Come nelle carceri israeliane i prigionieri palestinesi sono vittime di incuria
Lubna Abdelwahab Abuhashem
29 0ttobre 2022 We are not Numbers
Souad al-Amour, 65 anni, ha atteso a lungo il rilascio del figlio, Sami al-Amour, detenuto dal 2008. Le sue speranze, tuttavia, sono state distrutte perché Sami è morto in una prigione israeliana.
Il 39enne detenuto palestinese, condannato a 19 anni, è morto nel 2021 per un disturbo cardiaco. L’Israel Prison Service (IPS) [il servizio carcerario israeliano, sotto la giurisdizione del Ministero della Pubblica Sicurezza, è responsabile della supervisione delle carceri in Israele, ndt.] ha affermato che Sami aveva una malattia cardiologiaca congenita. “Nel corso dei 25 anni in cui ha vissuto con me Sami non è mai andato in ospedale per disturbi cardiaci”, racconta Souad. “Ogni giorno si arrampicava e scendeva dalla erta collina a forma di cono vicina alla nostra casa”.
Souaad sapeva solo che in prigione suo figlio soffriva di problemi di stomaco e ipertensione. “Nessuno sa come sto vivendo adesso. Non posso credere che sia morto. Non me lo sarei mai aspettato; non sapevo che negli ultimi tre mesi la sua salute si fosse deteriorata”, dice Souad.
Hussain al-Zuraei, un ex detenuto che si è trovato per un po’ insieme a Sami nella stessa prigione, ha detto a The Palestine Chronicle: “Negli ultimi giorni Sami pesava 37 chilogrammi pur non conducendo nessuno sciopero della fame. Era strano…. Abbiamo lottato con l’IPS affinché ricevesse le cure necessarie”.
Il giorno prima della sua morte l’IPS ha trasferito Sami all’ospedale con il Bosta, il veicolo carcerario israeliano con sedili di metallo, dove i detenuti palestinesi restano ammanettati per tutto il tragitto. E’ stato costretto a trasportare da sé la sua borsa con i vestiti.
Sami e gli altri detenuti sul Bosta hanno dovuto aspettare ore davanti all’ingresso per motivi di sicurezza. I detenuti hanno detto a Hussain che durante l’attesa le condizioni di Sami sono peggiorate, per cui hanno picchiato rumorosamente contro il metallo per far venire un’infermiera o chiunque altro. Nessuno ha risposto.
Hassan Kenita, a capo del dipartimento per gli affari dei detenuti e degli ex detenuti dei governatorati meridionali, ha detto a The Palestine Chronicle: “Sami è un vivido esempio di una politica di incuria sanitaria. Logicamente, si dovrebbero seguire le procedure più immediate per portare un paziente in ospedale. Se avessero avuto davvero l’intenzione di salvarlo, le cose sarebbero andate diversamente. Invece lo hanno trasferito col Bosta, che non è attrezzato per i pazienti”.
Souad non ha ancora ottenuto il corpo di suo figlio poiché l’IPS rifiuta la richiesta di rilascio di un cadavere fino a quando non ha scontato tutti gli anni della pena.
“Aspetto il suo corpo. Voglio vederlo. Piango fino all’ultima lacrima ogni giorno”, si lamenta sua madre. “Cosa accadrebbe se lo rilasciassero dal momento che è morto? Prendetevi cura degli altri detenuti. Mio figlio è morto. Eppure sono tanti i detenuti ancora nelle carceri”.
Ancora viva solo per aspettare
In lacrime, una madre palestinese ricorda come continui a contare insonne i giorni e le ore nell’attesa del prossimo incontro con suo figlio. Ogni due mesi compie un lungo ed estenuante viaggio di nove ore per fargli visita per 45 minuti.
La madre del detenuto israeliano chiede a Palestine Chronicle di non menzionare il suo nome poiché l’IPS le impedirebbe di far visita a suo figlio, condannato all’ergastolo, e per la preoccupazione che la pubblicazione delle sue sofferenze all’interno del carcere possa dar luogo a delle rappresaglie nei suoi confronti.
“Nella mia ultima visita, il 23 agosto 2022, sembrava così stanco e mi ha detto che era rientrato dalla clinica tre giorni prima. C’era stato per essere sottoposto a ventilazione polmonare in seguito ad un attacco d’asma”, dice la madre del detenuto. “Nel sentire questo non ho potuto fare a meno di scoppiare in lacrime. Non sono vicino a lui. Nessuno dei suoi fratelli è con lui”, afferma con dolore.
