Sospesa la cerimonia per l’attribuzione di un premio dopo che l’autrice ha paragonato Gaza ai ghetti ebraici dell’epoca nazista

Kate Connolly da Berlino

14 dicembre 2023 – The Guardian

La giornalista russo-statunitense Masha Gessen aveva vinto il premo tedesco Hannah Arendt per il pensiero politico

Una fondazione tedesca ha affermato che non consegnerà più il premio per il pensiero politico a un’importante giornalista russo-statunitense dopo aver criticato come “inaccettabile” un recente saggio dell’autrice in cui fa un paragone tra Gaza e un ghetto ebraico nella Germania occupata dai nazisti.

Venerdì Masha Gessen avrebbe dovuto ricevere il premio Hannah Arendt per il pensiero politico. Ma la cerimonia di premiazione ora non avrà luogo come previsto dopo che la Heinrich Böll Foundation (HBS), affiliata al partito dei Verdi, ha affermato di aver ritirato il proprio appoggio. L’HBS sostiene di aver preso questa decisione in accordo con il senato di Brema, la città portuale del nord in cui era previsto che avesse luogo la premiazione.

Secondo il giornale tedesco Die Zeit, che ha pubblicato la notizia, il premio sarà ancora assegnato a Gessen, ma “in un contesto diverso”, sabato e non venerdì. Non risulta ancora chiaro chi lo presenterà, cosa verrà consegnato e se Gessen e altri ospiti invitati pensano ancora di parteciparvi.

L’HBS ha affermato di dissentire e rifiutare il paragone tra Gaza e i ghetti ebraici in Europa fatto da Gessen in un saggio del 9 dicembre sul New Yorker [famosa rivista statunitense di sinistra, ndt.].

Nel saggio Gessen critica l’incondizionato appoggio tedesco a Israele, richiamando l’attenzione sulla risoluzione del Bundestag del 2019 che condanna come antisemita il movimento BDS per il boicottaggio di Israele e citando un ebreo critico con la politica della Germania sul ricordo dell’Olocausto, secondo il quale la cultura della memoria è “andata in tilt”.

Nel paragrafo che ha attirato l’attenzione della HBS Gessen scrive che “ghetto” sarebbe “il termine più appropriato” per descrivere Gaza, ma la parola “provocherebbe accese polemiche per il confronto tra la situazione dei gazawi assediati e quella degli ebrei rinchiusi in un ghetto. Ciò ci avrebbe anche dato il linguaggio per descrivere quello che sta succedendo ora a Gaza. Il ghetto viene liquidato.”

La fondazione afferma che Gessen ha sottinteso che Israele intenda “liquidare Gaza come un ghetto nazista,” aggiungendo che “questa affermazione è inaccettabile per noi e la rifiutiamo.”

Gessen è stata contattata dal Guardian per un commento.

Su X/Twitter ha scritto che nessun mezzo di comunicazione tedesco rappresentativo ha cercato di contattarla, nonostante giovedì la storia sia stata ampiamente raccontata sui media tedeschi.

La Heinrich Böll Foundation ha annunciato ad agosto che Gessen aveva vinto il premio in base a una decisione presa da una giuria indipendente. All’epoca essa ha affermato che “come analista del declino e della speranza, Gessen ha informato sui giochi di potere e le tendenze totalitarie così come sulla disobbedienza civile e l’amore per la libertà.”

Sostenitori di Gessen, che è ebrea e i cui nonni e bisnonni sono stati tra i membri della famiglia uccisi dai nazisti, hanno subito evidenziato l’ironia di sospendere un premio concesso in memoria di Arendt, storica, filosofa e teorica politica antitotalitaria ebrea-americana nata in Germania, che coniò la frase “la banalità del male” riguardo al processo contro l’importante nazista Adolf Eichmann, che lei raccontò come giornalista per The New Yorker.

Samantha Rose Hill, autrice del profilo di Hannah Arendt ed editrice della raccolta di poesie di Arendt, l’ha definito “un affronto alla memoria di Hannah Arendt. In base alla sua stessa logica, la Heinrich Böll Foundation dovrebbe cancellare del tutto il premio Hannah Arendt.”

Un altro accademico ha affermato che, in base alle ragioni fornite per questa decisione, “Hannah Arendt oggi in Germania non avrebbe ottenuto il premio Hannah Arendt.”

In un’intervista pubblicata martedì da Die Zeit Gessen ha parlato delle reazioni che Arendt dovette affrontare in quanto fu una delle prime a criticare Israele, mettendo in guarda contro la costituzione di uno Stato puramente ebraico in Palestina, di conseguenza con l’esclusione della popolazione araba.

In una lettera aperta scritta con Albert Einstein e altri intellettuali ebrei Arendt, sottolinea Gessen, paragonò persino il Partito della Libertà israeliano [partito della destra sionista, ndt.] ai nazisti dopo che aveva messo in atto violenze con motivazioni razziali contro civili.

“Sono consapevole che, soprattutto in Germania, questo tipo di paragone è subito visto come una relativizzazione dell’Olocausto. È per questo che è molto importante per me che una pensatrice così differenziata e intelligente come Arendt non abbia avuto timore a fare questo paragone,” ha detto Gessen al giornale.

In riferimento alle persone che in Germania sono sospettose nei confronti della sfida “alla logica della politica tedesca della memoria” per paura di essere accusate di antisemitismo, ha aggiunto: “Il problema è che queste critiche a Israele sono spesso viste come antisemite, che penso sia l’autentico scandalo antisemita. Ciò ignora il vero antisemitismo.”

In una lettera aperta pubblicata mercoledì la sezione di Brema della German-Israeli Society ha affermato che le dichiarazioni di Gessen hanno “chiarito che il premio avrebbe onorato una persona il cui pensiero è in evidente contrasto con quello di Hannah Arendt.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Trovati in una scuola di Gaza corpi di donne, minori e neonati ‘colpiti a morte dalle forze israeliane’

Redazione di The New Arab

13 dicembre 2023 – The New Arab

A quanto riferito l’esercito israeliano ha colpito ed ucciso palestinesi che si erano rifugiati in una scuola vicino al campo profughi di Jabalia, nella parte settentrionale di Gaza.

I corpi di più di una decina di palestinesi che sarebbero stati colpiti a morte dalle forze israeliane sono stati trovati mercoledì in una scuola nella parte settentrionale di Gaza.

Almeno 15 corpi crivellati di proiettili e decomposti sono stati trovati ammucchiati nella scuola Shadia Abu Ghazala ad ovest del campo profughi di Jabalia, in un’area chiamata Al-Faluja. La scuola è stata usata come rifugio per le persone sfollate a causa dei bombardamenti israeliani.

Testimoni oculari e parenti delle vittime hanno affermato che sono state colpite a bruciapelo dalle truppe israeliane. A quanto pare le vittime sono state uccise nella notte tra martedì e mercoledì, ma ciò non può essere confermato.

Un video sconvolgente dei corpi è stato ottenuto da Al Jazeera e condiviso sui social media.

Precedentemente mercoledì Israele ha bombardato la scuola primaria per ragazzi Abu Hussein di Jabalia gestita dalle Nazioni Unite, uccidendo e ferendo decine di persone.

Israele ha continuamente bersagliato scuole ed ospedali dove avevano trovato rifugio decine di migliaia di palestinesi sfollati per la brutale campagna militare aerea e terrestre israeliana.

Intere famiglie ed edifici multipiano sono stati spazzati via dagli attacchi dell’aviazione israeliana e la maggior parte delle 18.600 persone uccise dal 7 ottobre sono donne e minori.

Ci sono state richieste internazionali di portare Israele davanti ad una corte di giustizia per il genocidio in corso a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




In segreto Israele ha permesso che Hamas ricevesse milioni di dollari al mese

Mark Mazzetti e Ronen Bergman

11 dicembre 2023 –The Sidney Morning Herald

Tel Aviv

Poche settimane prima del 7 ottobre, quando Hamas ha lanciato il suo attacco mortale contro Israele, il capo del Mossad è arrivato a Doha, Qatar, per un incontro con funzionari qatarini.

