono stati presi di mira con un sistema di spionaggio informatico dell’azienda di sorveglianza israeliana NSO, il primo caso segnalato di attivisti palestinesi nel mirino della compagnia di sorveglianza.

Il rapporto di Frontline Defenders (FLD) [ONG che protegge gli attivisti per i diritti umani a rischio, ndtr.] rivela che sei attivisti, appartenenti alle sei associazioni della società civile recentemente bollate dal ministro della Difesa israeliano Benny Gantz come “organizzazioni terroriste”, sono stati bersaglio dello spyware di tipo militare Pegasus.

Secondo FLD, dopo che l’associazione era stata contattata da Al-Haq, organizzazione per i diritti umani di Ramallah, una delle sei prese di mira[dal governo israeliano, ndtr], temendo che il telefono di uno di loro fosse stato infettato da uno spyware aveva fatto esaminare 75 iPhone.

Le rilevazioni di FLD, confermate da Citizen Lab [laboratorio specializzato in sicurezza del web dell’Università di Toronto, ndtr] e dal laboratorio di sicurezza di Amnesty International, hanno scoperto che sei cellulari erano stati hackerati con uno spyware.

Fra le vittime dell’attacco informatico figurano Ghassan Halaika, ricercatore di Al-Haq, Ubai Al-Aboudi, cittadino palestinese-statunitense che è direttore esecutivo del centro Bisan per la Ricerca & lo Sviluppo, e Salah Hammouri, avvocato franco-palestinese che lavora per il gruppo in difesa dei diritti dei detenuti Addameer.

Il mese scorso Hammouri, originario di Gerusalemme, ha ricevuto una notifica dal ministero degli interni israeliano che il suo status di residente permanente della città è stato revocato per presunta “violazione della fedeltà alla nazione”. Salah Hammouri è cittadino francese.

Secondo FLD le altre tre vittime dell’attacco informatico preferiscono rimanere anonime.

In base al rapporto tracce dello spyware nel telefono di Halaika, così come in quello del “difensore dei diritti umani n. 6”, come viene chiamato nel rapporto, mostravano segni di spyware Pegasus risalenti al 2020, mentre i dispositivi degli altri quattro attivisti colpiti mostravano prove di attività di Pegasus nel periodo fra febbraio e aprile 2021.

Il rapporto riscontra che alcune delle procedure usate per hackerare i cellulari dei sei attivisti palestinesi sono le stesse usate contro altri difensori dei diritti umani e giornalisti di altri Paesi.

Il rapporto evidenzia che quando Pegasus viene installato sul telefono di qualcuno, l’intruso ottiene “l’accesso completo” a messaggi, mail, contenuti, microfono, fotocamera, passwords, messaggi vocali sulle app di messaggistica, dati di localizzazione, chiamate e contatti.

Pegasus è anche in grado di attivare da remoto fotocamera e microfono sul dispositivo infettato per permettere all’hacker di spiare le chiamate e le attività della vittima.

“In questo modo lo spyware consente di sorvegliare non soltanto la vittima, ma anche chiunque entri in contatto con lei tramite quel dispositivo,” osserva FLD. “Questo significa che, oltre a prendere di mira i palestinesi, compresi quelli con doppia cittadinanza, anche i non-palestinesi (compresi stranieri e diplomatici) con cui queste vittime sono state in contatto, cittadini israeliani inclusi, potrebbero essere stati sottoposti a tale sorveglianza, il che, nel caso dei cittadini israeliani, equivarrebbe ad una violazione della legge israeliana.”

Quindi FLD prosegue ricordando che la ditta NSO ha negato che lo spyware Pegasus sia utilizzato nella sorveglianza di massa dei difensori dei diritti umani, in quanto “esso è destinato ad essere utilizzato solo dai servizi segreti governativi e dalle forze dell’ordine con lo scopo di combattere il terrorismo e il crimine.”

“In questo modo, il fatto che Israele abbia designato “terroriste” queste organizzazioni dopo che sono state scoperte tracce di Pegasus, ma pochi giorni prima della rivelazione di questa indagine, sembra essere uno sforzo evidente di nascondere le proprie azioni e non mostra alcun collegamento a prove che porterebbero discredito a tali organizzazioni,” afferma FLD.

“I difensori dei diritti umani non sono terroristi,” dichiara il gruppo. “Questo sviluppo segna una grave  estensione delle politiche e pratiche sistematiche di Israele intese a zittire i difensori dei diritti umani palestinesi che perseguono la giustizia e  l’accertamento delle responsabilità per la violazione dei diritti umani dei palestinesi.”

