Gaza: la causa avviata dalla società civile presso la Corte Penale Internazionale contro Ursula von der Leyen alza la posta in gioco sulla complicità nel genocidio

Richard Falk

6 giugno 2024-Middle East Eye

Molti esperti sollecitano la Corte Penale Internazionale ad indagare la Presidente della Commissione Europea sul suo presunto sostegno all’assalto genocida di Israele contro il popolo palestinese

Nei quasi 80 anni di esistenza delle Nazioni Unite mai prima d’ora è stata intrapresa una tale gamma di strategie giudiziarie presso i tribunali internazionali nel tentativo, finora inutile, di fermare un genocidio che continua a devastare la vita di 2,3 milioni di palestinesi a Gaza.

Da gennaio non solo la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha emesso tre ordinanze provvisorie che impongono a Israele di fermare il suo “plausibile genocidio”, ma a quello Stato è stato anche ordinato di smettere di interferire con la fornitura di aiuti di emergenza ai palestinesi affamati.

Durante lo stesso periodo il procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), Karim Khan, ha richiesto mandati di arresto contro i leader israeliani e di Hamas.

Questa impennata dell’attività giudiziaria internazionale arriva in mezzo alle frustrazioni delle Nazioni Unite per i tentativi falliti di imporre un cessate il fuoco mentre la guerra israeliana determina condizioni sempre più drammatiche a Gaza. Gli Stati Uniti hanno usato il veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per proteggere il loro alleato criminale dalle pressioni delle Nazioni Unite.

Israele ha reagito agli ultimi sviluppi con furia e atteggiamenti di sfida e ha goduto, seppur espresso in modo più discreto, del sostegno degli Stati Uniti.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ripetutamente sostenuto che, alla luce dell’Olocausto, Israele non potrà mai essere accusato del crimine di genocidio, che dal 7 ottobre Israele esercita il proprio diritto all’autodifesa contro un attacco terroristico di Hamas e che i mandati di arresto proposti dalla Corte Penale Internazionale, se emessi, minerebbero la capacità delle democrazie di difendersi in futuro.

Ha anche invitato, con un certo successo, il governo degli Stati Uniti e altre Nazioni che sostengono Israele a esercitare pressioni sulla Corte Penale Internazionale affinché respinga la richiesta dal procuratore.

Massimizzare la pressione

In mezzo a tutte queste controversie legali sta diventando evidente che a Israele importa moltissimo di essere marchiato come criminale da questi tribunali che deride in quanto non avrebbero competenza per accogliere denunce sul suo comportamento.

Questa apparente contraddizione suggerisce che Israele si rende conto che il suo rifiuto di conformarsi alle sentenze di questi tribunali internazionali non cancellerà la loro influenza sull‘opinione pubblica e questo rende vitale esercitare la massima pressione per scoraggiare tali valutazioni della CIG/CPI sul presunto comportamento criminale di Israele a Gaza, in particolare per quanto riguarda il genocidio, il crimine dei crimini.

In questo contesto, alla fine del mese scorso il Geneva International Peace Research Institute [Istituto Internazionale di Ricerca sulla pace di Ginevra] (GIPRI) ha aggiunto un’ulteriore dimensione di complessità giuridica invitando la Corte Penale Internazionale a indagare sulla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per presunta “complicità nei crimini di guerra e genocidio commessi da Israele”.

Lo Statuto di Roma del 2002, che stabilisce il quadro del trattato che modella il lavoro della CPI, conferisce alle ONG e ai singoli individui il diritto, ai sensi dell’articolo 15, di portare prove di atti criminali all’attenzione del procuratore, che può decidere se le prove presentate sono sufficientemente convincenti da giustificare un’indagine.

A differenza della CIG– che si occupa di risolvere controversie legali tra Stati sovrani, funzionando come il braccio giudiziario delle Nazioni Unite – la CPI ha l’autorità di indagare, arrestare, incriminare, perseguire e punire individui giudicati da un collegio di giudici di essere colpevoli di un crimine previsto dal diritto internazionale.

Tutti i membri delle Nazioni Unite aderiscono allo statuto che governa la CIG, mentre gli Stati devono dare la loro approvazione per diventare parti della CPI e non hanno alcun obbligo di farlo – sebbene 124 Stati lo abbiano fatto, comprese le democrazie dell’Europa occidentale e la Palestina (considerata a questo fine come Stato).

Di rilievo è il fatto che né Israele né gli Stati Uniti hanno aderito allo Statuto di Roma, né lo hanno fatto Russia, Cina, India e pochi altri. Gli Stati Uniti, tuttavia, non hanno esitato a spingere la Corte Penale Internazionale ad incriminare il presidente russo Vladimir Putin dopo l’invasione dell’Ucraina del 2022, opponendosi nel medesimo tempo alla sua applicabilità a Israele per la situazione di Gaza sulla base del fatto che quest’ultima non ne fa parte. (Lo Statuto di Roma conferisce alla CPI l’autorità di agire contro individui che commettono crimini nel territorio di qualsiasi Stato che aderisce al trattato, in questo caso la Palestina).

Complicità e favoreggiamento

L’iniziativa del GIPRI è interessante perché riguarda la questione relativamente trascurata della complicità o del favoreggiamento nella commissione di un crimine internazionale. Questa questione si basa sul dovere legale, incorporato nella Convenzione sul Genocidio e nello Statuto di Roma, che rende perseguibile il favoreggiamento e la complicità nei crimini in violazione del diritto umanitario internazionale.

Il Nicaragua ha avviato una denuncia di questo tipo presso la CIG contro la Germania, chiedendo un ordine di emergenza per far cessare attività che potrebbero plausibilmente essere considerate come complicità con un genocidio. L’accusa principale contro la Germania era quella di aver fornito a Israele armamenti funzionali alla condotta genocida di Israele.

Ad aprile, l’ICJ ha respinto la richiesta del Nicaragua con un voto di 15-1, affermando che le circostanze non giustificavano un ordine di emergenza. Ma la corte ha anche bocciato il tentativo della Germania di respingere la denuncia del Nicaragua per complicità: il che significa che la Corte Internazionale di Giustizia a tempo debito esaminerà le argomentazioni di entrambe le parti sul merito fattuale della controversia e alla fine raggiungerà una decisione di merito.

Al contrario l’iniziativa del GIPRI è arrivata sotto forma di una dichiarazione approvata da vari esperti di diritto internazionale, compreso il sottoscritto, consegnata al procuratore della CPI a maggio.

Anche la dichiarazione del GIPRI si basa su una ipotesi di complicità penale e di favoreggiamento, ma il bersaglio è necessariamente un individuo, Von der Leyen, piuttosto che uno Stato. Il GIPRI sostiene che il sostegno della Commissione Europea “ha avuto un effetto sostanziale sulla commissione e sulla continuazione di crimini da parte di Israele, compreso il genocidio”.

La GIPRI fa notare che questo favoreggiamento è consistito nel sostegno politico, nel materiale militare e nella mancata adozione di misure ragionevoli per prevenire il genocidio.

Comunque vada a finire l’iniziativa del GIPRI, essa illustra l’ampiezza del potenziale della Corte Penale Internazionale e mostra un tentativo della società civile di ricorrere al diritto internazionale visto il fallimento delle Nazioni Unite o del sistema intergovernativo nel prevenire e punire un genocidio così evidente.

Insieme a iniziative di solidarietà come la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) e le proteste universitarie, soprattutto negli Stati Uniti, la società civile si sta rivelando un attore politico che persino Israele capisce di non poter ignorare se vuole avere qualche speranza di evitare nel lungo termine lo status di paria.

Qualunque sia la risposta della Corte Penale Internazionale a questa iniziativa del GIPRI, si tratta di un ulteriore segno che la società civile sta diventando un attore politico sulla scena globale.

Richard Falk è uno studioso di diritto internazionale e relazioni internazionali che ha insegnato all’Università di Princeton per quarant’anni. Nel 2008 è stato anche nominato dalle Nazioni Unite per un mandato di sei anni come relatore speciale sui diritti umani palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Al canto di ‘bruciare Shu’afat’ e ‘spianare Gaza’, una moltitudine di persone partecipa alla marcia delle bandiere a Gerusalemme

Oren Ziv

6 giugno 2024 – +972Magazine

Ministri israeliani si sono uniti all’annuale celebrazione della conquista di Gerusalemme est, durante la quale slogan razzisti e aggressioni ai giornalisti sono diventati dominanti.

L’annuale Marcia delle Bandiere del “Giorno di Gerusalemme” è stata a lungo famigerata per la sua aperta ostentazione della supremazia ebraica. Ogni anno, in ricordo dell’occupazione israeliana di Gerusalemme est nel 1967 e della continuazione del controllo sulla città, decine di migliaia di ebrei israeliani, per la maggior parte giovani, si scatenano nella Città Vecchia, attaccano e aggrediscono gli abitanti palestinesi e gridano slogan razzisti – il tutto sotto la protezione della polizia.

Tuttavia, se in passato si poteva dire che solo alcuni dei gruppi partecipanti si comportavano in tal modo, quest’anno questa è diventata la norma. Incoraggiati dalla brutale guerra di vendetta del loro governo contro la Striscia di Gaza quasi tutti i gruppi che ieri pomeriggio si sono radunati alla Porta di Damasco prima della marcia si sono uniti alle incitazioni.