Per anni questo governo ha mandato a Gaza milioni di dollari al mese – soldi che hanno contribuito a sostenere l’amministrazione di Hamas. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha non solo tollerato, ma incoraggiato quei pagamenti.

Secondo varie persone a conoscenza delle discussioni segrete, durante i suoi incontri a settembre con funzionari qatarini, al capo del Mossad, David Barnea, è stata posta una domanda che non era all’ordine del giorno: Israele voleva che continuassero con i pagamenti?

Recentemente il governo di Netanyahu ha deciso di continuare con la stessa politica, quindi Barnea ha detto di sì. Il governo israeliano approvava ancora i soldi inviati da Doha.

Permettere i pagamenti – miliardi di dollari lungo circa un decennio – è stato un azzardo di Netanyahu che pensava che un flusso regolare di denaro avrebbe mantenuto la pace a Gaza, il luogo di partenza degli attacchi del 7 ottobre, mantenendo Hamas concentrato sul governare, non combattere.

I pagamenti qatarini, apparentemente un segreto, erano da anni ampiamente conosciuti e discussi sui media israeliani. I critici di Netanyahu li denigrano perché parte di una strategia per “comprare la tranquillità” e, dopo gli attacchi, questa politica è al centro di un’impietosa revisione. Netanyahu si è scagliato contro queste critiche definendo “ridicola” l’ipotesi che avesse cercato di rafforzare Hamas.

In interviste con oltre venti politici israeliani, USA, qatarini e di altri governi mediorientali, attuali e del passato, The New York Times ha scoperto nuovi dettagli sulle origini di questa politica, sulle controversie scoppiate nel governo israeliano e fino a dove Netanyahu si è spinto per proteggere i qatarini dalle critiche e per far continuare il flusso di denaro.

I pagamenti facevano parte di una serie di decisioni di leader politici israeliani, ufficiali dell’esercito e funzionari dell’intelligence – tutti basati sulla valutazione sostanzialmente errata che Hamas non fosse né interessata né capace di un attacco su larga scala. Il Times aveva in precedenza riferito di errori dell’intelligence e di altre supposizioni sbagliate all’alba degli attacchi.

Persino quando l’esercito israeliano ha ottenuto i piani di battaglia di un’invasione di Hamas e gli analisti hanno notato significative esercitazioni terroristiche subito al di là del confine con Gaza, i pagamenti sono continuati. Per anni funzionari dell’intelligence israeliana hanno persino scortato un addetto qatarino dentro Gaza, dove distribuiva soldi da valige piene di milioni di dollari.

Il denaro del Qatar aveva destinazioni umanitarie, come pagare i salari del governo a Gaza e comprare combustibile per alimentare una centrale elettrica. Ma ora i funzionari dell’intelligence israeliana credono che i soldi abbiano giocato un ruolo nel successo degli attacchi del 7 ottobre, quanto meno perché le donazioni hanno permesso ad Hamas di dirottare parte per proprio budget verso operazioni militari. Autonomamente l’intelligence israeliana ha da tempo ipotizzato che il Qatar usasse altri canali per finanziare segretamente l’ala militare di Hamas, un’accusa che il governo del Qatar ha respinto.

Un funzionario qatarino ha dichiarato: “Ogni tentativo di gettare un’ombra di incertezza sulla natura civile e umanitaria dei contributi del Qatar e sul loro impatto positivo è infondato.”

Un funzionario dell’ufficio di Netanyahu ha dichiarato che vari governi israeliani hanno permesso al denaro di arrivare a Gaza per motivi umanitari, non per rafforzare Hamas. Ha poi aggiunto: “Il primo ministro Netanyahu ha agito per indebolire significativamente Hamas. Ha condotto tre importanti azioni militari contro Hamas, nel corso delle quali sono stati uccisi migliaia di terroristi e comandanti di Hamas.”

Hamas ha sempre affermato pubblicamente la sua intenzione di eliminare lo Stato di Israele. Ma ogni pagamento testimoniava l’opinione del governo israeliano che Hamas fosse una seccatura di scarso rilievo, forse persino una risorsa politica.

Già nel dicembre 2012 Netanyahu aveva detto al noto giornalista israeliano Dan Margalit che era importante mantenere forte Hamas come contrappeso all’Autorità Palestinese in Cisgiordania. In un’intervista Margalit ha affermato che Netanyahu gli aveva detto che avere due fazioni forti antagoniste tra loro, fra cui Hamas, avrebbe alleggerito la pressione su di lui nei negoziati per creare uno Stato palestinese.

Un funzionario dell’ufficio del primo ministro ha detto che Netanyahu non ha mai rilasciato tale dichiarazione. Ma nel corso degli anni Netanyahu ha esposto quest’idea ad altri.

Se l’esercito israeliano e i leader dell’intelligence hanno ammesso errori che hanno condotto all’attacco di Hamas, Netanyahu si è rifiutato di affrontare tali temi. E con una guerra a Gaza, per il momento il regolamento di conti politico con l’uomo che ha ricoperto la carica di primo ministro per 13 degli ultimi 15 anni è sospeso.

I critici di Netanyahu dicono che al centro di questo suo approccio verso Hamas ci fosse un cinico piano politico: tener tranquilla Gaza per restare al potere senza risolvere la minaccia di Hamas o il ribollente scontento palestinese.

Per oltre un quindicennio l’idea di Netanyahu è stata che, se compri la tranquillità e fai finta che il problema non esista, puoi aspettare che svanisca,” dice Eyal Hulata, consigliere della sicurezza nazionale israeliana dal luglio 2021 fino all’inizio di quest’anno.

Cercare l’equilibrio

Netanyahu e i suoi assistenti della sicurezza hanno cominciato lentamente a riconsiderare la loro strategia verso la Striscia di Gaza dopo parecchi, sanguinosi e inconcludenti conflitti militari contro Hamas.

Tutti ne avevamo abbastanza di Gaza,” dice Zohar Palti, ex direttore dell’intelligence per il Mossad. “Abbiamo tutti detto ‘Dimentichiamoci di Gaza’, perché sapevamo che eravamo a un punto morto.”

Nel 2014, dopo uno dei conflitti, Netanyahu ha tracciato un nuovo corso – enfatizzare una strategia per cercare di “limitare” Hamas mentre Israele si concentrava sul programma nucleare iraniano e sui suoi eserciti per procura, incluso Hezbollah.

Questa strategia è stata sostenuta da ripetute valutazioni dell’intelligence secondo cui Hamas non era né interessata né capace di lanciare un grande attacco in Israele.

Durante questo periodo il Qatar è diventato un finanziatore chiave per la ricostruzione e le attività di governo a Gaza. Una delle nazioni più ricche al mondo, il Qatar, ha da sempre sostenuto la causa palestinese e, più di tutti i suoi vicini, coltivato stretti legami con Hamas. Queste relazioni si sono rivelate preziose in settimane recenti poiché funzionari qatarini hanno contribuito a negoziare la liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza.

L’opera del Qatar a Gaza durante questo periodo è stata approvata dal governo israeliano. Netanyahu ha persino fatto pressione su Washington per conto del Qatar. Nel 2017, quando i Repubblicani spingevano per imporre sanzioni finanziarie contro di esso per il suo sostegno ad Hamas, ha spedito funzionari della difesa a Washington. Secondo tre persone a conoscenza del viaggio, gli israeliani hanno detto ai parlamentari USA che il Qatar giocava un ruolo positivo nella Striscia.

Yossi Kuperwasser, ex capo della ricerca dell’intelligence militare israeliana, afferma che alcuni ufficiali vedevano i benefici di mantenere un “equilibrio” a Gaza. “La logica di Israele era che Hamas avrebbe dovuto essere forte abbastanza da governare Gaza,” dice, “ma sufficientemente debole da essere controllata da Israele.”

Le amministrazioni di tre presidenti americani – Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden – hanno ampiamente appoggiato il fatto che i qatarini giocassero un ruolo diretto nel finanziare le operazioni a Gaza.

