Ormai Israele ha reso l’antisemitismo un vuoto slogan

Mustafa Fetouri

13 giugno 2024 – Middle East Monitor

Molti nel sud del mondo pensano che Israele abbia sequestrato l’olocausto e lo abbia sovrapoliticizzato per i propri scopi politici fin dalla sua creazione nel 1948. I popoli del sud (del mondo) non condividono in realtà il peso della colpa per quello che i cristiani europei fecero al popolo ebraico e a coloro che tentarono di aiutarlo in tutto il continente.

Certamente la Germania nazista ha assassinato sei milioni di ebrei, ma ha anche assassinato secondo le stime altri cinque milioni di non ebrei, compresi Zingari, Rom, Slavi [Russi, Polacchi, ecc., n.d.t.], persone disabili e omosessuali. Storicamente lo Stato tedesco ha una lunga storia di uccisioni di massa, molto prima che comparisse Hitler, e la sua vicenda coloniale dalla Namibia alla Tanzania testimonia tali atrocità. Questo è uno dei motivi per cui il termine “olocausto” difficilmente evoca le emozioni che scatena ad esempio in Europa. Le vittime del colonialismo nel sud del mondo vedono non solo i doppi standard e l’ipocrisia, ma anche un tentativo di separare le loro vittime coloniali da altre e dimenticarsene. La maggior parte degli africani, per esempio, considera la questione palestinese come una vicenda sostanzialmente coloniale condotta dalle vittime dell’olocausto contro palestinesi innocenti, con molte analogie con la lotta di liberazione africana.

Ma nel corso degli anni il termine “olocausto” si è imposto con riferimento solo ed esclusivamente alle vittime ebree, ignorando le altre. Questo fatto, sostenuto e ben propagandato dagli alleati occidentali di Israele, ha reso l’intera tragedia ebraica una questione privata che non deve essere collegata o paragonata a nessun’altra, limitando se non negando totalmente la solidarietà.

L’olocausto, invece di essere commemorato in tutto il mondo come una tragedia umana perpetrata da criminali di guerra, è diventato uno strumento israeliano utilizzato per suscitare compassione e screditare gli altri. Chiunque osi criticare le politiche e le pratiche israeliane può essere definito e bollato come un “negazionista dell’olocausto” e soprattutto antisemita – il moderno termine onnicomprensivo, o meglio formula magica, che può condurre alla fine di una carriera e addirittura al licenziamento dalla scuola!!

Israele ha strumentalizzato l’olocausto per giustificare la propria esistenza e tutto ciò che fa per difendersi. Sostiene di essere il legittimo e solo erede della tragedia ebraica, attribuendosi il totale monopolio sull’uso del termine e sul come viene usato. Per esempio, Israele sarà molto adirato e propenso a reagire con estrema rabbia se chiunque, anche incidentalmente, paragoni l’olocausto come pratica di assassinio di massa ad altri assassinii di massa in tutto il mondo, figuriamoci in Palestina.

Sotto il governo di un polacco immigrato illegale e criminale di nome Menachem Begin, che è stato primo ministro dal 1977 al 1981, Israele e i suoi alleati occidentali hanno perfezionato l’arte dell’utilizzo fuorviante e ipocrita dell’olocausto, Shoah in ebraico, come sistema per giustificare qualunque cosa faccia Israele ai suoi nemici, comprese le singole persone che si oppongono alle sue politiche.

Accanto all’evocazione manipolatoria ed ipocrita dell’olocausto ad ogni difficoltà che Israele si trova ad affrontare, vi è l’altro termine molto più pericoloso e disumanizzante: antisemitismo, che di recente è stato usato quasi ogni giorno nel contesto del genocidio israeliano a Gaza che ha ucciso quasi 40.000 persone, e che continua.

L’eccessivo uso di “antisemitismo” per descrivere qualunque persona, Stato e organizzazione mondiale, comprese le Nazioni Unite, ha reso questo termine nient’altro che un vuoto slogan usato per intimidire e costringere altri al silenzio. Persino ebrei credenti e praticanti rischiano di venire accusati di “odiare sé stessi” se si esprimono contro gli orrendi crimini di Israele in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Anche la critica dell’occupazione di parti del Libano e della Siria costituisce una linea rossa.