I cori includevano: “Che il tuo villaggio possa bruciare”, “Shuafat va a fuoco”, “Maometto è morto” e il canto di vendetta genocida che comprende una ingiunzione biblica trasferita sui palestinesi: “Possa il loro nome essere cancellato”. Il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e il ministro delle finanze Bezalel Smotrich sono arrivati entrambi alla Porta di Damasco con le loro guardie del corpo verso la fine dei festeggiamenti e si sono uniti gioiosamente a coloro che festeggiavano mentre cantavano e danzavano.

Oltre ai cori, alcuni partecipanti recavano bandiere del gruppo suprematista ebraico Lehava e cartelli con le scritte: “Un proiettile nella testa di ogni terrorista” e “Kahane aveva ragione”. Alcuni si riferivano esplicitamente all’attuale attacco a Gaza, auspicando di “spianare Rafah” e sventolavano la bandiera di Gush Katif, il blocco di insediamenti israeliani evacuato come parte del “disimpegno” del 2005 e che molta parte della destra israeliana spera di vedere ricostruito. Alcuni portavano cartelli raffiguranti gli ostaggi ancora in mano a Hamas a Gaza.

Tuttavia il focus principale per i partecipanti non era Gaza, ma il Monte del Tempio/Moschea di Haram al-Sharif. La giornata è iniziata con più di 1000 ebrei che sono saliti alla spianata, che è sacra sia per gli ebrei che per i musulmani e amministrata congiuntamente dalla polizia israeliana e dalla fondazione islamica Waqf. Molti di loro avevano bandiere israeliane e alcuni hanno violato lo “status quo” di lunga data del sito mettendosi a pregare.

Erano guidati da attivisti che intendono non solo permettere agli ebrei di pregare nel sito, ma ricostruire un tempio ebraico sul sito della Moschea di Al-Aqsa e della Cupola della Roccia. Nella marcia un gruppo di giovani indossava magliette raffiguranti la Cupola della Roccia demolita.

A parte arrestare una manciata di manifestanti che hanno aggredito dei giornalisti, la polizia – compresi il capo della polizia e diversi comandanti di alto grado – non ha fatto niente per impedire o punire le istigazioni. Questa mancanza di intervento era particolarmente spudorata vista la repressione seguita al 7 ottobre, che ha visto la polizia arrestare e accusare di istigazione a delinquere centinaia di cittadini palestinesi per essersi opposti alla guerra di Gaza sia sui social media che in piccole proteste nonviolente.

Questo doppio standard è intrinseco alla politica del governo: ciò che conta non è il contenuto di quel che viene detto, ma chi lo dice. Così, mentre i palestinesi vengono arrestati per i post sui social media, agli ebrei viene lasciato libero sfogo per celebrare il Giorno di Gerusalemme aggredendo i palestinesi e auspicando la loro morte.

Giornalisti aggrediti

Le violenze sono iniziate circa alle 13. A quell’ora la polizia aveva già sgombrato un percorso attraverso il quartiere musulmano della Città Vecchia costringendo gli abitanti palestinesi a restare dentro le loro case e i proprietari di negozi a chiuderli.

Perciò i soli obbiettivi rimasti verso cui i primi arrivati per partecipare ai festeggiamenti hanno potuto dirigere la propria rabbia erano alcuni giornalisti già arrivati per documentare la marcia. Il giornalista palestinese Saif Kwasmi è stato aggredito dalla folla, mentre anche il giornalista di Haaretz Nir Hasson è stato gettato a terra e preso a calci. Ma invece di arrestare qualcuno dei manifestanti, la polizia in seguito ha fermato e interrogato Kwasmi, che è stato accusato di istigazione.

La maggior parte dei giornalisti non è riuscita ad arrivare vicino ai manifestanti. Prima dell’arrivo del grosso della folla la polizia ha spinto tutti i giornalisti in una piccola area prospicente la Porta di Damasco: secondo i comandanti della polizia permettere ai giornalisti di seguire i partecipanti attraverso la Città Vecchia sarebbe stata una provocazione pericolosa, data l’ostilità dei manifestanti nei confronti dei media.

Dopo parecchie ore e molte richieste all’ufficio del capo della polizia ai giornalisti è stato permesso di andare in mezzo alla folla festante, ma solo dopo essere stati avvisati che lo facevano a proprio rischio. A quel punto i manifestanti avevano già lanciato molte bottiglie di plastica nella zona della stampa e schernito i giornalisti dal basso.

Poco prima della fine delle celebrazioni Ben Gvir è arrivato alla Porta di Damasco. Circondato da una folta scorta che impediva ai giornalisti di avvicinarsi e fare domande, il ministro ha colto l’opportunità di dichiarare il proprio totale ripudio del delicato status quo religioso sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif, che ha da tempo statuito che gli ebrei hanno il diritto di visitare il sito, ma non di pregarvi.

Sono tornato qui per mandare un messaggio a Hamas e in ogni casa a Gaza e in Libano: Gerusalemme è nostra. La Porta di Damasco è nostra. Il Monte del Tempio è nostro”, ha proclamato. “Oggi, seguendo le mie indicazioni, gli ebrei sono entrati liberamente nella Città Vecchia e hanno pregato liberamente sul Monte del Tempio. Lo diciamo nel modo più semplice: tutto questo è nostro.”

Nelle precedenti marce per il Giorno di Gerusalemme Ben Gvir era solo uno dei partecipanti. Oggi è il ministro in carica della polizia, che è responsabile della sicurezza della marcia e della facilitazione della salita degli ebrei alla spianata di Al-Aqsa. Benché il primo ministro benjamin netanyahu abbia preso le distanze dalla dichiarata intenzione di Ben Gvir di sovvertire lo status quo, in ultima istanza è il ministro della sicurezza nazionale ad imporre la linea di condotta.

Una volta il Giorno di Gerusalemme era un evento eccezionale, in cui il razzismo e la supremazia ebraica che da sempre sono esistiti nella società israeliana si rendevano evidenti a tutti. Ma oggi, mentre l’orgia di vendetta dell’esercito prosegue a Gaza con l’attivo sostegno della maggior parte degli israeliani, tra la crescente violenza dell’esercito e dei coloni in Cisgiordania e le campagne di persecuzione e silenziamento del dissenso all’interno della Linea Verde, la Marcia delle Bandiere è diventata solo un ulteriore esempio di come Israele abbia normalizzato l’estremismo.

Oren Ziv è un fotogiornalista, lavora per Local Call ed è membro fondatore del collettivo di fotografia ‘Activestills’.

(Traduzione dall’inglese di cristiana Cavagna)




Israele aggiunto alla “lista nera” dell’ONU delle Nazioni che arrecano sofferenze ai minori durante i conflitti

Redazione di Middle East Eye

7 giugno 2024 – Middle East Eye

L’ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite è indignato per la notizia dell’ inserimento del Paese nella lista nera e sostiene che l’esercito israeliano è “il più morale al mondo”.

Le Nazioni Unite hanno inserito Israele in una lista nera di Paesi che hanno commesso violenze contro i minori dopo che le forze israeliane hanno ucciso migliaia di minori palestinesi nella guerra in corso contro Gaza.

L’inserimento di Israele è stato confermato dall’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, che ha dichiarato su X di aver ricevuto la notifica e di essere indignato per la decisione. Sulla piattaforma di social media ha anche condiviso la registrazione della telefonata in cui ha ricevuto la notizia da un funzionario delle Nazioni Unite.

È semplicemente scandaloso e sbagliato”, ha dichiarato Erdan.

“Ho risposto alla vergognosa decisione dicendo che il nostro esercito è il più morale al mondo. L’unico ad essere inserito nella lista nera dovrebbe essere il segretario generale che incentiva e incoraggia il terrorismo ed è motivato dall’odio verso Israele”.

Venerdì durante un incontro con la stampa Stephane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’ONU, ha dichiarato che un funzionario dell’ONU ha chiamato l’ambasciatore israeliano per informarlo dell’inserimento nella lista come “una cortesia concessa ai Paesi che sono appena stati inseriti nella lista “all’interno del Rapporto annuale dell’ONU minori nei conflitti armati”

È stato fatto per avvertire quei Paesi ed evitare fughe di notizie”, ha detto Dujarric ai giornalisti.

Il rapporto sarà presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 14 giugno. Citando un funzionario delle Nazioni Unite la Reuters ha riferito che anche i gruppi palestinesi Hamas e Jihad Islamica sarebbero stati aggiunti alla lista.

Dujarric ha aggiunto che la pubblicazione della telefonata da parte di Erdan “è scioccante e inaccettabile – e francamente è qualcosa che non ho mai visto nei miei 24 anni di servizio in questa organizzazione”.

Il rapporto annuale delle Nazioni Unite sui minori nei conflitti armati elenca le “organizzazioni che commettono violazioni contro i minori”, e include uccisioni e mutilazioni documentate, oltre a violenze sessuali.

L’elenco comprende la Russia, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia e la Siria. Include tra gli altri anche organizzazioni non statali come il gruppo dello Stato Islamico (IS), al-Shabaab, i Talebani e al-Qaeda.

Secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza durante questa guerra le forze israeliane hanno ucciso più di 15.571 minori palestinesi nell’enclave assediata.

