Le azioni efferate di Israele in nome degli ebrei li rendono insicuri

A lungo intellettuali ebrei hanno messo in guardia che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei dell’Occidente per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani potrebbero contribuire all’antisemitismo negli Stati Uniti.

Philip Weiss 

10 novembre 2023 – Mondoweiss

La scorsa settimana il direttore dell’FBI ha affermato che le ostilità in Medio Oriente potrebbero estendersi agli Stati Uniti con attacchi contro musulmani ed ebrei, e la senatrice del Nevada Jacky Rosen, che ha subito minacce di morte di natura antisemita, ha detto: “Sto provando quello che provano gli ebrei in ogni parte del mondo, sotto attacco e minacciati.”

Anche se dovremmo essere scettici riguardo alle organizzazioni e agli individui filoisraeliani che confondono manifestazioni di antisemitismo con l’antisionismo, riconosco che il direttore dell’FBI ha ragione e che alcuni di questi episodi sono effettivamente antisemiti.

Il professore della Columbia [University] Rashid Khalidi [di origine palestinese, ndt.] “ha prontamente riconosciuto l’esistenza di un’ondata di recenti episodi di antisemitismo nei campus universitari,” ha scritto Michelle Goldberg sul Times. In un caso uno studente della Cornell [importante università statunitense, ndt.] è stato accusato di aver minacciato di attaccare una mensa kosher [cioè che offre cibi che rispettano le norme alimentari ebraiche, ndt.]. E vedo in rete e altrove molti ebrei che manifestano timore e vulnerabilità, e non metterei mai in dubbio tali affermazioni.

È tuttavia necessario affermare una questione, come ho già fatto molte volte in precedenza: a lungo intellettuali ebrei hanno avvertito che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei statunitensi per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani che molti nel mondo condannano – pulizia etnica, massacri e ora azioni genocide a Gaza – rappresentano un pericolo per quelle comunità. Quando le organizzazioni ebraiche statunitensi esibiscono un sostegno incondizionato a tali azioni e inoltre insistono sul fatto che essere ebrei significa appoggiare Israele in quanto “Stato ebraico” mentre uccide civili, questa dichiarazione di unanimità è di fatto pericolosa per gli ebrei.

E quindi rischia di fomentare l’antisemitismo, quando i leader ebraici come Ted Deutch, dell’American Jewish Committee [Commissione Ebraica Americana, storica organizzazione ebraica, ndt.] pubblica una lunga difesa delle azioni di Israele a Gaza in cui cita ripetutamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre e non fa alcun cenno ai morti palestinesi. È così, non menziona neppure quelli che allora erano 9.000 morti, più di 3.000 dei quali minorenni. Tale indifferenza da parte di un leader ebraico ufficiale di fronte ai massacri da parte dello “Stato ebraico” provocherà risentimento verso gli ebrei.

“L’uccisione di migliaia di palestinesi a Gaza mette in pericolo gli ebrei sia in Israele che altrove,” ha scritto questa settimana lo studioso antisionista Yakov Rabkin. “Quando Israele afferma di essere lo Stato di tutti gli ebrei li trasforma in ostaggi delle sue azioni e politiche. Quando le organizzazioni della comunità ebraica dichiarano ‘Stiamo dalla parte di Israele!’ agiscono come rappresentanti di Israele invece che degli ebrei.”

All’inizio dell’anno ho citato vari intellettuali ebrei che hanno sostenuto posizioni simili. Ecco alcuni estratti di quelle affermazioni.

  • Ken Roth, ex-direttore di Human Right Watch, nel luglio 2021, dopo un massacro israeliano a Gaza:

“L’antisemitismo è sempre sbagliato e precede di molto la creazione di Israele, ma l’ondata di episodi antisemiti nel Regno Unito durante il recente conflitto a Gaza smentisce quanti sostengono che la condotta del governo israeliano non incide sull’antisemitismo.”

Roth ha spiegato che è vietato sostenere questo discorso perché suggerisce che il governo israeliano, che afferma di proteggere il popolo ebraico, stia in realtà danneggiando la sicurezza degli ebrei.

  • Nel 1944 Hannah Arendt, anticipando la creazione di Israele con l’appoggio degli ebrei americani, avvertì dei rischi di tale appoggio:

“Se nel prossimo futuro verrà costituita una Nazione ebraica, con o senza partizione [della Palestina], ciò sarà grazie all’influenza politica degli ebrei americani … Se la Nazione ebraica verrà proclamata contro la volontà degli arabi e senza l’appoggio dei popoli del Mediterraneo, per molto tempo saranno necessari non solo un aiuto finanziario, ma anche un sostegno politico. E ciò potrebbe rivelarsi veramente molto problematico per gli ebrei di questo Paese.”

  • Il sociologo di Harvard Nathan Glazer nel 1976 mise in guardia che gli americani sarebberopotuti diventare “ostili” agli ebrei americani per le loro pressioni a favore di Israele.

“Gli ebrei americani hanno potere solo perché i loro concittadini sono disponibili nei confronti del fatto che esercitano questo potere. Potrebbero diventarlo meno. Potrebbero anzi diventare ostili ad esso… Gli ebrei americani fanno spudoratamente pressione sul Congresso per misure a favore di Israele, e rendono politicamente scomodo essere contro Israele e persino prendere una posizione ‘imparziale’. Il personaggio politico che lo fa viene sottoposto a maggiori pressioni ed epiteti, alcuni dei quali decisamente ingiustificati. Ma, come ho detto, il potere deve essere visto nel contesto. Il contesto è che è stato consentito agli ebrei americani di fare quello che fanno.”

Il consiglio di Glazer era che la comunità ebraica statunitense dovesse fare pressione per la creazione di uno Stato palestinese, un consiglio che la comunità rifiutò.

  • Lo scrittore Eric Alterman ha avvertito ripetutamente che l’appoggio a Israele ha “svuotato” la vita ebraica negli USA. E ha affermato che ciò ha contribuito all’antisemitismo. Nel novembre 2022 ha detto ad Americans for Peace Now [organizzazione statunitense impegnata a favorire la soluzione del conflitto israelo-palestinese, ndt.]:

“Ad essere onesti, mentre è in corso un’impennata di antisemitismo negli Stati Uniti, di cui per inciso sono in gran parte responsabili persone adirate con Israele, non c’è davvero nessun problema ad essere ebreo in America come era una volta.”

  • Nel 2015, in un discorso a J Street [organizzazione statunitense moderatamente contraria all’occupazione della Cisgiordania, ndt.], l’ebreo britannico esperto di Medio Oriente Tony Klug affermò che la dipendenza di Israele dagli ebrei statunitensi per difendere l’indifendibile avrebbe contribuito a esiti “sinistri”, e a un’”ondata di antisemitismo”, rendendo forse “precaria” la vita degli ebrei.

“Se Israele non pone drasticamente fine all’occupazione e se la posizione delle organizzazioni ebraiche in altri Paesi sembra appoggiarla apertamente, ci sarà sicuramente  un’ondata di sentimenti antiebraici, scatenando potenzialmente impulsi più sinistri… Ovviamente non lo dico per giustificare tali tetri sviluppi futuri… Temo… che l’occupazione israeliana senza fine della terra e delle vite di un altro popolo non sia solo seriamente dannosa per Israele, per non parlare dell’aggravamento della disperazione dei palestinesi, ma che stia rendendo sempre più precaria anche la situazione degli ebrei in tutto il mondo.”

Questo problema è intrinseco nel sionismo. I suoi coloni ebrei erano dipendenti dal sostegno occidentale, soprattutto delle principali potenze (prima la Gran Bretagna e poi gli USA), e così le comunità ebraiche di quei Paesi vennero chiamate ad esercitare la loro influenza sui governi occidentali in appoggio a Israele. Di fatto nel 1900 molti ebrei inglesi si allontanarono da Herzl [il fondatore del sionismo politico, ndt.] perché si resero conto che l’appoggio a uno Stato ebraico stava minacciando la loro posizione in Gran Bretagna.

Una delle sorgenti storiche di antisionismo ebraico era la scelta di vivere in società diversificate, in cui i diritti di tutti venivano rispettati. Il sionismo ha corrotto questi principi. Ha fondato un’etnocrazia dipendente dall’influenza politica degli ebrei in Occidente.

Oggi ci sono molte buone ragioni per essere antisionisti. Ti preoccupi della vita dei palestinesi tanto quanto di quella degli altri. Ti opponi all’apartheid, alla pulizia etnica e al bombardamento di ospedali e campi di rifugiati. Ma un’altra ragione è che, quando la brutalità di Israele viene esibita al mondo come lo è oggi, il sionismo è un pericolo per gli ebrei in Occidente.

Sono preoccupato del futuro della vita degli ebrei. Non vedo come l’ebraismo che appoggia il genocidio possa sopravvivere spiritualmente. C’è bisogno di una crisi all’interno di quella comunità riguardo a quell’atteggiamento.

