‘Vogliono una guerra’: l’approvazione dell’avamposto da parte del procuratore generale in Cisgiordania scatena le proteste palestinesi

Agar Shezaf

6 febbraio 2022 – Haaretz

Dalla fondazione di Evyatar l’anno scorso i palestinesi di Beita hanno manifestato ogni settimana e otto persone sono morte. Con il suo ultimo intervento ufficiale Mendelblit ha rinvigorito le proteste

La decisione del procuratore generale uscente Avichai Mendelblit di stabilire un insediamento coloniale sul sito dell’avamposto di Evyatar non ha raffreddato l’ardore degli abitanti di Beita, il villaggio palestinese sulle cui terre è situato l’avamposto. Anzi. “Rafforza solo la nostra volontà di resistere e combattere”, ha detto ad Haaretz un diciassettenne che partecipa alla manifestazione contro l’avamposto, la più grande protesta settimanale in Cisgiordania.

L’adolescente, uno studente delle superiori, è arrivato alla manifestazione con le stampelle. Le usa da quando è stato colpito alla gamba dai soldati israeliani due settimane fa. Dice che non è la prima volta che viene ferito. Nella prima settimana in cui si sono svolte le proteste contro l’avamposto un proiettile Ruger (un proiettile calibro 22 usato per la dispersione della folla) gli è sfrecciato sulla testa, ferendolo e rendendo necessario il trasporto in un vicino ospedale.

Eppure continua a protestare ogni giorno contro l’avamposto. “Cosa farei a casa?” si chiede, stupito da una tale domanda. “Questa è la missione del nostro villaggio: rimuovere l’avamposto. Non si tratta solo di dimostrazioni. Sin svolgono anche ‘operazioni notturne di disturbo’ e a volte veniamo qui”.

Operazioni notturne di disturbo è l’appellativo degli incendi notturni di pneumatici e dell’uso occasionale di laser tag [gioco di simulazione militare con l’impiego di strumenti a raggi infrarossi, totalmente innocui, ndtr.] da parte dei giovani di Beita ai piedi dell’avamposto. Sono iniziate ancor prima che i coloni venissero sfrattati dall’avamposto, quando nell’area si potevano scorgere incessanti volute di fumo nero, e continuano ora che l’avamposto è presidiato dai militari.

Le notizie sulla concessione da parte di Mendelblit del permesso di costruzione di una colonia nella località di Evyatar sono state tradotte e distribuite sui gruppi Whatsapp di protesta. “Vogliono una guerra”, afferma Khaled, un abitante di Beita sulla quarantina, che protesta contro Evyatar sin dalla sua fondazione a maggio.

Come ogni venerdì, lo scorso fine settimana centinaia di residenti di Beita sono andati a protestare contro l’avamposto. Sebbene i coloni abbiano lasciato Evyatar circa sei mesi fa, le strutture che vi hanno eretto sono rimaste, così come una grande stella di David in legno, chiaramente visibile dal luogo della manifestazione. Alla manifestazione settimanale partecipano bambini piccoli, ragazzi e anche adulti sulla sessantina. Alcuni hanno con sè delle fionde e prendono di mira i soldati con le pietre.

Altri offrono ai manifestanti bottiglie d’acqua, altri ancora osservano quanto succede e di tanto in tanto urlano contro i soldati. L’esercito usa gas lacrimogeni, proiettili di gomma e proiettili veri. Dall’inizio delle proteste sono stati uccisi otto palestinesi. Secondo la Mezzaluna Rossa questo venerdì tre palestinesi sono stati feriti alle gambe da proiettili veri, nove sono stati feriti da proiettili di gomma e 26 sono stati curati per inalazione di gas.

L’esercito pattuglia continuamente l’avamposto e non permette a nessuno di avvicinarsi, quindi le proteste non si svolgono ai piedi dell’avamposto ma nel letto del torrente tra l’avamposto e il villaggio, e talvolta tra il villaggio e la Statale 60 [la strada che percorre da nord a sud Israele e Cisgiordania unendo Beersheba a Nazareth, ndtr.]. La protesta inizia dopo che la gente del luogo ha pregato sul posto. Oggi i manifestanti hanno affermato che l’esercito si è avvicinato più che mai alle case del villaggio.

Pensano che ciò abbia a che fare con l’annuncio di Mendelblit e che Israele stia cercando di fare pressione su di loro affinché smettano di protestare. “Oggi hanno iniziato subito in modo pesante. Ci sono state molte sparatorie e molto gas”, dice uno dei manifestanti mentre un candelotto lacrimogeno gli cade vicino. “Anche i bambini di Beita sanno in che direzione il gas si diffonde e la differenza tra il suono dello sparo di un proiettile vero e di un Ruger [proiettile considerato dall’esercito israeliano “meno letale” in quanto di calibro ridotto, ndtr.]”.

Più tardi la gente del posto ha respinto l’esercito nel letto del torrente. Alcune decine di giovani, nascosti tra gli ulivi, hanno lanciato pietre contro i soldati; altri osservavano dall’alto. “Questo ha cambiato molto la vita a Beita”, aggiunge Khaled, “ma non sono andato io contro ai coloni, sono loro che sono venuti da me e hanno preso la terra del mio bisnonno. Vogliamo solo che gli edifici vengano rimossi”.

La peculiarità del villaggio, attestano i suoi abitanti, è che tutti sono impegnati in funzione delle proteste: le donne del villaggio producono cibo per i manifestanti, le attività di protesta si svolgono durante la settimana e non sono attribuite ad alcun gruppo politico.

Ogni settimana l’esercito pattuglia la strada che proviene dal villaggio cercando di impedire l’ingresso delle auto. In pratica, questo non impedisce l’arrivo dei manifestanti, ma rende più difficile il lavoro dell’equipe medica. “L’ambulanza continua a rimanere bloccata nel fango”, dice il dottor Abd al-Jaleel, direttore dell’ospedale da campo di Beita, mentre le due ambulanze in servizio dietro la manifestazione sono impantanate nel terreno nel tentativo di partire. L’ospedale è gestito solo da volontari, alcuni di Beita e altri di Nablus e delle aree circostanti.

All’inizio – dice Al-Jaleel – nel villaggio non c’era una clinica adatta per i trattamenti di emergenza. Sin dal primo giorno abbiamo prestato le cure alle persone ferite durante le manifestazioni contro l’avamposto, ma presto ci siamo resi conto che qui il numero di ferite gravissime da arma da fuoco è molto elevato. Dato che l’ospedale di Nablus è a 17 chilometri di distanza e i soldati spesso bloccano la strada, è difficile evacuare le persone abbastanza velocemente”, spiega.

L’ospedale da campo è stato creato all’interno della scuola del villaggio e all’inizio le persone sono state curate su materassi per terra. Al Jaleel stima che ogni venerdì vengano trattati circa cento feriti e nell’ultimo anno sono state prese in cura sette persone con ferite da arma da fuoco che hanno richiesto un trattamento di rianimazione.

E’ riuscito a salvarne uno. Mostra delle foto di ambulanze con i finestrini rotti perché l’esercito gli ha sparato contro proiettili di gomma. “Da quando tutto questo ha avuto inizio non abbiamo alcuna vita sociale né [pausa del, ndtr.] venerdì. Siamo sempre qui”, dice. Il prezzo delle proteste può essere visto dappertutto nel villaggio, dice, e osserva: “Passeggiando per Beita ogni pochi metri si incontra qualcuno con le stampelle”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)