Gruppi per i diritti [umani] e agenzie delle Nazioni Unite hanno denunciato l’effetto che la guerra di Israele ha avuto sulla popolazione civile palestinese, compreso il suo forte impatto sui minorenni.

Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) ha dichiarato che a Gaza nove minori palestinesi su 10 devono affrontare una “grave povertà alimentare infantile”, che secondo l’agenzia è “una delle percentuali più alte mai registrate”.

Diversi minori palestinesi sono morti per fame, sete e grave malnutrizione .
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato la scorsa settimana che quattro minori palestinesi su cinque a Gaza “non hanno mangiato per un giorno intero” per almeno uno degli ultimi tre giorni.

Alla fine del mese scorso, l’immagine di un bambino palestinese decapitato da un attacco aereo israeliano a Rafah è diventata virale sui social media, scatenando ulteriore indignazione nei confronti dell’esercito israeliano.

Traduzione di Carlo Tagliacozzo




Libano: Israele usa fosforo bianco rischiando di causare danni ai civili

Report di Human Rights Watch

5 giugno 2024, Human Rights Watch

Munizioni a esplosione aerea usati illegalmente in zone popolate

(Beirut) – Human Rights Watch ha dichiarato oggi (mercoledì 5 giugno) che l’uso diffuso nel Libano meridionale del fosforo bianco da parte di Israele sta mettendo a grave rischio i civili e contribuendo alla fuga dei residenti. Human Rights Watch ha verificato l’uso di munizioni al fosforo bianco da parte delle forze israeliane dall’ottobre 2023 in almeno 17 comuni nel Libano meridionale, tra cui 5 dove i proiettili esplosivi sono stati usati illegalmente in zone residenziali densamente popolate.

Il fosforo bianco è una sostanza chimica dispersa da proiettili di artiglieria, bombe e razzi che si infiamma quando esposta all’ossigeno. I suoi effetti incendiari provocano morte o atroci ferite che causano sofferenze per tutta la vita. Può dar fuoco a case, zone agricole e altri obiettivi civili. Ai sensi del diritto umanitario internazionale l’uso indiscriminato di fosforo bianco in armi incendiarie è illegale in zone abitate e comunque non soddisfa i requisiti di legge per prendere tutte le precauzioni possibili per evitare danni ai civili.

Ramzi Kaiss, ricercatore di Human Rights Watch per il Libano ha detto: “L’uso fatto da Israele di munizioni esplosive al fosforo bianco in zone abitate danneggia indiscriminatamente i civili e ha costretto molti di loro a lasciare le proprie case. Le forze israeliane dovrebbero cessarne immediatamente l’uso in aree popolate, specialmente quando sono facilmente disponibili alternative meno dannose.

Human Rights Watch ha intervistato otto abitanti e verificato e geolocalizzato 47 foto e video provenienti dal Libano meridionale postate sui social media o condivise direttamente con i ricercatori che indicano l’uso di munizioni al fosforo bianco. In cinque villaggi le immagini mostrano munizioni esplosive contenenti fosforo bianco che atterrano sul tetto di edifici residenziali di Kafr Kila, Mays al-Jabal, Boustane, Markaba e Aita al-Chaab, villaggi lungo il confine meridionale libanese.

Il sindaco di Boustane ha detto che due abitanti del villaggio sono stati ricoverati in ospedale a causa dell’asfissia causata dall’inalazione di gas di fosforo bianco dopo l’attacco del 15 ottobre. “Entrambi i civili erano nelle proprie case,” conclude il sindaco. “Uno era un consigliere comunale, l’altro un contadino.”

Le persone hanno detto a Human Rights Watch che l’uso di fosforo bianco nelle aree popolate nel Libano meridionale ha contribuito allo sfollamento degli abitanti di parecchi villaggi lungo il confine Libano-Israele.

Il ministero della salute pubblica libanese ha detto che dal 28 maggio l’esposizione al fosforo bianco ha procurato lesioni ad almeno 173 persone. Human Rights Watch non ha ottenuto prove di ustioni risultanti da munizioni al fosforo bianco ma ha sentito racconti che indicano possibili danni respiratori.

Gli effetti più gravi del fosforo bianco sono dermici o cutanei, fra cui ustioni di secondo e terzo grado che possono causare una grave necrosi profonda e ustioni a tutto spessore,” ha detto il dottor Tharwat Zahran, tossicologo e ricercatore di medicina di emergenza presso l’American University di Beirut. “L’esposizione al fosforo bianco potrebbe [anche] causare danni acuti all’apparato respiratorio superiore, come respiro affannoso o rapido [e] tosse, ma potrebbe anche avere effetti ritardati, [incluse] polmoniti chimiche che potrebbero richiedere ricoveri ospedalieri e supporto respiratorio meccanico.”

Human Rights Watch ha detto che l’uso diffuso da parte di Israele di fosforo bianco nel Libano meridionale evidenzia la necessità di una legge internazionale più rigorosa sulle armi incendiarie. Il protocollo III della Convenzione sulle armi convenzionali è l’unico strumento giuridicamente vincolante dedicato specificamente alle armi incendiarie. Il Libano fa parte del Protocollo III, Israele no.

Il Protocollo III si applica ad armi che sono “progettate principalmente” per dar fuoco o causare ustioni e perciò esclude certe munizioni multiuso con effetti incendiari, soprattutto quelle contenenti fosforo bianco. Inoltre ha regolamenti meno rigidi per l’uso su “concentrazioni di civili” di armi incendiarie lanciate da terra, come quelle usate in Libano, rispetto alle bombe aviolanciate anche se producono le stesse orrende ferite.

Il termine “Concentrazioni di civili” è definito genericamente e include zone abitate che vanno dai villaggi, ai campi profughi alle città. Human Rights Watch e molti Paesi hanno da tempo invocato l’eliminazione di queste scappatoie nel Protocollo III per creare norme internazionali che proteggano meglio i civili dai danni causati da armi incendiarie.

A livello nazionale Israele dovrebbe proibire completamente l’uso di munizioni ad esplosione aerea al fosforo bianco in aree popolate poiché pone i civili a rischio di attacchi indiscriminati. Come alternative al fosforo bianco sono disponibili le granate fumogene, fra cui alcune prodotte da aziende israeliane, come i proiettili fumogeni M150 che l’esercito israeliano ha usato nel passato come oscuranti, un modo per ostacolare la visibilità dei suoi soldati. Queste alternative possono avere lo stesso effetto e ridurre drammaticamente i danni ai civili.

Il Libano dovrebbe immediatamente sottoporre una dichiarazione alla Corte Penale Internazionale (CPI) avviando le indagini e l’azione penale per gravi crimini internazionali entro la giurisdizione della Corte sul territorio libanese dall’ottobre 2023.

Sono necessari limiti internazionali più stringenti contro l’uso di fosforo bianco per far sì che queste armi non continuino a mettere in pericolo i civili,” ha detto Kaiss. “L’uso recente da parte di Israele di fosforo bianco in Libano dovrebbe motivare altri Paesi a intraprendere un’azione immediata per raggiungere questo obiettivo.”

Uso di fosforo bianco in conflitti armati

Il fosforo bianco può essere usato come mezzo militare per oscurare, marcare o segnalare, o come arma per stanare con il fumo le forze nemiche. Le preoccupazioni per il suo uso in aree popolate sono ampliate data la tecnica indiscriminata, vista nei video, di proiettili al fosforo bianco esplosi in aria che sparpagliano 116 pezzi di feltro incendiari impregnati con la sostanza su un’area fra i 125 e i 250 metri di diametro a seconda dell’altitudine e dell’angolazione dell’esplosione, esponendo più civili e strutture civili a danni potenziali rispetto al caso in cui l’esplosione fosse partita da terra.

Quando esposto all’ossigeno atmosferico il fosforo bianco prende fuoco e continua a bruciare fino a quando è privato di ossigeno o esso si esaurisce. La sua reazione chimica può creare un calore intenso (circa 1.500 gradi), bagliori e fumo.

Il fosforo bianco che entra in contatto con una persona può provocare ustioni fino all’osso. Frammenti di fosforo bianco possono aggravare le ferite persino dopo il trattamento e possono entrare nel sangue e causare insufficienze multiorgano. Ferite già bendate possono riprendere fuoco quando si rimuove il bendaggio e sono esposte nuovamente all’ossigeno. Anche ustioni minori sono spesso fatali. Fra i sopravvissuti le cicatrici estese stringono il tessuto muscolare e creano disabilità fisiche. Il trauma dell’attacco, il trattamento doloroso che ne segue e le cicatrici che cambiano aspetto causano danni psicologici e isolamento sociale.

Attacchi di razzi e missili e scontri armati fra l’esercito israeliano e vari gruppi armati libanesi fra cui Hezbollah sono continuati dall’otto ottobre, il giorno dopo l’attacco guidato da Hamas di gruppi armati palestinesi nel sud di Israele che, secondo il governo israeliano, ha ucciso circa 1200 persone, quasi tutte civili. Dal 7 ottobre al 29 maggio almeno 36171 palestinesi sono stati uccisi da pesanti bombardamenti e operazioni militari a Gaza delle forze israeliane.

Human Rights Watch ha documentato l’uso fatto dall’esercito israeliano di fosforo bianco lanciato dall’artiglieria nel Libano meridionale e a Gaza nell’ottobre 2023 oltre alle precedenti ostilità a Gaza, fra cui quelle del 2009.