Oggi la “presa emotiva” del sionismo sulla comunità ebraica si sta spezzando, afferma Rabkin, in quanto in tutto il mondo giovani ebrei condannano il sionismo.

Oggi è più che mai importante che fiorisca l’antisionismo ebraico. Cosa ancor più importante, per il bene del popolo che viene massacrato da Israele una notte dopo l’altra, e anche per il bene della sicurezza degli ebrei qui.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Cosa vuol dire impadronirsi della Statua della Libertà

Centinaia di membri di Jewish Voice for Peace che chiedono un cessate il fuoco a Gaza hanno occupato il piedistallo della statua. Ecco come è successo.

Sophie Hurwitz

7 novembre 2023 – The Nation

Un traghetto pieno di turisti diretto alla Statua della Libertà si è fermato completamente alle 13:15 di lunedì. Le file di visitatori che speravano di entrare nella base della statua si sono bloccate. E’ stato detto loro che a Liberty Island si stava verificando un problema e che non avrebbero visitato la statua finché il problema non fosse stato risolto.

Sull’isola, a poche centinaia di metri di distanza, circa 400 manifestanti di Jewish Voice for Peace occupavano la base della statua. Hanno tenuto quello spazio per poco meno di un’ora e poi sono tornati indietro catturando l’attenzione di tutti sull’isola.

Jane Hirschmann, settantasette anni, era una delle manifestanti più anziane. Ha portato le sue due figlie adulte con lei ad appendere gli striscioni su Lady Liberty. La disobbedienza civile è diventata una sorta di nuova tradizione familiare, ha detto.

“Siamo stati arrestati nella rotonda [dell’edificio del Congresso] a Washington e nella Grand Central”, ha detto, riferendosi alle due azioni di disobbedienza civile di massa nelle ultime due settimane di ebrei che chiedevano la liberazione della Palestina. “A Grand Central avevo con me tutti i miei figli e tutti i miei nipoti. Eravamo un gruppo di 13. I nipoti se ne sono andati, non sono stati arrestati”. I suoi nipoti, alcuni di appena 1 anno, sono un po’ troppo piccoli.

La famiglia di Hirschmann non era certo l’unico gruppo intergenerazionale sull’isola. Intere famiglie si sono unite alla protesta perché, per molti, la loro storia familiare li obbligava a farlo. Hirschmann ha parlato di suo nonno, morto di infarto sulla barca diretta a Ellis Island mentre fuggiva dall’Olocausto. Ha visto la sua famiglia sparpagliata in giro per il mondo, costretta a lasciare le proprie case e, ha detto Hirschmann, “è morto di crepacuore”.

“Non ho mai avuto modo di incontrare quel nonno. Ma il suo ricordo è impresso nel mio cuore”, ha detto. Nello sfollamento di massa e nell’uccisione dei palestinesi, vede gli echi della storia di suo nonno. “Ha capito quando ha visto il fascismo che doveva proteggere la famiglia e fuggire. Ora stiamo andando verso il fascismo, in questo paese, e certamente in Israele. Questo genocidio deve finire”.

Portare centinaia di manifestanti in un pezzo di territorio federale fortemente sorvegliato non è un’impresa da poco. Le persone sono entrate in piccoli gruppi scaglionati in un periodo di diverse ore, giurando di mantenere il segreto assoluto su dove stavano andando. Alle 13:00 tutti e 400 erano riuniti sulla base di Lady Liberty e si sono tolte le giacche per mostrare le loro T-shirt con le scritte.

Alcuni manifestanti indossavano fasce con corona di Lady Liberty in schiuma verde, mentre altri interpretavano il ruolo di turisti in modo meno convincente. (Molti degli ebrei newyorkesi che partecipavano alla protesta hanno sottolineato di non essere stati alla Statua della Libertà da quando erano bambini in gita.)

Ogni giorno circa 10.000 persone attraversano il complesso della Statua della Libertà, rendendolo uno dei monumenti nazionali più frequentati del Paese, quindi ai manifestanti è stata garantita una grande folla di spettatori. Alcuni hanno manifestato la loro opposizione gridando contro il gruppo o mostrando il dito medio. Ma altri, come i visitatori scozzesi David e Sheila Miller, erano entusiasti.

La coppia ha deciso che scattare foto con i manifestanti sullo sfondo era più importante che cercare di inclinare la fotocamera per farsi un selfie con la parte superiore della torcia della statua.

“Penso che sia un ottimo messaggio che stanno inviando”, ha detto Miller. “È fantastico! Penso solo che sia bello essere qui a testimoniarlo. Quando siamo saliti sulla corona, pensavo che sarebbe stato il momento clou della giornata, ma invece è stato questo. Essere testimoni di questo evento in prima linea”.

Joe Biden ha appoggiato l’idea di una “pausa umanitaria” in cui le bombe israeliane smettono di cadere per un breve periodo non specificato per consentire agli aiuti umanitari di entrare a Gaza. Parlando con il primo ministro israeliano Netanyahu, le definisce “pause tattiche”. Biden, tuttavia, non ha sostenuto un cessate il fuoco totale. In caso di pausa umanitaria alla fine le bombe cadranno di nuovo.

Le proteste in tutto il mondo sono continuate quotidianamente dall’inizio dell’incursione israeliana a Gaza. Mentre gli attivisti di tutto il mondo sono stati accusati di antisemitismo per aver definito genocidio le azioni del governo israeliano, funzionari delle Nazioni Unite e studiosi dell’Olocausto hanno usato lo stesso termine per descrivere l’uccisione di massa e lo sfollamento di una popolazione civile imprigionata.

Le Nazioni Unite affermano che non è stato consentito l’ingresso di carburante a Gaza nel mese successivo agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, il che significa che gli ospedali e altri servizi essenziali stanno lentamente chiudendo del tutto. In quel periodo sono stati uccisi oltre 10.000 palestinesi, tra cui più di 4.000 bambini.

La scrittrice Molly Crabapple faceva parte di un gruppo di artisti che hanno partecipato alla protesta vestiti in modo appariscente. Come molti operatori culturali ebrei di New York, è una firmataria della lettera aperta di Writers Against the War on Gaza. E per Crabapple, che ha lavorato a Gaza, questa guerra è anche un fatto personale.

“Ci sono persone a cui tengo che vivono a Gaza”, ha detto Crabapple. “Diecimila persone sono morte. Quattromila di loro sono bambini. Ogni giorno questo genocidio continua, altri bambini e altre brave persone stanno morendo. Questo genocidio deve finire adesso”.

Crabapple, la fotografa Nan Goldin e gli scrittori Raquel Willis e Tavi Gevinson erano tra gli artisti presenti. Si sono uniti alla protesta anche dei politici. Dopotutto la Statua della Libertà è stata teatro di clamorose azioni di disobbedienza civile sin dalla sua inaugurazione nel 1886. Zohran Mamdani membro del consiglio di quartiere dei Queens ha partecipato spesso alle manifestazioni pro-Palestina che si sono tenute in città dall’attacco di Hamas il 7 ottobre e si è unita al gruppo sul basamento della statua.

“Non posso votare sulla questione se debbano o meno essere stanziati altri 14 miliardi di dollari in finanziamenti militari. Ma io, come ogni altro politico locale, ho una piattaforma”, ha detto. “È con quella piattaforma che… ognuno di noi dovrebbe chiarire che non esiste un consenso di massa per l’uccisione di un bambino palestinese ogni 10 minuti. Gran parte della politica federale e della Casa Bianca in questo momento si basa sull’idea che gli americani, in massa, sostengano questo. Sappiamo che il 66% degli americani vuole un cessate il fuoco, la maggioranza di loro si oppone all’invio di ulteriori finanziamenti a Israele”. Ora, ha detto Mamdani, è tempo di fare in modo che la politica statunitense rifletta quella maggioranza.

L’occupazione della Statua della Libertà da parte della JVP è stata solo una delle numerose azioni contro la guerra nella giornata di lunedì. A St. Louis, 75 manifestanti contro la guerra del gruppo Dissenters hanno formato un cordone e bloccato gli ingressi ad uno stabilimento Boeing dove vengono costruite le bombe sganciate su Gaza. E a Tacoma, nello stato di Washington, i manifestanti hanno bloccato l’accesso al porto dove stava attraccando una nave da carico militare che si pensava fosse diretta in Israele. Alcuni attivisti sono addirittura saliti su canoe per fermare il movimento della nave.

Di ritorno a New York, le proteste si sono svolte su un diverso tipo di imbarcazione: un traghetto turistico.

Molti di quelli in fila hanno battuto le mani e scandito: “Cessate il fuoco adesso!” e “Non in nostro nome!”

