Israele ha trasformato le ‘zone sicure’ in campi di sterminio come aveva già fatto lo Sri Lanka

Il bombardamento su Rafah il 31 maggio 2024 . Foto: Abdel Kareem Hana
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Neve Gordon e Nicola Perugini

11 giugno 2024 – Al Jazeera

Ma c’è una differenza importante fra i due casi: il genocidio a Gaza non sta avvenendo di nascosto.

Mentre i nostri occhi erano puntati sul “Blocco 2371” a Rafah, la piccola zona nel sud di Gaza che il 22 maggio l’esercito israeliano aveva designato come “zona umanitaria sicura” ma che ha bombardato solo quattro giorni dopo, massacrando almeno 45 civili che si erano rifugiati nelle tende, ci è tornato alla mente il cablogramma confidenziale di 15 anni fa intercettato da WikiLeaks in cui si descriveva il dramma dei civili negli ultimi giorni della guerra civile in Sri Lanka.

Inviato nel maggio 2009 dall’ambasciata degli Stati Uniti a Colombo al Dipartimento di Stato americano a Washington, il dispaccio raccontava come il vescovo di Mannar avesse telefonato per chiedere all’ambasciata di intervenire in favore di sette preti cattolici intrappolati in una cosiddetta “No Fire Zone” che era stata istituita come spazio sicuro dall’esercito dello Sri Lanka.

Il vescovo stimava che ci fossero ancora fra i 60.000 e i 75.000 civili confinati in quella particolare zona, situata su un piccolo lembo di terra costiera grande circa il doppio di Central Park a Manhattan. Dopo la telefonata del vescovo l’ambasciatore americano parlò con il ministro degli Esteri dello Sri Lanka chiedendogli di allertare i militari che la maggior parte delle persone rimaste nella “No Fire Zone” erano civili. Sembra che temesse che, a causa degli intensi bombardamenti dell’artiglieria, la fascia costiera sarebbe diventata una trappola mortale.

Non diversamente dagli sforzi dell’esercito israeliano per spingere i civili palestinesi da tutta la Striscia di Gaza nella cosiddetta “zona umanitaria sicura” a Rafah, a un certo punto l’esercito dello Sri Lanka aveva esortato la popolazione civile a riunirsi nelle aree designate come “No Fire Zone” lanciando volantini dagli aerei e facendo annunci con megafoni.

Mentre circa 330.000 sfollati interni si assembravano in queste zone, le Nazioni Unite costruirono campi improvvisati e, insieme a diverse organizzazioni umanitarie, iniziarono a fornire cibo e assistenza medica alla popolazione disperata.

Sembra però che anche le Tigri Tamil, il gruppo armato che combatteva l’esercito dello Sri Lanka, si fossero ritirate in queste “No Fire Zones”. I combattenti avevano precedentemente allestito una complessa rete di bunker e fortificazioni in queste aree e da lì condussero la loro resistenza finale contro i militari.

Mentre l’esercito dello Sri Lanka affermava di essere impegnato in “operazioni umanitarie” volte a “liberare i civili”, l’analisi delle immagini satellitari e di numerose testimonianze rivelò che i militari colpivano continuamente con mortai e fuoco di artiglieria le “No Fire Zones”, trasformando questi spazi dichiarati sicuri in campi di sterminio.

Tra i 10.000 e i 40.000 civili intrappolati morirono nelle cosiddette zone sicure, mentre molte altre migliaia furono quelli gravemente feriti che spesso giacevano a terra per ore e giorni senza ricevere cure mediche perché praticamente ogni ospedale – sia permanente che di fortuna – era stato colpito dall’artiglieria.

Le somiglianze tra lo Sri Lanka del 2009 e Gaza del 2024 sono sorprendenti.

In entrambi i casi i militari hanno sfollato centinaia di migliaia di civili, ordinando loro di riunirsi in “zone sicure” dove non sarebbero stati colpiti.

In entrambi i casi, i militari hanno bombardato le “zone dichiarate sicure”, uccidendo e ferendo indiscriminatamente un gran numero di civili.

In entrambi i casi i militari hanno bombardato anche unità mediche responsabili di salvare la vita dei civili.

In entrambi i casi i portavoce militari hanno giustificato gli attacchi, ammettendo di aver bombardato le zone sicure, ma sostenendo che le Tigri Tamil e Hamas erano responsabili della morte dei civili poiché si erano nascosti tra la popolazione civile usandola come scudo.