Human Rights Watch aveva precedentemente verificato l’uso di munizioni al fosforo bianco lanciate dall’artiglieria nel Libano meridionale il 10 ottobre in due località vicino al confine Israele-Libano e a Gaza City. Il 12 ottobre, nel corso di un’intervista alla CNN, il portavoce dell’esercito israeliano ha smentito l’uso di munizioni al fosforo bianco nel Libano meridionale e a Gaza.

Il 30 ottobre Amnesty International ha scoperto che un attacco del 16 ottobre contro il villaggio sul confine libanese di Dhayra con l’uso di munizioni al fosforo bianco era stato un “attacco indiscriminato che aveva ferito almeno nove civili e danneggiato attrezzature civili.” Secondo il Washington Post che aveva condotto una sua indagine l’attacco aveva incluso l’uso di munizioni al fosforo bianco fornite dagli USA.

L’esercito israeliano ha detto che la maggioranza delle sue granate fumogene non contengono fosforo bianco, ma ha confermato che “come molti eserciti occidentali le FDI [Forze di Difesa Israeliane] hanno anche granate fumogene che contengono fosforo bianco … e che la scelta di usarle è influenzata da considerazioni operative e disponibilità in mancanza di alternative.” Il militare ha detto anche che tali munizioni “sono intese per creare una cortina fumogena e non per attaccare o incendiare.”

La dispersione di frammenti di feltro di munizioni al fosforo bianco osservate in foto e video analizzate da Human Rights Watch è in linea con l’uso di proiettili che sarebbero stati esplosi dall’artiglieria dell’esercito israeliano sia a Gaza che nel Libano meridionale.

È stato riferito dai reportage dei media che fino al 29 maggio gli attacchi israeliani in Libano dall’ottobre 2023 avrebbero ucciso almeno 88 civili, oltre a più di 300 combattenti. Attacchi in Israele da parte di Hezbollah e milizie armate palestinesi in Libano dall’ottobre 2023 avrebbero ucciso almeno 11 civili e 14 soldati. Oltre 93.000 persone sono fuggite dalle loro case nel Libano meridionale e almeno 80.000 sono scappate nel nord di Israele.

Metolodogia

Ricercatori di Human Rights Watch hanno analizzato oltre 100 foto e video postati sui social media e condivisi da giornalisti, agenzie di stampa e abitanti del Libano meridionale oltre a riprese condivise direttamente con i ricercatori. Essi hanno identificato l’uso di munizioni al fosforo bianco in 47 di tali immagini e poi le hanno geolocalizzate per confermare le loro posizioni e, quando possibile, identificare con precisione la zona dove erano caduti i frammenti di feltro impregnati di fosforo bianco.

Human Rights Watch ha anche parlato con otto abitanti del Libano meridionale fra cui il capo di un sindacato di lavoratori agricoli, un insegnante, due fotografi che lavorano nella regione, un soccorritore della Difesa civile libanese e i sindaci di Kafr Kila, Mays al-Jabal e Boustane. Human Rights Watch ha anche parlato con un tossicologo di Beirut.

il 22 maggio Human Rights Watch ha mandato una lettera all’esercito israeliano con i risultati e delle domande concernenti l’uso di fosforo bianco ma non ha ricevuto risposta.

Uso documentato in aree popolate

Tramite la sua analisi di video e foto verificati dall’ottobre 2023 Human Rights Watch ha identificato l’uso di munizioni in 17 comuni nel Libano meridionale. Tra questi cinque villaggi dove le munizioni esplosive sono state usate su zone popolate. In video e foto postate sui social o pubblicate da agenzie di stampa dei villaggi di Boustane il 15 ottobre, di Kafr Kila il 12 novembre, 14 e 31 gennaio, di Mays al-Jabal il 12 novembre, di Markaba il 4 marzo e Aita al-Chaab il 3 aprile frammenti di feltro incendiati atterrano visibilmente sul tetto di edifici residenziali.

Human Rights Watch non è stata in grado di determinare se c’erano obiettivi militari nelle zone dove l’esercito israeliano ha usato munizioni al fosforo bianco nel Libano meridionale.

Il sindaco di Boustane ha detto che quasi tutti gli abitanti vivevano ancora nel villaggio quando è stato attaccato. “Durante la prima settimana di guerra quasi tutti i 900 abitanti di Boustane erano ancora nel villaggio,” ha detto. “Dopo due settimane ne sono rimasti quasi 700. […] E in seguito c’erano circa 14 famiglie. […] Gradualmente hanno continuato a ridursi e ora sono rimaste solo in 4.”

Dati raccolti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) per il periodo tra il 10 e il 15 ottobre indicano che gli spostamenti dai villaggi erano minimi fino alla data dell’attacco. Quando Boustane è stata assaltata il 15 praticamente tutta la popolazione era nel villaggio.

A Mays al-Jabal il sindaco Abdelmonem Choucair ha detto che “durante i primi mesi di guerra circa 25 persone, tutte civili, sono state portate in ospedale a causa del fosforo bianco.” Human Rights Watch ha verificato foto e video che mostrano munizioni al fosforo bianco a Mays al-Jabal in immagini postate sui social il 12 novembre e il 5 dicembre.

L’uso di munizioni al fosforo bianco a Mays al-Jabal ha spinto la gente a fuggire dal villaggio che è diventato una zona militare,” ha detto Choucair.

Il sindaco di Kafr Kila ha detto che stima che al momento dell’attacco al fosforo bianco a novembre circa il 50-70% degli abitanti viveva ancora là. “La gente stava nelle proprie case, anche se ogni tanto andava via, ma poi ritornava,” ha detto. “Ma dal gennaio in poi il villaggio ha cominciato a svuotarsi. Sono stati l’uso del fosforo bianco e anche i colpi diretti alle case che hanno spinto la gente ad andarsene.”

Human Rights Watch ha verificato foto e video condivisi da agenzie stampa o postati sui social il 17 ottobre, 12 novembre, 14 e 31 gennaio e 2 marzo che mostrano l’uso di munizioni al fosforo bianco a Kafr Kila.

Un fotografo ha detto che dopo aver inalato fumo delle munizioni usate in un attacco a Kafr Kila si è messo a letto e ha dormito per due giorni. “Ancora oggi mia moglie mi dice che ho sempre la tosse.”

A un certo punto ho dovuto avvicinarmi al fumo del fosforo bianco per scappare dal villaggio perché il fosforo era alla periferia,” ha detto l’uomo. “Avevo i finestrini aperti mentre guidavo e il fumo è entrato nell’abitacolo. Non sono sicuro di cosa sia successo ma sono certo di averlo inalato […] Avevo il voltastomaco. Gola, polmoni e stomaco mi facevano male, quella notte ho avuto la diarrea e dopo non sono più riuscito a mangiare per un po’, più o meno cinque giorni.”

Ramiz Dallah, un fotografo del Libano meridionale, ha condiviso le sue immagini degli attacchi al fosforo bianco contro il villaggio di Shebaa, che Human Rights Watch ha verificato, e ha detto che dopo un attacco a dicembre il fumo dei proiettili copriva parte della valle di Shebaa e dello stesso villaggio.

Molte persone hanno cominciato ad aver paura di comprare qualsiasi cosa dal villaggio o dal sud perché temono possa essere stato colpito dal fosforo [bianco],” ha detto. “La gente non vuole comprare prodotti del nostro villaggio. Ho sentito l’odore e inalato fosforo bianco quando hanno colpito Shebaa. Non so quali saranno gli effetti a lungo termine di tutto questo fumo dentro il mio corpo.”

Il dottor Zahran, tossicologo, ha detto che i medici hanno riferito di alcuni casi in cui “la gente che andava a controllare le proprie case aveva subito un’esposizione secondaria, con sintomi respiratori dovuti all’inalazione di fosforo bianco che stava ancora bruciando ed era presente nelle zone colpite.”

Politica israeliana sull’uso di fosforo bianco

Nel 2013 le forze armate israeliane annunciarono che stavano sviluppando nuove granate fumogene senza fosforo bianco. L’esercito disse che avrebbe ciononostante usato e immagazzinato le munizioni fino a quando non avesse alternative sufficienti, ma disse che “a seconda del risultato di questo processo di sviluppo le nuove granate sono destinate a rimpiazzare gradualmente quelle attuali come mezzo primario impiegato dalle FDI per le cortine fumogene.”

La decisione di sviluppare alternative è arrivata dopo l’israeliana Operazione Piombo Fuso a Gaza dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, quando l’esercito israeliano lanciò da terra circa 200 munizioni al fosforo bianco verso zone abitate di Gaza. L’esercito fece particolarmente affidamento sui proiettili di artiglieria M825E1 da 155mm che lanciano frammenti di fosforo in fiamme a 125 metri in tutte le direzioni, dando loro un effetto a largo raggio. Il ministero degli affari esteri israeliano ha dichiarato che l’esercito israeliano ha usato i proiettili solo per creare una cortina fumogena. Tuttavia nel marzo 2009 Human Rights Watch documentò decine di vittime civili nei sei incidenti su cui aveva indagato. Le munizioni al fosforo bianco danneggiarono anche strutture civili, fra cui una scuola, un mercato, un deposito di aiuti umanitari e un ospedale.

