Joseph Massad
9 novembre 2022 – The Electronic Intifada
Fin dall’inizio della colonizzazione sionista ebraica del loro Paese negli anni ’80 dell’800, i palestinesi hanno affrontato la richiesta che si facessero carico di un doppio fardello: lottare contro il colonialismo razzista sionista dovendo nel contempo difendere i loro colonizzatori contro il razzismo antisemita dei cristiani europei.
Nessun altro popolo colonizzato è stato obbligato a farsi carico di un tale duplice fardello. Neppure alle popolazioni native africane della Liberia venne chiesto di difendere i loro colonizzatori afro-americani razzisti, che li disprezzavano, dal razzismo europeo e statunitense contro i neri che prendeva di mira i colonialisti neri. Né venne mai chiesto ai sudafricani neri di difendere i loro oppressori afrikaner [coloni calvinisti olandesi, tedeschi e francesi, ndt.] contro i britannici che li opprimevano, rinchiudendoli persino in campi di concentramento.
E nessuno ha mai chiesto che la popolazione indigena difendesse i suoi colonizzatori bianchi contro le persecuzioni religiose di cui erano vittime in Europa, che secondo loro li avevano obbligati a colonizzare il Nord America.
Quando queste diverse popolazioni colonizzate attaccarono l’oppressione dei loro colonizzatori, i loro crimini suprematisti e lo sfruttamento, nessuno sembrava preoccupato che tali critiche sarebbero state utilizzate dai precedenti oppressori dei coloni contro di essi, o che il colonizzato non avesse diritto di condannare i propri oppressori.
Al contrario, la richiesta generale imposta da molti europei cristiani ed ebrei e da molti ebrei europei colonialisti ai palestinesi è che essi avrebbero dovuto cedere volontariamente la propria patria agli ebrei europei e manifestare simpatia per la sofferenza causata agli ebrei europei dall’antisemitismo europeo.
In mancanza di ciò, gli europei cristiani e gli ebrei europei colonizzatori sostengono che la lotta anticoloniale dei palestinesi contro la colonizzazione ebraica è “antisemita”, intendendo con ciò che i palestinesi non si oppongono al principio della colonizzazione della loro patria, ma piuttosto che si oppongono solo al diritto degli ebrei, ma non di altri popoli, a colonizzarla.
Secondo questo ragionamento, se fossero stati cristiani, musulmani o induisti a colonizzare la Palestina i palestinesi avrebbero ceduto volontariamente la loro patria, ma rifiutano di fare altrettanto nel caso degli ebrei semplicemente perché sono antisemiti.
Simpatia condizionata
Negli ultimi 50 anni progressisti occidentali cristiani ed ebrei che simpatizzano con i palestinesi come vittime dell’oppressione israeliana, ma non come resistenti anticolonialisti, insistono sul fatto che ogni critica palestinese a Israele debba essere accuratamente calibrata per il timore che venga percepita dagli europei come antisemitismo.
Tuttavia durante lo stesso periodo gli israeliani e chi li appoggia in Occidente hanno scatenato una massiccia campagna sostenendo che ogni critica al sionismo e a Israele è “antisemita”, culminata nella recente adozione da parte di Paesi europei e degli USA della definizione di antisemitismo ideata dall’International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto], con sede in Europa.
Queste accuse sono centrate su una serie di argomentazioni sospette che molti sostenitori occidentali dei palestinesi-come-vittime-ma non-come-resistenti vogliono impedire ai palestinesi di fare.
I sionisti e i progressisti occidentali sostengono che, se i palestinesi attaccano il diritto degli ebrei a colonizzare le loro terre, ciò sarebbe antisemita perché, negando agli ebrei europei il diritto di essere colonialisti, i palestinesi negherebbero il loro presunto “diritto” all’autodeterminazione. O peggio, che i palestinesi negherebbero il legame razziale che i protestanti europei evocarono fin dal XVI secolo, cioè che gli ebrei europei sarebbero fantasiosamente in qualche modo i discendenti degli antichi ebrei della Palestina (una leggenda che a volte sostengono anche gli ebrei europei) e non europei convertitisi in seguito all’ebraismo!
