‘Foto della vittoria’: l’uccisione a Beirut aiuterà politicamente il contestatissimo Netanyahu?

Nils Adler

7 gennaio 2024 – Al Jazeera

La popolarità di Netanyahu non è mai stata così bassa. Secondo alcuni analisti gli omicidi di Beirut non cambieranno in modo sostanziale la situazione.

È stato un inizio di 2024 difficile per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Lunedì primo gennaio la Corte Suprema di Israele ha bocciato una controversa legge presentata dal governo Netanyahu nel 2023 per limitare alcuni poteri dell’Alta Corte che ha scatenato diffuse proteste in tutto il Paese.

Poi, il giorno dopo, l’attacco contro un appartamento di Beirut ha ucciso importanti membri di Hamas. Anche se Israele non ha rivendicato l’azione, alcuni analisti affermano che ha avuto in tutto e per tutto le caratteristiche di un attacco mirato israeliano. Ciò contribuirà a fermare la perdita di popolarità del primo ministro israeliano più a lungo in carica?

La decisione della Corte Suprema è una “importante battuta d’arresto”

La bocciatura del progetto di riforma giudiziaria è un’“importante battuta d’arresto” per Netanyahu e l’estrema destra israeliana che avevano investito “un significativo impegno politico sulla questione”, dice ad Al Jazeera Nader Hashemi, professore associato di Medio Oriente e Politica Islamica alla Georgetown University [prestigiosa università statunitense, ndt.] .

Per alcuni israeliani, afferma Hashemi, l’insistenza di lunga data di Netanyahu sulle modifiche del sistema giudiziario ha “diviso la società israeliana e l’ha resa più debole, consentendo ciò che è avvenuto il 7 ottobre.

Recenti sondaggi di opinione mostrano che la stragrande maggioranza degli israeliani pensa che Netanyahu dovrebbe ammettere pubblicamente le sue responsabilità per gli errori che hanno portato all’attacco di Hamas il 7 ottobre nel sud di Israele, in cui circa 1.200 persone sono state uccise e più di 200 sono state prese in ostaggio. Da allora a Gaza le bombe e il fuoco di artiglieria israeliani hanno ucciso più di 22.000 palestinesi.

Nimrod Goren, ricercatore esperto delle questioni israeliane presso il Middle East Institute [centro studi statunitense fondato nel 1946, ndt.], dice ad Al Jazeera che la sentenza della Corte Suprema è stata vista come una “grande vittoria per la democrazia israeliana”.

Dopo questa decisione il ministro della Giustizia Yariv Levin ha attaccato la Corte, affermando che il momento scelto per il suo verdetto è stato “l’opposto dell’unità necessaria per il successo dei nostri combattenti al fronte.”

Tuttavia il leader dell’opposizione Yair Lapid ha messo in guardia il governo Netanyahu dall’ignorare la sentenza, affermando che se lo facesse ciò “dimostrerebbe che non ha imparato niente dal 7 ottobre”. Anche l’ex ministro della Difesa Benny Gantz, che fa parte del gabinetto di guerra di Netanyahu, ha chiesto che la decisione venga rispettata.

Secondo Goren i battibecchi politici seguiti alla sentenza, dopo mesi di relativa unità dopo il 7 ottobre, sono serviti da “promemoria di quello che ci attende (come israeliani) quando la guerra sarà finita.”

Egli afferma che concentrarsi sulle riforme proposte, una questione divisiva prima della guerra, “invece di fare i conti con gli importanti problemi che dobbiamo affrontare (ora)” non fa che aggiungersi alle critiche della società israeliana a Netanyahu.

Le uccisioni di Beirut sono una “fotografia della vittoria” per il gabinetto di guerra

Eppure, se la sentenza della Corte Suprema è stata un colpo per Netanyahu, l’assassinio di importanti dirigenti di Hamas a Beirut ha rappresentato un momento trionfale per lui e il suo gabinetto di guerra, che include il ministro della Difesa Yoav Gallant e Gantz, ora membro dell’opposizione.

“Penso che le clamorose uccisioni di questo tipo contro nemici giurati di Israele aiutino politicamente Netanyahu,” dice Hashem.

Un articolo pubblicato dal giornale israeliano di sinistra Haaretz ha affermato che le notizie da Beirut sono state viste “positivamente” dalla società israeliana e hanno fornito ai dirigenti del Paese una “fotografia della vittoria” indispensabile mentre la guerra si sta avvicinando al terzo mese.

Ma, secondo l’articolo, per le famiglie degli oltre cento ostaggi ancora trattenuti a Gaza la notizia è giunta come “una pugnalata al cuore”.

Martedì Netanyahu ha incontrato le famiglie e le ha informate che si stava per concretizzare un possibile accordo con Hamas che avrebbe potuto portare alla liberazione degli ostaggi.

Subito dopo è filtrata l’informazione dell’uccisione di importanti dirigenti di Hamas a Beirut, seguita da notizie secondo cui i passi avanti del possibile accordo per il rilascio degli ostaggi erano in fase di stallo.

Haaretz, citando Eli Shtivi, padre del ventottenne Idan Shtivi, rapito durante il festival musicale Supernova, ha affermato che le notizie hanno spento il crescente ottimismo tra i familiari riguardo alle prospettive di un accordo. Shtivi ha detto alla televisione israeliana che le uccisioni “sono avvenute in un momento in cui pensavamo che avremmo visto la reale possibilità che altri ostaggi tornassero a casa.”

È una sensazione che Gil Dickmann, la cui cugina Carmel Gat è stata rapita da Hamas, non condivide.

Egli sostiene che la politica dovrebbe aspettare e che la priorità assoluta delle famiglie degli ostaggi è appoggiare qualunque cosa il governo stia facendo per riportarli a casa.

“Quando tutto sarà finito avremo il tempo sufficiente per parlare di politica, ma voglio che mia cugina Carmel sia qui quando lo faremo,” dice ad Al Jazeera.

Fino ad allora, afferma, “appoggeremo qualunque tentativo” per il rilascio degli ostaggi. “Penso che la cosa più importante sia che il governo sappia di avere l’appoggio della stragrande maggioranza degli israeliani.”

Le uccisioni di Beirut dimostrano che non c’è nessuna volontà di arrivare a un cessate il fuoco

Comunque gli omicidi hanno irritato molti israeliani che chiedono ad alta voce una soluzione pacifica della guerra.

Nelle scorse settimane Standing Together [Stare uniti], un movimento ebreo-arabo per la pace, ha portato migliaia di persone in piazza per chiedere un cessate il fuoco bilaterale e la fine dell’attuale campagna militare a Gaza.

Alon-Lee Green, il suo co-direttore, dice ad Al Jazeera che gli omicidi sono stati un messaggio di Netanyahu e del suo gabinetto di guerra che “non siamo disposti a negoziare”.

Una vittoria militare, non politica

Secondo alcuni analisti quanto successo a Beirut potrebbe essere visto da molti israeliani come un successo militare, ma non si traduce necessariamente in una vittoria politica di Netanyahu.

Piuttosto, secondo Goren, ciò allarga il divario tra la “mancanza di fiducia nell’attuale dirigenza del governo e il costante alto livello di fiducia nei confronti degli ambienti dell’apparato della sicurezza, nonostante tutto quello che è successo il 7 ottobre.”

Secondo lui il fatto che anche Gantz, un oppositore politico, faccia parte del gabinetto di guerra dimostra che l’obiettivo di dare la caccia ad Hamas è condiviso dalla maggioranza dei dirigenti politici, e di conseguenza i successi militari non sono attribuibili solo a Netanyahu.

Yossi Mekelberg, professore associato del programma MENA [Medio Oriente e Nord Africa] presso la Chatham House [prestigioso centro studi britannico, ndt.], afferma che, anche se avvenimenti come le uccisioni di Beirut possono offrire una breve tregua alla criticatissima dirigenza israeliana, non cambieranno la precaria situazione politica di Netanyahu.

Il primo ministro è generalmente considerato responsabile di quanto avvenuto il 7 ottobre, quindi secondo Mekelberg anche se ci fosse un cessate il fuoco l’opposizione probabilmente contesterebbe la sua posizione e chiederebbe nuove elezioni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Dentro il campo di tortura israeliano per i prigionieri di Gaza

Yuval Abraham

5 gennaio 2024 – + 972 Magazine

I palestinesi arrestati nel nord della Striscia di Gaza descrivono gli abusi sistematici dei soldati israeliani sia sui civili che sui combattenti, dalle gravi deprivazioni alla crudele violenza fisica.

Allinizio di dicembre sono circolate in tutto il mondo immagini che mostravano decine di palestinesi nella città di Beit Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza, mentre venivano svestiti e lasciati in mutande, fatti inginocchiare o sedere piegati in avanti, poi bendati e caricati come bestiame sul retro di camion militari israeliani. Come confermato in seguito da funzionari della sicurezza israeliani la stragrande maggioranza di questi uomini era costituita da civili senza affiliazione ad Hamas, portati via dallesercito senza che le loro famiglie venissero informate sul luogo di detenzione. Alcuni di loro non sono mai tornati.

+972 Magazine e Local Call hanno parlato con quattro dei civili palestinesi apparsi in quelle foto, o arrestati vicino al luogo del fatto e portati nei centri di detenzione militare israeliani, dove sono stati trattenuti per diversi giorni o addirittura settimane prima di essere rilasciati per tornare a Gaza. Le loro deposizioni, insieme a 49 testimonianze video pubblicate da vari media arabi di palestinesi arrestati nelle ultime settimane in circostanze simili nei distretti settentrionali di Zeitoun, Jabalia e Shujaiya, rivelano abusi e torture sistematiche da parte dei soldati israeliani contro tutti i detenuti, sia civili che militanti.