Tale uso di fosforo bianco causò indignazione e richieste di indagini in ambito internazionale e domestico. Nel 2013 in risposta a una petizione presentata alla Corte Suprema di Giustizia israeliana sugli attacchi a Gaza l’esercito israeliano affermò che non avrebbe più usato fosforo bianco in zone abitate eccetto in due limitate situazioni che rivelò solo al sistema giudiziario. Nella sentenza della corte la giudice Edna Arbel spiegò che le condizioni avrebbero “reso l’uso del fosforo bianco un’eccezione estrema in circostanze veramente particolari.” Nonostante questo impegno presso la Corte non costituisse un cambio ufficiale di politiche la giudice Arbel chiese all’esercito israeliano di condurre “un esame approfondito e esaustivo” e di adottare una direttiva militare permanente.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Ex capo del Mossad: non possiamo sconfiggere Hamas e la Jihad islamica militarmente

Redazione di Middle East Monitor

4 giugno 2024 – Middle East Monitor

Ieri un ex-capo dei servizi segreti israeliani all’estero (il Mossad) ha confermato che Tel Aviv non può sconfiggere Hamas e la Jihad islamica militarmente.

Dal 7 ottobre Israele ha intrapreso una guerra genocida contro la Striscia di Gaza, con un bilancio di oltre 118.000 palestinesi uccisi o feriti, di cui più del 70% minori e donne, e circa 10.000 dispersi in mezzo ad una massiccia distruzione e alla carestia.

Scrivendo sul quotidiano israeliano Maariv sotto il titolo ‘L’amara verità: Hamas e la Jihad non saranno sconfitti da azioni militari’, Danny Yatom ha affermato: “Non siamo in grado di raggiungere gli obiettivi al nord (Libano) e al sud (Gaza)”.

Ci sono ancora molti ostaggi nei tunnel di Gaza, migliaia di sfollati (israeliani) che sono ben lontani dal poter tornare alle proprie case ed Hezbollah sta distruggendo le nostre città al nord.”

Israele stima che ci siano 128 prigionieri di guerra israeliani ostaggi a Gaza, mentre Hamas ha annunciato che più di 70 di loro sono stati uccisi accidentalmente dalle incursioni effettuate da Israele, che trattiene almeno 9.500 palestinesi nelle sue prigioni, molti senza accusa o processo.

Yatom ha continuato: “Nonostante la presenza dell’esercito israeliano ovunque nella Striscia di Gaza, Hamas e la Jihad islamica non saranno sconfitti da azioni militari e gli ostaggi non faranno ritorno sono pressione militare senza accordi politici.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Opinione | Un altro passo del fascismo israeliano: accusare i giornalisti di sinistra di tradimento durante la guerra di Gaza

Rogel Alpher

2 giugno 2024 – Haaretz

Nadav Haetzni, giornalista e avvocato, ha pubblicato venerdì scorso un articolo su Israel Hayom, in cui invitava a far rispettare l’articolo 103 della legge penale. Gli israeliani che diffondono “propaganda disfattista” dovrebbero essere giustiziati mediante impiccagione in tempo di guerra: “Notizie che potrebbero minare lo spirito dei soldati e dei cittadini israeliani nel confronto con il nemico”.

Ha inoltre sottolineato che “le pressioni esercitate da Haaretz, dal New York Times e dall’Aia per fermare la guerra… devono essere esaminate alla luce di questi articoli di legge”. Si riferisce anche all’articolo 99, che prevede la morte o l’ergastolo per favoreggiamento del nemico in tempo di guerra. Si è lamentato che “La distinzione tra protesta legittima e tradimento è stata completamente oscurata”.

“Il problema”, secondo Haetzni, “inizia con la legittimazione concessa nel mondo accademico, negli studi televisivi e soprattutto nel sistema legale a coloro che stanno scavando un buco nel fondo della nostra barca comune”. Ha detto che gli israeliani che accusano Israele di affamare o di espellere il nemico stanno cercando di “danneggiare il paese e l’intera impresa sionista” e “sebbene molti di loro agiscano chiaramente in contraddizione con gli articoli della legge, noi non reagiamo”

Ha paragonato questi israeliani al britannico Lord Haw-Haw (il soprannome dispregiativo del fascista britannico William Joyce), che nel gennaio 1946 fu impiccato per tradimento, dopo aver effettuato dalla Germania [dove era fuggito per evitare l’internamento, n.d.t.] trasmissioni radio che propagandavano le idee di Hitler. Nell’ultima trasmissione si lamentò della reazione sproporzionata degli alleati nei confronti della Germania e dei suoi cittadini.

“Che cosa familiare”, ha osservato amaramente Haetzni. A suo avviso la Gran Bretagna, al contrario di Israele, “ha perseguito qualcuno che sosteneva le opinioni del nemico e lo vedeva come un traditore da condannare all’impiccagione”. Ha chiesto quale sia la differenza tra le organizzazioni israeliane per i diritti umani e il deputato di sinistra Ofer Cassif da un lato, e Lord Haw-Haw dall’altro. Per quanto lo riguarda non c’è differenza.

Il regime del primo ministro Benjamin Netanyahu e i suoi sostenitori (che, secondo i sondaggi, sono ancora una volta in crescita) accusano spesso i media israeliani di diffondere “rapporti che potrebbero minare lo spirito dei soldati e dei cittadini israeliani nel confronto con il nemico”. È un dato di fatto che Haaretz sia accusato di diffondere “propaganda disfattista”, ma non è l’unico media da biasimare, a loro avviso, per aver violato gli articoli 103 e 99 della legge penale.

Tutte le emittenti israeliane, ad eccezione di Canale 14, sono accusate di sabotaggio del Paese e del regime (che ai loro occhi sono la stessa cosa), di tradimento e di favoreggiamento del nemico in tempo di guerra. Le stesse accuse vengono rivolte mattina, mezzogiorno e sera anche al sistema giudiziario, soprattutto l’Alta Corte di Giustizia, e lo stesso vale per il mondo accademico. È evidente il tentativo di sfruttare la guerra per rilanciare la riforma giudiziaria e mettere a tacere ogni critica al regime.

E ora un giornalista e avvocato, che in realtà è un fascista anti-Bibi (esiste anche una categoria del genere), si alza e chiede chiaramente l’esecuzione dei “traditori” nei media, nel sistema giudiziario e nel mondo accademico, senza alcuna necessità di ulteriore legislazione. Non c’è bisogno di una revisione giudiziaria per impiccare giornalisti, accademici, giudici, attivisti per i diritti umani e parlamentari; basterà applicare le leggi esistenti. In Gran Bretagna c’era un solo Lord Haw-Haw. Qui ci sono molti Lord Haw-Haw e tutti loro devono essere messi a tacere per sempre mediante l’esecuzione o l’ergastolo in nome della protezione del Paese e dell’intera impresa sionista.

Mi vengono in mente non pochi giornalisti di Haaretz, compreso il caporedattore o chi scrive, che, secondo Haetzni, dovrebbero essere impiccati o marcire in prigione per il resto della loro vita. Nel frattempo continuiamo a pubblicare – ma per quanto tempo? I segnali premonitori si stanno stringendo su di noi. Le forze di polizia del ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir . La richiesta del regime affinché lo Shin Bet monitori le proteste. Netanyahu è ancora una volta il più adatto tra tutti a ricoprire il ruolo di primo ministro.

L’articolo di Haetzni non è un’eccezione. Il giorno in cui è stato pubblicato è stato un giorno come un altro per il fascismo israeliano. E lo stesso varrà per il giorno in cui verrà impiccato il primo presunto Lord Haw-Haw israeliano.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Aggiornamento sulla Cisgiordania – Due giovani uccisi, diversi arrestati, città saccheggiate dalle forze israeliane

Redazione di Palestine Chronicle

2 giugno 2024 Palestine Chronicle

Secondo l’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA il numero dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania dal 7 ottobre è salito a 521, tra cui 131 minori.

Due giovani palestinesi sono stati uccisi dalle forze di occupazione israeliane nella città di Gerico, nella Cisgiordania occupata.

Secondo l’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA sabato notte le forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Aqabat Jaber e hanno aperto il fuoco su due giovani vicino al cimitero occidentale.

Uno dei giovani, Ahmed Hamidat, 15 anni, è stato ucciso e Mohammed Al-Baytar, 17 anni, è rimasto ferito ma è morto domenica mattina presto a causa delle ferite. Al-Baytar è stato arrestato dopo che è stato impedito alle squadre sanitarie di raggiungerlo.

Al-Baytar è stato trasportato in condizioni critiche dalle forze israeliane in un ospedale della Gerusalemme occupata, dove è morto.

Con l’uccisione di Al-Baytar, il numero dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania dal 7 ottobre è salito a 521, tra cui 131 minori, ha riferito WAFA.

Raid nelle città

Le forze di occupazione israeliane hanno preso dassalto diverse città nel territorio occupato, tra cui la città di Jaba, a sud di Jenin e Beit Ummar, a nord di Hebron (Al Khalil).

A Jabale forze israeliane hanno arrestato due palestinesi, Baraa Malaysha e Adnan Khaliliya.

