Hebh Jamal
14 giugno 2022 – Middle East Eye
Atti di vandalismo razzista contro l’esposizione palestinese getta un’ombra sull’imminente evento artistico quinquennale.
La più grande esposizione di arte contemporanea al mondo, Documenta 15, aprirà la prossima settimana in un contesto di polemiche politiche, dopo atti di vandalismo razzisti che hanno preso di mira l’esposizione palestinese, innervosendo gli artisti alla vigilia di questo evento molto atteso che si svolge ogni cinque anni nella città tedesca di Cassel.
A fine maggio individui non identificati hanno fatto irruzione nello spazio espositivo del collettivo artistico palestinese ‘The Question of Funding’ [il problema dei finanziamenti], hanno imbrattato i muri con il contenuto di un estintore ed hanno scritto su decine di superfici “187” (codice utilizzato negli Stati Uniti come minaccia di morte con riferimento al codice penale della California) e “Peralta”.
Gli organizzatori dell’evento ritengono che “Peralta” si riferisca alla politica fascista spagnola Isabelle Peralta, che si è vista negare l’ingresso in Germania a causa delle sue opinioni neonaziste.
“Questo attacco era chiaramente mirato, poiché gli assalitori hanno vandalizzato solo i piani che ospitano il collettivo ‘The Question of Funding’ “, ha dichiarato a Middle East Eye Lara Khalidi, artista e operatrice culturale palestinese. “Potrebbe trattarsi di una minaccia di morte e adesso tutti gli artisti hanno molta paura di portare avanti l’esposizione.”
Secondo Lara Khalidi questa minaccia arriva dopo parecchi mesi di campagna di diffamazione e incitamento all’odio sulla stampa tedesca.
Il sostegno al BDS, motivo di repressione
Un’organizzazione locale contro l’antisemitismo, ‘Budnis gegen Antisemitismus Kassel’ [Alleanza contro l’Antisemitismo Kassel], accusa questa quinta edizione di Documenta di coinvolgere degli “attivisti anti-Israele”, di “violare le severe leggi tedesche contro l’antisemitismo” e di sostenere il movimento palestinese Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).
In Germania un sostegno anche solo formale al BDS può essere motivo di repressione. Nel 2019 il Bundestag (il parlamento tedesco) ha approvato una risoluzione che definisce il movimento BDS antisemita.
Limitando il loro accesso ai fondi e agli spazi pubblici, questa risoluzione offre alle istituzioni statali e all’associazione filo-israeliana tutta la discrezionalità per attaccare le organizzazioni, gli artisti, gli accademici palestinesi e anche semplici individui.
Il commissario tedesco alla lotta contro l’antisemitismo Felix Klein si è unito alle critiche all’esposizione affermando che poiché “nessun artista israeliano è stato invitato, se ne deduce chiaramente che gli artisti israeliani devono essere boicottati.”
Lara Khalidi e alcuni suoi colleghi sono stati accusati di essere simpatizzanti nazisti perché hanno ricoperto posizioni direttive all’interno del centro culturale Khalil Sakakini, un’importante organizzazione senza scopo di lucro culturale e artistica di Ramallah, nella Cisgiordania occupata.
L’organizzazione locale contro l’antisemitismo afferma che Khalil Sakakini, insegnante palestinese progressista, era un antisemita in base a citazioni false e fuori contesto di Wikipedia, mentre Lara Khalidi e altri artisti palestinesi sono accusati di antisemitismo per associazione [a Sakakini, ndt.].
“Questa vicenda dimostra chiaramente come la “lotta contro l’antisemitismo” sia diventata un’espressione pratica di xenofobia e razzismo puri e semplici”, spiega a MEE Michael Sappir, giornalista israeliano che vive in Germania.
“Se il tipo di affermazioni usate per costruire l’accusa di antisemitismo contro gli artisti – in particolare in rapporto a Sakakini – fosse preso sul serio e considerato in buona fede, molti tedeschi famosi, affiliati ad organizzazioni con legami nazisti sarebbero coinvolti molto più gravemente.
Ma questo tipo di accuse poco chiare è una copertura pratica nel contesto tedesco di lotta ostentata contro l’antisemitismo per dare una patina di legittimità e di importanza agli attacchi contro gli stranieri, e sicuramente in particolare contro i palestinesi.”
Conseguenza dell’autocensura
Il centro culturale Khalil Sakakini in un comunicato deplora che le accuse “trite e ritrite” di antisemitismo siano sempre più utilizzate in Germania nei confronti di chi si esprime contro l’occupazione e l’oppressione dei palestinesi da parte di Israele.
“Un’accusa usata come mezzo per ridurre al silenzio i suoi detrattori e come strumento di intimidazione. Questo attacco continuo si è ingigantito, passando dall’incitamento all’odio sui media ad un attacco diretto”, prosegue il comunicato.
Il teorico culturale Sami Khatib ritiene che in Germania il razzismo anti-palestinese “sistematico”si dissimuli sotto una facciata di intervento umanitario.
“Questo dipende dal fatto che la comunità internazionale si vede nel ruolo di salvatore per scongiurare ‘il male del passato’ nel presente e nel futuro”, dichiara Sami Khatib.
Anche l’occasione di trovare una corretta definizione di antisemitismo e di discutere apertamente delle accuse degli organizzatori viene posta sotto la lente di ingrandimento.