Secondo queste testimonianze i soldati israeliani hanno sottoposto i detenuti palestinesi a scosse elettriche, ustionato la loro pelle con gli accendini, sputato loro in bocca, li hanno privati del sonno, del cibo e dellaccesso ai bagni fino a costringerli a defecarsi addosso. Molti sono stati legati a una recinzione per ore, ammanettati e bendati per gran parte della giornata. Alcuni hanno testimoniato di essere stati picchiati su tutto il corpo e che gli sono state spente delle sigarette sul collo e sulla schiena. Si è saputo che in seguito a tali condizioni di detenzione diverse persone sono morte.

I palestinesi con cui abbiamo parlato hanno detto che la mattina del 7 dicembre, quando sono state scattate le foto a Beit Lahiya, i soldati israeliani sono entrati nel quartiere e hanno ordinato a tutti i civili di lasciare le loro case. Gridavano: Tutti i civili devono scendere e arrendersi’”, ha detto a +972 e Local Call Ayman Lubad, un ricercatore in legge presso il Centro Palestinese per i Diritti Umani, arrestato quel giorno insieme al fratello minore.

Secondo le testimonianze, i soldati hanno ordinato a tutti gli uomini di spogliarsi, li hanno riuniti in un unico luogo e hanno scattato le foto che sono state poi diffuse sui social media (alti funzionari israeliani hanno poi rimproverato i soldati per aver diffuso le immagini). Nel frattempo è stato ordinato a donne e bambini di recarsi all’ospedale Kamal Adwan.

Quattro diversi testimoni hanno riferito separatamente a +972 e Local Call che mentre erano seduti ammanettati per strada i soldati sono entrati nelle case del quartiere e appiccato il fuoco; +972 e Local Call hanno ottenuto le foto di una delle case bruciate. I soldati hanno detto ai detenuti che erano stati arrestati perché “non si erano trasferiti nel sud della Striscia di Gaza”.

Un numero imprecisato di civili palestinesi è rimasto nella parte settentrionale della Striscia nonostante gli ordini di espulsione israeliani che sin dalle prime fasi della guerra hanno portato centinaia di migliaia di persone a fuggire verso sud. Coloro con cui abbiamo parlato hanno elencato diversi motivi per cui non sono partiti: paura di subire il bombardamento da parte dell’esercito israeliano durante il viaggio verso sud o mentre vi si trovavano rifugiati; paura di essere presi di mira dai combattenti di Hamas; difficoltà motorie o disabilità tra i membri della famiglia e lincertezza della vita nei campi di sfollati nel sud. La moglie di Lubad, ad esempio, aveva appena partorito e loro temevano i rischi insiti nel lasciare casa con un neonato.

In un video girato sul posto a Beit Lahiya un soldato israeliano con in mano un megafono è di fronte agli abitanti prigionieri, disposti in fila nudi, in ginocchio e con le mani dietro la testa, e proclama: L’esercito israeliano è arrivato. Abbiamo distrutto Gaza [City] e Jabalia a vostro discapito. Abbiamo occupato Jabalia. Stiamo occupando tutta Gaza. E’ questo quello che volete? Siete dalla parte di Hamas?” I palestinesi ribattono che sono dei civili.

“La nostra casa è bruciata davanti ai miei occhi”, ha detto a +972 e Local Call Maher, uno studente dell’Università Al-Azhar di Gaza, che appare in una fotografia dei prigionieri a Beit Lahiya (ha chiesto di usare uno pseudonimo per paura che lesercito israeliano si vendichi contro i suoi familiari, ancora reclusi in un centro di detenzione militare). Testimoni oculari hanno detto che il fuoco si è diffuso in modo incontrollabile, la strada si è riempita di fumo e i soldati hanno dovuto spostare i palestinesi legati a qualche decina di metri dalle fiamme.

“Ho detto al soldato: ‘La mia casa è andata a fuoco, perché state facendo questo?’ E lui ha risposto: ‘Dimentica questa casa’”, ricorda Nidal, un altro palestinese presente anche lui in una fotografia a Beit Lahiya che ha chiesto di usare uno pseudonimo per gli stessi motivi.

“Mi ha chiesto dove mi faceva male e poi mi ha colpito con violenza”

Si sa che attualmente sono detenuti nelle carceri israeliane più di 660 palestinesi di Gaza, la maggior parte dei quali nella prigione di Ketziot nel deserto del Naqab/Negev. Un ulteriore numero, che l’esercito si rifiuta di rivelare ma potrebbe arrivare a diverse migliaia, è detenuto in diverse basi militari tra cui quella di Sde Teyman vicino a Be’er Sheva, dove si presume avvengano gran parte degli abusi sui prigionieri.

Secondo le testimonianze, i detenuti palestinesi di Beit Lahiya sono stati caricati su camion e portati su una spiaggia. Sono stati lasciati lì legati per ore e un’altra loro foto è stata scattata e diffusa sui social media. Lubad racconta come una delle soldatesse israeliane abbia ordinato a diversi detenuti di ballare e poi li abbia filmati.

I prigionieri, ancora in mutande, sono stati poi portati in un’altra spiaggia all’interno di Israele, vicino alla base militare di Zikim, dove, secondo le loro testimonianze, i soldati li hanno interrogati e picchiati duramente. Secondo quanto riportato dai media, i primi interrogatori sono stati condotti da membri dell’Unità 504 dell’esercito, un corpo di intelligence militare.

Maher ha raccontato la sua esperienza a +972 e Local Call: Un soldato mi ha chiesto: Come ti chiami?e ha iniziato a darmi pugni allo stomaco e calci. Mi ha detto: Fai parte di Hamas da due anni, dimmi come ti hanno reclutato”. Gli ho risposto che ero uno studente. Due soldati mi hanno aperto le gambe e mi hanno dato un pugno lì e in faccia. Ho iniziato a tossire e mi sono reso conto che non riuscivo a respirare. Ho detto loro: Sono un civile, sono un civile”.

“Ricordo di aver fatto allungato la mano lungo il corpo e di aver sentito qualcosa di pesante”, continua Maher. Non mi ero reso conto che era la mia gamba. Non riuscivo più a sentire il mio corpo. Ho detto al soldato che mi faceva male e lui si è fermato e ha chiesto dove; gli ho risposto allo stomaco e allora mi ha colpito forte allo stomaco. Mi hanno detto di alzarmi. Non riuscivo a sentire le gambe e non potevo camminare. Ogni volta che cadevo mi picchiavano di nuovo. Sanguinavo dalla bocca e dal naso e sono svenuto”.

I soldati hanno interrogato alcuni prigionieri in questo stesso modo, li hanno fotografati, hanno controllato le loro carte d’identità e poi li hanno divisi in due gruppi. La maggior parte, compresi Maher e il fratello minore di Lubad, sono stati rimandati a Gaza dove hanno raggiunto quella stessa notte le loro case. Lo stesso Lubad faceva parte di un secondo gruppo di circa 100 prigionieri di Beit Lahiya che quel giorno sono stati trasferiti in una struttura di detenzione militare all’interno di Israele.

Mentre erano lì i prigionieri sentivano regolarmente aerei che decollavano e atterravano”, quindi è probabile che fossero trattenuti nella base di Sde Teyman accanto a Beer Sheva, che comprende un aeroporto; secondo lesercito israeliano questo è il luogo in cui i prigionieri di Gaza vengono trattenuti per essere esaminati, vale a dire per decidere se devono essere classificati come civili o combattenti illegali”.

Secondo lufficio del portavoce dellesercito israeliano, le strutture di detenzione militare sono destinate solo agli interrogatori e allo screening iniziale dei prigionieri, prima che vengano trasferiti al servizio carcerario israeliano o fino al loro rilascio. Le testimonianze dei palestinesi trattenuti allinterno della struttura, tuttavia, dipingono un quadro completamente diverso.

Siamo stati torturati per l’intera giornata”

All’interno della base militare, i palestinesi sono stati trattenuti in gruppi di circa 100 persone. Secondo le testimonianze, sono rimasti ammanettati e bendati per tutto il tempo, e potevano riposare solo tra mezzanotte e le 5 del mattino.

Uno dei detenuti di ciascun gruppo, scelto dai soldati in base alla conoscenza dell’ebraico e denominato “Shawish” (un termine gergale per servitore o subordinato), era l’unico senza benda sugli occhi. Gli ex detenuti hanno spiegato che i soldati che li sorvegliavano avevano delle torce laser verdi che usavano per indicare chiunque si muovesse, cambiasse posizione a causa del dolore o emettesse un suono. Gli Shawish portavano questi detenuti dai soldati che si trovavano dalla parte opposta della rete di filo spinato che circondava la struttura per essere puniti.

Secondo le testimonianze, la punizione più comune consisteva nell’essere legati ad una recinzione e costretti a tenere le braccia sollevate per diverse ore. Chiunque le abbassasse veniva portato via dai soldati e picchiato.

“Siamo stati torturati per tutto il giorno”, riferisce Nidal a +972 e Local Call. Stavamo inginocchiati, a testa bassa. Quelli che non ci riuscivano venivano legati alla recinzione, [per] due o tre ore, finché il soldato non decideva di lasciarli andare. Sono rimasto legato per mezz’ora. Tutto il mio corpo era coperto di sudore; le mani sono diventate insensibili.

A proposito delle regole Lubad ricorda: Non puoi muoverti. Se ti muovi, il soldato punta un laser verso di te e dice allo Shawish: Portalo fuori, sollevagli le braccia. Se abbassi le braccia lo Shawish ti porta fuori e i soldati ti picchiano. Sono stato legato alla recinzione due volte. E ho tenuto le mani alzate perché c’erano persone intorno a me che erano state ferite. Una persona è tornata con una gamba rotta. Si sentivano i colpi e le urla provenire dall’altro lato della recinzione. Hai paura di guardare o sbirciare attraverso la benda. Se ti vedono guardare, c’è una punizione. Portano fuori anche te o ti legano alla recinzione”.