Il gruppo è uscito lentamente dal complesso della Statua della Libertà verso le 14:30, una grande nuvola di persone in maglietta nera che scandivano: “Fine all’assedio di Gaza adesso!” lungo la via del ritorno su un traghetto. Una volta sulla barca, hanno riappeso i loro striscioni, salutando le persone che guardavano dalla riva. Hanno urlato e pestato i piedi così forte che la barca ha tremato per tutto il tragitto verso Manhattan.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Funzionaria americana afferma che il numero di palestinesi uccisi a Gaza potrebbe essere “superiore a quello riportato”.

I commenti di Leaf sono in contrasto con la dichiarazione del mese scorso del presidente americano Joe Biden, che aveva affermato di non avere “nessuna fiducia” nei numeri palestinesi.

Redazione di Palestine Chronicle

9 novembre 2023 – The Palestine Chronicle

Il numero di palestinesi di Gaza uccisi nella guerra israeliana contro Gaza è probabilmente superiore ai 10.000 riportati dal Ministero della Sanità locale, ha detto al Congresso l’Assistente del Segretario di Stato americano per gli Affari del Vicino Oriente, Barbara Leaf.

Giovedì 9 novembre il Ministero della Sanità di Gaza ha dichiarato che dal 7 ottobre sono stati uccisi a Gaza 10.812 palestinesi. Il numero comprende 4.412 bambini e 2.918 donne.

Secondo The Hill [giornale politico statunitense con sede a Washington, ndt.] Leaf ha detto alla Commissione per gli Affari Esteri della Camera durante un’audizione mercoledì: “In questo periodo di conflitto e di condizioni di guerra è molto difficile per chiunque di noi valutare quante siano le vittime Francamente  pensiamo che siano molte e potrebbero essere anche più di quelle riportate.”

“Apprendiamo notizie da molte persone diverse che sono sul campo”, ha aggiunto Leaf. Non posso stabilire una cifra o un’altra, è molto probabile che siano anche più di quanto riportato.”

I commenti di Leaf sono in contrasto con la dichiarazione del mese scorso del presidente americano Joe Biden, che aveva affermato di non avere “nessuna fiducia” nei numeri forniti dai palestinesi.

In seguito il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale John Kirby ha detto ai giornalisti che il Ministero della Sanità di Gaza è “solo una copertura per Hamas”.

“Non possiamo prendere per oro colato nulla che venga da Hamas, incluso il cosiddetto ‘Ministero della Sanità’”, ha detto Kirby alla conferenza stampa della Casa Bianca il 26 ottobre.

Gli Stati Uniti avrebbero chiesto a Israele di evitare di uccidere civili, ma un articolo del New York Times della scorsa settimana ha rivelato che i funzionari israeliani “ritenevano che un alto numero di vittime civili fosse un prezzo accettabile nella campagna militare”, paragonando le operazioni a Gaza con i bombardamenti incendiari su Germania e Giappone nella Seconda Guerra Mondiale

Finora Israele ha ucciso oltre 10.812 persone – tra cui 4.412 bambini e 2.918 donne – e ne ha ferite 26.905. Rapporti del Ministero della Sanità palestinese e organizzazioni internazionali affermano che la maggior parte delle persone uccise e ferite sono donne e bambini.

Nonostante il massiccio rafforzamento militare israeliano attorno ai confini di Gaza e le sporadiche incursioni alla periferia della Striscia assediata, la Resistenza Palestinese continua a respingere gli attacchi israeliani.

Per giustificare il suo fallimento militare, l’esercito israeliano continua a martellare abitazioni civili in tutta la Striscia di Gaza, con nuovi massacri segnalati ovunque nell’enclave assediata.

Gaza è sotto uno stretto assedio militare israeliano dal 2007 in seguito ad un’elezione democratica nella Palestina occupata, i cui risultati sono stati respinti da Tel Aviv e Washington.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




‘Israeliani Contro l’Apartheid’ chiede alla CPI di agire per proteggere i palestinesi dal genocidio

Israeliani Contro l’Apartheid

6 novembre 2023 – Mondoweiss

Noi, Israeliani Contro l’Apartheid, associazione di ebrei israeliani per la decolonizzazione, che rappresenta oltre 1.500 cittadini preoccupati, chiediamo alla CPI (Corte Penale Internazionale) di agire prontamente contro i crescenti crimini di guerra israeliani e il genocidio del popolo palestinese.

Nota dell’Editore: I membri dell’associazione Israeliani Contro l’Apartheid, che raggruppa 1500 persone, il 2 novembre 2023 hanno inviato la seguente lettera a Karim A.A. Khan, Procuratore della Corte Penale Internazionale, chiedendo un immediato intervento internazionale per fermare il massacro a Gaza.

2.11.2023

A Karim A.A. Khan, Procuratore della Corte Penale Internazionale,

Noi, ‘Israeliani Contro l’Apartheid’, associazione di ebrei israeliani per la decolonizzazione, che rappresenta oltre 1.500 cittadini preoccupati, chiediamo alla CPI (Corte Penale Internazionale) di agire prontamente contro i crescenti crimini di guerra israeliani e il genocidio del popolo palestinese. Per la sicurezza e il futuro della regione devono essere applicati tutti gli elementi del diritto internazionale e devono essere indagati i crimini di guerra. Apprezziamo la vostra profonda preoccupazione per le vite dei palestinesi, degli israeliani e di altri, e traiamo coraggio dalla vostra determinazione a svolgere un’indagine approfondita sulle perduranti violazioni del diritto internazionale.

Come attivisti israeliani anticolonialisti abbiamo unito le nostre voci a quelle dei palestinesi che da decenni mettono in guardia sulla pericolosa deriva perseguita dallo Stato israeliano e hanno ripetutamente chiesto l’intervento internazionale.

La persistente impunità ha creato le condizioni per il consolidamento del regime di apartheid israeliano, che intende perpetrare la pulizia etnica e il genocidio della popolazione indigena palestinese. Il grave deterioramento delle imprescindibili condizioni di vita a cui ora stiamo assistendo avrebbe potuto essere evitato se Israele non avesse costantemente goduto dell’impunità per i suoi continui crimini.

Siamo riconoscenti per le vostre dichiarazioni del 29 ottobre che hanno sottolineato che impedire gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe costituire un crimine che ricade sotto la giurisdizione della CPI e che Israele deve fare “manifesti sforzi, senza ulteriore ritardo, per garantire che i civili ricevano essenziale cibo, acqua e farmaci”. La fornitura immediata di aiuti agli abitanti di Gaza è essenziale per impedire le atrocità della fame e della sete per cause umane tra la popolazione palestinese occupata.

Ad aprile 2018, in seguito alla sistematica uccisione di manifestanti disarmati durante la Grande Marcia del Ritorno, la sua predecessora, Fatou Bensouda, avvertì: “La violenza contro i civili in una situazione come quella di Gaza potrebbe configurare crimini ai sensi dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.” Vi scongiuriamo di assumervi la vostra responsabilità di emettere mandati di arresto e di chiamare a rispondere coloro che commettono questi atti criminali.

L’attuale escalation, dopo l’attacco di Hamas a Israele e l’incursione di gruppi armati palestinesi il 7 ottobre 2023, in cui sono stati uccisi più di mille israeliani e presi in ostaggio più di 200, ha condotto ad un’ondata di violenza e a crimini di guerra compiuti dallo Stato di Israele. Riteniamo cruciale che i tempi dell’inchiesta siano pertanto accelerati. Apprezziamo la vostra dichiarazione che le istituzioni preposte a proteggere la popolazione civile debbano indagare questi possibili crimini e ci aspettiamo che voi agiate con la stessa rapidità messa in atto nel caso dell’Ucraina, per garantire che venga fatta giustizia e vengano salvate vite innocenti.

Siamo estremamente preoccupati dagli inviti istituzionali da parte di Israele al genocidio, che vengono espressi a gran voce in ebraico e crediamo che dovrebbero essere seriamente presi in considerazione in quanto sono in gioco migliaia, se non milioni, di vite umane. Il 29 ottobre 2023 Benjamin Netanyahu ha fatto una dichiarazione pubblica riferendosi al popolo palestinese come “Amalek” [nipote di Esaù, è stato secondo la Bibbia il primo nemico ad attaccare gli Israeliti, subito dopo che questi avevano attraversato il Mar Rosso. Ha finito per rappresentare il male assoluto, il Demonio, ndt.] e citando la Bibbia: “distruggere completamente tutto quanto Amalek possiede e non risparmiare nessuno; bensì uccidere sia uomini che donne e bambini…”

Il personale militare e i giornalisti israeliani ora si appellano apertamente alla pulizia etnica e al genocidio. E’ evidente che Israele disprezza le vite dei civili a Gaza, ordinando loro di evacuare vaste aree anche se a Gaza non esiste un luogo sicuro dove la gente possa fuggire. E non dovrebbero neanche essere costretti a lasciare le proprie case: al contrario, la Risoluzione 194 dell’ONU promette loro il diritto al ritorno alle originarie abitazioni in quello che ora è lo Stato di Israele.

