Al canto di ‘bruciare Shu’afat’ e ‘spianare Gaza’, una moltitudine di persone partecipa alla marcia delle bandiere a Gerusalemme

coloni squadristi attaccano giornalisti durante la marcia delle bandiere a Gerusalemme Est. Foto: Chaim Goldberg/Flash90
image_pdfimage_print

Oren Ziv

6 giugno 2024 – +972Magazine

Ministri israeliani si sono uniti all’annuale celebrazione della conquista di Gerusalemme est, durante la quale slogan razzisti e aggressioni ai giornalisti sono diventati dominanti.

L’annuale Marcia delle Bandiere del “Giorno di Gerusalemme” è stata a lungo famigerata per la sua aperta ostentazione della supremazia ebraica. Ogni anno, in ricordo dell’occupazione israeliana di Gerusalemme est nel 1967 e della continuazione del controllo sulla città, decine di migliaia di ebrei israeliani, per la maggior parte giovani, si scatenano nella Città Vecchia, attaccano e aggrediscono gli abitanti palestinesi e gridano slogan razzisti – il tutto sotto la protezione della polizia.

Tuttavia, se in passato si poteva dire che solo alcuni dei gruppi partecipanti si comportavano in tal modo, quest’anno questa è diventata la norma. Incoraggiati dalla brutale guerra di vendetta del loro governo contro la Striscia di Gaza quasi tutti i gruppi che ieri pomeriggio si sono radunati alla Porta di Damasco prima della marcia si sono uniti alle incitazioni.

I cori includevano: “Che il tuo villaggio possa bruciare”, “Shuafat va a fuoco”, “Maometto è morto” e il canto di vendetta genocida che comprende una ingiunzione biblica trasferita sui palestinesi: “Possa il loro nome essere cancellato”. Il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e il ministro delle finanze Bezalel Smotrich sono arrivati entrambi alla Porta di Damasco con le loro guardie del corpo verso la fine dei festeggiamenti e si sono uniti gioiosamente a coloro che festeggiavano mentre cantavano e danzavano.

Oltre ai cori, alcuni partecipanti recavano bandiere del gruppo suprematista ebraico Lehava e cartelli con le scritte: “Un proiettile nella testa di ogni terrorista” e “Kahane aveva ragione”. Alcuni si riferivano esplicitamente all’attuale attacco a Gaza, auspicando di “spianare Rafah” e sventolavano la bandiera di Gush Katif, il blocco di insediamenti israeliani evacuato come parte del “disimpegno” del 2005 e che molta parte della destra israeliana spera di vedere ricostruito. Alcuni portavano cartelli raffiguranti gli ostaggi ancora in mano a Hamas a Gaza.

Tuttavia il focus principale per i partecipanti non era Gaza, ma il Monte del Tempio/Moschea di Haram al-Sharif. La giornata è iniziata con più di 1000 ebrei che sono saliti alla spianata, che è sacra sia per gli ebrei che per i musulmani e amministrata congiuntamente dalla polizia israeliana e dalla fondazione islamica Waqf. Molti di loro avevano bandiere israeliane e alcuni hanno violato lo “status quo” di lunga data del sito mettendosi a pregare.

Erano guidati da attivisti che intendono non solo permettere agli ebrei di pregare nel sito, ma ricostruire un tempio ebraico sul sito della Moschea di Al-Aqsa e della Cupola della Roccia. Nella marcia un gruppo di giovani indossava magliette raffiguranti la Cupola della Roccia demolita.

A parte arrestare una manciata di manifestanti che hanno aggredito dei giornalisti, la polizia – compresi il capo della polizia e diversi comandanti di alto grado – non ha fatto niente per impedire o punire le istigazioni. Questa mancanza di intervento era particolarmente spudorata vista la repressione seguita al 7 ottobre, che ha visto la polizia arrestare e accusare di istigazione a delinquere centinaia di cittadini palestinesi per essersi opposti alla guerra di Gaza sia sui social media che in piccole proteste nonviolente.