In entrambi i casi i Paesi occidentali, pur criticando l’uccisione di innocenti, hanno continuato a fornire armi ai militari. Nel caso dello Sri Lanka, Israele era tra i principali fornitori di armi.

In entrambi i casi l’ONU ha affermato che le parti in conflitto stavano commettendo crimini di guerra e contro l’umanità.

In entrambi i casi i governi hanno mobilitato squadre di esperti che hanno utilizzato acrobazie legali per giustificare i massacri. La loro interpretazione delle regole di ingaggio e dell’applicazione dei concetti fondamentali del diritto internazionale umanitario, tra cui distinzione, proporzionalità, necessità e le nozioni stesse di zone sicure e avvertimenti, sono state messe al servizio della violenza eliminatoria.

Ma c’è anche una differenza importante tra i due casi.

Il genocidio a Gaza non avviene di nascosto.

Mentre in Sri Lanka c’è voluto del tempo per raccogliere le prove delle violazioni e condurre indagini indipendenti, l’attenzione globale su Gaza e le immagini trasmesse in diretta di bambini decapitati e corpi carbonizzati nel “Blocco 2371” possono impedire il ripetersi degli orrori dello Sri Lanka.

I media hanno già mostrato come la “zona sicura” a sud di Wadi Gaza sia stata colpita da bombe di quasi mille chilogrammi uccidendo migliaia di palestinesi.

La Corte Penale Internazionale (CPI) ha raccolto le prove e ora ha emesso mandati di arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Galant per i loro presunti crimini di guerra e contro l’umanità.

La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha rilevato l’impiego da parte di Israele di incessanti violenze contro i civili e ordinato al governo di “fermare immediatamente” la sua offensiva a Rafah, specificando che le sue azioni non sono state sufficienti “ad alleviare l’immenso rischio [incluso quello di non essere protetti dalla Convenzione sul Genocidio] a cui è esposta la popolazione palestinese a seguito dell’offensiva militare a Rafah”.

Israele ha risposto alla sentenza della più alta corte al mondo continuando a bombardare le zone sicure. Il massacro del Blocco 2371 è avvenuto solo 48 ore dopo l’ordine della CIG. Meno di due settimane dopo un altro attacco aereo israeliano contro una scuola gestita dalle Nazioni Unite nel campo di Nuseirat, anch’esso indicato come “zona sicura”, ha ucciso almeno 40 persone, principalmente donne e bambini. Il 9 giugno un’operazione israeliana per liberare quattro prigionieri israeliani nello stesso campo è costata la vita a 274 palestinesi e il ferimento di centinaia di altri.

Tutti gli occhi sono puntati su Rafah e sul resto della devastata Striscia di Gaza, eppure Israele continua imperterrito a perpetrare i suoi crimini sotto i riflettori, mentre Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania continuano a fornirgli armi.

La CIG e la CPI si sono espresse così come Sudafrica, Spagna, Irlanda, Slovenia e Norvegia. Gli accampamenti universitari e il movimento di solidarietà globale chiedono ai loro governi di applicare un embargo sulle armi e di reclamare un cessate il fuoco mentre testimoniano come Israele abbia trasformato le zone sicure che ha creato in campi di sterminio.

Come in altre situazioni di estrema violenza coloniale l’accelerazione da parte di Israele delle sue pratiche di sterminio a Gaza e il suo goffo tentativo di dipingerle come rispettose della legge sono sintomi del tramonto del suo progetto di espropriazione. Le ex potenze coloniali come Regno Unito, Francia e Germania dovrebbero saperlo. Gli Stati Uniti dovrebbero saperlo. Tutti gli occhi sono su Gaza. Tutti gli occhi sono anche su di loro.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Oltre La Linea.

Neve Gordon è docente di Diritto Internazionale presso la Queen Mary University a Londra. È anche l’autore di Israel’s Occupation [L’occupazione israeliana, Diabasis ed.] e coautore di The Human Right to Dominate [Il diritto umano di dominare, Nottetempo ed.]

Nicola Perugini insegna Relazioni Internazionali all’Università di Edimburgo. È coautore di The Human Right to Dominate [Il diritto umano di dominare, Nottetempo ed.] e Human Shields. A History of People in the Line of Fire (2020) [Scudi umani. Una storia dei popoli sulla linea di fuoco].

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)