Ma non tutti erano d’accordo.

Avigdor Lieberman [politico dell’estrema destra laica, ndt.], mesi dopo essere diventato ministro della Difesa israeliano nel 2016, scrisse una nota segreta a Netanyahu e al capo di stato maggiore dell’esercito israeliano dicendo che Hamas stava lentamente sviluppando le sue capacità militari di attaccare Israele e sostenendo che Israele avrebbe dovuto attaccare per primo.

L’obiettivo di Israele è “garantire che il prossimo scontro tra Israele e Hamas sia la resa dei conti finale,” scrisse nel documento datato 21 dicembre 2016, una cui copia è stata visionata dal Times. Un attacco preventivo, disse, avrebbe potuto eliminare la maggioranza dei “leader dell’ala militare di Hamas”.

Netanyahu respinse il piano preferendo il contenimento invece dello scontro.

Valige piene di contanti

Durante un incontro di gabinetto del 2018, gli assistenti di Netanyahu presentarono un nuovo piano: ogni mese il governo qatarino avrebbe fatto pagamenti in contanti per milioni di dollari direttamente alla gente di Gaza quale parte di un accordo di cessate il fuoco con Hamas.

Lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, avrebbe monitorato la lista dei destinatari per cercare di garantire che i membri dell’ala militare di Hamas non ne avrebbero beneficiato direttamente.

Valige piene di contanti ben presto cominciarono ad attraversare il confine di Gaza.

Ogni mese funzionari della sicurezza israeliani incontravano Mohammed al-Emadi, un diplomatico qatarino, al confine tra Israele e la Giordania. Da qui veniva portato in auto al valico di frontiera di Kerem Shalom e a Gaza.

Secondo ex funzionari israeliani e USA, all’inizio Emadi portava con sé da distribuire 15 milioni di dollari americani, con pagamenti di 100 dollari dati in località prescelte a ogni famiglia approvata dal governo israeliano,

I fondi dovevano servire a pagare salari e altre spese, ma un diplomatico occidentale che ha vissuto in Israele fino all’anno scorso ha detto che da tempo i governi occidentali pensavano che Hamas ne incassasse una parte.

I soldi sono intercambiabili,” dice Chip Usher, un analista del Medio Oriente presso la CIA fino al suo pensionamento quest’anno. “Tutto quello che Hamas non doveva sottrarre al suo bilancio poteva essere usato per altri scopi.”

Yossi Cohen, che si è occupato del Qatar per molti anni quale capo del Mossad, si è interrogato sulle politiche israeliane riguardo ai soldi per Gaza. Durante l’ultimo anno in cui ha gestito il servizio di spionaggio credeva che ci fosse poco controllo su dove finissero i soldi.

Nel giugno 2021 Cohen nel suo primo discorso pubblico dopo il pensionamento ha detto che i soldi qatarini alla Striscia di Gaza erano “fuori controllo”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Le forze israeliane assaltano l’ospedale Kamal Adwan di Gaza dopo giorni di bombardamenti

Redazione di Al Jazeera e agenzie di stampa

12 dicembre 2023 – Al Jazeera

L’ONU afferma che all’interno si trovano decine di pazienti e circa 3.000 sfollati e il Ministero della Sanità di Gaza chiede l’aiuto internazionale.

Varie fonti e il Ministero della Sanità palestinese hanno detto che le forze israeliane hanno assaltato l’ospedale Kamal Adwan nel nord di Gaza, dopo averlo assediato e bombardato per diversi giorni.

Ashraf al-Qudra, un portavoce del ministero, ha detto che le truppe israeliane martedì hanno radunato uomini e ragazzi nel cortile dell’ospedale a Beit Lahiya, compreso il personale medico.

Temiamo che li arrestino e che arrestino il personale medico o li uccidano”, ha detto, invocando l’intervento internazionale.

Facciamo appello alle Nazioni Unite, all’Organizzazione Mondiale della Sanità e al Comitato Internazionale della Croce Rossa perché agiscano immediatamente per salvare la vita delle persone

Dentro ci sono pazienti, personale medico e migliaia di civili che vi si sono rifugiati dopo essere stati costretti a fuggire dalle loro case.

Nella sua cronaca di martedì dal sud di Gaza Hani Mahmoud di Al Jazeera ha detto che l’assalto avveniva “sotto un intenso fuoco di armi leggere e artiglieria”.

Carri armati hanno sfondato i cancelli e l’intera struttura è sotto un pesante bombardamento”, ha detto. “Vengono usati megafoni per intimare a chiunque abbia più di 15 anni di uscire dall’edificio con le mani in alto.”

Ha aggiunto che le forze israeliane che hanno assaltato la struttura hanno anche chiesto alle guardie di sicurezza a protezione dell’ospedale di consegnare le armi. 

Kamal Adwan è l’unica struttura sanitaria rimasta nella parte nord di Gaza, ha detto il nostro corrispondente.

“Negli ultimi giorni è finito sotto pesanti bombardamenti, attacchi aerei e granate di carri armati che hanno distrutto la gran parte delle sue strutture e tutte le principali strade che vi conducono.”

Ospedale ‘assediato’

L’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite OCHA ha detto che due madri sono state uccise quando il reparto maternità del Kamal Adwan è stato colpito lunedì.

L’ospedale resta assediato dalle truppe e dai carri armati israeliani”, ha detto OCHA, aggiungendo che l’ospedale in quel momento ospitava 65 pazienti, compresi 12 minori in terapia intensiva e sei neonati in incubatrice.

Circa 3.000 sfollati restano intrappolati nella struttura e attendono di essere evacuati in mancanza di acqua, cibo e energia”, ha aggiunto.

La situazione al Kamal Adwan è catastrofica, ha detto a Al Jazeera Leo Cans, capomissione in Palestina di Medici Senza Frontiere (MSF).

Siamo indignati per ciò che sta accadendo”, ha detto, aggiungendo che i medici a Gaza operano in condizioni simili a quelle della prima guerra mondiale.

Operiamo sul pavimento. I bambini arrivano con ferite molto gravi e i chirurghi devono fare diverse operazioni allo stesso tempo ma non ci sono più letti”, ha detto.

Le truppe israeliane precedentemente hanno assalito ed evacuato altre strutture mediche a Gaza, compreso l’ospedale indonesiano e al-Shifa, l’ospedale più grande del territorio.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che solo 11 dei 36 ospedali di Gaza restano parzialmente funzionanti e supplica che non vengano danneggiati.

Non possiamo permetterci di perdere strutture sanitarie e ospedali”, ha detto Rik Peeperkorn, rappresentante dell’OMS per i territori palestinesi occupati, in una conferenza stampa ONU in videocollegamento da Gaza. “Speriamo, scongiuriamo che non accada.”

Da quando Israele ha iniziato la guerra contro Gaza il 7 ottobre sono stati uccisi più di 18.000 palestinesi.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele ammette di possedere munizioni al fosforo bianco

Redazione di MEMO

12 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Ieri l’esercito di occupazione israeliano ha ammesso di possedere munizioni contenenti fosforo bianco dopo che la Casa Bianca ha espresso preoccupazione sull’uso di tali materiali incendiari in attacchi contro il Libano del sud.

La radio ufficiale dell’esercito israeliano ha affermato: “Abbiamo proiettili fumogeni contenenti fosforo bianco destinati alla mimetizzazione e non con lo scopo di attaccare o provocare incendi.”

Come molti eserciti occidentali, l’esercito israeliano possiede anche ordigni fumogeni contenenti fosforo bianco.”

In precedenza ieri il portavoce del Consiglio Nazionale di Sicurezza statunitense alla Casa Bianca, John Kirby, ha affermato che gli Stati Uniti sono preoccupati per i resoconti secondo cui a ottobre Israele avrebbe usato munizioni al fosforo bianco fornite dagli Stati Uniti in un attacco contro il Libano del sud, aggiungendo: “Abbiamo visto le informazioni. Certamente siamo preoccupati di questo. Faremo domande per provare a capire un po’ di più.”