Un altro giovane rilasciato dalla detenzione ha detto ai media dopo essere tornato a Gaza che le persone venivano torturate continuamente. Sentivamo le urla. Loro [i soldati] ci hanno chiesto: Perché siete rimasti a Gaza, perché non siete andati a sud?” E io ho risposto: Perché dovremmo andare a sud?” Le nostre case sono ancora in piedi e non siamo legati ad Hamas”. Ci hanno detto: ‘andate a sud; il 7 ottobre avete festeggiato [per lattacco guidato da Hamas]”.

In un caso, dice Lubad, un prigioniero che si rifiutava di inginocchiarsi e abbassava le braccia invece di tenerle alzate è stato portato ammanettato dietro la rete di filo spinato. I prigionieri sentivano le percosse, poi hanno sentito il detenuto imprecare contro un soldato e poi uno sparo. Non sanno se il detenuto sia stato effettivamente colpito né se sia vivo o morto; in ogni caso non è tornato per il resto del tempo in cui sono stati trattenuti lì coloro con cui abbiamo parlato.

Nelle interviste con i media arabi degli ex prigionieri hanno testimoniato che altri reclusi sono morti accanto a loro. Lì dentro sono morte delle persone. Un prigioniero aveva una malattia cardiaca. Lo hanno buttato fuori, non volevano prendersi cura di lui”, ha riferito una persona ad Al Jazeera.

Anche diversi prigionieri che si trovavano insieme a Lubad gli hanno raccontato di questa morte. Hanno detto che prima del suo arrivo un uomo anziano del campo profughi di Al-Shati, che era malato, è morto nella struttura a causa delle condizioni di detenzione. I detenuti hanno deciso di iniziare uno sciopero della fame per protestare per la sua morte e hanno restituito ai soldati le razioni di formaggio e pane. I prigionieri hanno riferito a Lubad che di notte i soldati sono entrati e li hanno picchiati duramente mentre erano ammanettati, e poi hanno lanciato contro di loro bombolette di gas lacrimogeno. I detenuti hanno smesso di scioperare.

L’esercito israeliano ha confermato a +972 e Local Call che dei prigionieri provenienti da Gaza sono morti nella struttura. “Sappiamo di casi di morte di persone recluse nel centro di detenzione”, ha detto il portavoce dell’esercito. Secondo le procedure, per ogni morte di un detenuto viene condotta un’indagine che comprende una verifica sulle circostanze della morte. I corpi dei prigionieri vengono trattenuti in conformità con l’ordinamento militare”.

Nelle testimonianze video i palestinesi rilasciati a Gaza descrivono casi in cui i soldati spegnevano sigarette sui corpi dei prigionieri e davano loro persino scosse elettriche. “Sono stato detenuto per 18 giorni”, ha detto un giovane ad Al Jazeera. [Il soldato] vede che ti addormenti, prende un accendino e ti brucia la schiena. Mi hanno spento delle sigarette sulla schiena un paio di volte. Uno dei ragazzi [che era bendato] ha detto [al soldato]: ‘Voglio dell’acqua da bere‘, e il soldato gli ha detto di aprire la bocca e poi ci ha sputato dentro”.

Un altro detenuto riferisce di essere stato torturato per cinque o sei giorni. Racconta che gli veniva detto: “Vuoi andare in bagno? Proibito”. [Il soldato] ti picchia. Ma io non sono Hamas, di cosa ho la colpa? Ma continua a dirti: ‘Tu sei Hamas, tutti quelli che rimangono a Gaza [City] sono Hamas. Se non fossi stato Hamas saresti andato a sud. Ti avevamo detto di andare a sud.'”

Shadi al-Adawiya, un altro prigioniero poi rilasciato, ha riferito a TRT [l’azienda radiotelevisiva di Stato turca, ndt.] in una testimonianza videoregistrata: Ci spegnevano le sigarette sul collo, sulle mani e sulla schiena. Ci prendevano a calci nelle mani e in testa. E c’erano le scosse elettriche”.

Non puoi chiedere nulla”, ha detto ad Al Jazeera un altro detenuto rilasciato dopo essere arrivato in un ospedale di Rafah. Se dici: Voglio bere, ti picchiano su tutto il corpo. Non c’è differenza tra vecchi e giovani. Ho 62 anni. Mi hanno colpito alle costole e da allora ho difficoltà a respirare”.

“Ho provato a togliermi la benda e un soldato mi ha dato una ginocchiata in fronte”

I palestinesi arrestati da Israele a Gaza, siano essi combattenti o civili, sono detenuti ai sensi della Legge sui combattenti illegali” del 2002. Questa legge israeliana consente allo Stato di trattenere combattenti nemici senza concedere loro lo status di prigioniero di guerra e di trattenerli per lunghi periodi di tempo senza regolari procedimenti legali. Israele può impedire ai detenuti di incontrare un avvocato e rinviare l’esame giudiziario fino a 75 giorni o, su approvazione di un giudice, fino a sei mesi.

Dopo lo scoppio dellattuale guerra in ottobre questa legge è stata modificata: secondo la versione approvata dalla Knesset il 18 dicembre, Israele può trattenere tali detenuti anche fino a 45 giorni senza emettere un ordine di detenzione: una disposizione che comporta preoccupanti conseguenze.

Scompaiono per 45 giorni”, ha detto a +972 e Local Call Tal Steiner, direttore esecutivo del Comitato Pubblico Contro la Tortura in Israele. Le loro famiglie non vengono informate. Durante questo periodo le persone possono morire senza che nessuno lo venga a sapere. [Si deve] provare che sia successo davvero. Tante persone possono semplicemente scomparire”.

L’ONG israeliana per i diritti umani HaMoked ha ricevuto chiamate da persone di Gaza riguardanti 254 palestinesi detenuti dall’esercito israeliano e i cui parenti non hanno idea di dove si trovino. Alla fine di dicembre HaMoked ha presentato una petizione allAlta Corte israeliana chiedendo che lesercito pubblichi informazioni sugli abitanti di Gaza detenuti.

Una fonte del Servizio Carcerario Israeliano ha detto a +972 e Local Call che la maggior parte dei detenuti prelevati da Gaza sono trattenuti dai militari e non sono stati trasferiti nelle carceri. È probabile che lesercito israeliano stia cercando di ottenere informazioni di intelligence dai civili utilizzando la legge sui combattenti illegali per tenerli prigionieri.

I detenuti che hanno parlato con +972 e Local Call hanno affermato di essere stati trattenuti nella struttura militare insieme a persone che sapevano essere membri di Hamas o della Jihad islamica. Secondo le testimonianze, i soldati israeliani non fanno distinzioni tra i civili e i membri di queste organizzazioni e trattano tutti allo stesso modo. Alcuni degli arrestati in uno stesso gruppo a Beit Lahiya quasi un mese fa non sono stati ancora rilasciati.

Nidal descrive come, oltre alla violenza subita dai detenuti, le condizioni di detenzione fossero estremamente dure. “La toilette è una sottile apertura tra due pezzi di legno”, dice. Ci mettevano lì ammanettati e bendati. Entravamo e facevamo pipì vestiti. Ed è sempre lì che bevevamo”.

I civili rilasciati dalla base militare israeliana hanno raccontato a +972 e Local Call che dopo pochi giorni sono stati portati da una struttura all’altra per essere interrogati. La maggior parte ha affermato di essere stata picchiata durante gli interrogatori. È stato loro chiesto se conoscevano agenti di Hamas o della Jihad islamica, cosa pensavano di quanto accaduto il 7 ottobre, quale dei loro familiari fosse un agente di Hamas, chi fosse entrato in Israele il 7 ottobre e perché non fossero fuggiti a sud come ordinato.”

Tre giorni dopo Lubad è stato portato a Gerusalemme per l’interrogatorio. “L’inquirente mi ha dato un pugno in faccia e alla fine mi hanno portato fuori e mi hanno bendato”, dice. Ho provato a togliermi la benda perché mi faceva male e un soldato mi ha dato una ginocchiata in fronte, quindi l’ho lasciata.

“Mezz’ora dopo hanno portato un altro prigioniero, un professore universitario”, continua Lubad. A quanto pare non ha collaborato con loro durante linterrogatorio. Lo hanno picchiato davvero senza pietà accanto a me. Gli hanno detto: ‘Stai difendendo Hamas, non rispondi alle domande. Mettiti in ginocchio, alza le mani.Ho sentito due persone venire verso di me. Pensavo che fosse il mio turno di essere picchiato e nell’attesa ero contratto in tutto il corpo. Qualcuno mi ha sussurrato allorecchio: Di’ cane”. Ho detto che non capivo. Mi ha risposto: Di‘: il giorno verrà per ogni cane’”, intendendo morte o punizione.

Lubad è stato poi riportato nella cella di detenzione. Secondo lui le condizioni a Gerusalemme erano migliori che nella struttura a sud. Per la prima volta non è stato ammanettato né bendato. “Avevo così tanto male ed ero così stanco che mi sono addormentato, e basta”, dice.

Siamo stati trattati come galline o pecore”

Il 14 dicembre, una settimana dopo essere stato portato via dalla sua casa a Beit Lahiya dove aveva lasciato moglie e tre figli, Lubad è stato messo su un autobus per tornare al valico di Kerem Shalom tra Israele e la Striscia di Gaza. Ha contato 14 autobus e centinaia di prigionieri. Lui e un altro testimone hanno riferito a +972 e Local Call che i soldati hanno detto loro di scappare e che chiunque si guarderà indietro, gli spareremo”.

Da Kerem Shalom i prigionieri si sono recati a Rafah, una città che nelle ultime settimane si è trasformata in un gigantesco campo profughi dovendo ospitare centinaia di migliaia di palestinesi sfollati. I prigionieri rilasciati indossavano pigiami grigi e alcuni hanno mostrato ai giornalisti palestinesi ferite ai polsi, alla schiena e alle spalle, esito evidente della violenza subita durante la reclusione. Indossavano braccialetti numerati che avevano ricevuto appena arrivati al centro di detenzione.