In base a questa logica, i sionisti sostengono che i palestinesi di fatto sono i colonizzatori della Palestina, mentre i colonialisti ebrei europei sarebbero i veri nativi della Palestina che starebbero tornando alla patria dei loro presunti antenati.
All’inizio del XIX secolo molti europei filoellenici si consideravano i discendenti degli antichi greci e vedevano i greci nativi come “slavi cristianizzati” che erano migrati a sud verso l’antica Grecia e più simili ai turchi.
Ma, dato che alla fine nessun progetto di colonialismo d’insediamento venne concepito per la Grecia, la questione venne lasciata cadere a favore dell’“indipendenza” greca dagli ottomani e dell’appropriazione della Grecia come parte dell’Europa invece che del Mediterraneo orientale.
I sionisti non sono mai stati dei pensatori originali, in quanto la maggior parte delle loro argomentazioni è derivata da altri colonialisti europei. Furono i francesi, e poi gli italiani, che sostennero che la loro colonizzazione del Nord Africa non era nientemeno che il ritorno alle antiche terre dell’impero romano e che i nativi arabi erano i veri colonialisti!
In effetti illustri razzisti occidentali come Albert Camus sostennero che gli arabi algerini erano colonialisti stranieri affermando che “i francesi d’Algeria erano anche nativi, nel vero senso della parola.”
L’antisemitismo europeo proiettato sui palestinesi
Dunque, per timore di essere accusati di antisemitismo, i palestinesi dovrebbero accettare l’invenzione sionista secondo cui gli ebrei europei sarebbero la popolazione indigena della Palestina e che loro sono i veri colonialisti? Quando i palestinesi affermano che i media dell’Occidente e degli USA sono sempre stati filoisraeliani e razzisti contro i palestinesi, i loro sostenitori occidentali temono che ciò venga percepito come antisemita perché gli antisemiti europei e statunitensi storicamente accusano gli ebrei europei di controllare i mezzi di comunicazione occidentali.
Tuttavia l’affermazione dei palestinesi non è diversa da quella degli algerini, cioè che i mezzi di comunicazione occidentali appoggiarono sempre il colonialismo francese in Algeria, o da quella dei nativi americani, secondo cui essi appoggiano i diritti dei colonizzatori bianchi negli Stati Uniti.
Che i media occidentali, che sono i mezzi di comunicazione dei colonizzatori e dei colonialisti, appoggino il colonialismo testimonia pregiudizi strutturali, a volte persino pregiudizi complottisti, contro le popolazioni native. Ciò non significa che gli ebrei controllino i media occidentali come sostengono gli antisemiti, ma che lo fanno i colonialisti europei, cristiani ed ebrei, e i sostenitori del colonialismo.
Quindi i palestinesi non dovrebbero attaccare i pregiudizi endemici filoisraeliani e antipalestinesi dei media occidentali per timore di venire “scambiati” per antisemiti dai progressisti?
Storicamente i palestinesi hanno anche identificato il grande potere finanziario e politico mobilitato dal sionismo fin dagli anni ’80 dell’800 per realizzare il progetto di colonizzazione della Palestina, a cominciare dai Rothschild che finanziarono le prime colonie di ebrei europei in Palestina.
Di nuovo, quando i palestinesi parlano dei ricchi ebrei europei e americani, uomini d’affari e banchieri, che appoggiano il sionismo e Israele, concepiscono progetti per espellere i palestinesi e promettono di finanziare la loro espulsione, come propose nel 1934 il ricco ebreo americano sionista Edward A. Norman, o di rubare le loro terre, i progressisti cristiani ed ebrei occidentali sussultano perché queste argomentazioni ricordano le fandonie antisemite dei cristiani europei secondo cui tutti gli ebrei sono ricchi e controllano tutto il sistema finanziario dell’Occidente.
Ma il fatto che i ricchi ebrei filosionisti appoggino Israele e finanzino i colonizzatori non è diverso dagli investimenti di imprese e Stati europei cristiani che hanno finanziato la colonizzazione di Algeria, Sudafrica, Kenya, Nuova Zelanda e persino Israele.
Smascherare i ricchi ebrei europei e statunitensi che finanziano il sionismo corrisponde al loro fondamentale ruolo e influenza coloniali nel distruggere la società palestinese e nell’oppressione dei palestinesi.