A fine ottobre, Amnesty International ha reso noto prove secondo cui l’esercito israeliano ha usato fosforo bianco nei suoi attacchi in Libano.

All’epoca l’organizzazione aveva affermato in una dichiarazione: “Un attacco alla città di Dhayra il 16 ottobre deve essere indagato come crimine di guerra, perché è stato un attacco indiscriminato che ha ferito almeno nove civili e danneggiato obiettivi civili ed è stato perciò illegittimo.”

Il Laboratorio delle Prove di Crisi di Amnesty International ha verificato video e foto che mostrano l’uso di granate fumogene al fosforo bianco a Dhayra il 16 ottobre.”

[L’organizzazione] ha spiegato che il fosforo bianco è un’arma incendiaria “’progettata principalmente’ per provocare incendi e bruciare le persone, escludendo l’uso delle armi incendiarie per altri scopi, come le cortine fumogene.”

Ha aggiunto che “il fosforo bianco può incendiarsi nuovamente quando esposto all’ossigeno anche settimane dopo che è stato impiegato.”

Le bombe al fosforo sono armi internazionalmente proibite secondo la convenzione di Ginevra del 1980, che stabilisce la proibizione dell’uso del fosforo bianco come arma incendiaria contro gli esseri umani e l’ambiente.

Si è scoperto che Israele ha usato il fosforo bianco anche contro la popolazione civile a Gaza assediata, dove l’occupazione ha ucciso oltre 18.200 palestinesi e ne ha feriti circa 50.000.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




“Allarmante”: i palestinesi accusano il procuratore generale della CPI di parzialità dopo la visita in Israele

Mat Nashed e Zena Al Tahhan

9 dicembre 2023 – Al Jazeera

Sebbene la CPI rappresenti un’alternativa ai tribunali israeliani, nessun mandato di arresto è stato emesso contro politici e comandanti militari israeliani

Cisgiordania occupata – Il 2 dicembre Eman Nafii è stata una delle decine di palestinesi invitati a un incontro con il procuratore generale della Corte Penale Internazionale nella Cisgiordania occupata Karim Khan. In quanto moglie del prigioniero palestinese detenuto da più anni in Israele, Nafii voleva parlare a Khan di suo marito e dell’occupazione israeliana.

Ma Khan ha passato la maggior parte dell’incontro a parlare prima che i suoi collaboratori dessero a Nafii e ad altre vittime palestinesi solo 10 minuti per condividere le loro storie.

Le persone erano arrabbiate. Gli hanno detto: ‘Sei venuto per ascoltarci 10 minuti? Come possiamo venire a parlarti delle nostre vicende in 10 minuti?” dice Nafii ad Al Jazeera.

Una delle donne (tra noi) era di Gaza. Ha perso 30 membri della sua famiglia nella (guerra in corso). Ha gridato: ‘Come possiamo spiegare questo in 10 minuti?’”

Benché alla fine Khan abbia ascoltato le vittime per circa un’ora, i palestinesi temono che egli applichi un doppio standard concentrando il suo impegno contro Hamas e ignorando i gravi crimini che Israele è accusato di aver perpetrato in oltre due mesi di una guerra letale.

Molti sono stati delusi del fatto che Khan abbia accettato un invito israeliano a visitare le comunità e le zone israeliane attaccate da Hamas il 7 ottobre rifiutando invece l’invito dei palestinesi a visitare centinaia di colonie illegali e posti di blocco israeliani e campi di rifugiati nella Cisgiordania occupata.

Durante la sua visita di 3 giorni Israele non ha consentito a Khan di entrare a Gaza, dove dal 7 ottobre Israele ha ucciso più di 17.000 persone ed espulso dalla propria casa la maggioranza dei 2.3 milioni di abitanti dell’enclave assediata.

La maggior parte delle persone uccise sono donne e minori, mentre migliaia di giovani ora sono stati rastrellati, molti denudati e portati in località sconosciute. Alcuni giuristi hanno segnalato che le atrocità di Israele a Gaza potrebbero presto configurare un genocidio.

Secondo politici, vittime e giuristi palestinesi, nonostante le crescenti prove e le continue atrocità, Khan ha evidenziato scarso interesse nel mettere seriamente sotto inchiesta Israele.

Khan si è dimostrato entusiasta di iniziare questa indagine (nei territori occupati) dopo il 7 ottobre. Ciò è allarmante,” afferma Omar Awadallah, che monitora le organizzazioni ONU per i diritti umani come membro dell’Autorità Palestinese, l’entità politica che governa la Cisgiordania.

(L’Autorità Palestinese) gli ha attribuito la competenza retroattivamente a partire dal 2014. (Khan) non può dire di non vedere i crimini commessi (nei territori occupati) dal 2014 fino al 7 ottobre,” ha detto Awadallah ad Al Jazeera.

Un’alternativa possibile?

Il 2 gennaio 2015 lo Stato di Palestina ha firmato lo Statuto di Roma, attribuendo alla CPI la competenza per indagare su atrocità come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio nella Cisgiordania occupata e a Gaza.

L’iniziativa era stata accolta come una vittoria dalle associazioni per i diritti umani palestinesi e israeliane, che ne avevano abbastanza del sistema giudiziario israeliano perché non puniva politici, militari e coloni israeliani responsabili di crimini come il furto di terre e uccisioni extragiudiziarie nei territori occupati.

Secondo Yesh Din, un’organizzazione israeliana per i diritti umani che si oppone alla colonizzazione illegale in Cisgiordania, i palestinesi vittime di soldati israeliani hanno meno dell’1% di probabilità di ottenere giustizia se presentano una denuncia in Israele.

Secondo un esperto giuridico di Al Mezan, un’organizzazione per i diritti umani che chiede giustizia per Gaza, benché la CPI rappresenti un’alternativa ai tribunali israeliani, nessun mandato di arresto è stato emesso contro politici o militari israeliani per aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità a Gaza e in Cisgiordania.

Abbiamo sottoposto parecchie analisi legali e prove all’ufficio del procuratore generale anche prima che Khan venisse eletto” dice ad Al Jazeera l’esperto, che chiede di rimanere anonimo per timore di rappresaglie da parte delle autorità israeliane. “Pensiamo che l’ufficio (di Khan) abbia già sufficienti prove per emettere mandati di arresto contro dirigenti politici e militari israeliani.”

Dopo essere tornato dalla sua visita di tre giorni in Israele e Cisgiordania, Khan ha rilasciato una dichiarazione in cui ha appena accennato alle crescenti prove che coinvolgono Israele nella commissione di crimini contro l’umanità, come quello di apartheid in Cisgiordania e crimini di guerra in Cisgiordania e Gaza.

Khan ha semplicemente affermato che la sua visita non era “di natura investigativa” e ha chiesto a Israele di rispettare i principi giuridici di “distinzione, precauzione e proporzionalità” nella sua campagna di bombardamenti e nell’offensiva di terra in corso a Gaza.

Khan ha utilizzato un tono diverso quando si è riferito agli attacchi di Hamas il 7 ottobre, definendoli “gravi crimini internazionali che sconvolgono le coscienze dell’umanità.”

Il comunicato di Khan ha indignato le vittime palestinesi che aveva incontrato brevemente a Ramallah.

Ciò che ci ha veramente contrariati è stato quello che ha scritto dopo la visita,” afferma Nafii. “Non avrebbe dovuto tracciare un’equivalenza tra la vittima e i suoi assassini. Volevamo che dicesse agli israeliani di smettere di fare quello che stanno facendo ai detenuti e di (fermare) quello che stanno facendo a Gaza.”

Al Jazeera ha inviato alcune domande scritte all’ufficio di Khan che accolgono le critiche palestinesi alla sua visita in Cisgiordania e al suo comunicato. L’ufficio ha risposto inviando ad Al Jazeera alcune precedenti dichiarazioni di Khan senza rispondere ad alcuna delle domande.

Politicamente compromesso?