Euro-Med Monitor, un’organizzazione per i diritti umani con sede a Ginevra con diversi ricercatori sul campo a Rafah, ha dichiarato a +972 e Local Call che si stima che nelle ultime settimane almeno 500 abitanti di Gaza siano stati rilasciati e rientrati in città dopo essere stati trattenuti in centri di detenzione israeliani, riportando testimonianze di feroci torture e abusi.

I prigionieri hanno detto ai giornalisti che a Rafah non sapevano dove andare o dove fossero le loro famiglie. Molti di loro erano scalzi. “Sono rimasto bendato per 17 giorni”, ha riferito uno di loro. Siamo stati trattati come galline o pecore”, ha detto un altro.

Uno dei detenuti arrivati a Rafah ha detto a +972 e Local Call che dal momento del suo rilascio due settimane fa vive in una tenda di nylon. “Solo oggi ho comprato delle scarpe”, dice. A Rafah, ovunque guardi, vedi tende. Da quando sono stato rilasciato, per me è stata psicologicamente molto dura. Un milione di persone sono stipate qui, in una città di 200.000 abitanti [prima della guerra]”.

Lubad appena arrivato a Rafah ha chiamato sua moglie. Era felice di sapere che lei e i suoi figli erano vivi. «In carcere continuavo a pensare a loro, a mia moglie che si trova in una situazione difficile, sola con il nostro bambino appena nato», spiega.

Ma al telefono ha capito che c’era qualcosa che i suoi familiari non gli dicevano. Alla fine, Lubad ha scoperto che unora dopo che suo fratello minore era tornato dalla prigionia a Zikim Beach era stato ucciso da un proiettile israeliano che ha colpito la casa di un vicino.

Ricordando l’ultima volta che aveva visto suo fratello, Lubad dice: “Vedevo come eravamo seduti lì in mutande, e faceva un freddo terribile, e gli ho sussurrato: ‘Va bene, va tutto bene, tornerai sano e salvo.’

Durante la sua detenzione la moglie di Lubad ha detto ai figli che lui era in viaggio allestero; Lubad non è sicuro che ci credessero. Quel giorno suo figlio di 3 anni lo ha visto per strada senza vestiti. Mio figlio desiderava tanto andare allo zoo, ma a Gaza non c’è più nessuno zoo. Allora gli ho detto che durante il mio viaggio avevo visto una volpe a Gerusalemme – e in effetti la mattina, durante il mio interrogatorio, passavano alcune volpi. Gli ho promesso che, quando tutto sarebbe finito, avrei portato anche lui a vederle.

In risposta alle affermazioni fatte in questo articolo secondo cui i soldati israeliani avrebbero bruciato le case dei palestinesi arrestati a Beit Lahiya, il portavoce dellesercito ha commentato che le accuse saranno prese in esame”, aggiungendo che negli appartamenti delledificio sono stati trovati documenti appartenenti ad Hamas e una grande quantità di armi” e che dalledificio sarebbero stati sparati colpi contro le forze israeliane.

Il portavoce dellesercito ha affermato che i palestinesi di Gaza sarebbero stati arrestati per coinvolgimento in attività terroristiche” e che ai detenuti che risultano non coinvolti in attività terroristiche e per i quali un prolungamento della detenzione non è giustificato viene permesso di tornare nella Striscia di Gaza alla prima occasione.”

Per quanto riguarda le accuse di maltrattamenti e torture il portavoce dell’esercito ha affermato che tutte le accuse di condotta impropria nella struttura di detenzione vengono indagate approfonditamente. I detenuti vengono ammanettati in base al loro livello di rischio e alle condizioni di salute, secondo una valutazione quotidiana. Una volta al giorno la struttura di detenzione militare offre ai detenuti che la richiedano una consulenza medica per verificarne le condizioni di salute”.

Tuttavia, i prigionieri che hanno parlato con +972 e Local Call hanno affermato di essere stati visitati da un medico solo al loro arrivo nella struttura e di non aver ricevuto alcun trattamento medico successivo nonostante le ripetute richieste.

Yuval Abraham è un giornalista e attivista che vive a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Netanyahu voleva distruggere Hamas. Questa guerra potrebbe distruggere Israele

David Hearst

22 dicembre 2023 – Middle East Eye

La guerra di Gaza è stata un enorme errore di valutazione di Israele. Oltre a essere un disastro morale e militare, sta rinfocolando la resistenza e riaccendendo le braci della rabbia in tutto il mondo arabo.

Durante l’assedio di Beirut nel luglio 1982, dopo un bombardamento israeliano particolarmente intenso, il presidente degli USA Ronald Reagan chiamò il primo ministro israeliano Menachem Begin per chiedergli di porvi fine.

“Notte dopo notte qui sulle nostre televisioni vengono mostrati al nostro popolo i segni di questa guerra ed è un olocausto,” disse Reagan.

A differenza del democratico che siede oggi alla Casa Bianca, il presidente repubblicano poteva ed era pronto a sostenere con l’azione le proprie parole. Gli USA misero fine alle bombe a grappolo e alla vendita di F16 a Israele.

Il numero dei morti nella guerra del Libano varia enormemente. Secondo le stime libanesi nei quattro mesi che seguirono il lancio dell’invasione furono uccisi 18.085 libanesi e palestinesi. Le cifre dell’OLP sono di 49.600 civili uccisi o feriti.

In appena due mesi Israele ha ucciso lo stesso numero di persone, ma ha inflitto a Gaza un livello di distruzione molto maggiore. 

Secondo gli analisti militari intervistati dal Financial Times la devastazione di Israele nel nord di Gaza, dove dal 4 dicembre è stato distrutto il 68% degli edifici, è paragonabile al bombardamento alleato di Amburgo (75%), Colonia (61%), e Dresda (59%) avvenuto in quelle città dopo due anni di bombardamenti.

Circa 20.000 palestinesi, il 70% donne e minori, sono stati uccisi in metà del tempo che ci volle a costringere l’OLP a lasciare Beirut ovest nel 1982. Eppure la sete di sangue di Israele dopo l’attacco di Hamas il 7 ottobre non è ancora stata saziata. 

Interpretando un sentimento diffuso, Zvi Yehezkeli, corrispondente per gli affari arabi di Channel 13, ha detto che Israele dovrebbe uccidere 100.000 palestinesi. Daniella Weiss, capo del Movimento dei Coloni Israeliani, ha detto che Gaza deve essere rasa al suolo, in modo che i coloni possano vedere il mare.

Terra sacra

A differenza dell’assedio di Beirut o del massacro del 1982 nei campi profughi di Sabra e Shatila, il bombardamento notturno di Gaza viene trasmesso in diretta da Al Jazeera

Milioni di arabi non riescono a distogliere gli occhi dalle scene di orrore in tempo reale. Una signora di 91 anni ad Amman, in Giordania, ha detto al figlio di vergognarsi di mangiare davanti alla televisione mentre Israele sta riducendo Gaza alla fame. 

La fame forzata di massa non è un’esagerazione.

Human Rights Watch ha accusato Israele di usare la fame di massa come arma di guerra. La politica governativa di affamare Gaza è stata confermata da Miri Regev, ministra dei Trasporti, che, in un recente incontro di gabinetto ha chiesto se la fame potrebbe influenzare i leader di Hamas. I suoi colleghi hanno dovuto correggerla precisando che la fame è un crimine di guerra.

L’effetto che queste immagini sta avendo è una catastrofe non solo per questo governo, o per ogni futuro governo di Israele, ma anche per tutti quegli ebrei che decideranno di restare in questa terra quando il conflitto sarà finalmente terminato.

La distruzione di Gaza sta gettando le fondamenta per altri 50 anni di guerra. Generazioni di palestinesi, arabi e musulmani non dimenticheranno mai la barbarie con cui oggi Israele sta smantellando l’enclave. Gaza, di per sé un grande campo profughi, sta diventando terra sacra.

Crollo del sostegno all’ANP

Ci sono israeliani che hanno capito. Ami Ayalon, ex capo di Shin Bet e comandante della marina, è uno di loro. Ayalon ha identificato una debolezza fondamentale nel pensiero convenzionale nei circoli israeliani della sicurezza.

Ha detto ad Aaron David Miller, analista USA del Medio Oriente, che se l’esercito israeliano vede la vittoria attraverso il prisma dello strapotere – cioè più persone uccide e maggiore è la distruzione più pensa di aver vinto – Hamas considera la vittoria attraverso il prisma del potere di persuasione – più cuori e menti conquista, più grande è la vittoria.

Gli israeliani stanno commettendo lo stesso errore dei francesi in Algeria quando, fra il 1954 e il 1962, uccisero da mezzo milione a un milione e mezzo di algerini, dal 5% al 15% della popolazione, pensando che così facendo avrebbero vinto la guerra. Tuttavia alla fine della guerra dovettero andarsene e concedere l’indipendenza all’Algeria.

Null’altro può spiegare la spettacolare ascesa di Hamas nei sondaggi in Cisgiordania, Giordania e persino in posti come l’Arabia Saudita, dove i leader hanno cercato deliberatamente di seppellire la guerra organizzando dei festival.

Khalil Shikaki, sondaggista molto rispettato dell’OLP e che non ama molto Hamas, ha rilevato che il 72 % degli intervistati crede che Hamas sia stata nel “giusto” a lanciare il suo attacco del 7 ottobre, con l’82% di sostegno in Cisgiordania.

Allo stesso tempo il sostegno per l’Autorità Palestinese è di conseguenza crollato. Shikaki riporta che il 60% ne vorrebbe lo scioglimento.

Una serie di valutazioni dell’intelligence USA conferma la rapidissima ascesa della popolarità di Hamas dall’inizio della guerra. Funzionari a conoscenza delle diverse valutazioni dicono che il gruppo si è piazzato con successo in varie parti del mondo arabo e musulmano come difensore della causa palestinese e un combattente efficace contro Israele, come riportato dalla CNN.

