Il rifiuto di accogliere rifugiati ucraini da parte di Israele dimostra il suo essere tenebra tra le nazioni

[rovesciamento ironico della profezia di Isaia secondo cui Israele avrebbe dovuto essere luce tra le nazioni, ndt]

Gideon Levy

5 marzo 2022 – Haaretz

Quando i profughi di guerra vengono fermati all’aeroporto di Israele e espulsi o viene loro richiesto di versare ingenti somme che non possiedono per assaporare la libertà e la sicurezza, è chiaro che c’è qualcosa di distorto nella bussola morale di Israele.

Il Paese che ha fatto il massimo nel prendersi cura dei suoi cittadini e degli ebrei in Ucraina è anche il Paese che ha chiuso le sue porte – e in una certa misura il suo cuore – a tutte le altre vittime.

Il Paese il cui ethos si basa su un’accusa feroce verso il mondo che ha taciuto, distolto lo sguardo e chiuso i suoi cancelli sta facendo esattamente la stessa cosa in questo momento della verità.

Il Paese che ha così abilmente sfruttato il senso di colpa del mondo per raggiungere i suoi obiettivi politici potrebbe fare i conti con una nuova immagine di sé nel mondo, un mondo che potrebbe non dimenticare il suo silenzio e le sue esitazioni e un giorno regolare i conti con esso.

E infine, il Paese che l’ha fatta franca con la sua occupazione senza fine potrebbe trovarsi di fronte a un mondo nuovo che forse, ma solo forse, non approverà e non tacerà più.

È commovente vedere i diplomatici israeliani fare di tutto per liberare dall’inferno tutti i possessori di un passaporto israeliano, compresi quelli che quasi mai hanno messo piede in Israele, anche se per settimane sono stati pressantemente sollecitati a uscire [dall’Ucraina, ndtr.] anche se non se ne curavano un accidente. In un Paese i cui cittadini cercano un secondo passaporto per motivi di sicurezza il passaporto israeliano si è improvvisamente rivelato una polizza assicurativa.

La preoccupazione per gli ebrei a cui non è mai venuto in mente di trasferirsi qui potrebbe semplicemente infervorare gli appassionati dell’Yiddishkeit [“ebraismo” nel senso di stile di vita ebraico, ndtr.]. Ma quando i profughi di guerra vengono fermati all’aeroporto israeliano ed espulsi o viene loro chiesto di versare ingenti somme che non possiedono per assaporare la libertà e la sicurezza, è chiaro che qualcosa nella bussola morale di Israele è distorto, persino patologico.

Prendersi cura dei propri poveri va bene, ma prendersi cura solo di loro è mostruoso. La preoccupazione per il tuo stesso popolo è comprensibile, ma la preoccupazione solo per loro è una perversione.

C’è davvero differenza tra un bambino ucraino che fugge per salvarsi la vita e che non ha una bisnonna ebrea e un bambino ucraino che ce l’ha? Qual è la differenza? La differenza si chiama razzismo. Questo rovistare nel sangue, anche in tempo di guerra, si chiama “selezione”.

Mentre l’Unione Europea si sveglia lentamente, rivelandosi molto più unita e ideologica di quanto pensassimo, emerge la brutta faccia del Paese dei profughi e dell’Olocausto. Decenni di discriminazioni all’aeroporto Ben-Gurion, compreso il respingimento di rifugiati da tutto il mondo, hanno lasciato il segno; anche i decenni di espropriazioni e occupazione rimasti impuniti da parte della comunità internazionale stanno dando i loro frutti.

In quest’ora di oscurità calata sul mondo Israele si sta ergendo come la terra delle tenebre tra le nazioni. Nessuno si sarebbe aspettato che costituisse una luce tra le nazioni. Perché mai una luce? Ma almeno avremmo potuto aspettarci che fosse come tutte le altre.

Quanto sarebbe stato bello se Israele avesse agito come l’oscura Polonia o l’oscura Ungheria, per non parlare della Svezia o della Germania, che ora rappresentano la vera luce tra le nazioni, e avesse aperto le nostre porte come le loro.

Israele ha un dovere verso i rifugiati non solo a causa del suo passato, ma ha anche un obbligo nei confronti dei rifugiati ucraini principalmente a causa della grande comunità di lavoratori ucraini in Israele. Un Paese che vieta ai devoti custodi dei suoi anziani e a coloro che svolgono le pulizie delle sue case di invitare i propri parenti per salvare le loro vite è chiaramente un paese immorale. La marea di squallide scuse sulla condotta dell’Ucraina durante l’Olocausto non fa che peggiorare il quadro, punendo i nipoti dei nipoti per i peccati dei loro padri e delle loro madri.

A Galina, una donna delle pulizie che vive in questo paese da anni, è vietato portare i suoi figli nella sua nuova casa solo perché non sono ebrei. Questo sta realmente accadendo e, a quanto pare, è persino accettato dalla maggior parte degli israeliani.

No, non è paura della Russia. La paura della Russia è solo la scusa. Non è nemmeno il governo, l’attuale o un altro. Questa crisi ha finalmente dimostrato che non c’è differenza morale tra l’attuale governo e il suo nefasto predecessore.

Sono entrambi ugualmente ottusi e insensibili. Naftali Bennett è uguale a Benjamin Netanyahu, Miri Regev [parlamentare israeliana, già componente del governo Netanyahu, ndtr.] è uguale a Ayelet Shaked [attuale ministra dell’interno del governo Bennet, ndtr.] e anche Merav Michaeli [attuale ministra dei trasporti, ndtr.] è allo stesso livello.

È qualcosa sepolto nel profondo del DNA nazionale, tra anni di lavaggio del cervello sulla necessità di essere forti, solo forti, in mezzo a frottole sul popolo eletto e le uniche vittime nella storia alle quali è permesso di fare qualsiasi cosa. E questa immagine è accompagnata dall’ allevare una xenofobia in dimensioni che sarebbero illegali in qualsiasi altro Paese. Ora tutto questo viene alla luce con un effetto particolarmente orrendo.

Forse è il peccato originale di un paese che è stato fondato sull’espulsione di centinaia di migliaia di profughi, forse è la religione sionista che sostiene la supremazia ebraica in ogni sua sfaccettatura. Qualunque siano le ragioni nulla di tutto ciò giustifica la richiesta di un versamento di un solo shekel [valuta ufficiale israeliana, ndtr.] da un rifugiato di guerra all’aeroporto Ben-Gurion.

Ed oscurità era sulla faccia dell’abisso. [Genesi 1.1, Bibbia ebraica, ndt]

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)