Nel settembre 2021 Khan aveva affermato che avrebbe dato minore priorità ai crimini commessi dalle forze statunitensi in Afghanistan e concentrato la sua indagine sulle atrocità commesse dai talebani e dallo Stato Islamico ISKP (ISIS-K) nella provincia del Khorasan.

I critici pensano che Khan si sia inchinato alle pressioni politiche da parte degli Stati Uniti, uno Stato che non aderisce allo Statuto di Roma e che aveva sanzionato il predecessore di Khan per aver osato aprire un’indagine contro le truppe americane in Afghanistan.

Ma Khan ha giustificato la propria decisione sostenendo che la Corte ha risorse limitate e che i talebani e lo Stato Islamico hanno commesso crimini più gravi. Ora i palestinesi temono che Khan possa far ricorso a una giustificazione simile per indagare contro Hamas ma non contro Israele.

Non abbiamo ancora visto un procuratore generale che prenda seriamente in considerazione la questione della Palestina, il che dimostra che tutto il sistema delle leggi internazionali è stato fatto a pezzi,” afferma Diana Buttu, una giurista palestinese.

Butto aggiunge che la CPI è di fatto diventata un tribunale che agisce per gli interessi politici di potenti Stati occidentali invece che in base a principi strettamente giuridici.

Cita la decisione di Khan di incriminare il presidente russo Vladimir Putin per crimini di guerra commessi durante l’invasione russa dell’Ucraina.

La CPI è diventata un tribunale politico che è riuscito ad emettere un’incriminazione contro Putin. Ma, dopo otto settimane da quello che è presumibilmente il peggior disastro (a Gaza) per mano dell’uomo, il procuratore generale è rimasto in silenzio ed è venuto (in visita) su richiesta di Israele.”

Nafii è d’accordo e aggiunge che Khan non può sostenere di non sapere o di essere all’oscuro delle atrocità israeliane contro i palestinesi.

Quante persone vuole vedere morte prima di parlare?” dice ad Al Jazeera. “Vorrei che fosse abbastanza coraggioso da dire la verità e dirla pubblicamente.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Assassinato da Israele Refaat Alareer

Tamara Nassar

9 dicembre 2023 – The Electronic Intifada

Israele ha assassinato lo scrittore e docente Dr. Refaat Alareer.

Euro-Mediterranean Human Rights Monitor [ONLUS per la protezione dei diritti umani, ndt.] ha concluso che lattacco aereo israeliano che il 6 dicembre ha ucciso Refaat e diversi membri della sua famiglia è stato verosimilmente intenzionale”.

Refaat ha lavorato in stretta collaborazione con The Electronic Intifada ed era tra i più importanti oppositori della guerra genocida di Israele contro Gaza.

Era rifugiato nellappartamento di sua sorella Asmaa nella zona di al-Daraj, a Gaza City. Euro-Mediterranean Human Rights Monitor, citando accertate testimonianze oculari e resoconti familiari, ha dichiarato che intorno alle 18 di mercoledì l’intero edificio in cui si trovava è stato “bombardato chirurgicamente”.

Refaat è stato ucciso insieme a suo fratello Salah e uno dei figli di lui, Muhammad. Anche sua sorella Asmaa con tre dei figli, Alaa, Yahya e Muhammad, sono stati uccisi insieme a uno dei loro vicini.

Inoltre nell’attacco israeliano sono rimasti feriti altri membri della famiglia.

Lattacco aereo ha colpito chirurgicamente lappartamento al secondo piano, dove si trovava Refaat, in un edificio di tre piani, e non lintero palazzo: ciò indica che l’appartamento era lobiettivo e non si è trattato di un danno collaterale, afferma l’organizzazione Euro-Med.

Refaat era stato sfollato più volte allinterno della Striscia di Gaza in seguito all’attacco contro la sua casa durante la seconda settimana dellassalto genocida israeliano contro lenclave costiera iniziato il 7 ottobre.

Qualche giorno prima di essere ucciso Refaat si era trasferito con la moglie e i figli in una scuola gestita dallagenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) nel quartiere al-Tuffah di Gaza City.

Un caro amico di Refaat ha detto all’organizzazione per i diritti umani che nel corso della sua permanenza nella scuola potrebbe essere stato contattato dall’esercito israeliano.

“Aveva ricevuto una telefonata anonima da qualcuno che si era identificato come un ufficiale israeliano e aveva minacciato Refaat affermando di conoscere esattamente la scuola in cui si trovava”, riferisce l’organizzazione nel citare l’amico intimo. E aggiunge che i soldati israeliani con lavanzata delle truppe di terra erano sul punto di raggiungere la sua posizione”.

Sebbene Euro-Mediterranean Human Rights Monitor affermi che “la credibilità della minaccia in sé non è sicura“, è stata certamente una delle ragioni che hanno spinto Refaat a trasferirsi a casa di sua sorella, “credendo che fosse meno esposta di una scuola aperta e sovraffollata dove sarebbe stato difficile nascondersi”.

L’organizzazione è giunta alle conclusioni che Refaat era probabilmente un obiettivo dell’esercito israeliano.

Tutto è intenzionale

Una recente indagine di +972 Magazine e Local Call [versioni rispettivamente in inglese ed ebraico di una rivista progressista online, ndt.] ha rivelato come lesercito israeliano stia utilizzando lintelligenza artificiale per generare più obiettivi da colpire a Gaza.

Nel citare fonti dell’intelligence il rapporto afferma che lesercito israeliano dispone di archivi sulla stragrande maggioranza dei potenziali obiettivi a Gaza, comprese le case, che stabiliscono il numero di civili che potrebbero essere uccisi in un attacco contro un particolare obiettivo”.

“Niente accade per caso”, sostiene una fonte.

Quando in un’abitazione a Gaza una bambina di 3 anni viene uccisa è perché qualcuno nellesercito ha deciso che la sua uccisione non costituisce un grosso problema, che si tratta di un prezzo che vale la pena pagare per colpire [un altro] obiettivo”, aggiunge la fonte.

Noi non siamo Hamas. Questi non sono razzi con bersagli casuali. Tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quanti danni collaterali ci sono in ogni casa”.

Il fatto che quella sera labitazione della sorella di Refaat sia stata lunico appartamento attaccato nelledificio contribuisce a concludere che Refaat fosse stato preso di mira deliberatamente.

Bersaglio di precedenti attentati

Non era la prima volta che dopo il 7 ottobre Refaat venisse preso di mira da un bombardamento.

Il 19 ottobre l’esercito israeliano ha bombardato senza alcun preavviso l’edificio in cui viveva Refaat a Gaza City. Due appartamenti furono completamente distrutti e altri cinque, compreso quello della famiglia di Refaat, gravemente danneggiati.

In quel momento Refaat ospitava quattro famiglie sfollate. Tutti gli ospiti erano donne e bambini.

Allepoca la casa di Refaat aveva un generatore di corrente, carburante per un paio di mesi e pannelli solari.

Da quando è iniziato lattacco di Israele abbiamo aiutato innumerevoli persone a pompare acqua, caricare i loro dispositivi elettronici e mantenere funzionanti i loro freezer, ha scritto Refaat il 22 ottobre su The Electronic Intifada.

“Credo che questo sia il motivo per cui il nostro edificio è stato colpito.”

Altri nella famiglia allargata di Refaat hanno ritenuto che fosse stato preso di mira proprio per aver parlato apertamente.

Non sappiamo perché ledificio sia stato preso di mira. Mia suocera insiste che è perché parlo con i media, ha scritto Refaat.

“Anche mia madre ha espresso la stessa preoccupazione.”

Da quel giorno Refaat e la sua famiglia sono rimasti sfollati. Si erano rifugiati in un ospedale e poi in una scuola.

Ad un certo punto la famiglia si è stabilita allospedale pediatrico Rantisi di Gaza City, ma ha dovuto evacuare quando i soldati israeliani sono giunti nelle vicinanze.

Ha scritto un articolo per The Electronic Intifada in cui denunciava la menzogna secondo cui Hamas conducesse le sue operazioni nei pressi dell’ospedale.

In passato Refaat e la sua famiglia erano stati presi di mira dai soldati israeliani numerose volte, con l’uccisione di decine di parenti.