“Arbitraria, oppressiva, angosciante”

In seguito alla pubblicazione del rapporto FLD, le sei organizzazioni della società civile coinvolte hanno rilasciato un comunicato congiunto per condannare le “rivelazioni di una massiccia operazione di sorveglianza arbitraria, oppressiva, angosciante e per sollecitare una risposta ferma, che comprenda azioni concrete, da parte della comunità internazionale.”

“La violazione e il controllo dei dispositivi di difensori dei diritti umani viola non soltanto il diritto alla privacy dei difensori dei diritti umani e dei loro legali, ma anche delle tante vittime che hanno avuto qualche tipo di comunicazione con loro,” affermano le associazioni.

Nel loro comunicato le associazioni fanno notare che, malgrado gli accordi intercorsi fra l’azienda NSO con USA e Francia per escludere la sorveglianza dei cittadini di quei Paesi, nel caso di Ubai Al-Aboudi e Salah Hammouri “la compagnia ha in seguito infranto tali accordi”.

“Il parallelismo nei tempi fra l’inchiesta di FLD e la classificazione delle organizzazioni della società civile da parte del ministero della difesa israeliano a poca distanza dall’inizio di tale indagine potrebbe non essere altro che il tentativo preventivo di nascondere le prove della sorveglianza e di insabbiare le operazioni clandestine condotte mediante lo spyware.”

“La sorveglianza dei difensori dei diritti umani palestinesi si unisce ad un’inaccettabile serie infinita di azioni coordinate da parte delle istituzioni governative israeliane e dei loro affiliati volte a istigare e compiere campagne sistematiche e organizzate di calunnie, intimidazioni e persecuzioni contro la società civile palestinese. Negli ultimi decenni tali tecniche hanno comportato campagne di diffamazione tese a bollare i difensori dei diritti umani come “terroristi”, di istigazione all’odio razziale e violenza, discorsi d’odio, arresti arbitrari, torture e maltrattamenti, minacce di morte, divieti di viaggiare, revoche di residenza e deportazioni,” afferma il comunicato.

Diverse altre organizzazioni per i diritti umani, fra cui Access Now, Human Rights Watch, Masaar – Technology and Law Community, Red Line for Gulf, 7amleh- The Arab Center for the Advancement of Social Media, SMEX, e INSM Network for Digital Rights- Iraq, hanno condannato l’hackeraggio dei telefoni degli attivisti.

Le associazioni hanno diffuso un comunicato congiunto in cui condannano l’attacco informatico che viola il diritto alla privacy degli attivisti, affermando che l’hackeraggio “mina la loro libertà di espressione e di associazione e minaccia la loro sicurezza personale e le loro vite.”

“Non pregiudica solo chi viene direttamente colpito, ma ha anche un effetto dannoso su sostenitori e giornalisti, che potrebbero auto-censurarsi per paura di una potenziale sorveglianza,” afferma il comunicato.

Le associazioni si sono anche appellate agli Stati affinché “mettano in atto un’immediata moratoria di vendite, trasferimento ed uso delle tecnologie di sorveglianza finché non vengano adottate adeguate tutele in materia di diritti umani”, e agli esperti dell’ONU affinché “adottino misure urgenti per denunciare le violazioni dei diritti umani da parte degli Stati agevolate dall’uso del sistema di spionaggio informatico Pegasus dell’azienda NSO e forniscano un sostegno immediato e determinante ad indagini imparziali e trasparenti sugli abusi.”

Anche la Campagna USA per i Diritti dei Palestinesi ha condannato l’attacco informatico con la dichiarazione del suo direttore esecutivo Ahmad Abuznaid: “Sappiamo riconoscere la repressione quando la vediamo.”

“Calunniare i difensori dei diritti umani e fare propaganda per delegittimare il loro lavoro. Sorvegliare attivisti e giornalisti che osano dire la verità. Tutto mentre continuano a commettere violazioni dei diritti umani giorno dopo giorno. Il regime israeliano è uno Stato di apartheid di separazione e disuguaglianza che impiega ogni tattica autoritaria a sua disposizione, ma noi conosciamo la verità: la liberazione è in arrivo e la Palestina sarà libera,” dice Abuznaid.

L’esercito adotta la designazione di “terrorismo” di Gantz

La rivelazione dell’attacco informatico segue immediatamente l’adozione da parte del complesso militare israeliano della precedente ordinanza del ministro della difesa Benny Gantz che definiva come “organizzazioni terroriste” le sei associazioni per i diritti umani palestinesi.

Lo scorso tre novembre il comando militare israeliano in Cisgiordania ha emesso cinque ordinanze militari separate per dichiarare “illegali” le organizzazioni, con l’effetto di mettere fuori legge le  attività delle organizzazioni in Cisgiordania, dove hanno sede e dove lavora la maggior parte del loro personale.