Brutte notizie per tutti quei Paesi, naturalmente con gli USA in testa, che pensano che l’AP possa rimpiazzare Hamas a Gaza. Queste non sono solo cifre. È la nuova realtà politica dopo il 7 ottobre.

Ognuno degli alti papaveri di Fatah che la pensi diversamente viene immediatamente contestato. Oggi l’ambizioso esiliato palestinese Mohammed Dahlan [ex-capo della sicurezza di Fatah a Gaza, acerrimo nemico di Hamas e cacciato da Abu Mazen per corruzione, ndt.] e il suo clan sembrano sostenitori di lunga data di Hamas, non come quando si consideravano il fulcro di un piano internazionale per scacciare Hamas da Gaza nel 2007 dopo che aveva vinto le libere elezioni dell’anno prima.

Affare fatto

Ma Hussein al-Sheikh, segretario del comitato esecutivo dell’OLP e recentemente consacrato successore di Mahmoud Abbas, presidente dell’ANP, non ha ancora capito il cambiamento di atmosfera a Ramallah.

Sheikh, parlando a Reuters, ha attaccato Hamas dicendo che dal 2008 ha combattuto cinque guerre contro Israele e non ha ottenuto nulla con l’occupazione militare.

“Alcuni non accettano di credere che i suoi metodi e il suo approccio nella gestione del conflitto con Israele siano l’ideale e il migliore.

“Dopo tutte queste [morti] e dopo tutto quello che è successo, non vale la pena di fare una valutazione seria, onesta e responsabile per proteggere il nostro popolo e la nostra causa palestinese?

Non vale la pena discutere come gestire questo conflitto con l’occupazione israeliana?” dice Sheikh.

Sheikh sembra insinuare che la presa di potere dell’ANP a Gaza dopo guerra sia un affare fatto. Ha detto all’israeliano Channel 12 che Israele e l’AP si sono accordati su un meccanismo che permetterà all’Autorità di ricevere i fondi trattenuti [da Israele] fin dall’inizio della guerra.

Ci sono voluti due giorni interi a Sheikh per fare dietrofront sul suo attacco contro Hamas. Gli è stato chiesto come un leader di Fatah che nei sondaggi ha il 3% possa criticare Hamas, con il suo 48% sul suo stesso terreno.

Sheikh, questa volta parlando con Al Jazeera, ha detto che i suoi commenti sulle responsabilità di Hamas erano stati “fraintesi”: “L’Autorità Palestinese è la prima a difendere la resistenza,” ha detto nervosamente.

Divide et impera

L’offensiva israeliana contro Gaza ha certamente cambiato l’intero Medio Oriente, come aveva promesso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma non in modi da cui trarranno beneficio il suo governo o quelli futuri.

Per 17 anni Gaza è stata dimenticata o ignorata dal resto del mondo, eccetto durante le guerre del 2009, 2012, 2014 e 2021, l’America e le maggiori potenze europee hanno fatto del loro meglio per rafforzare l’assedio di Gaza da parte di Israele e dell’egiziano Abdel Fattah el-Sisi.

Bene, con il 60% distrutto e la gran parte della sua popolazione di 2.3 milioni senza case, scuole, ospedali, strade, negozi o moschee a cui far ritorno, non c’è pericolo che Gaza venga più ignorata.

Se per 17 anni la politica di Israele è stata dividere per dominare, separando Gaza dalla Cisgiordania ed eliminando tutte le possibilità di prendere parte a un governo di unità nazionale, Gaza e la Cisgiordania sono riunite come mai prima.

Se la Giordania è stata tranquilla per 50 anni dopo la sanguinosa guerra fra il suo esercito e l’OLP, se le divisioni fra i giordani dell’est e i cittadini palestinesi della Giordania sono state improntate da mutua sfiducia, oggi la Giordania, sia giordani che palestinesi, è un calderone ribollente di odio contro Israele. Ci sono crescenti tentativi di contrabbandare armi verso la Cisgiordania nei 360 km di confine, lungo oltre quattro volte quello con Libano e Siria.

La Giordania stima che Israele avrà bisogno di cinque volte il numero di truppe schierate lungo il confine libanese per metterlo in sicurezza.

In Giordania, con 13 campi profughi e milioni di palestinesi che sono cittadini, c’è la più grande concentrazione della diaspora palestinese, circa sei milioni, superando in numero i palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza.

Se il 6 ottobre Netanyahu si è vantato dell’imminente vittoria dei sionisti, sventolando davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite una mappa di Israele dove la Palestina era cancellata, oggi le sue vanterie sembrano tristemente mal riposte; se la firma dell’Arabia Saudita sull’accordo che riconosce Israele era considerata solo una questione di tempo, oggi gli Accordi di Abramo si sono dissolti nel calderone che Israele ha acceso a Gaza.  

Lo scaricabarile di Netanyahu

E le opinioni in Arabia Saudita? L’ultimo sondaggio contiene due cifre sorprendenti per un Paese il cui leader sta deliberatamente cercando di scrollarsi di dosso vecchie abitudini, incluso il sostegno alla Palestina.  Il 91% concorda che la guerra a Gaza sia una vittoria per palestinesi, arabi e musulmani e il 40% ha un atteggiamento positivo su Hamas, un cambiamento di 30 punti dall’agosto di quest’anno.

Oggi se si legge e ascolta quello che hanno da dire sauditi, qatarioti, emiratini e bahreiniti, il riconoscimento di Israele assomiglia straordinariamente all’iniziativa araba di pace del 2002 che gli accordi [di Abramo] avrebbero dovuto sostituire.

La caratteristica principale degli Accordi di Abramo studiata dall’ex ambasciatore USA in Israele, David M Friedman, e da Jared Kushner [genero e consigliere di Trump, ndt.], era di rendere irrilevante il veto palestinese. Ora c’è di nuovo. Anche se altri Paesi li firmeranno ciò sta diventando irrilevante, dato che la vera lotta si è cristallizzata fra i palestinesi e Israele. 

Fra le rovine di tutti questi piani Netanyahu e la sua coalizione di estrema destra hanno una sola direzione in cui possono andare: avanti. Non possono ritirarsi.

Per la propria sopravvivenza politica e giudiziaria Netanyahu deve continuare la guerra. Così come il sionismo nazional-religioso [l’estrema destra dei coloni, ndt.]. Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich [ministri di estrema destra, ndt.] sanno che perderebbero un’opportunità che si presenta solo una volta nella vita per cambiare l’equilibrio demografico fra ebrei e palestinesi in Cisgiordania se Netanyahu è costretto dal presidente USA Joe Biden a porre fine alla guerra.

Alla domanda di Middle East Eye su quali piani abbia Israele per il “giorno dopo” la fine della guerra, esperti analisti israeliani ed ex diplomatici sono stati unanimi nelle loro risposte: non ce ne sono. 

Eran Etzion, ex diplomatico e membro del Consiglio Nazionale di Sicurezza, ha detto che Netanyahu sta sicuramente pensando al giorno dopo, ma solo a come ciò influenzerà le sue possibilità di sopravvivenza politica.

È molto chiaro che si è già reso conto che gli americani stanno per fermarlo prima che abbia raggiunto gli obiettivi della guerra,” ha detto.

Si sta già preparando per lo ‘scaricabarile’, i suoi bersagli saranno Biden, i capi militari, i media, e come si dice in ebraico, tutto il mondo e sua moglie che gli hanno impedito di raggiungere la vittoria.

“Quindi per lui il giorno dopo è la continuazione della guerra a ogni costo, dato che lo scopo è restare al potere.”

Etzion ha fatto notare che, anche dopo due mesi di campagna, non c’è nessun contesto ufficiale o gruppo di politici che pianifichi la gestione del dopoguerra a Gaza, e non ci sono discussioni ufficiali fra l’establishment della difesa israeliana e i funzionari USA a Washington.

Incredibile errore di valutazione

La guerra potrebbe esaurirsi sotto la pressione USA e continuare come un conflitto caratterizzato da attacchi dell’esercito israeliano contro i leader di Hamas e una guerriglia prolungata di combattenti in piccole unità. 

Ma questo comporta che Israele non solo si impadronisca del valico di Rafah e sigilli i tunnel per impedire ad Hamas di rifornirsi con armi contrabbandate oltre confine, significa che Israele provveda all’amministrazione civile del nord di Gaza, che ha completamente distrutto.

Per la destra gli ostaggi che Hamas continua a detenere sono praticamente come già morti, ma Netanyahu subirà una pressione crescente dalle loro famiglie perché abbandoni la sua guerra.

I fantasmi del Libano stanno veramente ritornando indietro a perseguitare Israele. Ci vollero 15 anni perché Israele se ne andasse quando Beirut era diventata indifendibile, ma nel 2000 se ne andò. Quando lo fece Hezbollah diventò la forza militare e politica predominante in quel Paese.

Questa guerra è stata un incredibile errore di valutazione per Israele. È un disastro militare oltre che morale. Sta dando alla resistenza una popolarità e uno status nel mondo arabo mai visti in molti decenni.

Neppure la prima e la seconda intifada hanno avuto il successo di Hamas a Gaza negli ultimi due mesi. Gaza ha riacceso le braci della rabbia araba per le umiliazioni subite per mano degli immigrati ebrei.

Il risultato di questa guerra potrà essere un continuo stato di conflitto che priverà Israele della sua affermazione di essere diventato un normale Stato occidentale. In queste condizioni, l’allargamento della guerra esisterà sempre, come mostrano gli attacchi degli Houthi dello Yemen contro i cargo occidentali che passano attraverso il mar Rosso.

Mitut Hamas” (crollo di Hamas) slogan in ebraico e scopo del gabinetto di guerra israeliano. Dopo due mesi di una tale distruzione, potrebbero aggiornarlo con questo: “Mitut Israel”, perché è questo l’effetto che potrebbe avere questa guerra.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo redattore di Middle East Eye. È un commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. È stato capo redattore di politica estera per The Guardian e corrispondente in Russia, Europa e da Belfast. È arrivato a The Guardian da The Scotsman, dove si occupava del settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Chi era Saleh al-Arouri, il dirigente di Hamas ucciso a Beirut?