Diffamazione

Come se ucciderlo non fosse abbastanza, i troll [individui che svolgono attraverso internet azioni di provocazione e diffamazione, ndt.] che sostengono Israele e la sua ideologia di Stato, il sionismo, hanno cercato di diffamarlo, prima e dopo la sua uccisione.

Per settimane dallinizio di questa guerra Refaat ha ricevuto numerose minacce di morte e messaggi di odio da account israeliani sui social media dopo che personaggi pubblici di spicco lo hanno preso di mira accusandolo di molestie e istigazione, dice Euro-Med.

Uno di questi personaggi pubblici è Bari Weiss.

Weiss ha citato un tweet che Refaat aveva scritto su una bufala completamente sfatata secondo cui il 7 ottobre i miliziani palestinesi avrebbero bruciato vivo un bambino israeliano dentro un forno.

Ecco Refaat Alareer che scherza sul fatto che un bambino israeliano, bruciato vivo in un forno, sia stato cucinato con o senza lievito’”, ha scritto Weiss.

Successivamente Refaat ha ricevuto sui social media minacce di morte e messaggi di odio.

Molti soldati israeliani deliranti che stanno già bombardando Gaza prendono sul serio queste bugie e calunnie e agiscono di conseguenza, ha scritto Refaat in quella circostanza.

I troll sionisti stanno ora usando la stessa tattica per cercare di diffamare Refaat, accademico di fama internazionale amato e rispettato da generazioni di palestinesi e da persone di tutto il mondo.

Prendere di mira il mondo accademico

Alcuni giorni prima che Refaat venisse ucciso Israele ha assassinato il dottor Sufyan Tayeh, presidente dell’Università islamica di Gaza dove Refaat era docente di letteratura inglese.

Questo mese le forze israeliane hanno anche piazzato esplosivi e fatto saltare in aria la facoltà di medicina dell’Università islamica di Gaza.

Il commentatore di destra Yinon Magal ha celebrato quellattacco definendolo un regalo di Hanukkah[Hanukkah è una festività ebraica, conosciuta anche con il nome di Festa delle luci, ndt.] da parte di una divisione dellesercito israeliano.

Il fatto che ledificio non sia stato colpito da aerei da guerra ma da soldati che vi hanno piazzato personalmente le bombe, suggerisce che non vi fosse alcun rischioper la loro vita e che non stessero prendendo di mira la resistenza palestinese allinterno delledificio.

Una foto raffigura un soldato israeliano in posa accanto alledificio della facoltà di medicina con una menorah [lampada ad olio a sette bracci usata durante l’Hanukkah, ndt.] gigante allesterno in segno di conquista.

Il cartello con il nome dell’edificio e del donatore che ha contribuito a costruirlo appare vandalizzato con la scritta ours now” [adesso nostro, ndt.] in inglese.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Nella guerra di Israele a Gaza le redazioni sono diventate campo di battaglia

Somdeep Sen


8 dicembre 2023, Al Jazeera

E nella battaglia su come viene raccontata la guerra da Gaza, i giornalisti sono le vittime principali.

Non molto tempo fa il mondo è stato testimone di immagini fortemente contrastanti.

Da un lato abbiamo visto sui nostri schermi il giornalista televisivo palestinese Salman al-Bashir visibilmente distrutto dal dolore alla notizia della morte del suo collega Mohammad Abu Hatab. Hatab era in onda 30 minuti prima. Tornato a casa Hatab e undici membri della sua famiglia sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano.

Al-Bashir era in lacrime: “Non ne possiamo più. Siamo esausti, siamo qui vittime e martiri in attesa della morte, uno dopo l’altro, e nessuno si preoccupa di noi o della immane catastrofe e del crimine a Gaza”. Poi si è tolto l’equipaggiamento protettivo aggiungendo: “Nessuna protezione, nessuna protezione internazionale, nessuna immunità verso nulla, questo equipaggiamento protettivo non ci protegge e nemmeno i caschi”.

Abbiamo visto anche le immagini della CNN, attentamente preparate e selezionate, che seguono l’operazione di terra dell’esercito israeliano a Gaza. Ci è stato detto che la CNN era “integrata” all’esercito. Come condizione per entrare a Gaza con il supporto aereo israeliano, i media sono tenuti a “presentare all’esercito israeliano tutto il materiale e i filmati all’esercito israeliano per la revisione prima della pubblicazione”. La CNN aveva accettato.

Se non era già abbastanza evidente, i media e il giornalismo sono diventati un campo di battaglia fondamentale in questa guerra Israele-Gaza. E nella lotta su come viene raccontata la guerra i giornalisti sono stati le vittime principali.

Il 3 dicembre Shima El-Gazzar, giornalista palestinese della rete Almajedat, è stata uccisa insieme ai suoi familiari in un attacco aereo israeliano sulla città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

Il 23 novembre un attacco aereo sulla sua casa nel campo profughi di Nuseirat, al centro di Gaza, è costato la vita al giornalista Muhammad Moin Ayyash e a circa 20 membri della sua famiglia.

Il 19 novembre Bilal Jadallah, direttore di Press House-Palestine, un’organizzazione non-profit che sostiene lo sviluppo dei media palestinesi indipendenti, è stato ucciso da un attacco aereo israeliano contro la sua auto.

Il 7 novembre è stato riferito che il giornalista palestinese Mohammad Abu Hasira è stato ucciso insieme a 42 membri della sua famiglia in un attacco aereo israeliano sulla sua casa vicino a Gaza City.

Solo due giorni prima i media avevano riportato che Mohamed al-Jaja, un altro operatore dei media per Press House-Palestine, era stato ucciso insieme a sua moglie e due figli in un attacco aereo nel nord di Gaza.

Il 30 ottobre anche Nazmi al-Nadim, vicedirettore delle finanze e dell’amministrazione della TV palestinese, è stato ucciso in un attacco aereo insieme ai suoi familiari.

Il 26 ottobre, il mondo ha visto il capo dell’ufficio arabo di Al Jazeera Wael Dahdouh seppellire “moglie, figlio, figlia e nipote” uccisi in un attacco aereo sul campo di Nuseirat. In una dichiarazione l’esercito israeliano ha affermato che stava prendendo di mira “infrastrutture terroristiche nell’area”.

Il 13 ottobre Issam Abdallah, eminente giornalista di Reuters– che indossava indumenti protettivi con sopra la dicitura “stampa” – è stato ucciso da un razzo israeliano lanciato attraverso il confine tra Israele e Libano.

In totale, secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ) [organizzazione indipendente e senza scopo di lucro che promuove la libertà di stampa in tutto il mondo, ndt.] nel periodo dei due mesi tra il 7 ottobre e il 6 dicembre dentro e intorno alla Striscia di Gaza sono stati uccisi 63 giornalisti e operatori dei media, per lo più palestinesi. Jonathan Dagher, responsabile dell’ufficio Medio Oriente di Reporter Senza Frontiere, ha dichiarato: “Ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza è una tragedia per il giornalismo… La situazione è drammatica. Chiediamo la protezione dei giornalisti nella Striscia e che sia consentito l’ingresso nel territorio a giornalisti stranieri che possano lavorare liberamente”.

Tuttavia la battaglia non riguarda solo chi potrà riferire di questa guerra. È anche una battaglia su come viene raccontata la guerra. Sono importanti le parole, le frasi e le immagini utilizzate in onda per descrivere gli eventi sul campo.

Durante una conversazione John Collins, professore di studi globali alla St Lawrence University e direttore del quotidiano indipendente Weave News, mi diceva: “Le parole costruiscono per noi la realtà. In tempo di guerra le parole usate dai giornalisti dovrebbero aiutarci a chiarire cosa sta succedendo e perché. Ma troppo spesso quelle parole servono a distrarci, a fuorviarci o a proteggere i potenti dalle loro responsabilità”.

