Imogen Piper, Meg Kelly e Louisa Loveluck
26 maggio 2023 – The Washington Post
Video di un’aggressione avvenuta il 16 marzo a Jenin mostrano le tattiche sempre più letali degli agenti israeliani
Il Washington Post ha prodotto una ricostruzione in 3D di un momento cruciale durante il raid israeliano del 16 marzo nel centro di Jenin, in Cisgiordania.
Il 16 marzo nel centro di Jenin il traffico era quasi paralizzato, un giovedì pomeriggio inconsueto in Cisgiordania. A distanza di pochi giorni dal mese santo di Ramadan, i ristoranti erano pieni e gli acquirenti si aggiravano in mezzo alle macchine affrettandosi da un negozio all’altro.
Un padre spingeva una carrozzina dopo aver superato una berlina color argento. Dentro all’auto c’erano agenti israeliani in borghese, in attesa di condurre un’operazione contro due miliziani palestinesi che camminavano lì accanto. Omar Awadin, di 14 anni, pedalava sulla sua bici dopo aver terminato da poco la sua ultima commissione della giornata.
Pochi minuti dopo, quattro agenti di sicurezza in borghese sono saltati fuori da una seconda berlina argentata lì vicino inseguendo i militanti e hanno aperto il fuoco.
Scene del genere sono sempre più frequenti in Cisgiordania, dove più di 3 milioni di palestinesi vivono sotto occupazione militare israeliana e dove è salita alla ribalta una nuova generazione di militanti. Israele afferma che raid come questo sono fondamentali per distruggere le reti terroristiche e proteggere i propri cittadini dagli attacchi; i dirigenti palestinesi sostengono che si tratta di crimini di guerra che dovrebbero essere deferiti alla Corte Penale Internazionale.
Le operazioni militari israeliane sono state a lungo una costante della vita qui, ma un tempo avvenivano soprattutto di notte e normalmente finivano con un grande spavento. Quest’anno, sotto il governo più di destra nella storia israeliana, un numero crescente di incursioni si è svolto durante il giorno, in aree urbane densamente popolate come Jenin. Secondo le Nazioni Unite, al 15 maggio erano stati uccisi dalle forze israeliane 108 palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme est, inclusi militanti e civili, più del doppio delle vittime nello stesso periodo dello scorso anno. Almeno 19 erano minori, compreso Omar, che è stato colpito a morte nel raid a Jenin.
Il Washington Post ha sincronizzato 15 video del 16 marzo e ne ha esaminate decine di altri, inclusi filmati delle telecamere di sorveglianza delle aziende circostanti, alcuni dei quali ci hanno messo quasi un mese a venire alla luce. Il Washington Post ha anche parlato con 9 testimoni e ottenuto testimonianze da altri quattro per produrre una ricostruzione in 3D del raid.
L’analisi ha fornito tre risultati fondamentali:
-
Le forze israeliane hanno ucciso Omar. Le autorità israeliane non hanno rilasciato commenti pubblici sulla sua morte.
-
Omar si trovava in mezzo ad almeno 16 civili nella zona, quando gli agenti si sono precipitati in strada con fucili modello AR [armi d’assalto, ndt.] e una pistola, sparando più di 20 colpi e uccidendo i due miliziani, nessuno dei quali era visibilmente armato. Le autorità israeliane in una prima dichiarazione hanno parlato dei miliziani come di “sospetti armati”, ma non hanno fornito prove di quanto sostenuto.
-
Uno dei miliziani è stato colpito più volte dalle forze israeliane dopo che era stato immobilizzato – una palese esecuzione extragiudiziale che esperti hanno affermato potrebbe violare la legge israeliana.
Inoltre esperti consultati dal Washington Post hanno affermato che il raid risulta aver violato un divieto internazionale delle uccisioni extragiudiziali, sostenendo che, oltre alla presenza di così tanti civili, l’illegalità era aggravata dal fatto che i miliziani non sembravano costituire una minaccia imminente.
Il raid è stato condotto da Yamam, l’unità di élite della polizia di frontiera israeliana, che si occupa di operazioni antiterrorismo, comprese incursioni in aree civili.
Dean Elsdunne, un portavoce della polizia israeliana, ha detto che le forze di sicurezza si trovavano nell’area per “arrestare i terroristi responsabili di attacchi con armi da fuoco contro soldati dell’IDF di fabbricazione di bombe e di altre attività terroristiche.”
In risposta alle prime domande riguardo a Omar, la polizia israeliana ha scritto in una mail al Washington Post che “il soggetto della vostra indagine ha preso parte attiva alla violenta protesta mettendo in pericolo la vita dei soldati.” Non è chiaro a quale protesta si riferisse, ma la prova visiva esaminata dal Washington Post dimostra che nessun disordine è scoppiato prima degli spari.
La polizia ha rifiutato di visionare la prova del Washington Post o di rispondere alle domande poste.