Redazione di Al Jazeera

3 gennaio 2024 – Al Jazeera

L’uccisione del vice-capo dell’ufficio politico di Hamas potrebbe scatenare una rappresaglia da parte di Hamas ed Hezbollah.

Martedì un attacco con un drone nel quartiere periferico di Dahiyeh, roccaforte di Hezbollah a Beirut sud, ha ucciso l’importante politico di Hamas Saleh al-Arouri.

L’agenzia statale di notizie libanese ha informato che il drone ha colpito un ufficio di Hamas uccidendo sei persone.

Hamas ha confermato la morte di Al-Arouri e l’ha definita un “vigliacco assassinio” da parte di Israele, aggiungendo che gli attacchi contro i palestinesi “dentro e fuori dalla Palestina non riusciranno a spezzare la volontà e la tenacia del nostro popolo o a impedire la continuazione della nostra coraggiosa resistenza.”

“Ciò dimostra ancora una volta il totale fallimento del nostro nemico nel raggiungere i suoi scopi aggressivi nella Striscia di Gaza,” ha affermato l’organizzazione.

In seguito alla notizia della morte di al-Arouri le moschee di Arura, la città a nord di Ramallah nella Cisgiordania occupata, hanno pianto la sua morte ed è stato dichiarato uno sciopero generale per mercoledì.

Ecco quello che c’è da sapere del dirigente di Hamas morto in Libano.

Chi era Saleh al-Arouri?

Al-Arouri, 57 anni, era il vice-capo dell’ufficio politico di Hamas e uno dei fondatori dell’ala militare del gruppo, le brigate Qassam.

Dopo aver passato 15 anni in una prigione israeliana viveva in esilio in Libano. Prima che il 7 ottobre iniziasse la guerra, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’aveva minacciato di morte.

Nelle ultime settimane al-Arouri aveva assunto il ruolo di portavoce dell’organizzazione e lo scorso mese aveva detto ad Al Jazeera che Hamas non avrebbe discusso un accordo per lo scambio degli ostaggi detenuti dal gruppo prima della fine della guerra a Gaza.

Nel 2015 gli Stati Uniti avevano etichettato al-Arouri un “terrorista globale” e promesso una taglia di 5 milioni di dollari per ogni informazione su di lui.

Cosa ha detto Israele della morte di al-Arouri?

Mentre non ci sono state reazioni ufficiali di Israele sulla morte del politico di Hamas, Mark Regev, consigliere di Netanyahu, ha detto al sito di notizie statunitense MSNBC che Israele non si assume la responsabilità dell’attacco. Ma, ha aggiunto, “chiunque lo abbia fatto, deve essere chiaro che non si è trattato di un attacco contro lo Stato libanese.”

“Chiunque lo abbia fatto ha compiuto un attacco chirurgico contro la dirigenza di Hamas,” ha affermato.

Tuttavia Danny Danon, ex- ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, ha esaltato l’attacco e si è congratulato con l’esercito israeliano, lo Shin Bet, il servizio di sicurezza, e il Mossad, il servizio di intelligence, per l’uccisione di al-Arouri.

“Chiunque sia convolto nel massacro del 7 ottobre dovrebbe sapere che lo troveremo e faremo i conti con lui,” ha scritto su X in ebraico, in riferimento all’attacco del 7 ottobre di Hamas nel sud di Israele che ha ucciso circa 1.200 persone.

I continui bombardamenti e colpi di artiglieria israeliani contro Gaza hanno ucciso da allora più di 22.000 palestinesi, tra cui più di 8.000 minori.

Secondo i media israeliani, dopo il tweet di Danon il governo ha ordinato ai ministri di non rilasciare interviste riguardo alla morte di al-Arouri.

Quale è stata la risposta dal Libano?

Il primo ministro libanese ad interim Najib Mikati ha condannato l’attacco contro il quartiere di Beirut ed ha affermato che si è trattato di un “nuovo crimine israeliano” e di un tentativo di spingere il Libano in guerra.

Mikati ha anche messo in guardia verso “gli alti dirigenti politici israeliani che ricorrono all’esportazione del fallimento a Gaza sul confine meridionale [del Libano] per imporre nuovi fatti sul terreno e cambiare le regole d’ingaggio.”

Hezbollah ha affermato che l’attacco contro la capitale del Libano “non passerà impunito.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La denuncia contro Israele presentata alla CIG dal Sud Africa può fermare la guerra a Gaza?

Shola Lawal

3 gennaio 2024 – Aljazeera

Il procedimento giudiziario chiesto dal Sud Africa potrebbe richiedere anni, ma potrebbe dare peso alle crescenti richieste internazionali a Israele di fermare la guerra.

La settimana scorsa il Sudafrica è diventato il primo Paese a intentare una causa contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dellAia aumentando la pressione internazionale su Tel Aviv affinché cessi l’implacabile bombardamento mortale della Striscia di Gaza intrapreso il 7 ottobre 2023 e che ha ucciso più di 22.000 civili, di cui un numero notevole di minori.

Nella denuncia di 84 pagine che il Sudafrica ha presentato alla Corte il 29 dicembre sono riportate in modo dettagliato le prove della brutalità perpetrata a Gaza e viene chiesto alla Corte – lorganismo delle Nazioni Unite preposto alla risoluzione delle controversie tra Stati – di dichiarare urgentemente che Israele dal 7 ottobre ha violato i suoi obblighi ai sensi diritto internazionale.

Questa mossa è l’ultima di una lunga lista di azioni intraprese da Pretoria dall’inizio della guerra contro Gaza, tra cui la condanna forte e insistente degli attacchi israeliani a Gaza e in Cisgiordania, il richiamo dell’ambasciatore sudafricano da Israele, la denuncia delle sofferenze dei palestinesi alla Corte Penale Internazionale (CPI) e la richiesta di un incontro straordinario dei Paesi BRICS per deliberare sul conflitto. La CPI si occupa di casi di presunti crimini commessi da individui, non da Stati.

Ecco in breve i punti della denuncia alla CIG:

Quali sono le accuse del Sudafrica contro Israele?

Il Sudafrica accusa Israele di aver star commettendo un genocidio a Gaza, in violazione della Convenzione sul Genocidio del 1948 che definisce il genocidio come atti commessi con lintento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.

Le azioni genocide elencate nella denuncia includono l’uccisione di un gran numero di palestinesi a Gaza, soprattutto minori; la distruzione delle loro case; la loro espulsione e sfollamento; oltre all’imposizione nella Striscia di un blocco su cibo, acqua e assistenza.

Inoltre includono la messa in atto di misure che impediscono le nascite palestinesi attraverso la distruzione dei servizi sanitari essenziali necessari per la sopravvivenza delle donne incinte e dei bambini.

Tutte queste azioni, si legge nella denuncia, sono intese a provocare la loro distruzione [dei palestinesi] come gruppo”.

Pretoria accusa inoltre Israele di non essere riuscito a prevenire e reprimere listigazione al genocidio, con specifico riferimento alle dichiarazioni di politici israeliani nel corso della guerra nel tentativo di giustificare le uccisioni e la distruzione a Gaza.

Il Sudafrica ha inoltre richiesto espressamente che la CIG si muova urgentemente per impedire a Israele di commettere ulteriori crimini nella Striscia, verosimilmente attraverso un’ingiunzione a Tel Aviv perché interrompa l’invasione. Tale richiesta avrà la priorità, ha affermato la CIG in una nota, ma non ha specificato una tempistica.

La documentazione del Sudafrica è particolarmente necessaria nel contesto della crescente disinformazione sulla guerra e per altri scopi di ampia portata, ha affermato Mai El-Sadany, avvocata per i diritti umani e direttrice del Tahrir Institute for Middle East Policy.

I procedimenti giuridici sono importanti per rallentare la normalizzazione di qualsiasi atrocità di massa commessa da Israele; mandano il messaggio che se un Paese commette delle atrocità di massa, come sta facendo Israele, deve aspettarsi di essere portato davanti a un tribunale internazionale, che i suoi precedenti siano valutati sulla base delle norme internazionali e che la sua reputazione sulla scena internazionale subisca un duro colpo,” dice.

Quali prove ha citato il Sudafrica?

Il Sudafrica sostiene che le dichiarazioni rilasciate da politici israeliani, incluso il primo ministro Benjamin Netanyahu, hanno dimostrato un intento genocida”.

Ad esempio, la denuncia cita il paragone fatto da Netanyahu tra i palestinesi e Amalek, una nazione biblica della cui distruzione Dio avrebbe incaricato gli israeliti. Il versetto biblico afferma: Ora va’ e colpisci Amalek… uccidi uomini, donne e bambini”.

Inoltre, nella sua dichiarazione del 26 dicembre, Netanyahu ha affermato che, nonostante la vasta distruzione di Gaza e luccisione di migliaia di persone, nei prossimi giorni intensificheremo i combattimenti, e questa sarà una lunga battaglia”.

Nella denuncia sono citate anche diverse altre dichiarazioni, comprese quelle in cui i funzionari israeliani hanno descritto il popolo di Gaza come una forza delle tenebre” e Israele come una forza della luce”.

Il Sudafrica aggiunge che la portata delle operazioni dellesercito israeliano, i suoi bombardamenti indiscriminati e le esecuzioni di civili, così come il blocco da parte di Israele su cibo, acqua, medicine, carburante, ripari e altra assistenza umanitaria”, sono la prova delle sue affermazioni. La denuncia sostiene che tali azioni hanno spinto la Striscia sullorlo della carestia”.

Oltre al genocidio, il Sudafrica sostiene che Israele sta commettendo

nella Striscia di Gaza altre violazioni del diritto internazionale, tra cui l’aver lanciato un’aggressione contro la cultura palestinese attraverso l’assalto a luoghi di religione, istruzione, arte, scienza, a monumenti storici, ospedali e luoghi dove vengono accolti i malati e i feriti”.