Questo giornalismo fuorviante avviene a un livello molto elementare nel modo in cui le morti palestinesi vengono descritte nelle notizie. Mentre si dice che i palestinesi sono “morti”, gli israeliani vengono “uccisi”. La seconda formulazione riconosce un’azione attiva di uccisione da parte di qualcuno, ma la prima è passiva. Come a dire che nessuno è responsabile delle morti palestinesi o suggerire – come ha fatto il portavoce militare israeliano tenente colonnello Richard Hecht in seguito all’attacco al campo profughi di Jabalia – che le morti palestinesi siano semplicemente un’inevitabile “tragedia di guerra”.

Certamente una minimizzazione del bilancio delle vittime palestinesi è stata fatta anche dal presidente Biden quando ha messo in dubbio l’accuratezza dei numeri, visto che il Ministero della Sanità a Gaza è gestito da Hamas. Ha detto: “Sono sicuro che degli innocenti siano stati uccisi, ed è il prezzo da pagare nell’intraprendere una guerra… Ma non credo al numero che i palestinesi stanno dando”. Tale accusa ha effettivamente piantato il seme del dubbio sull’effettiva gravità della sofferenza palestinese, con diversi organi di stampa che hanno valutato e riportato il modo in cui il Ministero della Salute ha calcolato le vittime – questo mentre le agenzie umanitarie internazionali insistono che i numeri del ministero sono effettivamente affidabili.

Anche il modo in cui i media inquadrano il “perché”, il “come”, e il “cosa accadrà dopo” di questa guerra in corso, influenza l’opinione pubblica. In qualità di studioso di disinformazione e propaganda Nicholas Rabb ha scoperto che “la retorica fuorviante e la copertura incessantemente unilaterale” da parte dei media statunitensi e israeliani ha consentito la “demonizzazione acritica dei palestinesi”.

Ciò include i media di destra negli Stati Uniti che seminano allarme su un’imminente “Giornata globale della Jihad” indetta da Hamas. Un funzionario della Sicurezza Nazionale ha affermato che non c’erano prove credibili di una minaccia imminente sul suolo americano. Tuttavia, dopo aver ascoltato un discorso conservatore alla radio ed essersi allarmato per un imminente “Giorno della Jihad”, un uomo di 71 anni ha aggredito la sua inquilina, una donna palestinese americana, prima di pugnalarne a morte il figlio di sei anni.

Il gruppo Honest Reporting, che monitora e denuncia i pregiudizi anti-israeliani nei media, ha anche sollevato questioni etiche sui fotoreporter residenti a Gaza che lavorano con aziende del calibro di Reuters, Associated Press, CNN e New York Times e su come siano riusciti a catturare immagini dalle aree di confine forzate il 7 ottobre. Si chiedeva: “Cosa stavano facendo lì così presto in quello che normalmente sarebbe stato un tranquillo sabato mattina? È stato coordinato con Hamas? Le rispettabili agenzie di stampa che hanno pubblicato le loro foto avevano approvato la loro presenza in territorio nemico, insieme agli infiltrati terroristi?”

Mentre tutte le agenzie accusate negavano con veemenza le accuse secondo cui fossero a conoscenza dell’attacco, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha cavalcato la cosa e ha detto: “Questi giornalisti sono complici di crimini contro l’umanità, le loro azioni sono contrarie all’etica professionale”.

Indignati per gli attacchi ai giornalisti, al giornalismo indipendente e alla rappresentazione della guerra da parte dei media, 750 giornalisti hanno firmato una lettera aperta chiedendo la protezione dei giornalisti. La lettera incoraggia inoltre i giornalisti a “dire tutta la verità senza timore o favoritismi” e a utilizzare “termini precisi e ben definiti dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani” come “apartheid”, “pulizia etnica” e “genocidio” nei servizi giornalistici. La lettera si conclude dicendo: “Riconoscere che distorcere le nostre parole per nascondere prove di crimini di guerra o di oppressione dei palestinesi da parte di Israele è una negligenza giornalistica e un’abdicazione alla limpidezza morale. L’urgenza del momento non può essere sottovalutata. È necessario cambiare rotta”.

Considerando la crisi umanitaria a Gaza pochi possono negare l’urgenza di questo momento. Tuttavia, solo il tempo dirà se ciò si tradurrà nel riconoscimento dell’importanza di proteggere i giornalisti e il giornalismo in un momento di crisi estrema.

Somdeep Sen è professore associato di Studi sullo Sviluppo Internazionale presso l’Università di Roskilde in Danimarca. È autore di Decolonizing Palestine: Hamas between the Anticolonial and the Postcolonial (Decolonizzare la Palestina: Hamas tra anticoloniale e postcoloniale, Cornell University Press, 2020).

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Come Israele ha sabotato lo scambio di prigionieri ampliando la definizione di “prigionieri di sicurezza”

YOAV HAIFAWI

7 DICEMBRE 2023 – Mondoweiss

Israele ha sabotato lo scambio di prigionieri con Hamas ampliando la definizione di “prigionieri di sicurezza” per includere quelli detenuti per poco più che post sui social media.

Venerdì primo dicembre Israele ha ripreso il massiccio bombardamento di Gaza in una campagna che è già stata giudicata da esperti internazionali e organizzazioni per i diritti umani una delle peggiori e mortali della storia moderna. Israele ha accusato Hamas di aver violato i termini dello scambio di prigionieri. Eppure ho visto da vicino, seguendo i processi politici presso il tribunale di Haifa, come sia invece Israele che ha minato le basi stesse di ciò che significa uno scambio di prigionieri. Lo ha fatto attraverso arresti di massa di palestinesi prima dello scambio di prigionieri, trattenendoli come “prigionieri di sicurezza” secondo una definizione che è stata ampliata dopo il 7 ottobre, e poi rilasciandoli come parte dello scambio di prigionieri – anche se fin dall’inizio Israele non aveva motivo di trattenerli in prigione. Questo è stato un periodo in cui i palestinesi all’interno della Linea Verde [il confine tra Israele e la Cisgiordania, ndt.] sono diventati improvvisamente una parte significativa del conflitto più ampio.

Sono stati tempi frenetici per noi nella Palestina del ’48 [cioè in Israele, ndt.] e la gente qui è terrorizzata. A partire dal 7 ottobre, quando lo shock provocato dagli attacchi si è trasformato rapidamente in una rabbia indiscriminata, molti ebrei si sono attivati contro i loro colleghi e compagni di classe palestinesi per scoprire segni di slealtà e denunciarli alle autorità. Centinaia sono stati interrogati e arrestati per poco più che dei post sui social media. Quando ho chiesto a un amico apolitico del mio quartiere come stava, ha risposto: “Non vedo, non sento, non parlo!” Ciò è continuato fino ad oggi. Proprio di recente sono andato al supermercato all’angolo e la gente discuteva se saresti stato arrestato per un “mi piace” o solo per aver condiviso un post. Come ho detto, c’è paura ovunque.

I prigionieri politici sono una parte importante della vita palestinese, anche nella cultura popolare. Negli ultimi decenni si è verificato un cambiamento significativo nella terminologia relativa ai detenuti. Negli anni ’70 e ’80, gli attivisti politici nella Palestina del ’48 parlavano di “prigionieri” usando lo stesso termine usato per i criminali e le vittime innocenti del sistema capitalista. Anche la prima associazione che difese i palestinesi nelle carceri dell’occupazione si chiamava “Gli amici del prigioniero”. Negli anni Novanta la parola araba asir (plurale asra, femminile asirah), che indica i prigionieri di guerra, è diventata il termine comune per chiunque fosse stato arrestato nel contesto della lotta per la liberazione.