Suo figlio, in prigione dall’età di vent’anni, prima della detenzione non soffriva di alcuna malattia. Tuttavia ora, dopo aver scontato 21 anni di pena, soffre di ulcera allo stomaco, attacchi d’asma, anemia ed emorroidi. Ha subito quattro operazioni per le emorroidi ma tutte senza successo; non riesce ancora a sedersi correttamente.
“Ad ogni visita, gli dico: ‘Voglio rompere questo vetro che ci separa.’ Voglio solo allungare la mano verso mio figlio e toccarlo. È mio figlio e non posso toccarlo”, dice.
La madre è consapevole di non avere informazioni complete sulla vita in prigione di suo figlio. “Mio figlio non mi dice tutto per evitare che io non mi abbatta”.
Tuttavia, Peraltro Alaa AbuJazer, un ex detenuto e rappresentante dei detenuti per il periodo 2006-2021, ha affermato che secondo le statistiche del 2019 il 90% dei detenuti nelle prigioni israeliane soffre di diversi tipi di problemi allo stomaco. “La carne di pollo che mangiano i carcerati è disgustosa e non nutriente. Non ha nulla a che vedere col pollo”, dice Alaa.
Alaa spiega perché molti detenuti soffrono di anemia ed emorroidi: “Una volta al mese ogni detenuto può acquistare tre chilogrammi di frutta e verdura. Quindi, ognuno compra circa due chili di verdure come cipolle e patate e un chilo di frutta. E a ciascuno di noi vengono consegnati a proprie spese 180 grammi di un qualche tipo di frutta al giorno. Per sentirci sazi facciamo affidamento principalmente su riso e pane”.
Tanti hanno le emorroidi poiché nel periodo dell’istruttoria i detenuti dormono per terra, che è umida. Con il pretesto di “motivi di sicurezza” le finestre delle stanze della prigione sono troppo piccole quindi il vapore proveniente dalla cucina e dalle docce calde le riempie. Non c’è ventilazione, così tanti detenuti hanno attacchi d’asma.
Mohammed Abuhashem, ricercatore legale presso il Centro palestinese per i diritti umani, ha chiarito: “La Quarta Convenzione di Ginevra, nei suoi articoli (89-92), impone allo Stato detentore l’obbligo di garantire il diritto alla salute dei carcerati fornendo loro la necessaria assistenza medica, nonché condizioni sanitarie adeguate, tra cui un’alimentazione corretta ed equilibrata, misure di prevenzione sanitaria e strutture di detenzione adeguate. Tali diritti non possono essere alienati in nessun caso, nemmeno col pretesto di ragioni di sicurezza”.
“Alcuni detenuti contraggono l’influenza molte volte senza essere curati. Quando diciamo loro che qualcuno ha l’influenza, dicono che deve prendere un antidolorifico e bevande calde. L’infiammazione in sede polmonare non trattata si aggrava e si trasforma in un attacco d’asma”, rivela Alaa.
La madre racconta che in una delle visite suo figlio le ha detto che se verrà rilasciato vuole che lei gli prepari delle verdure ripiene, una torta di spinaci e somaqia, un piatto palestinese. “Continuo a pregare Allah di lasciarmi vivere fino a quando non verrà rilasciato per potergli preparare tutto il cibo che gli manca”, dice la madre.
Kenita dice: “Nel 1987 Ibrahim Alyan, un ex detenuto, ha sofferto di disturbi cardiaci e ha subito un intervento chirurgico a cuore aperto che ha avuto successo. È ancora vivo ed è molto attivo. Oggi, sotto i nuovi governi israeliani che impongono nuove politiche, se un detenuto ha l’ipertensione o il diabete, ci si aspetta il peggio: la morte. Nonostante Israele sia ora sicuramente più evoluto in campo medico che in passato”.
Abuhashem aggiunge: “Le testimonianze secondo cui i detenuti subiscono le conseguenze di una sistematica e intenzionale incuria medica costituiscono forti indizi sulla possibile configurazione di crimini di guerra e potrebbero equivalere a un genocidio contro i detenuti palestinesi; tuttavia devono essere raccolte delle prove che dimostrino tali crimini. L’IPS deve aprire le carceri ad ispezioni e indagini internazionali in modo che il mondo intero possa sapere cosa sta succedendo contro i detenuti palestinesi all’interno delle carceri israeliane”.
Questo articolo è co-pubblicato insieme con Palestine Chronicle.
(tradotto dall’inglese da Aldo Lotta)