Ci dispiace moltissimo che, nonostante l’avvio di un’inchiesta, seguita dalla decisione del 2021 della Prima Camera Preliminare, secondo cui la Corte può esercitare la sua giurisdizione penale sulla situazione in Palestina, voi finora non abbiate intrapreso azioni concrete per fermare la tragica parabola di eventi nella nostra regione, accertando rendendo Israele responsabile.

Organizzazioni palestinesi, internazionali ed israeliane hanno fatto più volte appello al vostro ufficio perché intraprendiate azioni contro le sistematiche violazioni del diritto internazionale, i continui crimini di guerra e l’immane disprezzo dei più basilari diritti umani del popolo palestinese.

I crimini di guerra israeliani sono sistematici e continui e stanno aumentando. Le chiare e ben documentate prove di essi sono state sottoposte al vostro ufficio per anni. Vi invitiamo pressantemente a intraprendere azioni concrete e immediate.

Considerando l’intensificarsi della violenza e con l’obiettivo di salvare quante più vite possibile, vi esortiamo di:

  1. Emettere immediati mandati di arresto contro i dirigenti israeliani politici e della sicurezza militare che stanno commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità;

  2. Accelerare la vostra inchiesta sui continui crimini perpetrati in questo momento dallo Stato di Israele, dalle sue forze militari e da cittadini israeliani armati sotto protezione dell’esercito; e

  3. Essere una tribuna valida ed equilibrata per presunti crimini che derivano dall’attuale situazione, piuttosto che fare riferimento ad accuse non convalidate e non verificate.

Allegato: Inviti al genocidio / Giustificazione del genocidio

Alcuni esempi di prove di dirigenti israeliani che invitano al genocidio:

  • Venerdì 13 ottobre il Presidente israeliano Isaac Herzog ha detto che tutti i cittadini di Gaza sono responsabili per gli attacchi che Hamas ha compiuto in Israele e che non ci sono civili innocenti a Gaza. Un elenco di simili inviti da parte di personaggi pubblici israeliani si può trovare qui.

  • Mercoledì 25 ottobre il sindaco di Sderot, ex deputato (n.3 del partito di Naftali Bennet) Alon Davidi ha detto: “Ogni abitante di Gaza è ISIS. Devono essere colpiti tutti…Non ho pietà per loro. Coloro che vivono là, due milioni di persone, sono nazisti. E’ una zona di nazisti e di ISIS che fornisce totale appoggio a Hamas e alla Jihad e, per quanto mi riguarda, ogni abitante di Gaza è di Hamas e dell’ISIS e dobbiamo ritenerli responsabili.” Davidi sottolinea che questo è il sentimento condiviso da tutti gli abitanti del sud (di Israele) con cui lui parla: “La gente vuole dirlo chiaramente: o noi o loro.” 

  • L’ex deputato Moshe Feiglin ha esortato alla completa distruzione di Gaza, come Hiroshima (senza armi nucleari)  

  • L’ex ambasciatore israeliano all’ONU Dan Gillerman ha definito i palestinesi “orribili animali disumani”

  • Un gruppo di esperti del governo israeliano ha recentemente delineato un piano per la completa pulizia etnica di Gaza.

Personaggi o organizzazioni pubbliche:

  • Eyal Golan, un popolare cantante israeliano, ha ribadito alla televisione israeliana la connotazione della popolazione di Gaza come “animali umani”, aggiungendo: “Dobbiamo cancellare Gaza e non lasciarvi nessuno vivo.”

  • Una propaganda distribuita sui social media da un movimento di destra dal titolo “Questa volta vinceremo – Eliminare Gaza” esplicita i suoi obbiettivi per la Striscia di Gaza: “Radere al suolo, Occupare, Colonizzare.”

Un opuscolo con “Codice Etico” fatto circolare ampiamente tra civili e soldati dalla “organizzazione per i diritti umani” di destra israeliana “Btsalmo” auspica il genocidio:

Codice etico per l’esercito di Israele”:

. Desidero offrire la mia anima per salvare il popolo ebraico.

. Il nemico deve essere eliminato piuttosto che neutralizzato.

. Una popolazione che appoggia il terrore è il nemico

. Un ordine di mettere a rischio le vite di civili o soldati allo scopo di

proteggere il nemico è manifestamente illegale.

. Lo sradicamento del male è un precetto morale ed è per il bene

dell’Umanità. Perseguiterò i miei nemici, li raggiungerò e non tornerò

prima della loro morte.

Firmato: Israeliani Contro l’Apartheid.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Medici israeliani chiedono di colpire ospedali e ambulanze di Gaza

Redazione di Palestine Chronicle

6 novembre 2023 – Palestine Chronicle

Un gruppo israeliano, autodenominatosi “Medici per i Diritti dei Soldati dell’IDF” [Israeli Defence Force, l’esercito israeliano, ndt.] ha chiesto di distruggere “ogni luogo dove la gente (di Hamas) si sta nascondendo (…), anche se è un ospedale.”

La Palestine Global Mental Health Network [Rete Globale Palestinese per la Salute Mentale, ndt.] (PGMHN), ha sollecitato tutti i professionisti, il personale e le associazioni che si occupano di sanità e salute a condannare fortemente la dichiarazione pubblicata da un gruppo di medici israeliani che ha chiesto la distruzione degli ospedali palestinesi a Gaza.

Un gruppo israeliano, autodenominatosi “Medici per i Diritti dei Soldati dell’IDF” ha chiesto di distruggere “ogni luogo dove la gente (di Hamas) si sta nascondendo (…), anche se è un ospedale.”

Il PGMHN ha anche sollecitato tutte le organizzazioni che si occupano di salute e “tutte le persone libere” del mondo a “condannare questa richiesta barbara di uccisione e distruzione da parte di coloro che hanno fatto il giuramento di Ippocrate di non nuocere.”

Quei dottori assetati di sangue dovrebbero essere espulsi dagli ordini professionali e dovrebbero essere trattati come criminali,” recita il comunicato.

La dichiarazione dei dottori, che è circolata ampiamente sui social media, afferma che “l’organizzazione terroristica assassina (riferendosi ad Hamas) sta usando tutti i mezzi e sta commettendo crudeli omicidi e un orrore senza precedenti contro persone, donne e bambini, perciò ogni luogo in cui i suoi militanti si stanno nascondendo o che viene usato per operazioni terroristiche è un legittimo obiettivo da distruggere – anche se si tratta di un ospedale.”

Aggiunge: “hanno a loro disposizione le ambulanze che stanno trasferendo pazienti a sud per ricevere cure mediche altrove. Basta!

Gli abitanti di Gaza che ritengono giusto trasformare gli ospedali in cellule terroristiche in un tentativo di strumentalizzare gli standard occidentali, sono responsabili della loro stessa distruzione – il terrorismo deve essere sradicato ovunque e in ogni modo.”

A Gaza Israele ha già bombardato molti ospedali, e cliniche palestinesi o le aree circostanti, uccidendo centinaia di civili palestinesi.

Il più noto di questi bombardamenti è stato il 17 ottobre, quando Israele ha bombardato l’ospedale battista Al-Ahli a Gaza City, uccidendo quasi 500 persone e ferendone altre centinaia.

Il ministero palestinese della Sanità a Gaza ha affermato che dall’inizio della guerra israeliana contro Gaza un mese fa un gran numero di dottori, infermieri, autisti di ambulanze, insieme ad altro personale medico, è stato ucciso negli attacchi israeliani.

Inoltre molti lavoratori della protezione civile sono stati uccisi mentre stavano cercando di recuperare i corpi dei palestinesi da sotto le macerie di case, scuole ed ospedali.

Finora Israele ha ucciso a Gaza circa 10.022 palestinesi, inclusi 4.800 minori e 2.550 donne, e ne ha feriti più di 25.000.

I rapporti del ministero palestinese della Sanità e le organizzazioni internazionali affermano che la maggioranza delle persone uccise o ferite sono donne e minori.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Israele arresta l’attivista palestinese Ahed Tamimi durante raid in Cisgiordania

Redazione di Al Jazeera

6 novembre 2023 – Al Jazeera

La ventiduenne icona palestinese è stata arrestata durante l’ennesima notte di incursioni israeliane nella Cisgiordania occupata.

Forze israeliane hanno arrestato Ahed Tamimi, famosa attivista palestinese di 22 anni, per “incitamento al terrorismo”.

Hanno annunciato l’arresto lunedì, in seguito a un’altra serie di incursioni notturne e combattimenti nella Cisgiordania occupata. dove dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas lo scorso mese la violenza si è accentuata.

Il corrispondente di Al Jazeera Zein Basravi ha informato di molteplici incursioni dell’esercito israeliano in Cisgiordania, anche nel villaggio di Nabi Saleh, nei pressi di Ramallah, dove è stata arrestata Ahed Tamimi.