Coloni ebrei illegali hanno attaccato le case palestinesi nel villaggio di Madaman, nella Cisgiordania occupata. Dopo l’attacco le forze israeliane hanno preso d’assalto il villaggio. I filmati condivisi dal Quds News Network (QNN) mostrano veicoli militari che sfrecciano per le strade della città.

Diversi arrestati

Secondo WAFA le forze israeliane hanno arrestato durante la notte e fino a domenica mattina 15 palestinesi nel corso delle operazioni in diverse aree della Cisgiordania occupata.

La Commissione per gli Affari dei Detenuti e degli Ex Detenuti e la Associazione dei Prigionieri Palestinesi (PPS) hanno affermato in una dichiarazione congiunta che le operazioni di arresto hanno avuto luogo nei governatorati di Jenin, Hebron, Betlemme e Nablus.

Dal 7 ottobre 2023 il numero totale di palestinesi arrestati nella Cisgiordania occupata è salito a oltre 8.985, riferisce WAFA.

Casa demolita

Domenica le forze di occupazione hanno demolito anche la casa di Ghassan al-Atrash nel villaggio di Al-Walaja, a sud-ovest di Gerusalemme.

Secondo WAFA Khader Al-Araj, capo del consiglio del villaggio di Al-Walaja, ha detto che un grande contingente di soldati israeliani, accompagnati da un bulldozer militare, ha fatto irruzione nel quartiere Ain Juwaiza del villaggio. Hanno proceduto alla demolizione della casa di Al-Atrash, un abitante del luogo, che misurava circa 120 metri quadrati.

Al-Araj afferma che le autorità di occupazione israeliane impiegano spesso tali misure per tormentare gli abitanti e spingerli a lasciare il villaggio, adducendo futili pretesti per le demolizioni.

Le autorità israeliane rifiutano di consentire praticamente qualsiasi costruzione palestinese nellArea C, che costituisce il 60% della Cisgiordania occupata e rientra sotto il pieno controllo militare israeliano, riferisce WAFA. Ciò ha costretto i residenti a costruire senza ottenere permessi, raramente concessi, per fornire riparo alle loro famiglie.

Terreni agricoli dati alle fiamme

Wafa fa sapere che nel frattempo coloni ebrei illegali hanno appiccato il fuoco a terreni agricoli nel villaggio di Duma, a sud di Nablus.

Suleiman Dawabsheh, capo del Consiglio del villaggio di Duma, ha detto che i coloni hanno appiccato incendi nel terreno agricolo a ovest del villaggio, coltivato ad ulivi e grano.

Dawabsheh afferma che i coloni hanno impedito agli abitanti del villaggio di accedere ai terreni in fiamme.

In un precedente incidente, circa due mesi fa, i coloni avevano incendiato la stessa zona. In quell’occasione le forze di occupazione israeliane non hanno permesso alle squadre di protezione civile di avvicinarsi e spegnere lincendio, riporta WAFA.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Capire la proposta di Biden per un cessate il fuoco a Gaza

Michel Plitnik

1 giugno 2024 Mondoweiss

I dettagli della proposta di Joe Biden per un cessate il fuoco a Gaza rimangono vaghi, ma un esito dello scontro è certo: Israele e gli Stati Uniti hanno perso.

Venerdì il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è avvicinato al microfono e ha controllato l’orologio prima di iniziare il suo discorso, scherzando sul fatto che voleva assicurarsi che fosse pomeriggio. Dato che era in ritardo di quasi un’ora, qualcuno avrebbe potuto suggerirgli da dietro le quinte di aspettare fino all’inizio di Shabbat in Israele. In questo modo i ministri di estrema destra e osservanti del sabato come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir avrebbero dovuto aspettare un giorno per rispondere a un discorso che certamente non avrebbero voluto sentire.

Del discorso di Biden nemmeno il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe potuto essere molto soddisfatto, anche se doveva sapere da tempo che sarebbe avvenuto.

Biden ha usato gran parte del suo discorso per presentare quella che ha definito “una nuova proposta israeliana” per porre fine al massacro di Gaza. Da un lato il piano da lui presentato era incredibilmente simile a quello respinto da Israele all’inizio di maggio, sostenendo successivamente che Hamas, dopo averlo accettato, lo avesse “modificato”.

Questo solleva la questione del perché Israele lo dovrebbe improvvisamente adesso accettare. Parte della risposta è arrivata poco dopo il discorso di Biden, quando entrambe le camere del Congresso e l’intera leadership bipartisan hanno inviato a Netanyahu l’invito formale a parlare in una sessione congiunta del Congresso, probabilmente alla fine di agosto o all’inizio di settembre.

La politica che concerne tutto ciò è cinica, ma non ci sono dubbi sul fatto che le manifestazioni di massa negli Stati Uniti e in Europa, in tutto il mondo arabo e persino in Israele abbiano spinto tutte le parti coinvolte nei colloqui a mettere almeno un’offerta concreta sul tavolo. Tuttavia questa stessa politica potrebbe significare che nonostante tutto l’attacco di Israele continuerà.

Cosa sappiamo della proposta

Come l’accordo ipotizzato qualche settimana fa la proposta avanzata da Biden è divisa in tre fasi.

Nella Fase Uno ci sarebbe un cessate il fuoco completo per sei settimane. Israele si ritirerebbe da “tutte le aree popolate di Gaza”; Hamas e gli altri gruppi militanti rilascerebbero alcuni ostaggi tra cui donne, anziani e feriti in cambio del rilascio di “centinaia” di prigionieri palestinesi; i civili palestinesi potrebbero ovunque tornare nelle loro case a Gaza e ogni giorno entrerebbero a Gaza almeno 600 camion di aiuti umanitari.

Alcuni dettagli cruciali rimangono poco chiari. Forse il più importante è cosa significhi il ritiro di Israele da “tutte le aree popolate di Gaza”. Se Israele non si impegnerà in alcuna operazione militare, la presenza delle truppe apparirà una cosa di routine. E se i palestinesi possono tornare ovunque a Gaza, ciò lascia poca preziosa terra “spopolata” nella piccola e sovraffollata Striscia.

La Fase Due è in qualche modo aperta e i dettagli dovrebbero essere elaborati durante la Fase Uno. Biden ha affermato esplicitamente che se i negoziati non fossero completati entro sei settimane, il cessate il fuoco verrebbe prolungato fino al loro completamento.

La seconda fase vedrebbe un accordo sulla fine permanente delle ostilità, il rilascio di tutti gli ostaggi viventi detenuti a Gaza e il completo ritiro israeliano da Gaza. Dato che non sembra esserci un quadro normativo per una cessazione definitiva, la prospettiva di successo in un periodo di tempo così breve è dubbia.

La terza fase vedrebbe poi la restituzione dei corpi di tutti gli ostaggi morti e l’inizio di un massiccio sforzo di ricostruzione a Gaza da parte della comunità internazionale.

Cosa manca

Il piano così com’è stato presentato è chiaramente incompleto e solleva la domanda se ci siano ulteriori dettagli importanti da elaborare o se quei punti, alcuni dei quali molto significativi, non siano stati omessi dall’annuncio per ragioni politiche.

Forse il punto più importante che manca nella presentazione di Biden è la governance. È un mistero se Israele o gli Stati Uniti siano disposti a tollerare un governo di Hamas. L’Autorità Palestinese potrebbe avere più facilità a subentrare se Hamas accettasse questa offerta e la presentasse come una vittoria per il popolo palestinese. Ma Israele sarebbe davvero d’accordo su questo? Il popolo di Gaza sarebbe disposto ad accettare una sorta di coalizione internazionale per il controllo temporaneo di Gaza? Anche questo sembra improbabile, anche se potrebbe essere un prezzo che vale la pena pagare per porre fine alla tragedia.

Restano aperte le questioni relative ai crimini di guerra, al caso davanti alla Corte Penale Internazionale e ai suoi potenziali mandati di arresto. Se le gravi violenze a Gaza finissero è del tutto possibile che quei casi possano sparire e con essi la speranza di riconoscere la responsabilità di Stati potenti e dei loro leader che commettono crimini di guerra. Ancora una volta, è difficile immaginare che Israele metta fine al massacro per poi affrontare quelle accuse, ed è difficile immaginare che gli Stati Uniti starebbero a guardare.

C’è anche un ovvio problema di implementazione. Biden ha affermato che se Hamas violasse i termini di questa proposta dopo che fosse stata accettata, Israele potrebbe riprendere la sua campagna genocida. Questa è una minaccia che Israele avrà sempre a disposizione. 

Ma cosa succederebbe se fosse Israele a non rispettare la sua parte nell’accordo? Biden sembra aver semplicemente dato per scontato che, se Israele lo accetterà, rispetterà l’accordo. Le lezioni di Oslo non valgono nulla per il Presidente, e di nuovo manca la consapevolezza che solo la pressione esterna – che deve includere gli Stati Uniti, anche se non è necessario che siano l’unico Stato ad applicarla – può garantire che Israele ottemperi agli accordi. È una storia con un finale molto brutto che abbiamo visto ripetersi molte volte nel corso degli anni.

La politica dell’offerta

La tempistica di questa offerta suggerisce il motivo per cui sia arrivata proprio ora. Visto che Donald Trump era stato condannato per 34 reati a New York proprio il giorno prima, Biden ha fatto di tutto per trarre vantaggio dalla giornata nera di Trump anche perché, almeno inizialmente, le condanne di Trump non sembrano avergli dato una gran spinta.