Abba Eban, un famoso studioso e diplomatico israeliano nato in Sudafrica, stanco dell’uso estenuante del termine olocausto contro i critici, una volta ha detto che “è tempo che noi (israeliani) ci reggiamo sui nostri piedi e non su quelli di sei milioni di morti.”

Mentre Ben Gurion, il padre fondatore di Israele, una volta descrisse le vittime dell’olocausto come “macerie umane”, riproponendo la stessa cosa di Abba Eban – anche se un po’ più aspramente – che l’eccessiva evocazione dell’olocausto non favorirà Israele molto di più del definire gli avversari antisemiti.

Nel contesto dell’attuale sterminio di massa di Israele a Gaza la prima reazione delle elite e dei governi occidentali è stata assicurargli un inequivocabile sostegno alle sue pretese di autodifesa, nonostante l’uccisione di migliaia e migliaia di bambini palestinesi. Queste elite ipocrite, nel loro cieco appoggio ad Israele, impiegheranno prontamente la parola magica “antisemitismo” contro ogni opinione contraria e, per mettere Israele ancor più al riparo da qualunque accusa, non esiteranno a rievocare il nazismo ed i suoi crimini contro il popolo ebraico.

I leader israeliani, nella loro prima reazione all’attacco di Hamas del 7 ottobre, non solo hanno paragonato Hamas ai nazisti e i suoi capi a Hitler, ma hanno fatto riferimento alla Torah [in cui più volte il “dio degli eserciti” invita i suoi fedeli a sterminare i loro nemici, n.d.t.] e sono andati oltre definendo l’intera popolazione palestinese a Gaza animali umani meritevoli di morire, semplicemente perché sono solamente dei sub-umani e anche perché hanno assalito proprio il Paese che ospita i sopravvissuti dell’olocausto – in una parola, antisemiti.

Secondo la più ampia concezione che Israele ha di sé stesso e della propria identità, ogni ebreo ovunque nel mondo dovrebbe essere anzitutto sionista, poi israeliano, in terzo luogo ebreo e in ultimo cittadino di un altro Paese. Soprattutto lui o lei dovrebbe essere sempre pronto/a a definire gli avversari o altri differenti punti di vista come “antisemiti” e odiatori degli ebrei, anche se hanno usato espressioni del tutto neutrali e aperte alla discussione.

Questo rende l’idea di lealtà ad Israele superiore ad ogni altra lealtà, facendo degli ebrei in America, per esempio, o in ogni altra parte del mondo, una comunità discriminata e sempre sospettata e presa di mira.

Tutti i Paesi europei hanno leggi severe che penalizzano ogni forma di antisemitismo, tuttavia proprio queste leggi in realtà contribuiscono ad esacerbare i sentimenti anti-ebraici. Questo serve a rafforzare il bizzarro concetto, spacciato dallo stesso presidente Biden, secondo cui nessun ebreo è al sicuro se non fosse per la creazione di Israele!

Eppure il frenetico eccesso di utilizzo dell’accusa di antisemita non spaventa e terrorizza come soleva fare soprattutto in Europa, semplicemente perché la gente ha visto e sperimentato come Israele deliberatamente distorce il significato dell’accusa per mettere a tacere il dissenso, anche entro i propri confini.

La quantità di menzogne, alterazione dei fatti e false notizie che la propaganda israeliana ha prodotto dal 7 ottobre in poi ha reso le persone più sfiduciate nei confronti di Israele rispetto a prima, provocando, grazie alle azioni e alle politiche stesse di Israele, l’estendersi di sentimenti anti ebraici espressi in diversi modi.

Eppure Israele si lamenta dell’aumento di espressioni di antisemitismo in Europa e altrove, mentre continua a presentarsi come la povera vittima, dimenticando che il suo monotono uso del termine “antisemitismo” contribuisce in larga parte ai sentimenti anti ebraici che innegabilmente sono in aumento dati i quotidiani massacri di palestinesi.

Firmando questo articolo non sarò sorpreso se alcuni lettori mi bolleranno come “antisemita” o “negazionista dell’olocausto” o odiatore degli ebrei o tutte le tre accuse insieme!

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)