L’annullamento di una tavola rotonda organizzata da Documenta per affrontare le questioni legate all’antisemitismo, al razzismo e all’islamofobia sarebbe dovuto a una lettera di Josef Schuster, presidente del Consiglio centrale degli ebrei in Germania, inviata a Claudia Roth, Ministra della Cultura e delle Comunicazioni.
Schuster vi criticava il “pregiudizio evidente” di Documenta, insinuando che la tavola rotonda fosse di parte e non prevedesse interventi a favore di Israele. Questa lettera sottolineava la necessità “di una chiara presa di posizione e di una risoluta azione politica ad ogni livello politico, artistico, culturale e sociale” per combattere l’antisemitismo.
Come conseguenza dell’autocensura dei partecipanti in seguito alle reazioni, questa tavola rotonda è stata annullata.
“L’istituto ha ritenuto che fosse meglio organizzare un dibattito pubblico su ciò che significa antisemitismo. Invece si è stati accusati di essere di parte, anche se la tavola rotonda includeva partecipanti israeliani”, lamenta Lara Khalidi.
Il collettivo di artisti indonesiani Ruangrupa, responsabile di questa quinta edizione di Documenta, ha risposto alle accuse di antisemitismo con una lettera aperta.
“Quando ogni critica allo Stato israeliano viene demonizzata e associata all’antisemitismo, bisogna aspettarsi che tale demonizzazione sia contestata. Questa contestazione viene principalmente da chi per primo è colpito dagli attacchi israeliani ai diritti umani”, si legge in questa lettera.
“La cultura tedesca che associa l’antisionismo e persino il non-sionismo all’antisemitismo esclude i palestinesi e gli ebrei non sionisti dalla lotta contro l’antisemitismo, li diffama e li riduce al silenzio etichettandoli come antisemiti.”
L’elemento più inquietante in tutto ciò resta tuttavia l’origine di queste voci di antisemitismo.
Artisti ed attivisti sostengono che l’associazione all’origine di tutte queste voci e accuse di fatto non è altro che un blog gestito da una sola persona associata ad un gruppo dissidente di estrema sinistra chiamato Antideutsche (movimento anti-tedesco).
Per gli attivisti i grandi media tedeschi hanno ripreso questa informazione pubblicata dal blog senza nemmeno verificare queste accuse, che secondo loro sono piene di stereotipi razzisti e falsi.
“La cosa più triste in tutto questo”, dice Lara Khalidi, “è che queste accuse senza fondamento sono state riprese da media nazionali seri, che hanno rilanciato gli appelli all’annullamento di Documenta se non fosse stato risolto il problema dell’antisemitismo.”
“Una posizione forte e chiara”
“I media hanno chiuso gli occhi sul fatto che si tratta dell’iniziativa di una sola persona, che posta regolarmente su Facebook dei contenuti islamofobi. Invece hanno ripreso come fatti reali le sue storie inventate, meditabonde e anche immaginarie”, ribadisce Lara Khalidi.
Ormai, a meno di una settimana dall’avvio dell’esposizione artistica tanto attesa, che si svolgerà dal 18 giugno al 25 settembre, gli artisti e gli organizzatori mostrano nervosismo.
Anche se Documenta ha reagito al vandalismo e alle minacce sporgendo denuncia e rafforzando la sicurezza sui luoghi, molti ritengono che la sua reazione e il suo comunicato ufficiale non siano sufficienti.
Il collettivo di artisti ha pubblicato un proprio comunicato definendo questo vandalismo un attacco razzista, mentre il comunicato stampa di Documenta prende semplicemente atto che si tratta di minacce “con motivazioni politiche”, senza menzionare che il bersaglio erano gli artisti palestinesi e senza qualificare questo atto come crimine di odio.
MEE ha sollecitato l’ufficio stampa di Documenta relativamente alla scelta dei termini, ma non ha ricevuto alcuna risposta.
“Il fatto è che, per cominciare, non sono neanche capaci di definire (questo attacco) per quello che è. Il problema riguardo alla maggior parte delle risposte agli attacchi razzisti da parte di Documenta 15, a prescindere dalla loro buona volontà, è che contribuiscono a questa mancanza di chiarezza”, lamenta con MEE Edwin Nasr, operatore culturale e giornalista che vive ad Amsterdam.
Firas Shehadeh, artista palestinese che vive a Vienna, spiega a MEE che il tentativo di Documenta di presentare l’attacco come un incidente isolato “svia l’attenzione dal fatto che si tratta di un attacco razzista.”
Aggiunge che Documenta ha pubblicato questo comunicato solo in seguito alla pressione esercitata dalla solidarietà palestinese e internazionale.
Tuttavia, ha aggiunto, questo comunicato non fa che ripetere il discorso anti-palestinese. “Non hanno nemmeno nominato la vittima – la Palestina o i palestinesi” ribadisce. “Al contrario, questo comunicato serve a nascondere il loro fallimento nel proteggere gli artisti invitati che volevano solamente contribuire al panorama artistico contemporaneo internazionale.”
Documenta è un ente finanziato da fondi pubblici. Secondo Lara Khalidi questo lo rende soggetto all’autocensura, cosa che limita la sua capacità di esprimersi sulla questione per timore di venire privato dei finanziamenti.
“Non c’è alcun dubbio che, se si trattasse di un ente del tutto diverso, si definirebbe tutto questo un crimine di odio”, assicura.
“Per garantire la sicurezza degli artisti ed attivisti palestinesi e filopalestinesi non vogliamo solo misure di sicurezza e un maggior numero di poliziotti, ma una posizione forte e chiara che lo denunci per quello che è: razzismo antipalestinese.”
(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)