Naturalmente, visto quanto è costato a Biden il sostegno al genocidio di Gaza, ogni momento è buono per concludere un accordo. La vera domanda è perché Israele all’improvviso abbia accettato la proposta.

In primo luogo è importante comprendere la prassi di Israele. La sua squadra negoziale ha lavorato con Egitto, Qatar e Stati Uniti su questo accordo, ma è improbabile che si tratti di una proposta che venga da Israele, come l’ha presentata Biden. Netanyahu ha dovuto approvare che gli Stati Uniti facessero la proposta a nome di Israele, ma ciò non significa che Israele l’abbia ufficialmente accettata. Netanyahu ha l’ultima parola e se i partiti di estrema destra minacciassero di lasciare il governo potrebbe fare marcia indietro. 

Inoltre Netanyahu non ha avuto bisogno di premere molto per respingere il cessate il fuoco che porterebbe al rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza, come ha ripetutamente fatto sin dall’inizio. Anche se il suo governo non dovesse cadere immediatamente, correrebbe comunque un serio rischio nei processi per corruzione in corso. Continuare la carneficina a Gaza impedisce che questo accada.

L’invito del Congresso è probabilmente parte del pacchetto che Biden ha offerto a Netanyahu per portare avanti questa proposta almeno provvisoriamente. Potrebbero esserci altri incentivi che devono ancora concretizzarsi affinché Netanyahu possa aumentare la sua popolarità in Israele o perché altri partiti, come Yesh Atid [partito israeliano sionista di centro e laico, ndt.] di Yair Lapid, accettino di salvare il suo governo se i partiti di estrema destra se ne vanno. Ma Biden ha un disperato bisogno di trarre qualcosa di positivo dalla débâcle di Gaza e se trova il modo di salvare Netanyahu e far sì che ciò accada lo farà sicuramente.

Nel suo discorso Biden ha aperto la porta a Netanyahu dicendo che negli ultimi otto mesi sono stati uccisi così tanti combattenti di Hamas che non sarebbe possibile organizzare di nuovo un attacco pesante come quello del 7 ottobre. Stava chiaramente lastricando la strada che Netanyahu avrebbe potuto percorrere per rivendicare la vittoria accettando questo accordo, suggerendo che l’intenzione di Netanyahu di sconfiggere completamente Hamas sia stata soddisfatta per quanto realisticamente possibile.

Le reazioni

Eppure sia Netanyahu che Hamas sono stati cautamente positivi nelle loro risposte. Hamas ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma: “Hamas conferma la sua disponibilità ad affrontare positivamente e in modo costruttivo qualsiasi proposta basata sul cessate il fuoco permanente e sul completo ritiro [delle forze israeliane] dalla Striscia di Gaza, sulla ricostruzione [di Gaza], e il ritorno degli sfollati ai loro luoghi, insieme alla realizzazione di un vero accordo di scambio di prigionieri se l’occupazione annuncia chiaramente l’impegno a tale accordo”.

È una risposta intelligente. Esprime il fatto che stiano ancora analizzando i dettagli, alcuni dei quali non sono ancora stati resi pubblici e che non si impegneranno pubblicamente nell’accordo finché Israele non dichiarerà il suo appoggio. Il fatto è che questa proposta soddisfa in gran parte le richieste che Hamas ha ripetuto negli ultimi mesi: cessate il fuoco completo, fine delle ostilità, ritiro completo israeliano e completa libertà dei palestinesi di tornare ovunque siano stati cacciati da Gaza.

Tutte queste cose non accadrebbero necessariamente il primo giorno, ma è improbabile che Hamas trovi un accordo migliore di questo ed è certamente un accordo che gli permette di affermare realisticamente di aver resistito a tutti gli attacchi di Israele, e che loro e il popolo di Gaza sono rimasti in piedi. Israele avrà la propria narrazione e i sostenitori di ciascuna parte abbracceranno le varie versioni, ma questo è un argomento realistico che Hamas può sostenere.

Biden ha fatto allusione all’idea che questa proposta in qualche modo rimetta in pista l’idea di una soluzione a due Stati, il che è una totale assurdità. Non avrà alcun effetto su quel miraggio, metterà semplicemente fine al massacro.

Biden ha anche lasciato intendere che la cosa potrebbe portare all’accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele. Anche questo è improbabile. Non è impossibile, ma richiederà una serie di altre cose per essere realizzato, inclusa l’approvazione del Senato sull’accordo e l’impegno di Israele per uno Stato palestinese, cosa che è altamente improbabile Netanyahu faccia.

In effetti se quell’accordo ne facesse in qualche modo parte sarebbe una ricetta per un disastro. Non solo perché l’idea della normalizzazione è una politica terribile per gli Stati Uniti, i palestinesi e l’intera regione, ma anche perché minaccia di suscitare la stessa disperazione che è stata un fattore significativo nella decisione di Hamas di lanciare l’attacco del 7 ottobre.

Biden non sarebbe saggio nel perseguire questa strada, anche se ne sarebbe tentato data la sua ossessione per l’idea di normalizzazione israelo-saudita e il suo desiderio di una grande vittoria in politica estera. La proposta, anche se accettata, difficilmente sarà quel genere di vittoria.

Ciò è dovuto soprattutto al fatto che l’intera proposta chiarisce come Israele e gli Stati Uniti abbiano perso. La tregua che potrebbe prendere piede è sul tavolo dallo scorso anno, in una forma o nell’altra. Molte vite palestinesi, così come alcune vite israeliane, avrebbero potuto essere salvate.

Israele ha insistito sul fatto che solo la forza delle armi avrebbe potuto liberare gli ostaggi, nonostante il fatto che non ci sia riuscito, mentre un precedente cessate il fuoco prevedeva la liberazione di quasi metà degli ostaggi. Hamas continua ad esistere e continuerà ad esistere indipendentemente dal fatto che questa proposta venga accettata o meno. La popolazione di Gaza è rimasta a Gaza, nonostante la massiccia perdita di vite umane.

Tutto ciò che Israele è riuscito a fare sono stati massacri e distruzioni, che hanno danneggiato gravemente e permanentemente la sua posizione nel mondo, non solo tra milioni e milioni di persone ma anche tra molti governi.

Tutto questo avrebbe potuto essere evitato e non ci vogliono piani complicati per farlo. Concedere semplicemente ai palestinesi i diritti e le libertà che tutti ci aspettiamo. In un mondo simile non ci sarebbe bisogno del 7 ottobre, né di odio, paura e insicurezza. Il discorso di Biden e la sua proposta non contengono alcun indizio che adesso capisca la situazione meglio di quanto la capisse il 6 ottobre.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’ordine giuridico internazionale deve essere restaurato – e Gaza ne fa parte”

Ghousoon Bisharat

24 maggio 2024 – +972 Magazine

Il direttore di Al Mezan, Issam Younis, spiega gli ostacoli e le opportunità per i palestinesi dopo gli importanti interventi dei principali tribunali internazionali.

In una settimana frenetica per gli sviluppi globali in campo giuridico due dei più importanti tribunali internazionali hanno compiuto passi fondamentali per affrontare la guerra che infuria a Gaza dagli attacchi del 7 ottobre.

Il 20 maggio il procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI), Karim Khan, ha annunciato di aver emesso i mandati di arresto per diversi importanti leader israeliani e di Hamas per crimini di guerra e contro l’umanità: il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, che ha accusato di aver ridotto intenzionalmente alla fame e diretto attacchi contro civili palestinesi a Gaza; e Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh, ritenuti responsabili di aver diretto l’uccisione e il rapimento di civili israeliani il 7 ottobre.

Poi, il 24 maggio, nellambito del processo in corso in seguito alle accuse di genocidio portate dal Sudafrica contro Israele, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha ordinato a Israele di cessare immediatamente linvasione di terra di Rafah, in corso da settimane, e di riaprire il valico di Rafah con lEgitto per consentire lingresso di aiuti umanitari e osservatori su mandato delle Nazioni Unite, e ha ribadito la sua richiesta per il rilascio immediato di tutti gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza.

Per comprendere il significato di questi sviluppi +972 ha parlato con Issam Younis, direttore del Centro Al Mezan per i diritti umani con sede a Gaza, ed ex commissario generale della Commissione Indipendente Palestinese per i Diritti Umani. Younis è stato sfollato con la sua famiglia dalla città di Gaza all’inizio della guerra, prima di lasciare la Striscia per il Cairo, dove si trova attualmente.

Nel corso di una intervista che tocca molti temi Younis ha [detto di aver] accolto favorevolmente le richieste di mandato di arresto avanzate da Khan, sottolineando la necessità di utilizzare ogni strumento legale per porre Israele di fronte alle proprie responsabilità; contemporaneamente ha visto la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia come un passo significativo per assicurare un cessate il fuoco permanente a Gaza. Tuttavia, ha avvertito Younis, il sistema globale del diritto internazionale si trova con ogni evidenza ad un punto di rottura.

I palestinesi, ha spiegato, sentono che esiste una cronica contraddizione” tra la loro ricerca della giustizia e un mondo in cui le norme del diritto internazionale vengono applicate selettivamente solo a determinati attori. Gaza, secondo Younis, è quindi un test per lordine giuridico, poiché i Paesi del Sud del mondo combattono per sostenere le convinzioni etiche enunciate dal Nord del mondo quasi ottantanni fa.