L’attivista “è stata incarcerata in quanto sospettata di incitare alla violenza e ad attività terroristiche,” ha affermato un portavoce dell’esercito. “Tamimi è stata affidata alle forze di sicurezza israeliane per ulteriori interrogataori.”

Nariman Tamimi, la madre dell’attivista, ha detto all’agenzia di notizie Anadolu [agenzia di stampa ufficiale turca, ndt.] che le forze israeliane hanno perquisito la casa e confiscato i telefonini dei membri della famiglia. Suo padre Bassen Tamimi è stato arrestato la scorsa settimana dalle forze israeliane durante un raid in città, e non ci sono informazioni sulla sua sorte.

Mezzi di informazione israeliani hanno detto che in un post su Instagram Ahed Tamimi ha esortato all’uccisione di coloni in Cisgiordania. Interpellata riguardo alla ragione del suo arresto, una fonte della sicurezza israeliana ha condiviso con l’AFP [agenzia di stampa francese, ndt.] il presunto post su Instagram.

Tuttavia Nariman nega che sua figlia abbia scritto il post: “Con il nome di Ahed e la sua foto ci sono decine di pagine (in rete) senza alcun rapporto con lei,” afferma.

L’esercito israeliano ha festeggiato l’arresto di Ahed Tamimi pubblicando su Facebook una sua foto e la domanda: “Dov’è ora il suo sorriso?”

Famiglia di attivisti

Tamimi e i membri della sua famiglia sono attivisti molto noti e da quasi un decennio guidano la resistenza non-violenta di Nabi Saleh.

Suo padre è stato arrestato varie volte dalle forze israeliane ed ha passato almeno quattro anni in carcere.

Ahed Tamimi è un simbolo della resistenza palestinese da quando è diventato virale un video del 2012 di un diverbio con un soldato israeliano arrivato a casa sua per arrestare il fratello.

Era già stata arrestata, insieme a sua madre e a sua cugina Nour, di 20 anni, dall’esercito israeliano nel dicembre 2017 in seguito a ulteriori scontri.

Incriminata per 12 accuse, tra cui aggressione, incitamento e precedenti casi di lancio di pietre, è stata incarcerata per otto mesi.

Incusioni notturne

Ahed Tamimi è stata arrestata nel corso di un’altra notte di incursioni israeliane e combattimenti nella Cisgiordania occupata, mentre le forze di occupazione hanno intensificato i raid notturni contro case, villaggi e cittadine palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate.

Informando da Ramallah, Basravi ha detto che è stata una notte caotica, con varie cittadine in tutta la Cisgiordania che hanno assistito a incursioni e scontri aperti tra l’esercito e combattenti armati palestinesi. Le immagini mostrano strade e automobili distrutte.

Uno dei raid più pesanti è avvenuto nel campo profughi di Shuafat [a Gerusalemme est, ndt.], noto perché vi si trovano vari gruppi armati palestinesi. Durante un’intervista in diretta l’esercito israeliano ha arrestato Rafat Alian, un consigliere del governo dell’Autorità Palestinese (AP) e membro di Fatah.

Dal 7 ottobre nel corso delle incursioni notturne in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate Israele ha arrestato circa 1.740 palestinesi.

La maggioranza è stata trattenuta in base a leggi e ordinanze militari che consentono la detenzione senza processo o accuse.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: agenti israeliani torturano e umiliano i lavoratori palestinesi

Maha Hussaini – Gaza, Palestina occupata

6 novembre 2023 – Middle East Eye

Un lavoratore palestinese racconta a Middle East Eye la sua testimonianza diretta delle torture che avrebbe subito da parte dei soldati israeliani durante gli interrogatori e la detenzione prima del ritorno a Gaza

Dopo il suo rilascio dalla prigione di Ofer, in Israele, Khaled Ahmed è entrato nel rifugio della sua famiglia nel centro della Striscia di Gaza sorreggendosi sulla spalla del figlio e con una fascetta di plastica ancora avvolta attorno alla caviglia sinistra.

Il 7 ottobre, quando Israele ha dichiarato la guerra contro Gaza, Ahmed stava lavorando a Giaffa, prima di essere arrestato pochi giorni dopo insieme ad oltre 7.000 lavoratori palestinesi.

Venerdì è stato rilasciato insieme a circa 4.000 lavoratori e ha raggiunto la moglie e i quattro figli in una piccola casa dove hanno trovato rifugio in seguito al bombardamento israeliano del loro quartiere.

Ahmed ha riferito a Middle East Eye che durante il periodo di detenzione gli agenti israeliani “si vendicavano contro Gaza” torturando i suoi lavoratori in Israele.

“Lavoro in Israele da anni. Quando è successo tutto questo ero in possesso un permesso di lavoro valido,” riferisce a MEE Ahmed, 63 anni.

Quando Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno scatenato lattacco contro Israele molti lavoratori hanno lasciato Israele per recarsi in Cisgiordania, ma Ahmed non riteneva che ci fossero ragioni per andare via.

Spiega di aver deciso di restare in Israele dopo l’attacco del 7 ottobre perché, a differenza di questa volta, in occasione dei precedenti attacchi israeliani a Gaza vi si era trovato relativamente al sicuro.

“Nel periodo tra il 7 e il 10 ottobre i lavoratori potevano ancora spostarsi tra Israele e la Cisgiordania. Il 10 siamo rimasti intrappolati, senza possibilità di tornare a Gaza o andare in Cisgiordania”.

Per verificare lo stato di validità del loro permesso di lavoro i lavoratori palestinesi in Israele sono iscritti a unapplicazione israeliana per smartphone chiamata al-Monasseq (coordinatore in lingua araba).

Se il permesso di lavoro viene revocato vengono avvisati con un sms.

Ma pochi giorni dopo il lancio dell’attacco di Israele contro Gaza le autorità israeliane hanno revocato tutti i permessi di lavoro senza informare i lavoratori, per poi condurre contro di loro una campagna di detenzione su larga scala.

“Hanno fatto irruzione nei nostri dormitori, ci hanno ammanettati e bendati, poi ci hanno arrestati senza permettere a nessuno di noi di prendere qualcosa“, dice Ahmed. “Era circa mezzanotte quando siamo arrivati nel luogo dove siamo stati interrogati. Sono stato lasciato solo in una cella per otto ore prima di essere portato in una stanza dove un ufficiale israeliano mi ha interrogato per ore.”

“Mi ha chiesto dove abitassi a Gaza, gli ho risposto, poi mi ha mostrato la mia casa su un grande schermo per farmi vedere che sapeva già con precisione dove abitavo. Poi mi ha chiesto di Hamas e di altre fazioni palestinesi, gli ho risposto che non sapevo nulla.

“Ha provato a farmi pressione ma sinceramente non ho niente a che fare con loro quindi non ho potuto rispondere.”

Ahmed riferisce che durante le due ore di interrogatorio ha visto picchiare, torturare e umiliare molti colleghi di lavoro.

“Un ufficiale ha detto ad un mio collega: ‘Sembri un brav’uomo, vorrei offrirti qualcosa da bere. Preferisci tè o caffè?’. Lui ha risposto che voleva del tè. L’ufficiale ha fatto bollire l’acqua nel bollitore elettrico che aveva in ufficio, lo ha versato in un bicchiere di carta, poi glielo ha gettato sul viso,” racconta. “Prima di essere portato fuori aveva il volto ustionato e urlava di dolore.”

“Un altro collega durante l’interrogatorio ha detto all’ufficiale che non eravamo stati informati della revoca dei permessi e gli ha chiesto perché non avevano inoltrato gli SMS come di consueto. Lui ha ascoltato finché [il lavoratore] non ha finito di parlare, poi lo ha colpito duramente in faccia dicendogli: ‘Vuoi insegnarci cosa fare?'”

Ahmed racconta che un altro lavoratore è stato gettato a terra e preso a calci più volte all’addome da molti agenti. Quando è stato riportato in cella ha continuato a urlare di dolore per giorni.

“Ci hanno picchiato e umiliato come se si stessero vendicando per i fatti di Gaza”, dice Ahmed, accusando gli agenti di aver esercitato degli abusi nei loro confronti come rappresaglia per l’incursione del 7 ottobre da parte di gruppi armati palestinesi. Per quanto, afferma, lui e gli altri lavoratori “non avessimo nulla a che fare” con gli attacchi.

“Gli israeliani sanno benissimo che non abbiamo nulla a che fare con quello che sta succedendo. Siamo lavoratori che prima di ottenere il permesso di lavoro sono stati interrogati più volte e abbiamo subito diversi controlli di sicurezza “.

Middle East Eye ha precedentemente contattato l’esercito israeliano per un commento sulle accuse di tortura dei lavoratori palestinesi di Gaza, ma al momento della pubblicazione non ha ricevuto risposta.

Negazione di cure mediche

Ahmed è stato detenuto nella prigione di Ofer per 10 giorni. Durante questo periodo lui e i suoi colleghi sono stati tenuti in tende allestite appositamente per i lavoratori di Gaza.