Ciò non implica, come gli antisemiti vorrebbero farci credere, che tutti gli ebrei siano banchieri che controllano le vite degli europei cristiani, o che tutti gli ebrei siano ricchi, cosa che non sono – anche se e quando, secondo molti, fin dalla Seconda Guerra Mondiale la maggioranza degli ebrei europei e statunitensi ha appoggiato e continua a sostenere la colonizzazione ebraica in Palestina, proprio come la maggioranza dei cristiani francesi o dei britannici appoggiarono la colonizzazione in Africa.
Quindi, per timore di essere scambiati per antisemiti, i palestinesi dovrebbero tacere riguardo all’influenza dei sionisti europei e statunitensi che contribuiscono alla loro oppressione?
Incontro coloniale
Non essendo europei, fin dagli anni ’80 dell’800 i palestinesi hanno incontrato gli ebrei per lo più come coloni armati, intenzionati a rubare la loro terra e a espellerli dal loro Paese.
Mentre è vero che alcuni dirigenti politici palestinesi cercarono di utilizzare la retorica antisemita europea contro i colonizzatori ebrei europei per difendersi contro la colonizzazione sionista, la maggioranza dei leader palestinesi spesso ha fatto l’esatto contrario e ha concordato con parecchie affermazioni sioniste, colonialiste e razziste, come fecero, oltre un secolo fa, lo scrittore e intellettuale Yusuf al-Khalidi, Yasser Arafat nel 2002 e Mahmoud Abbas continua a fare oggi.
Al-Khalidi, vissuto a Vienna a cavallo tra ‘800 e ‘900, contestò la scelta della Palestina come luogo per un futuro Stato per gli ebrei europei, in quanto era la patria dei nativi arabo-palestinesi.
Egli rispose alle affermazioni di Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista, a cui nel 1899 inviò una lettera di questo tenore: “In base a quale diritto dunque gli ebrei la rivendicano per sé?”
Stranamente, accettando le rivendicazioni razziali e antisemite dei sionisti secondo cui gli ebrei europei erano i discendenti biologici diretti degli antichi ebrei, al-Khalidi, molto probabilmente a causa dell’educazione colonialista europea che gli era stata impartita, affermò che “il sionismo, teoricamente, è un’idea completamente naturale e giusta come soluzione della questione ebraica,” e di conseguenza “chi può opporsi ai diritti degli ebrei sulla Palestina? Buon dio, storicamente è davvero il vostro Paese.”
Tuttavia, nell’interesse della pace, al-Khalidi propose che il movimento sionista cercasse altri “Paesi disabitati in cui milioni di poveri ebrei forse potrebbero essere felici e avere una vita sicura come popolo.”
“Ciò forse sarebbe la soluzione migliore, più razionale per la questione ebraica,” affermò.
“Ma, nel nome di dio, lasciate in pace la Palestina.”
Dopo al-Khalidi molti altri palestinesi continuarono a cadere in queste false argomentazioni sioniste.
I frutti del razzismo antipalestinese
L’ironia risiede nel fatto che i critici progressisti occidentali dei palestinesi e quanti sostengono i palestinesi-come-vittime raramente chiedono conto ai sionisti e ai filosionisti dei loro interminabili accessi di razzismo contro i palestinesi e gli altri arabi e dell’utilizzo del tradizionale razzismo antiarabo europeo e statunitense che ha portato all’uccisione di milioni di arabi dall’Algeria alla Libia da parte degli europei durante le lotte anticoloniali, e dal 1991 in Iraq da parte degli americani.
Per esempio, nel suo lavoro pubblicato il giornalista ebreo americano Jeffrey Goldberg rivela di essere stato un colono in Israele, di essere entrato nell’esercito israeliano e di averci prestato servizio come guardia carceraria di palestinesi imprigionati per essersi opposti alla colonizzazione ebraica (è stato anche sostenitore dell’invasione statunitense in Iraq).
Eppure, nonostante le sue deplorevoli opinioni sui palestinesi e sugli iracheni, per non parlare del suo ruolo diretto in azioni di persecuzione come guardia carceraria, Goldberg è celebrato, rispettato e gli vengono dati lavori editoriali nelle più prestigiose riviste progressiste degli USA, oltre che premi giornalistici.