Sono già state presentate denunce simili?

SÌ. Secondo la Convenzione sul genocidio, gli Stati-nazione possono sporgere denuncia di genocidio contro altri Paesi, indipendentemente dal fatto che siano direttamente coinvolti o meno nel conflitto. Nel 2019, il Gambia, a nome dellOrganizzazione per la Cooperazione Islamica, ha presentato una petizione alla Corte contro il Myanmar per le sue atrocità contro il popolo Rohingya.

Israele e Sud Africa hanno entrambi aderito alla CIG, il che significa che le sue sentenze sono vincolanti per entrambi. Ma mentre la CIG ha più peso del Consiglio di Sicurezza dellONU, dove Israele è strettamente protetto dagli Stati Uniti, la Corte non ha potere esecutivo. In effetti, in alcuni casi gli ordini della CIG sono stati ignorati senza pesanti conseguenze.

Nel marzo 2022, ad esempio, un mese dopo che la Russia aveva invaso lUcraina, Kiev ha intentato una causa contro la Russia presso la Corte. In quel caso lUcraina ha anche chiesto alla CIG di stabilire misure di emergenza per fermare laggressione della Russia.

Infatti poco dopo la Corte ha ordinato a Mosca di sospendere le operazioni militari, affermando di essere profondamente preoccupata” per laggressione allUcraina. Tuttavia, più di un anno dopo, la guerra in Europa continua.

Cosa succederà dopo?

Martedì le autorità sudafricane hanno confermato che la CIG ha fissato un’udienza per l’11 e il 12 gennaio. “I nostri avvocati si stanno attualmente preparando per questo”, ha scritto su X, ex Twitter, Clayson Monyela, portavoce del Dipartimento per le Relazioni Internazionali e la Cooperazione del Sudafrica.

Ma i procedimenti possono richiedere tempo, anche anni. La Corte, ad esempio, sta ancora deliberando sul caso del Gambia contro il Myanmar del 2019. Su quel caso ci sono state udienze probatorie, lultima nellottobre 2023, quando la Corte ha chiesto al Gambia di rispondere alle controargomentazioni del Myanmar.

Nella sua presentazione di dicembre il Sudafrica ha richiesto preventivamente una procedura accelerata. La sua richiesta di un ordine di emergenza da parte della CIG potrebbe produrre risultati abbastanza rapidi – nel giro di poche settimane – come è accaduto nel caso dellUcraina.

Rispondendo alla denuncia, il Ministero degli Affari Esteri israeliano ha negato con veemenza le accuse di genocidio e ha descritto le accuse di Pretoria come una diffamazione razziale” e una strumentalizzazione spregevole e arrogante” della Corte. Una dichiarazione del ministero ha inoltre accusato il Sudafrica di essere criminalmente complice” degli attacchi di Hamas.

Martedì il portavoce Eylon Levy ha confermato che Tel Aviv si difenderà all’udienza dell’Aia. Assicuriamo ai leader del Sud Africa che la storia li giudicherà e li giudicherà senza pietà”, ha detto Levy ai giornalisti.

Sarang Shidore, direttore del centro di ricerca Quincy Institute con sede a Washington, ha affermato che questa posizione potrebbe significare che Tel Aviv sta prendendo la denuncia come una seria sfida alle sue politiche a Gaza.

Mentre qualsiasi decisione della CIG potrebbe avere poca influenza sulla guerra in sé, una sentenza a favore del Sudafrica e dei palestinesi eserciterebbe una pressione significativa sul sostenitore numero uno e di fatto arsenale di Israele: il governo degli Stati Uniti.

Lamministrazione Biden è sempre più vulnerabile nei confronti degli oppositori interni della guerra e delle accuse internazionali di doppi standard”, ha detto Shidore, alludendo alla netta differenza tra la posizione degli Stati Uniti sulla guerra Russia-Ucraina e quella sulla guerra di Gaza. Tuttavia, una sentenza contro Israele potrebbe avere implicazioni sulla posizione degli Stati Uniti”, ha affermato, aggiungendo: La mia sensazione è che lamministrazione Biden e alcuni importanti alleati europei sosterranno fortemente Israele alla CIG”. Ma vedremo come sarà formulato nella pratica questo sostegno”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra tra Israele e Palestina: alcuni sopravvissuti all’attacco del 7 ottobre contro il rave fanno causa alle forze di sicurezza israeliane

Redazione di MEE

2 gennaio 2023 – Middle East Eye

Alcuni spettatori del festival musicale Supernova intentano una causa per 56 milioni di dollari contro le autorità israeliane accusandole di “negligenza ed errori madornali”

Un gruppo di feriti sopravvissuti all’attacco guidato da Hamas il 7 ottobre nel sud di Israele contro il festival musicale hanno denunciato le forze di sicurezza israeliane per presunta negligenza.

Lunedì quarantadue parti lese che avevano partecipato al rave Supernova, nei pressi della Striscia di Gaza assediata, hanno avviato una causa civile per 56 milioni di dollari presso un tribunale di Tel Aviv contro l’esercito, la polizia, il Ministero della Difesa e il servizio di sicurezza Shin Bet israeliani.

Tre mesi fa il festival è stato tra i vari luoghi attaccati dai combattenti palestinesi in un assalto che ha ucciso circa 1.140 persone, in grande maggioranza civili. Circa altre 240 sono state portate come ostaggi a Gaza.

“Hamas ha ucciso 364 partecipanti alla festa e ne ha portati a Gaza come ostaggi 40, alcuni dei quali sono stati rilasciati e altri sono scomparsi. Molti sono rimasti feriti fisicamente o mentalmente, compresi i denuncianti” si legge nell’azione civile.

“Una semplice telefonata da parte di ufficiali delle IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] al comandante responsabile della festa perché venisse immediatamente sospesa alla luce del prevedibile pericolo avrebbe salvato vite ed evitato ferite fisiche e mentali a centinaia di partecipanti, tra cui le parti lese,” continua la denuncia.

“La negligenza e gli errori madornali sono andati oltre ogni immaginazione.”

La denuncia include richieste per mancati guadagni attuali e futuri, dolore e sofferenza e spese mediche.

Cita resoconti secondo cui importanti funzionari israeliani avevano manifestato preoccupazione riguardo all’evento, e qualcuno si era persino opposto alla sua realizzazione.

Nella notte tra il 6 e il 7 ottobre si sono tenute almeno due perizie dell’IDF a causa di incidenti inconsueti sul confine della Striscia di Gaza, una verso mezzanotte e un altro controllo verso le 3 del mattino, parecchie ore prima dell’attacco di Hamas,” sostiene la denuncia.

Aggiunge che le parti lese sono state scioccate dal fatto che, nonostante timori tra i funzionari della sicurezza che combattenti palestinesi potessero effettuare un attacco, non ci siano stati ordini di annullare l’evento.

Ridottissima presenza della polizia

In più la denuncia aggiunge che la sicurezza dell’esercito israeliano per l’evento è stata inadeguata a causa della festa religiosa di Simchat Torah [Gioia per la Torah]. Afferma che solo 27 agenti di polizia erano stati distaccati alla festa.

“L’evento si è tenuto a poca distanza dal confine con la Striscia. Il rumore della festa è stato sentito dagli abitanti di Gaza e i partecipanti sono stati un facile bersaglio dell’attacco terroristico,” ha affermato Shimon Buchbut, un comandante dell’aviazione in congedo citato nella denuncia.

Il mese scorso il New York Times aveva informato che oltre un anno prima che avvenisse ufficiali israeliani avevano ottenuto un piano dell’attacco del 7 ottobre, ma lo avevano ignorato in quanto troppo ambizioso.

Gli ufficiali avevano ricevuto un documento di 40 pagine, denominato da Israele “Mura di Gerico”, che tracciava con dettagli precisi i piani dell’attacco.

Il piano non stabiliva una data per l’aggressione, ma includeva “dettagli sulla localizzazione e le dimensioni delle forze militari israeliane, sui centri di comunicazione e altre informazioni sensibili.”

Specificava poi l’uso di attacchi con i razzi per distrarre i soldati israeliani, di droni per disattivare le misure di sicurezza e invadere la base militare israeliana nel kibbutz di Re’im, vicino a dove si teneva il rave party.

Il rapporto affermava che a luglio un’analista dell’Unità 8200 israeliana [specializzata nello spionaggio informatico, ndt.] aveva avvertito che Hamas stava effettuando un’esercitazione durata un giorno intero simile ai piani delineati in “Mura di Gerico”.

L’analista affermava che ciò includeva una simulazione dell’abbattimento di un velivolo israeliano e dell’occupazione di un kibbutz e di una base per l’addestramento militare e l’uccisione di tutte le reclute presenti.

Un ufficiale dell’esercito nella divisione israeliana responsabile di contrastare le minacce da Gaza si sarebbe congratulato con l’analista ma l’avrebbe definito uno scenario “totalmente fantasioso”.

Circa 22.000 palestinesi di Gaza, in grande maggioranza donne e minori, sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani dall’inizio della guerra circa tre mesi fa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il governo della “seconda Nakba” coglie l’attimo

Meron Rapaport

2 gennaio 2024, +972Mag

I leader israeliani esprimono esplicitamente l’intenzione di riutilizzare oggi a Gaza i metodi del 1948. Ma ciò che non riuscì a domare i palestinesi allora non ci riuscirà adesso.

All’inizio del dicembre 2022, poco prima che il governo di estrema destra israeliano prestasse giuramento e molto prima degli orrendi eventi del 7 ottobre e del brutale attacco israeliano alla Striscia di Gaza, Ameer Fakhoury e io avevamo pubblicato un articolo su queste pagine intitolato “Perché il governo della ‘seconda Nakba’ vuole rimodellare lo Stato israeliano”.