Ahmed dice che, senza tetto né letti, la notte lui e i suoi colleghi “eravamo congelati”.

“Quando siamo stati condotti nelle celle ci hanno portato via tutto, compresi i nostri telefoni, i soldi e le giacche,” riferisce a MEE.

“Hanno dato a ciascuno di noi un materasso molto sottile insieme ad una piccola coperta e una giacca. Quando dormivo dovevo tenere le braccia sul corpo perché il materasso era molto piccolo e non conteneva tutto il mio corpo, e la cella era sovraffollata”, aggiunge.

“Di notte letteralmente tremavamo. Una notte ha cominciato a piovere e la situazione è peggiorata. Ci hanno portato un’altra coperta a testa perché altrimenti saremmo morti assiderati“.

Ad Ahmed, padre di quattro figli, affetto da diabete e ipertensione, per giorni non è stata permessa l’assunzione di pastiglie o insulina.

“Ho detto loro che dovevo prendere le mie pastiglie soprattutto perché durante tutto il periodo di detenzione non avevo mangiato bene. Mi hanno ammanettato, bendato e portato nella clinica della prigione. Ho dovuto essere perquisito più volte lungo il percorso. Mi hanno dato l’insulina solo una volta e dopo non mi è stato più permesso di assumerla,” continua.

“Quasi tutti avevamo la febbre a causa del freddo intenso, e alcuni dopo essere stati torturati urlavano di dolore. Chiunque chiedesse medicine veniva ignorato o gli venivano dati solo antidolorifici”.

Durante l’intero periodo di detenzione, i lavoratori non sapevano se la guerra contro Gaza fosse ancora in corso o se fosse finita.

“Non sapevamo nemmeno che ora fosse perché ci avevano portato via gli orologi. Ogni volta che chiedevamo a un ufficiale o a un soldato cosa stesse succedendo a Gaza, ci sgridavano o ignoravano la domanda”, dice Ahmed.

La corsa a casa

Venerdì mattina all’alba gli agenti israeliani hanno svegliato i lavoratori e hanno detto loro di togliersi le giacche ricevute. Poi li hanno bendati e ammanettati e gli hanno ordinato di mettersi in fila.

Ahmed ha chiesto in ebraico a una donna ufficiale dove li stessero portando. Lei ha risposto che stavano andando in un “posto molto caldo”, una risposta che Ahmed in seguito ha capito alludesse alla guerra a Gaza.

“Siamo stati portati su degli autobus e gli agenti hanno legato con fascette di plastica la caviglia di ogni lavoratore a quella del suo compagno seduto accanto. Eravamo bendati e le tende coprivano i finestrini dell’autobus, quindi non potevamo vedere nulla”, aggiunge.

“Ma sentivo il sole sul viso provenire da sud, quindi ho immaginato che stessimo andando verso il confine di Kerem Shalom [valico tra la Striscia di Gaza, Israele e Egitto, ndt.].”

Circa 90 minuti dopo lautobus si è fermato e gli agenti hanno tagliato le fascette di plastica alle mani e alle caviglie dei lavoratori, poi hanno ordinato loro di togliersi le bende dagli occhi.

“Siamo scesi dall’autobus e ci siamo messi in fila. I soldati ci hanno detto: ‘Ora vi lasceremo andare. Dovete correre più veloce che potete. Non guardate a destra o a sinistra. Verrà sparato a chiunque cerchi di guardare dietro di sé o si fermi per pochi secondi’”, ricorda Ahmed.

“Abbiamo corso per circa due chilometri senza sosta fino a raggiungere il confine di Kerem Shalom. Abbiamo oltrepassato il cancello e finalmente abbiamo trovato del personale palestinese che ci ha accolti.”

Senza documenti ufficiali, soldi o cellulare, Ahmed è tornato presso la sua famiglia nel rifugio dopo aver appreso che la sua casa era stata gravemente danneggiata dai bombardamenti in corso.

“Hanno preso tutti i nostri soldi. Alcuni agenti li hanno rubati per tenerseli. Avevamo risparmiato i nostri stipendi lavorando per mesi senza far rientro a Gaza.

Un mio collega aveva circa 100.000 shekel (23.600 euro). Aveva lavorato ogni giorno per diversi mesi e aveva messo da parte i soldi per la sua famiglia a Gaza. Volevano comprare una casa. Ora è tornato senza niente. Al contrario: è stato picchiato, è malato e non in grado di camminare”.

*I nomi degli intervistati sono stati modificati

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Armando migliaia di israeliani Ben -Gvir gioca con il fuoco

Eyal Lurie-Pardes

3 novembre 2023 – Dawnmena

All’indomani dell’orrendo attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre, Itamar Ben-Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, di estrema destra, continua a premere per realizzare il suo programma suprematista ebraico rischiando nuove tensioni e ulteriore violenza tra ebrei israeliani e palestinesi. La sua priorità è rendere meno rigide le norme sulle armi per semplificarne l’acquisto da parte dei cittadini israeliani, invocando un riarmo di massa degli ebrei in Israele. Secondo Ben-Gvir i fucili sono essenziali per la sicurezza pubblica e per prepararsi a uno “scenario di Guardiano delle Mura 2.0,in riferimento ai disordini e alle violenze intercomunitarie nelle città israeliane a popolazione mista ebraico-araba scoppiati durante le proteste nel maggio 2021 a causa dell’espulsione di palestinesi da Gerusalemme Est e delle operazioni militari israeliane a Gaza.

Ora che Israele è consumato da rabbia nazionalista, ostilità e paura nei confronti dei palestinesi in seguito agli attacchi di Hamas, la nuova politica delle armi—armare migliaia di israeliani, inclusi i coloni—aumenta il rischio di innescare questo scenario da incubo.

Da lungo tempo Ben-Gvir propone il possesso delle armi [da parte dei civili]. Da quando è entrato nel governo israeliano nella coalizione del primo ministro Benjamin Netanyahu, il numero delle licenze di porto d’armi è aumentato considerevolmente. Come parte della risposta del ministero della Sicurezza Nazionale all’attacco di Hamas, Ben-Gvir ha adottato modifiche ai requisiti per il porto d’armi intese a estendere l’idoneità e velocizzarne il rilascio. Attraverso un nuovo processo di selezione da remoto, con queste nuove norme un permesso viene rilasciato dopo solo una settimana a chiunque soddisfi i nuovi criteri per l’autodifesa. Sono anche state prorogate le date di scadenza degli attuali permessi ed è stato raddoppiato il numero delle pallottole che è possibile acquistare. Dal 7 ottobre oltre 120.000 persone hanno fatto domanda per il porto d’armi.

In generale le leggi israeliani sulle armi discriminano i non ebrei, rendendo quasi impossibile per loro l’ottenimento di un permesso. Per esempio, le norme concedono una certa discrezione ai funzionari del ministero riguardo alla richiesta ai richiedenti di fornire prova di “sufficiente padronanza dell’ebraico.” Il nuovo criterio per l’autodifesa al centro di tali norme meno rigorose sulle armi è ancora più discriminatorio. Include due requisiti principali: aver prestato il servizio militare o nazionale in determinate unità e la residenza in una “città eleggibile.” I cittadini palestinesi in Israele sono collettivamente esentati dal servizio militare. Anche se soddisfacessero tale requisito sarebbe probabilmente loro negato il porto d’armi in base al luogo di residenza, perché le “città eleggibili” designate sono a gran maggioranza ebraiche. Le norme vanno anche a favore dei coloni ebrei, in particolare in Cisgiordania, dato che l’eleggibilità favorisce le città considerate “pericolose” anche oltre la Linea Verde del 1967. Di 100 città e paesi con il numero più alto di porto d’armi in Israele, 86 sono colonie ebraiche in Cisgiordania.

Un’altra componente della politica sulle armi di Ben-Gvir è istituire più squadre di risposta rapida—conosciute in ebraico come kitat konenut —che da lungo tempo fanno parte delle forze di sicurezza israeliane nelle zone rurali, specialmente in Cisgiordania. Sono gruppi di civili, abitanti di un villaggio o kibbutz, che in caso d’emergenza agiscono come forza volontaria di difesa fino all’intervento della polizia o dell’esercito. Hanno giocato un ruolo chiave nel combattere Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre, quando villaggi e kibbutz sotto attacco hanno aspettato che arrivassero i soldati per molte ore, talvolta anche più a lungo.

Nelle settimane seguenti l’attacco di Hamas, il ministero della Sicurezza Nazionale si è attivato per creare 600 nuove squadre di risposta rapida nelle aree urbane e rurali. Simili ai criteri per il porto d’armi, queste squadre sono autorizzate principalmente nelle città ebraiche ed è richiesto aver fatto il servizio militare, per cui discriminano i cittadini palestinesi di Israele. A differenza delle zone rurali, dove c’è il rischio che passi molto tempo prima che arrivi la polizia durante una crisi, tali forze volontarie di difesa hanno meno senso nelle aree urbane più densamente abitate, se la sicurezza, e non qualcos’altro, è veramente l’obiettivo principale. Queste unità armate di civili sono ancora meno giustificabili in zone con una significativa comunità palestinese e un influsso di coloni israeliani, come a Gerusalemme Est, dove le tensioni sono sempre alte e gli scontri frequenti.