Al contrario, se si scopre che, nella sua immatura e male informata gioventù, una giornalista palestinese [si riferisce alla vicenda di Shatha Hammad, licenziata dal sito di notizie Middle East Eye, ndt.], non nel suo lavoro pubblicato, ma su Facebook, ha manifestato abominevoli opinioni a favore dell’antisemitismo europeo, opinioni che ha palesemente equivocato come parte della legittima espressione di rabbia contro i suoi oppressori, viene licenziata dal suo lavoro persino da un mezzo di informazione filopalestinese.
Oltretutto, per la soddisfazione dei progressisti occidentali, le è stato revocato un premio giornalistico benché l’errore di gioventù non sia stato ripetuto durante la sua carriera giornalistica.
Invece l’ex-guardia carceraria israeliana continua con i suoi discorsi giornalistici antiarabi e antipalestinesi e con i suoi continui attacchi contro quei palestinesi che difendono il proprio popolo dal colonialismo come antisemiti.
Un altro importante giornalista ebreo americano, Ben Shapiro, ha invocato l’espulsione di massa dei palestinesi e appoggiato l’uccisione di civili palestinesi e afghani.
Una volta Shapiro ha dichiarato che “gli israeliani amano costruire”, mentre “gli arabi amano sparare merda e vivere in mezzo a fogne a cielo aperto.”
Eppure questi e altri commenti razzisti non impediscono al New York Times di celebrare Shapiro come “gladiatore provocatorio” e “pugile professionista”, notando nel contempo che egli è stato bersaglio di antisemitismo.
Ovviamente giornalisti americani ed europei cristiani bianchi come John F. Burns del New York Times, che appoggiano e informano entusiasticamente sulle invasioni USA all’estero, sono stati e continuano a essere esaltati.
Vengono puniti anche giornalisti ebrei
Nel contempo giornalisti ebrei che criticano Israele vengono licenziati da mezzi di comunicazione progressisti dell’Occidente, com’è successo a Emily Wilder, che nel 2021 è stata cacciata dall’Associated Press [agenzia di stampa USA, ndt.], e più di recente Katie Halper, licenziata da The Hill [giornale statunitense di politica e di tendenza liberal, ndt.].
Nel caso di Wilder, secondo quanto riferito dai media, il suo “attivismo nel college è stato il vero problema” che ha portato al suo licenziamento. Si confronti questo caso con l’esaltazione da parte dei principali media occidentali del racconto della guardia carceraria israeliana del suo incontro con i palestinesi nelle prigioni israeliane come motivo di promozione, non di ostracismo o licenziamento!
Quello che i progressisti europei e americani vogliono è che i palestinesi rimangano in silenzio riguardo ai meccanismi internazionali che appoggiano e difendono la colonia di insediamento ebraica; che i palestinesi si oppongano solamente all’oppressione a cui sono sottoposti dai loro colonizzatori ebrei, ma non al diritto di questi ultimi a colonizzarli; che i palestinesi difendano i loro colonizzatori ebrei contro gli antisemiti europei; che i palestinesi si schierino in solidarietà con i colonizzatori-come-vittime mentre vengono repressi sotto gli stivali militari dei colonizzatori.
Nel contempo praticamente nessuna collaborazione attiva con gli israeliani nella loro oppressione dei palestinesi, per non parlare delle abituali manifestazioni di razzismo contro i palestinesi da parte di israeliani e filoisraeliani, merita alcuna censura quando espressa da israeliani o dai loro sostenitori in Occidente.
Quando la maggioranza della classe politica e intellettuale palestinese presta ascolto ai progressisti occidentali perché difendano gli ebrei dall’antisemitismo, come ha fatto l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina onorando le vittime ebree dell’Olocausto fin dagli anni ’70, né Israele né i suoi sostenitori si dicono soddisfatti.
Il loro obiettivo non è insegnare ai palestinesi la storia degli ebrei europei come vittime di oppressione, ma piuttosto insegnargli perché gli ebrei europei come oppressori hanno avuto e hanno il diritto di colonizzarli e portagli via la patria.
Joseph Massad è docente di politica e storia intellettuale araba contemporanea alla Columbia University a New York. Il suo libro più recente è Islam in Liberalism [L’Islam nel liberalismo] (University of Chicago Press, 2015).
(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)