File classificati dell’archivio dei documenti USA, precedentemente inediti e recentemente trapelati in rete tramite la piattaforma di messaggistica Discord, sottolineano la crescente preoccupazione americana che le incursioni israeliane in Cisgiordania – compreso il raid del 22 febbraio a Nablus, dove i soldati israeliani hanno sparato ad un gruppo di civili – potrebbero compromettere gli sforzi internazionali per ridurre la violenza nella regione.
Un’analisi riservata sul raid del 7 marzo a Jenin mette in guardia sul fatto che “quasi certamente avrebbe spinto i miliziani palestinesi a vendicarsi.”
Il raid
Omar aveva trascorso la giornata del 16 marzo consegnando pacchi per il negozio di forniture mediche di suo padre. Alle 15 circa ha lasciato il suo ultimo pacco ad una vicina farmacia, come mostra il filmato della telecamera di sorveglianza che è stato ottenuto dal Washington Post.
Maggiore dei tre figli della famiglia e unico maschio, Omar era straordinariamente gentile, ricorda sua madre, e cercava sempre di coinvolgere altri ragazzini più svantaggiati di lui. Gli piaceva scherzare e nuotare e andare in bici nei suoi giorni liberi.
Uscito dal negozio, si è avvicinato in bici a suo padre, che guidava nella direzione opposta. “Ci siamo incontrati per caso”, dice suo padre, Mohammad Awadin. “Mi ha chiesto 10 shekel [2,50 euro] per comprare dei vestiti, ma dietro di me c’era un poliziotto e non ho potuto fermarmi.”
Quando Omar è tornato verso il negozio del padre è iniziato il raid.
A pochi metri di distanza da lui due miliziani palestinesi – Nidal Khazem, di 28 anni, e Yousef Shreim, di 29 – camminano per strada uno accanto all’altro. Khazem e Shreim superano la seconda berlina d’argento, bloccata nel traffico, in cui gli agenti di Yamam stanno aspettando.
Poi vengono esplosi almeno tre colpi di fucile alle spalle dei due uomini. Khazem è colpito e cade a terra.
In rapida successione compaiono quattro membri delle forze di sicurezza israeliane in borghese. In base al video esaminato dal Washington Post, in seguito due sparano al corpo disteso di Khazem.
Il Washington Post ha identificato almeno 16 civili, compreso Omar, nelle immediate vicinanze, quando gli agenti aprono il fuoco.
Una telecamera di sorveglianza ha ripreso Shreim che corre, inciampa e subito cade sul selciato in mezzo a un gruppo di tre civili, secondo i molti video sincronizzati dal Washington Post.
Una terza videocamera mostra l’istante prima che Omar venga colpito e cada dalla bici.
Dopo che almeno due agenti israeliani hanno puntato le armi verso Shreim, un proiettile colpisce Omar alla schiena. Non è chiaro quale agente israeliano abbia esploso il colpo fatale.
Come si vede nel video, Shreim ritrova l’equilibrio e riprende a correre. Appena svoltato l’angolo segue un’altra raffica di spari. Il video mostra che le forze israeliane sparano almeno cinque volte dopo che è stato colpito la prima volta. Il suo corpo è preda di evidenti convulsioni dopo gli ulteriori spari.
Quindi gli agenti si ritirano verso la loro vettura. Due di loro – uno con una pistola, l’altro con un fucile – si chinano accanto al corpo di Khazem e gli sparano alla testa a bruciapelo.
Il Washington Post ha offuscato alcune sezioni del video a causa della natura delle immagini.
Ad una ventina di metri di distanza Omar è steso su un fianco e riverso sul ventre.
“Mi sono avvicinato a Omar chiedendogli che problema ci fosse”, dice Abdallah Abahrah, proprietario del negozio di cosmetici nell’isolato. “Ha detto ‘sono caduto’. Gli ho chiesto se fosse ferito e lui ha detto di no. Abbiamo parlato.”
Non c’era sangue intorno a Omar, ricorda Abahrah, ma poi il suo viso è diventato giallo e la zona intorno ai suoi occhi ha preso un colore bluastro. “Gli tenevo le mani e hanno cominciato a diventare fredde come ghiaccio”, dice Abahrah.
Lui e un altro uomo lo hanno girato e hanno visto che era stato colpito alla schiena. Mentre cercavano di aiutarlo è passata una delle macchine che trasportavano i soldati israeliani.
Nessuna ambulanza poteva raggiungere la scena a causa del traffico e del caos seguiti al raid, dice Abahrah, perciò ha caricato Omar su una macchina e lo ha portato di corsa all’ospedale. Secondo il rapporto dell’ospedale è arrivato che era già morto.
Uccisioni totalmente illegittime
Il Washington Post ha condiviso i suoi risultati con cinque esperti di diritto internazionale: tutti hanno detto che il mortale raid ha violato il divieto di uccisioni extragiudiziali.