Alcuni degli asra erano feda’iyeen – guerriglieri che avevano deciso di portare armi e lottare contro l’espropriazione della popolazione palestinese. Altri erano asra siyasiyun, militanti politici irriducibili che il regime aveva deciso di mettere a tacere, come la leadership di Al-Ard [organizzazione che si occupa di aiutare i contadini palestinesi, ndt.], Abna’ al-Balad [movimento nazionalista degli arabo-israeliani, ndt.] e il movimento islamico. Essere un asir, nonostante tutte le sofferenze, significava in un certo senso far parte dell’élite politica. Quando parliamo dell’asra palestinese, includiamo tutti coloro che sono stati arrestati come parte della lotta, non importa se provengono dalla Cisgiordania, da Gaza, dalla Palestina del ’48 o dalla diaspora. Inoltre non distinguiamo se fossero affiliati all’OLP, ad altri movimenti di resistenza, a un’organizzazione locale o se non lo fossero affatto. Inoltre, il termine non distingue di cosa siano stati accusati quegli asra, poiché ciò significherebbe dare legittimità ai tribunali dell’occupazione, dove i palestinesi non si aspettano mai giustizia.

Ma il senso di essere prigioniero politico è cambiato dopo il 7 ottobre.

Prendiamo, ad esempio, il caso di Mariam (nome di fantasia), una studentessa di una famiglia palestinese conservatrice. Il 7 ottobre, alcuni studenti ebrei hanno trovato su una pagina Facebook un post politico moderato che portava il suo nome. L’hanno denunciata all’Università di Haifa. Mariam ha affermato che non era il suo account e ha mostrato un altro account Facebook con il suo nome, dove ha pubblicato le foto della sua famiglia e dei suoi parenti. La direzione dell’università, oltre ad adottare misure amministrative contro Mariam, ha denunciato il suo caso alla polizia.

La polizia ha arrestato Mariam e ha avviato un’indagine approfondita. La loro teoria era che avesse due pagine Facebook, una per la sua famiglia conservatrice e l’altra per i suoi amici universitari. Quando Mariam ha negato le accuse, hanno convocato i suoi amici e conoscenti per un interrogatorio. Anche se altri studenti che avevano postato cose simili sono stati rilasciati, la detenzione di Mariam è stata prolungata con la motivazione che, se fosse stata rilasciata, avrebbe potuto compromettere le indagini. Mentre era ancora in prigione come “prigioniera di sicurezza”, è stata rilasciata durante lo scambio di donne tra Israele e Hamas.

Secondo Yousef Taha, responsabile del Joint Body of Arab Student Blocs in Universities and Colleges, il fronte unito delle organizzazioni studentesche palestinesi del ’48, c’erano sette o otto studentesse che all’epoca erano detenute e rilasciate come parte dello scambio di prigionieri. Ognuna di loro è stata accusato per un singolo post sui social media; i loro casi non erano significativamente diversi da quelli di una dozzina di studenti rilasciati dai tribunali nello stesso periodo. Fino ad ora lo Stato non ha nemmeno annullato le accuse contro di loro, e in alcune udienze a cui ho assistito la pubblica accusa ha dichiarato che stava“studiando la situazione”, chiedendo che le udienze fossero rinviate.

Per fare un altro esempio, il caso di due giovani donne palestinesi di Haifa che sono state arrestate e incriminate per “minacce” e “disturbo dell’ordine pubblico” dimostra come accuse ridicole siano state sufficienti per trattare gli arrestati come “prigionieri di sicurezza”. Secondo l’accusa il 12 ottobre le due donne avrebbero insultato una poliziotta con un messaggio volgare su WhatsApp e, più tardi lo stesso giorno, avrebbero chiamato il numero per le emergenze della polizia di Haifa e avrebbero detto: “Vengo da Gaza, dalla Palestina, sono Hamas. Sono ad Haifa per uccidere subito tutti gli ebrei “. Quando sono state arrestate hanno detto che stavano solo scherzando, ma sono state trattenute in detenzione e successivamente incriminate.

Queste due giovani donne sono state classificate dalle autorità carcerarie israeliane come “prigioniere di sicurezza” e sono state incarcerate in dure condizioni nella prigione di Damon. Una di loro è stata rilasciata nell’ambito dello scambio di prigionieri. L’altra è stata condannata il 4 dicembre dal tribunale di Haifa e resterà in una prigione di sicurezza per il terzo mese fino alla sentenza formale.

Qui devo chiarire che nel sistema carcerario israeliano esiste un regime completamente diverso per gli oltre 7.000 “prigionieri di sicurezza” palestinesi, che sono privati della maggior parte dei diritti fondamentali dei prigionieri normali. Molti di loro provengono dalla Cisgiordania e da Gaza, ma ci sono anche molti palestinesi con cittadinanza israeliana.

Molti temono che i prigionieri rilasciati nello scambio saranno ora oggetto di vendetta, anche se la decisione di rilasciarli è stata del governo. Adalah e altre organizzazioni per i diritti umani hanno avvertito che Israele potrebbe provare a etichettarli tutti come “sostenitori di Hamas” e persino applicare nuove leggi per revocare loro la cittadinanza e i diritti sociali fondamentali.

Lunedì si è saputo che il comune sionista di Gerusalemme sta impedendo agli studenti delle scuole superiori rilasciati di frequentare la scuola. Il Technion ha annunciato che a una studentessa palestinese detenuta anche lei per un post su Facebook e successivamente rilasciata durante lo scambio di prigionieri “non” verrà “mai più” consentito di riprendere gli studi. L’università ha annunciato questa misura estrema ovviamente senza avviare alcun procedimento “disciplinare” rilevante, che renderebbe necessario verificare i fatti del caso.

Più in generale la detenzione arbitraria di palestinesi dei territori del ’48 per infrazioni minori e definirli “prigionieri di sicurezza” – molti dei quali sono poi stati rilasciati durante lo scambio di prigionieri – ha consentito a Israele di evitare il rilascio di altre donne palestinesi “vere” prigioniere di sicurezza che stanno scontando condanne molto più lunghe.

Mentre lo scambio di prigionieri andava avanti sotto la pressione della minaccia di una ripresa delle mortali operazioni militari, con nuovi elenchi di persone da rilasciare pubblicati ogni mattina, Israele ha sabotato il processo. A differenza di Hamas, che doveva riunire dai nascondigli con gravi rischi i prigionieri, Israele poteva facilmente preparare elenchi ordinati. Ma quello che ha fatto invece è stato pubblicare un elenco con centinaia di nomi, sostenendo che queste erano le persone che avrebbero potuto essere rilasciate. All’ultimo momento, dopo che Hamas aveva pubblicato l’elenco esatto della giornata, ha puntato a selezionare i prigionieri a cui rimaneva meno tempo da trascorrere in prigione o che non erano nemmeno stati condannati per alcun reato.

Resta da chiedersi se questo modo deliberatamente subdolo di gestire lo scambio di prigionieri sia uno dei motivi per cui l’intero processo è fallito.

(traduzione dall’’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele rastrella centinaia di ragazzi palestinesi e li fa scomparire

Redazione di MEMO

7 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Immagini e riprese video scioccanti che circolano online mostrano ragazzi e uomini senza i loro indumenti intimi e seduti per terra con le gelide temperature invernali di Gaza.

Centinaia di ragazzi e uomini sopra i 15 anni sono stati radunati dalle forze di occupazione nella parte nord di Gaza, privati dei loro vestiti e portati via.

Immagini e riprese video scioccanti che circolano online mostrano ragazzi e uomini senza i loro indumenti intimi e seduti per terra con le gelide temperature invernali di Gaza.

Li si vede circondati da soldati dell’occupazione israeliana pesantemente armati che stanno urlando loro degli ordini.

Altre immagini mostrano un furgone militare per il trasporto di persone pieno di uomini che vengono portati via.

Non è chiaro quanti ragazzi e uomini siano stati fatti scomparire, ma alcuni rapporti indicano la cifra di 700. Si dice che siano stati presi dalle scuole [usate come] rifugio nella parte nord di Gaza, dove migliaia di civili sfollati sono stati obbligati a rifugiarsi in seguito ai bombardamenti e alla distruzione dei loro quartieri e delle loro case.

Ci sono informazioni secondo cui tra coloro che sono stati presi ci sarebbe Diaa Al-Kahlot, capo redazione del giornale Al-Arabi Al-Jadeed a Gaza. Utenti dei social media affermano di averlo riconosciuto nelle immagini diffuse con una giacca e con i suoi indumenti intimi tra le fila degli uomini.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)