La nostra preoccupazione che questo governo volesse effettuare un’espulsione sul modello dell’esproprio di massa della Nakba del 1948 era basata sul fatto che a Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir erano stati assegnati ruoli centrali nel governo: Smotrich Ministro delle Finanze e de facto signore della Cisgiordania e Ben Gvir Ministro della Sicurezza Nazionale. Questo duo, avevamo scritto, desidera il caos, credendo che ciò “porterà al momento decisivo in cui i palestinesi si piegheranno o verranno espulsi”.

Un anno dopo i nostri peggiori timori si sono avverati: 1,9 dei 2,2 milioni di abitanti palestinesi della Striscia di Gaza sono attualmente sfollati dalle loro case – che in molti casi sono state completamente distrutte – e alti esponenti del governo israeliano stanno apertamente promuovendo e attivamente lavorando per l’espulsione di massa dall’enclave assediata.

Nei giorni scorsi Smotrich ha esposto in termini chiari la sua visione per la Striscia. “La mia richiesta è che Gaza cessi di essere un focolaio dove 2 milioni di persone crescono nell’odio e aspirano a distruggere lo Stato di Israele”, ha detto in un’intervista alla radio militare la settimana scorsa. “Se a Gaza ci fossero 100.000 o 200.000 arabi e non 2 milioni, tutto il discorso sul giorno dopo [la fine della guerra] sarebbe diverso”.

Il 1° gennaio, in una riunione della sua corrente Otzma Yehudit (Potere ebraico) alla Knesset, Ben Gvir ha proposto di “incoraggiare la migrazione degli abitanti di Gaza” come “soluzione corretta, giusta, morale e umana”, e ha fatto eco all’appello di Smotrich a ristabilire le colonie ebraiche nella Striscia. Ciò avviene dopo che a novembre due parlamentari del partito Likud di Netanyahu hanno pubblicato un articolo sul Wall Street Journal intitolato “L’Occidente dovrebbe accogliere i rifugiati di Gaza”.

E, come +972 e Local Call [edizione in ebraico di +972, ndt.] hanno rivelato integralmente alla fine di ottobre, il Ministero dell’Intelligence israeliano ha raccomandato il trasferimento forzato e permanente dell’intera popolazione palestinese di Gaza nella penisola del Sinai. L’Egitto, da parte sua, continua a sostenere che non consentirà alcun trasferimento di palestinesi nel suo territorio.

Non c’è nulla di nuovo nel fatto che i politici israeliani utilizzino la minaccia della Nakba come strumento politico; Fakhoury e io avevamo infatti pubblicato un altro articolo nel giugno 2022 intitolato “Come le minacce di una seconda Nabka sono diventate normali”, che descriveva dettagliatamente come la destra israeliana sia passata negli ultimi anni dal negare la Nakba al giustificarla e a usarla come rinnovata minaccia contro i palestinesi. Ora, però, questa minaccia si è trasformata da strategia retorica a realtà devastante.

Un’ “arma strategica” – e un fine

L’obiettivo dichiarato dell’esercito israeliano a Gaza è quello di mettere fuori combattimento Hamas e altri gruppi armati palestinesi. Tuttavia le sue azioni negli ultimi tre mesi attestano una campagna molto più ampia che ricorda le politiche della Nakba: espellere i civili in massa e rendere inabitabili le loro case e i loro quartieri.

Pochi giorni dopo la furia distruttiva guidata da Hamas nel sud di Israele, l’esercito israeliano ha ordinato a 1,1 milioni di palestinesi residenti nella metà settentrionale della Striscia di abbandonare le loro case e spostarsi a sud di Wadi Gaza fino a nuovo ordine – continuando a bombardare le aree in cui aveva detto loro di fuggire. Più recentemente, l’esercito ha emanato ulteriori ordini di espulsione ai palestinesi in varie parti del sud di Gaza, spingendone centinaia di migliaia verso la costa e il confine di Gaza con l’Egitto.

Il caporedattore del quotidiano progressista israeliano Haaretz Aluf Benn ha sostenuto che l’espulsione è “la principale mossa strategica di Israele” nella guerra, e che la possibilità per l’esercito di uccidere i civili che tentano di tornare a casa sarà la chiave per la vittoria di Israele. L’analista del quotidiano Middle Eastern Affairs Zvi Bar’el ha descritto in modo analogo la crisi umanitaria che Israele ha provocato a Gaza come “un’arma strategica” progettata “per imprimere nella coscienza palestinese la punizione apocalittica che dovrà affrontare chiunque d’ora in poi osi sfidare Israele”.

Israele non solo considera lo sfollamento forzato uno strumento, sembra anche considerarlo un fine in sé. Testimonianze e documenti che sono trapelati da Gaza durante questo periodo, oltre all’analisi delle immagini satellitari, suggeriscono che l’esercito israeliano stia facendo in modo che molte delle persone sfollate non abbiano una casa in cui tornare.

L’esercito ha raso al suolo interi quartieri, danneggiando o distruggendo oltre il 70% delle case di Gaza. Ha distrutto biblioteche e archivi, edifici comunali, università, scuole, siti archeologici, moschee e chiese. Anche se Israele alla fine non imporrà un’espulsione di massa dei palestinesi fuori dalla Striscia, resterà ben poco della loro vita prima di questa guerra.

Israele non ha alcun interesse che Gaza venga ricostruita”, ha detto a novembre Giora Eiland, ex capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano, all’emittente nazionale israeliana Kan. “Una situazione di caos continuo a Gaza, simile a quella della Somalia, è qualcosa con cui Israele può convivere? Sì, Israele può conviverci. Chi vuole cambiare la situazione dovrà farlo alle nostre condizioni”.

Al di là della depravazione morale dell’idea stessa di deportare o uccidere 2 milioni di persone, il fiorire del “partito della Nakba” nella politica israeliana testimonia la povertà ideologica della società israeliana. Settantacinque anni dopo la fondazione dello Stato, l’unica cosa che la politica ebraico-israeliana ha da offrire è una seconda Nakba.

Ritornare alla strategia militare e politica fondativa del 1948, a quello stesso metodo di deportazione di massa di un intero popolo, dimostra l’instabilità e la debolezza degli altri metodi ipotizzati da Israele per affrontare la “questione palestinese” nel corso degli anni: annessione, mantenimento dello status quo, disimpegno unilaterale, “riduzione del conflitto” e persino proposte di soluzione a due Stati incentrate principalmente sugli interessi ebraici.

Inoltre, l’importanza data all’“opzione Nakba” nel discorso politico ebraico-israeliano contemporaneo testimonia ulteriormente l’eccezionalità di Israele nel mondo di oggi. Dopo la seconda guerra mondiale, e nonostante alcuni casi contrari, il consenso internazionale ha ampiamente ritenuto che i trasferimenti forzati di popolazione e le espulsioni di massa non fossero più legittimi, definendoli addirittura gravi crimini internazionali.

Anche più recentemente, quando queste tattiche sono state messe in atto come in Bosnia o in Ruanda, quasi nessuno Stato ha osato dichiararle la politica ufficiale, e la comunità internazionale – anche se a volte agendo in modo atrocemente tardivo – ha generalmente lavorato per porre fine all’uso di quelle tattiche. Ma espellere i palestinesi dalle loro case e impedirne il ritorno è la più antica politica di Israele, e i suoi leader sono pronti a metterla in atto ancora una volta.

Sull’orlo dell’abisso

Il 7 ottobre è stato un momento di crisi diverso da qualsiasi cosa Israele abbia vissuto nell’ultimo mezzo secolo, o forse addirittura dal 1948. La sicurezza nazionale di Israele è collassata, insieme al senso di sicurezza personale di molti dei suoi cittadini. La ferocia degli attacchi guidati da Hamas ha suscitato un profondo desiderio di vendetta; infatti la maggior parte dell’opinione pubblica ebraica ritiene che affidarsi alle armi sia l’opzione più ragionevole.

Ma vale comunque la pena ricordare: la Nakba del 1948 non ha risolto il conflitto tra ebrei e palestinesi. Settantacinque anni dopo, Israele sta combattendo i nipoti e i pronipoti dei rifugiati palestinesi che fuggirono o furono espulsi a Gaza nel 1948 dalle loro terre all’interno di quello che divenne lo Stato di Israele.

Ora Israele sta trasformando in realtà il sogno di mettere in atto una seconda Nakba, inebriato dal proprio potere e dal vantaggio militare su Hamas, e di fatto scagionato dalla legittimità che dopo il 7 ottobre la comunità internazionale gli ha concesso di “rispondere”. Ma Israele potrebbe tornare sobrio prima del previsto.

Una “pulizia” completa dell’intera Striscia di Gaza sembra essere una missione impossibile: Hamas non si arrenderà, i palestinesi non alzeranno bandiera bianca e la crisi umanitaria porterebbe probabilmente all’intervento arabo, americano ed europeo. La questione del destino degli ostaggi israeliani rimasti a Gaza può anche complicare una linea d’azione inequivocabile, mentre la politica interna israeliana è molto meno coesa di quanto le onnipresenti manifestazioni di patriottismo possano suggerire.

Se Israele alla fine dovesse tornare sobrio, come cambierà rotta? Si può sperare che, a differenza dei casi precedenti, forse questa volta la società israeliana non ritorni semplicemente all’idea assurda di “gestire il conflitto”. Si può sperare che, soprattutto dopo aver vissuto un trauma così terribile, la società israeliana cominci a capire che un futuro sicuro in questa terra può essere garantito solo raggiungendo un qualche accordo con i palestinesi – e che la coercizione, la violenza e la supremazia non risolveranno mai il conflitto.

Ebrei e palestinesi sono oggi più vicini all’abisso di quanto lo siano stati negli ultimi 75 anni, e l’adozione da parte di Israele di una soluzione di Nakba totale potrebbe gettarvici tutti dentro. Ma è anche importante ricordare: quando ci si trova sull’orlo dell’abisso è ancora possibile intravedere l’altra sponda.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)