“Si potrebbe dire con una certa sicurezza che queste sono esecuzioni extragiudiziali”, ha affermato Philip Alston, che è stato relatore speciale dell’ONU sulle esecuzioni sommarie o arbitrarie tra il 2004 e il 2010, dopo aver esaminato le prove fornite dal Washington Post.
Queste specifiche uccisioni sono “totalmente illegittime” in base agli standard internazionali, secondo Michael Lynk, che è stato relatore speciale dell’ONU per i diritti umani nei territori palestinesi fino all’anno scorso. Ha aggiunto che l’illegittimità è stata “aggravata dalla palese scelta di effettuare queste uccisioni mirate in un affollato mercato civile.”
La legge israeliana concede una libertà molto maggiore alle proprie forze nel corso di operazioni anti-terrorismo – anche quando, come in questo caso, i presunti obbiettivi non erano visibilmente armati e non era in corso una sparatoria.
Michael Sfard, un avvocato per i diritti umani che ha contestato la legalità delle uccisioni mirate di fronte alla Corte Suprema di Israele, ha descritto il raid a Jenin come “tipico del modo in cui Israele conduce le sue operazioni di eliminazione fisica.”
Il principio di base, ha affermato Roni Pelli, un avvocato dell’Associazione per i diritti civili in Israele, “è che si apre il fuoco solo se si è messi a rischio.” Ma nella legge israeliana la questione di che cosa costituisca un rischio è ambigua– intenzionalmente, sostengono le associazioni per i diritti.
Una sentenza della Corte Suprema israeliana del 2006 ha sancito una definizione molto estesa di quando possono essere presi di mira presunti miliziani, legalizzando la possibilità di colpire individui che le forze di sicurezza ritengono avere legami con gruppi armati, anche se al momento dell’operazione non rappresentano una minaccia diretta.
Khazem era un membro del gruppo armato della Jihad islamica, mentre Shreim faceva parte delle Brigate al-Qassam, l’ala militare di Hamas, il che li rendeva obbiettivi legittimi per la legge israeliana.
Ma il diritto israeliano e quello internazionale concordano su un punto fondamentale: quando una persona non costituisce più una minaccia non può essere presa di mira con una forza letale. Sparare alla testa di Khazem mentre era immobilizzato è quindi stato probabilmente illegale, hanno affermato esperti in diritto israeliano – ricordando un caso del 2017 quando un tribunale israeliano condannò un medico militare a 18 mesi di carcere per aver sparato mortalmente ad un aggressore palestinese ferito e disarmato a Hebron.
Elor Azaria, il medico, aveva agito “come giudice ed esecutore”, sentenziò il tribunale. La condanna di Azaria fu ridotta a 14 mesi in appello e fu rilasciato dopo 9 mesi, acclamato come un eroe da politici di estrema destra.
Tra coloro che sostennero la sua causa c’era Ben Gvir, un leader radicale dei coloni e attivista anti arabo. Ora Ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, Ben Gvir controlla la polizia di frontiera, compresa Yamam.
Elsdunne, il portavoce della polizia israeliana, ha rifiutato di dire se vi fosse un’indagine sulle azioni delle forze di sicurezza israeliane in generale durante il raid, o specificamente sull’uccisione di Khazem. Le forze di sicurezza “agivano in condizioni di pericolo di vita per arrestare dei terroristi”, ha detto al Washington Post.
Ma nessun soggetto preso di mira nel raid “sembrava costituire alcuna minaccia, tantomeno imminente, ed entrambi avrebbero potuto essere arrestati”, ha affermato Lynk. Il fatto di non aver arrestato i due uomini, ha detto Alston, “è stato poi accompagnato dagli ulteriori spari letali anche dopo che i due individui erano stati resi inoffensivi.”
In quella raffica di pallottole è stato ucciso Omar. Aveva fatto una chiamata video a sua madre circa alle 11 di quel mattino, ricorda lei: “Era seduto dietro alla scrivania del padre, così orgoglioso di mostrarmi quanto fosse responsabile.”
Quattro ore dopo era morto.
Hanno contribuito a questa relazione Osama Hassan a Jenin e Cate Brown a Washington.
Imogen Piper è una fotogiornalista per il gruppo di video forensi del Washington Post. Prima di lavorare per il Washington Post, ha lavorato come investigatrice della ong di controllo dei conflitti aerei Airwar (con sede a Londra, ndt). Ha anche lavorato con Forensic Architecture [Architettura Forense, gruppo di esperti che analizza episodi di violazione dei diritti umani fondato dall’architetto israeliano Eyal Weizman, ndt.] e Bellingcat [sito di giornalismo investigativo, ndt.] per dare conto della risposta della polizia durante le proteste del movimento Black Lives Matter nel 2020.
Meg Kelly è una fotogiornalista per il gruppo di video forensi del Washington Post.
Louisa Loveluck è capo dell’ufficio di Baghdad. Precedentemente ha lavorato a Beirut per il
Washington Post e come corrispondente al Cairo per il Daily Telegraph.
(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)