In pratica queste squadre creano un ulteriore percorso per armare gli ebrei israeliani. Come ha segnalato Daniel Seidemann, un avvocato israeliano e fondatore e direttore dell’ong Terrestrial Jerusalem, potrebbero finire per assomigliare alle “milizie private di Ben-Gvir.” Per esempio, recentemente a Gerusalemme Est sono state fondate due squadre a Ir David e Nof Zion, piccoli avamposti ebraici composti da coloni di estrema destra nel cuore dei quartieri palestinesi di Silwan e Jabel Mukaber.

In Israele, a differenza della maggior parte delle politiche di mantenimento dell’ordine pubblico, che sono determinate dalla polizia indipendentemente dal ministero della Sicurezza Nazionale, le normative e la gestione delle armi ricadono interamente sotto l’autorità del ministero—che Ben-Gvir sta usando per i propri scopi politici. Facilitando la distribuzione di più fucili agli israeliani, inclusi molti coloni, Ben-Gvir—lui stesso un colono—sta sperando di promuovere la propria immagine pubblica militarista e scatenare un’isteria anti-palestinese ancora maggiore. Ha trasformato la distribuzione pubblica di fucili in un circo mediatico, talvolta offrendo armi persino lui di persona davanti alle telecamere e pubblicizzando foto e video sui social.

Recentemente queste foto pubblicitarie hanno messo in allarme i funzionari USA, che hanno espresso preoccupazione sul fatto che le armi da loro fornite ad Israele siano usate per armare civili e per far pubblicità a Ben-Gvir invece di essere consegnate all’esercito o alla polizia come previsto. Dopo che gli USA hanno minacciato di sospendere la consegna di 20.000 fucili che il ministero della Sicurezza Nazionale aveva acquistato da fornitori americani, il governo israeliano si è ufficialmente impegnato con Washington a fare in modo che tali fucili vengano distribuiti solo dalla polizia o dall’esercito. Tuttavia le armi potrebbero ancora essere date alle squadre di risposta rapida, perché esse dipendono dalla polizia israeliana.

Una politica di armare così tanti israeliani non potrà far altro che alimentare le tensioni già alte fra ebrei e palestinesi entro la Linea Verde e Gerusalemme Est. A differenza di quanto avvenuto nel maggio 2021, nelle ultime settimane non ci sono stati gravi disordini nelle città miste arabo-ebraiche o scontri a Gerusalemme Est. Ma questa relativa calma è fragile, specialmente in un momento in cui molti israeliani descrivono ogni palestinese come “il nemico”. Questa rabbia contro i palestinesi è evidente nei gruppi di destra che hanno attaccato studenti e attivisti di sinistra palestinesi in Israele. In una situazione così esplosiva armare così tanti israeliani che non hanno ancora di un sufficiente addestramento per usare un’arma potrebbe alimentare una nuova ondata di disordini su scala nazionale.

Rendere meno rigida la normativa sulle armi è dannoso specialmente in Cisgiordania, dove la violenza dei coloni è aumentata dal 7 ottobre e dove durante gli attacchi sono stati uccisi almeno 115 palestinesi, feriti oltre 2.000 e rimossi con la forza dalle proprie case circa 1.000 palestinesi. La violenza dei coloni era già in aumento l’anno scorso. Armare praticamente ogni colono come vuole Ben-Gvir porterà solo altra violenza. Dopo l’attacco di Hamas il capo del consiglio regionale di Binyamin, il municipio con circa 50 colonie e avamposti nella Cisgiordania centrale, ha affermato che “ogni arabo che si avvicina a una colonia e mette a rischio gli abitanti” è un obiettivo legittimo.

Ben-Gvir sta giocando con il fuoco. Una nuova fase di violenza intercomunitaria peggiore del maggio 2021—”Guardiano delle Mura 2.0,” come si è espresso Ben-Gvir —potrebbe diventare una profezia che si autoavvera. Persino quando finirà questa guerra a Gaza tutte queste armi in eccesso e le nuove squadre di difesa simili a milizie creeranno una nuova pericolosa situazione in tutto Israele.

Eyal Lurie-Pardes è professore-ospite presso l’Istituto per gli studi sul Medio Oriente (Washington) per il programma sulla Palestina e sugli affari palestinesi-israeliani.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Guerra Israele-Palestina: come Hamas vede l’andamento del conflitto a Gaza e perché pensa di poter vincere

David Hearst 

4 novembre 2023 – Middle East Eye

Una fonte vicina alla leadership politica di Hamas afferma che l’organizzazione crede di poter sconfiggere Israele ma riconosce il pesante prezzo pagato da chi è sul campo.

Lattacco di Hamas del 7 ottobre è stato definito da una delle principali fonti arabe il più grande di tutti gli errori di valutazione nella storia”.

Unoperazione che secondo le persone informate sui dettagli della sua pianificazione doveva essere una missione tattica progettata per catturare al massimo una ventina di ostaggi militari si è trasformata, in seguito al crollo della Divisione israeliana di Gaza, in un assalto caotico.

Mentre i combattenti di Hamas e una serie di altri partecipanti armati provenienti da Gaza facevano irruzione nel sud di Israele attaccando basi militari, comunità di kibbutz e un festival musicale, lassalto ha prodotto le immagini terrificanti del peggior massacro di civili israeliani dalla nascita dello Stato.

Hamas è accusata da organizzazioni per i diritti umani di uccisioni deliberate, rapimenti e attacchi indiscriminati nei confronti di civilinel corso di episodi oggetto di un’indagine in corso da parte della Corte Penale Internazionale.

Sono stati sequestrati fino a 250 ostaggi, alcuni dei quali cittadini stranieri.

In risposta, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso di estirpare Hamas da Gaza.

Una campagna ritorsiva di bombardamenti mirata a spingere oltre un milione di abitanti della parte settentrionale del Paese verso sud e verso il confine egiziano sta per entrare nella quinta settimana con soldati israeliani e miliziani di Hamas impegnati nei combattimenti.

Secondo i dati del ministero della Sanità palestinese i bombardamenti hanno raso al suolo il nord di Gaza e ucciso oltre 9.000 palestinesi. La situazione non mostra segni di cedimento, dal momento che Israele e gli Stati Uniti resistono alla crescente pressione internazionale per un cessate il fuoco.

Middle East Eye ha riferito che lufficio politico di Hamas a Doha è stato tenuto all’oscuro della decisione di Mohammed Deif, comandante delle Brigate Izz al-Din al-Qassam, di scatenare il raid.

Ma nel suo ruolo di leadership lala politica di Hamas ha dovuto assumersene la responsabilità e costituisce al momento una parte fondamentale dei negoziati per il rilascio degli ostaggi su mediazione del Qatar.

Questa è la situazione vista dall’esterno del gruppo combattente, ma non è il modo in cui la stessa Hamas vede questi eventi.

Per scoprire cosa pensa Hamas MEE ha parlato con una fonte palestinese di alto livello in contatto con la leadership politica di Hamas.

MEE ha posto tre domande principali. Perché l’attacco è avvenuto in quel momento? Gli obiettivi di guerra di Israele sono realizzabili? Cosa pensa di ottenere Hamas al termine della guerra?

Perché adesso?

A scatenare l’attacco del 7 ottobre è stata la preoccupazione di Hamas che gli ebrei di estrema destra intendessero sacrificare un animale nel sito della moschea di al-Aqsa, ponendo così le basi per la demolizione del santuario della Cupola sulla Roccia e la costruzione del Terzo Tempio, ha affermato.

Hamas ha seguito da vicino i piani israeliani di istituire una presenza ebraica permanente all’interno del complesso di al-Aqsa. Al-Aqsa è considerato il terzo luogo più sacro dell’Islam e un simbolo dell’identità palestinese. È conosciuto in Israele come il Monte del Tempio.

La presenza quotidiana ad al-Aqsa di ebrei di estrema destra era già stata conseguita, con due irruzioni giornaliere al mattino e al pomeriggio in tour protetti da poliziotti armati fino ai denti e della durata da 30 minuti a un’ora.

Secondo alcune sette religiose messianiche come il Temple Institute, prima che il Terzo Tempio possa essere ricostruito deve essere sacrificata una giovenca rossa senza macchia per purificare il terreno.

A questo scopo sono state importate delle mucche Red Angus dagli Stati Uniti. Allinizio di questanno un’organizzazione a favore del Terzo Tempio ha dichiarato che sperava di macellare durante le vacanze di Pasqua del prossimo anno, che cadranno nellaprile 2024, cinque giovenche importate.