Se ad ottobre la designazione di Gantz spianava la strada alla criminalizzazione del lavoro delle organizzazioni all’interno di Israele, le ordinanze militari consentono la chiusura dei loro uffici e il sequestro di ciò che contengono.

Questo mette anche a rischio imminente di arresti e carcerazioni arbitrarie il personale di tali organizzazioni, con la motivazione che lavora”, secondo la designazione, per una “organizzazione terrorista”.

“In pratica, la designazione attribuita alle organizzazioni palestinesi dà facoltà ad Israele di chiuderne gli uffici, sequestrarne le proprietà, conti bancari compresi, oltre ad arrestarne e trattenerne il personale,“ affermano in una dichiarazione le organizzazioni.

“Rappresenta inoltre un allarmante tentativo di criminalizzare e minare i loro sforzi di promuovere i diritti umani dei palestinesi e il perseguimento delle responsabilità tramite procedure internazionali, screditandone il fondamentale lavoro, isolandole dalla comunità internazionale, eliminandone da ultimo le fonti di finanziamento.”

Le ordinanze militari sono state emanate alcuni giorni dopo la rivelazione di +972 Magazine e di The Intercept [rivista web USA creata dal fondatore di Ebay, ndtr.] secondo cui un dossier segreto israeliano di cui erano entrati in possesso non forniva alcuna vera prova che giustificasse la designazione delle associazioni quali organizzazioni terroriste.

Le 74 pagine del documento secretato sarebbero state usate dallo Shin Bet, il servizio di intelligence interno israeliano, per cercare di convincere i governi europei ad interrompere il finanziamento delle organizzazioni per i diritti palestinesi.

“Alti funzionari di almeno cinque Paesi europei hanno detto che il dossier non contiene alcuna ‘prova concreta’ e hanno così deciso di mantenere il sostegno finanziario alle organizzazioni,” afferma l’articolo di +972.

Israele rafforza la sorveglianza dei palestinesi con il programma di riconoscimento facciale

Martedì, poche ore prima che venisse rivelato l’attacco informatico della NSO contro i sei attivisti palestinesi, un servizio del Washington Post ha rivelato che l’esercito israeliano sta effettuando una “vasta operazione di controllo” nella Cisgiordania occupata mediante l’uso di tecniche di riconoscimento facciale.

Il Washington Post ha riferito che da due anni l’esercito sta usando una tecnologia per smartphone chiamata “Blue Wolf”, [lupo azzurro, ndtr] che “cattura foto dei volti dei palestinesi e li confronta con un database di immagini così esteso che un ex soldato lo ha definito un ‘Facebook per palestinesi’ segreto dell’esercito”, afferma il servizio.

Secondo il reportage, i soldati israeliani di stanza in Cisgiordania “l’anno scorso hanno fatto a gara per fotografare i palestinesi, vecchi e bambini compresi, e le unità che raccoglievano più foto venivano premiate.”

Il servizio stima che il numero minimo delle persone fotografate per il programma di sorveglianza “è stato dell’ordine di diverse migliaia.”

L’articolo afferma che, oltre alla tecnologia Blue Wolf, le autorità militari israeliane hanno installato fotocamere per la scansione facciale nella città di Hebron nel sud della Cisgiordania “per aiutare i soldati dei posti di blocco ad identificare i palestinesi  ancor prima che esibiscano i documenti di identità.”

“Una rete ancora più grande di telecamere a circuito chiuso, denominata “Smart City Hebron”, monitora in tempo reale la popolazione cittadina e a volte riesce a vedere all’interno delle case”, ha affermato un ex soldato citato nel servizio.

Hebron è un delicato punto nevralgico all’interno della Cisgiordania, e spesso gli attivisti lo hanno definito un “microcosmo” dell’occupazione israeliana.

La città è divisa fra circa 40.000 autoctoni palestinesi e un gruppo di coloni israeliani tristemente noti per la loro violenza ideologica che vivono nel cuore della Città Vecchia. In seguito al massacro di dozzine di palestinesi per mano di un colono israeliano nel 1994, la città vecchia venne divisa fra aree controllate dai palestinesi e dagli israeliani note come aree H1 e H2, la seconda dove vivono in maggioranza coloni.

I 40.000 palestinesi che vivono nell’area H2 sono perennemente circondati dagli oltre 1.000 soldati israeliani di stanza nell’area e da 20 posti di blocco militari che ne limitano qualsiasi movimento.

L’alta concentrazione di soldati e di coloni armati israeliani ha trasformato la città in uno dei principali luoghi della violenza coloniale e militare in Cisgiordania, dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno.

 

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)