Questo doppio standard è intrinseco alla politica del governo: ciò che conta non è il contenuto di quel che viene detto, ma chi lo dice. Così, mentre i palestinesi vengono arrestati per i post sui social media, agli ebrei viene lasciato libero sfogo per celebrare il Giorno di Gerusalemme aggredendo i palestinesi e auspicando la loro morte.

Giornalisti aggrediti

Le violenze sono iniziate circa alle 13. A quell’ora la polizia aveva già sgombrato un percorso attraverso il quartiere musulmano della Città Vecchia costringendo gli abitanti palestinesi a restare dentro le loro case e i proprietari di negozi a chiuderli.

Perciò i soli obbiettivi rimasti verso cui i primi arrivati per partecipare ai festeggiamenti hanno potuto dirigere la propria rabbia erano alcuni giornalisti già arrivati per documentare la marcia. Il giornalista palestinese Saif Kwasmi è stato aggredito dalla folla, mentre anche il giornalista di Haaretz Nir Hasson è stato gettato a terra e preso a calci. Ma invece di arrestare qualcuno dei manifestanti, la polizia in seguito ha fermato e interrogato Kwasmi, che è stato accusato di istigazione.

La maggior parte dei giornalisti non è riuscita ad arrivare vicino ai manifestanti. Prima dell’arrivo del grosso della folla la polizia ha spinto tutti i giornalisti in una piccola area prospicente la Porta di Damasco: secondo i comandanti della polizia permettere ai giornalisti di seguire i partecipanti attraverso la Città Vecchia sarebbe stata una provocazione pericolosa, data l’ostilità dei manifestanti nei confronti dei media.

Dopo parecchie ore e molte richieste all’ufficio del capo della polizia ai giornalisti è stato permesso di andare in mezzo alla folla festante, ma solo dopo essere stati avvisati che lo facevano a proprio rischio. A quel punto i manifestanti avevano già lanciato molte bottiglie di plastica nella zona della stampa e schernito i giornalisti dal basso.

Poco prima della fine delle celebrazioni Ben Gvir è arrivato alla Porta di Damasco. Circondato da una folta scorta che impediva ai giornalisti di avvicinarsi e fare domande, il ministro ha colto l’opportunità di dichiarare il proprio totale ripudio del delicato status quo religioso sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif, che ha da tempo statuito che gli ebrei hanno il diritto di visitare il sito, ma non di pregarvi.

Sono tornato qui per mandare un messaggio a Hamas e in ogni casa a Gaza e in Libano: Gerusalemme è nostra. La Porta di Damasco è nostra. Il Monte del Tempio è nostro”, ha proclamato. “Oggi, seguendo le mie indicazioni, gli ebrei sono entrati liberamente nella Città Vecchia e hanno pregato liberamente sul Monte del Tempio. Lo diciamo nel modo più semplice: tutto questo è nostro.”

Nelle precedenti marce per il Giorno di Gerusalemme Ben Gvir era solo uno dei partecipanti. Oggi è il ministro in carica della polizia, che è responsabile della sicurezza della marcia e della facilitazione della salita degli ebrei alla spianata di Al-Aqsa. Benché il primo ministro benjamin netanyahu abbia preso le distanze dalla dichiarata intenzione di Ben Gvir di sovvertire lo status quo, in ultima istanza è il ministro della sicurezza nazionale ad imporre la linea di condotta.

Una volta il Giorno di Gerusalemme era un evento eccezionale, in cui il razzismo e la supremazia ebraica che da sempre sono esistiti nella società israeliana si rendevano evidenti a tutti. Ma oggi, mentre l’orgia di vendetta dell’esercito prosegue a Gaza con l’attivo sostegno della maggior parte degli israeliani, tra la crescente violenza dell’esercito e dei coloni in Cisgiordania e le campagne di persecuzione e silenziamento del dissenso all’interno della Linea Verde, la Marcia delle Bandiere è diventata solo un ulteriore esempio di come Israele abbia normalizzato l’estremismo.

Oren Ziv è un fotogiornalista, lavora per Local Call ed è membro fondatore del collettivo di fotografia ‘Activestills’.

(Traduzione dall’inglese di cristiana Cavagna)