La fonte di MEE afferma che era stata già fatta una programmazione dei tempi rilevando che i coloni avevano eseguito nel sito di al-Aqsa sacrifici di vegetali”.

Affermazione che sembra riferirsi a un’irruzione avvenuta un mese fa da parte di decine di coloni che trasportavano fronde di palma per celebrare la festa ebraica del Sukhot [festa israeliana di pellegrinaggio della durata di sette giorni, ndt.].

Resta solo da compiere la macellazione delle giovenche rosse importate dagli Stati Uniti. Se la facessero sarebbe il segnale per la ricostruzione del Terzo Tempio, dice la fonte.

Hamas aveva già avvertito Israele che stava giocando con il fuoco nel tentare di mettere in atto ad al-Aqsa accordi simili a quelli relativi alla Moschea Ibrahimi di Hebron, divisa tra musulmani ed ebrei [dopo il massacro compiuto dal colono Baruch Goldstein nel 1994 che uccise 29 fedeli palestinesi, lesercito israeliano confiscò la maggior parte della moschea e ai musulmani viene inoltre impedito laccesso alla Moschea Ibrahimi durante le festività ebraiche, ndt.].

Anche altre organizzazioni palestinesi, inclusa lAutorità Nazionale Palestinese, hanno messo in guardia Israele dal cambiare lo status quo nella moschea.

Nelle tre settimane precedenti il raid, si sono svolte tre feste ebraiche terminate con il Sukhot. La sensazione di Hamas a Gaza era che al-Aqsa fosse in pericolo imminente, riferisce la fonte a MEE.

Sulla decisione di scatenare lattacco sono intervenute anche delle considerazioni a lungo termine.

Il destino dei 5.200 prigionieri palestinesi in detenzione israeliana è una pesante responsabilità” per la leadership di Hamas, riferisce la fonte, ed Hamas rifletteva ogni giorno su come avrebbero potuto essere rilasciati”.

La terza motivazione alla base dellattacco era costituita da Gaza stessa, sottoposta a 18 anni di assedio dopo il ritiro da parte di Israele dei suoi coloni dalla Striscia.

Gli Stati Uniti e le potenze regionali hanno lasciato Gaza ai limiti della sopravvivenza, relegata in un angolo con appena il supporto vitale, in lotta per cibo, denaro o un generatore. Lo sfondamento del 7 ottobre è stato un forte messaggio che gli abitanti di Gaza possono rompere lassedio, continua la fonte.

E’ possibile estirpare Hamas?

Non è la prima volta che i leader israeliani promettono di spazzare via Hamas, e ogni guerra precedente si è conclusa con il ritiro israeliano, dice.

I leader di Hamas riconoscono che la portata della devastazione è diversa ma credono ancora che il risultato finale sarà un altro ritiro israeliano, aggiunge.

Israele potrebbe distruggere una metà di Gaza ma penso che alla fine il risultato sarà lo stesso. Il problema per [il primo ministro israeliano Benjamin] Netanyahu sarà come concludere la battaglia con una immagine positiva da offrire alla gente.

Ma ha un grosso problema. Anche se riuscisse nel suo obiettivo bellico di eliminare la leadership di Hamas a Gaza, si troverebbe ancora ad affrontare le contestazioni sulla sua responsabilità per lattacco del 7 ottobre”.

La fonte respinge la prospettiva che Israele possa raggiungere il suo obiettivo principale. Dice che è fisicamente impossibile eliminare Hamas a causa delle dimensioni a Gaza dell’organizzazione e dei suoi affiliati.

Hamas è parte del tessuto della società. Ci sono i combattenti e le loro famiglie. Gli enti di beneficenza e le loro famiglie. I dipendenti pubblici e le loro famiglie. Nel loro insieme costituiscono una parte molto consistente della popolazione.

Anche se Hamas non prevedeva una risposta israeliana di questa portata dispone di una vasta rete di tunnel che si estende per molte centinaia di chilometri, ha riferito un’altra fonte a MEE.

L‘ipotesi che Hamas perdendo Gaza City, che le forze israeliane stanno cercando di accerchiare, cesserebbe di operare è dunque meno probabile.

Allo stesso modo Hamas non dipende dallentrata in guerra di Hezbollah, ma molti allinterno del movimento vedono il suo coinvolgimento come inevitabile.

Dicono che se Hezbollah permettesse l’annientamento di Hamas, sarebbe solo questione di tempo prima che Israele attaccasse anche l’organizzazione libanese.

Cosa otterrà Hamas alla fine di questa battaglia?

Hamas non crede che alla fine della guerra si possa riportare l’orologio al 6 ottobre e Gaza possa ricominciare da capo, dice.

Lattacco del 7 ottobre ha trasmesso un messaggio diretto e preciso secondo cui i palestinesi hanno la capacità di sconfiggere Israele e liberarsi delloccupazione. Per Hamas questo è ormai un dato di fatto, continua.

Hamas ritiene che l’attacco abbia infranto un patto che esisteva tra l’esercito israeliano e la popolazione sin dalla dichiarazione dello Stato nel 1948.

Il patto tacito era che il popolo avrebbe inviato all’esercito i propri figli e figlie e lesercito in cambio avrebbe protetto il Paese.

Secondo la fonte Hamas ritiene che l’attuale conflitto abbia spinto il popolo palestinese e la resistenza palestinese verso la vittoria e la liberazione, aggiungendo: Penso che Israele abbia perso molta fiducia nel futuro”.

Afferma che Hamas riconosce il pesante prezzo pagato dalla popolazione di Gaza. Ma credeva che la maggior parte avrebbe scelto di restare piuttosto che fuggire da una seconda Nakba, in riferimento allo sfollamento di 750.000 palestinesi dalla loro terra ancestrale nel 1948. Per la maggior parte delle persone non c’è scelta: il confine di Gaza con lEgitto e la sua frontiera con Israele sono chiusi e non c’è nessun posto sicuro dai bombardamenti.

Ogni palestinese sa che deve restare nella propria terra, anche se ridotta in macerie e pur vivendo nelle tende, dice.

Hamas ritiene che Israele abbia commesso un enorme errore strategico nel respingere le molteplici iniziative di pace arabe che avrebbero portato alla fine del conflitto.

La loro strategia consiste nell’avere tutto. Per questo perderanno tutto. Sottovalutano i palestinesi, prosegue la fonte.

Dice che mentre le capitali occidentali aspettano unera dopo Hamas, la resistenza palestinese aspetta con fiducia unera in cui possano vivere in un proprio Stato.

Riconosce che lesercito israeliano possiede un enorme vantaggio militare. Ma insiste sul fatto che i risultati di una guerra non sempre dipendono dagli equilibri di potere.

Guardate il Vietnam, lAfghanistan, lAlgeria. Guardate come sono finite quelle guerre coloniali, conclude.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Secondo alcune informazioni l’Egitto ha rifiutato di permettere a suoi cittadini bloccati a Gaza di tornare a casa

Redazione di MEMO

3 novembre 2023 – Middle East Monitor

Le famiglie egiziane bloccate a Gaza hanno fatto appello alle autorità della loro nazione perché ne agevoli il ritorno alla loro patria sicura, a fronte dell’aggressione israeliana in corso dal 7 ottobre contro la Striscia assediata.

Attivisti sui social media hanno affermato che le autorità egiziane hanno rifiutato di permettere ai cittadini egiziani presenti nella Striscia di Gaza assediata di ritornare attraverso la frontiera di Rafah, nonostante l’approvazione di Israele all’uscita dei palestinesi con doppia cittadinanza.

Le persone che potrebbero usufruire del permesso hanno denunciato il fatto che i funzionari egiziani non affrontano il problema delle condizioni della comunità egiziana a Gaza alla luce della continuata aggressione israeliana.

Secondo i media locali egiziani, il numero di cittadini egiziani a Gaza è stimato in circa 40.000 persone.

Gli utenti dei social media si sono chiesti se dovrebbero essere inviate richieste agli USA e alle Nazioni Unite, invece che all’Egitto, per aiutare gli egiziani presenti a Gaza ad entrare nel loro Paese.

Tra coloro che vorrebbero lasciare Gaza c’è Ghada Al-Saqqa, una cittadina egiziano-palestinese che era in visita dai suoi parenti a Gaza quando ha avuto luogo l’attacco del 7 ottobre.

Da allora Ghada e sua sorella sono state bloccate nella Striscia. Ha spiegato che stava dai suoi fratelli, ma la casa è stata distrutta in un attacco israeliano e lei è finita sulla strada insieme alla sua famiglia.

Ci attaccano. Noi non siamo animali. Siamo abitanti dell’Egitto e non di Gaza. Con quale diritto consentono agli stranieri di lasciare la Striscia attraverso il valico egiziano, ma non agli egiziani?” afferma, sottolineando che il resto dei suoi figli si trova in Egitto.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)