Younis ha inoltre sostenuto che prendere di mira Netanyahu e Gallant sia stata la cosa facile da fare”, poiché sono i volti pubblici impopolari della campagna militare israeliana. Ma ha sottolineato che la CPI deve perseguire una serie di funzionari che hanno eseguito i crimini, compresi quelli esaminati dallindagine più estesa della Corte sui territori occupati, come lespansione degli insediamenti coloniali in Cisgiordania. Tuttavia Younis è rimasto cautamente ottimista: La giustizia non si ottiene con un knockout, ma con una vittoria ai punti”, ha detto.

L’intervista è stata modificata per motivi di lunghezza e chiarezza.

Molti palestinesi avvertono da tempo che il diritto internazionale non è riuscito a proteggerli o a far progredire la loro lotta, questo fallimento è culminato in ciò che vediamo oggi a Gaza. Avendo dedicato la vita a questo tema, cosa direbbe ai suoi connazionali palestinesi su come considerare gli attuali sviluppi giuridici?

Ci sono due risposte alla richiesta di mandati di arresto di Khan. La prima è che siamo ottimisti sul lungo termine, sul piano strategico. Non siamo ingenui e siamo consapevoli che il diritto internazionale è il prodotto di ciò che gli Stati accettano per proprio vantaggio. Ma cerchiamo il più possibile di utilizzare questi strumenti esistenti. Come scrisse il poeta Al-Tughrai, come sarebbe angusta la vita senza uno spazio per la speranza”, quindi dobbiamo mantenere viva la speranza.

La seconda risposta richiede la comprensione del sistema giuridico internazionale. Le Nazioni Unite, le Convenzioni di Ginevra e altri regolamenti e istituzioni del dopoguerra furono istituiti dai vincitori per proteggere la pace e la sicurezza internazionale, mantenere lordine globale e facilitare la cooperazione internazionale. Queste regole sono diventate troppo restrittive per affrontare le ingiustizie esistenti nel mondo, al punto che il diritto internazionale ora si applica chiaramente solo ad alcuni Paesi e ad alcuni esseri umani, ma non a tutti. Come si può spiegare altrimenti questa iniquità [nella risposta dei Paesi occidentali a Gaza]?

Naturalmente lo status quo [dellapplicazione selettiva del diritto internazionale] è pericoloso. Mette in luce la crisi dellintero sistema. Il genocidio di Gaza conferma che questo ordine internazionale è obsolescente; le regole del 1945 non possono reggere al giorno doggi. Ma fa ancora parte del nostro sistema come palestinesi. Se riusciamo a ottenere giustizia attraverso questi recenti sviluppi, bene; se non possiamo, è unopportunità per massimizzare il nostro impegno politico e legale e dimostrare lassenza di giustizia.

I palestinesi di tutto il mondo – sia in Cisgiordania che a Gaza, a Gerusalemme, nella diaspora o allinterno di Israele – sentono che esiste una cronica contraddizione tra la giustizia e la realtà del mondo. Lassalto a Gaza, in quanto [segnale di] uno scadimento quanto mai brutale e criminale dei valori morali e legali, ha messo [la mancanza di giustizia] in cima allagenda mondiale.

Eppure ai palestinesi dico: non importa quanto brutale e criminale sia la situazione, la giustizia prevarrà. Perché non importa quanto le persone si abituino alla vista del sangue e della morte, questa è una situazione anormale. Non è giusto e un giorno le cose cambieranno. La giustizia non si ottiene con un knockout, ma con una vittoria ai punti, e la vittima deve sempre fare buon uso degli strumenti a sua disposizione.

C’è un chiaro movimento in tutto il mondo: ci sono proteste di massa nelle strade e nei campus. La guerra di Gaza non sta solo sconvolgendo lordine globale, ma rivelando una nuova relazione tra il Nord e il Sud del mondo. Il fatto che il Sudafrica abbia portato avanti il ​​caso di genocidio davanti alla CIG non è stato solo simbolico; lo schierarsi degli Stati del Sud, dichiarato o meno, è importante.

Laltra parte del mondo, gli europei bianchi del Nord, devono rendersi conto che le cose non sono più come prima. Lordine internazionale ha bisogno di essere restaurato e Gaza ne fa parte. Pensavamo che, nonostante il divario tra Sud e Nord, spartissimo alcuni valori con lintera comunità internazionale, solo per scoprire che anche i concetti [più basilari] non sono condivisi.

La prova di questa iniquità è che la guerra a Gaza è ancora in corso dopo otto mesi e che luccisione di [oltre 15.000] bambini è un argomento controverso. Finché il mondo non interviene, continua a inviare spedizioni di armi e a dare sostegno politico, significa che il mondo accetta luccisione di bambini perché non sono bianchi e crede che ogni palestinese sia uno scudo umano, un terrorista, o un ostacolo sul cammino di un nuovo Medio Oriente.

Cosa ne pensa della decisione odierna della CIG?

E’ una evoluzione molto significativa – un passo cruciale [non solo] per porre fine al genocidio a Gaza, ma anche per aprire la strada affinché Israele sia ritenuto responsabile del crimine di genocidio.

La CIG chiede a Israele di fermare immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel Governatorato di Rafah che possa infliggere alla comunità palestinese di Gaza condizioni di vita tali da poter portare alla sua distruzione fisica totale o parziale”. Intendo questo messaggio come una richiesta di cessate il fuoco: la CIG ordina a Israele di interrompere le sue operazioni militari in tutta la Striscia di Gaza, aggiungendo poi una virgola molto importante seguita da qualsiasi altra azione nel Governatorato di Rafah”.

Secondo me con queste parole la CIG ordina a Israele di porre fine del tutto alla guerra, anche se mi aspettavo che la Corte fosse più chiara [nella sua formulazione].

Cosa pensano i palestinesi di Gaza riguardo a questi sviluppi presso la CPI e la CIG?

La gente a Gaza è estremamente arrabbiata con lintero ordine globale e con le istituzioni giuridiche esistenti. Il tempo si misura con i loro cadaveri e gli altri sono vivi solo per caso. Si sentono abbandonati e sentono che il mondo è complice di ciò che sta accadendo loro. Finché non fermerai questa guerra, ne farai parte.

Le ONG palestinesi come Al Mezan hanno collaborato con la CPI sulle indagini riguardanti casi che risalgono alla guerra del 2014. Cosa ne pensa della lentezza delle indagini, che non hanno ancora prodotto alcuna accusa, e della rapidità di quelle avviate in seguito alla guerra in corso?

L’origine della storia risale alla guerra di Gaza del 2008-2009. Ci siamo rivolti allallora procuratore della CPI, il signor Luis Moreno Ocampo, e abbiamo chiesto di indagare [sulla condotta di Israele durante la guerra] come violazione dello Statuto di Roma. Tre anni dopo Ocampo ci ha risposto dicendo che lo status giuridico dello Stato di Palestina non era chiaro alle tre principali istituzioni – lAssemblea Generale dell’ONU, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e gli Stati parti dello Statuto di Roma – per cui non poteva aprire un’indagine.

Quando nel novembre 2012 la Palestina è diventata uno Stato osservatore non membro dellAssemblea Generale dell’ONU abbiamo avuto una nuova apertura: la Palestina aveva ora il carattere” di uno Stato che poteva firmare lo Statuto di Roma, e così è diventata una dei 124 aderenti alla CPI.

Otto anni dopo la procuratrice della CPI, Fatou Bensouda, ha deciso che esisteva un fondamento in merito e la Camera Preliminare [dopo aver confermato lo status della Palestina come Stato] ha consentito lapertura di unindagine nel 2021. Da allora, lindagine non ha progredito di un solo millimetro, nonostante le numerose guerre lanciate contro Gaza, la continuazione del blocco e altri crimini.

Quindi penso che la recente decisione di Khan suggerisca che non può rimanere in silenzio di fronte a questa ferocia. Mostra anche lentità della pressione esercitata sulla Corte.

La richiesta di Khan di emettere mandati di arresto contro Netanyahu e Gallant – entrambi personaggi politici impopolari e indesiderabili per molti, compresi gli Stati Uniti – è stata la cosa più facile da fare. Il mondo si è reso conto, anche se tardivamente, che Netanyahu rappresenta un ostacolo. E per quanto riguarda Gallant, le sue dichiarazioni dicono Stiamo combattendo animali umani” e Ho ordinato un assedio completo alla Striscia di Gaza. Non ci sarà né elettricità, né cibo, né carburante” sono la prova di una politica brutale. Il procuratore non poteva rimanere neutrale.

L’aver scelto il percorso facile spiega perché non ci sono mandati di arresto per coloro che hanno eseguito e ordinato tali crimini: gli ufficiali militari e della sicurezza e tutti gli altri membri del gabinetto di guerra israeliano. Il criminale, secondo lo Statuto di Roma, è colui che ha ordinato, eseguito, assistito e perfino consentito il crimine, per cui è impensabile impartire ordini ad altri che non siano direttamente responsabili.

Perché il procuratore ha chiesto mandati di arresto relativi solo ai reati a partire dal 7 ottobre?

Spero che questo sia il primo round. Il dovere del procuratore è quello di esaminare tutti i crimini che minacciano la pace e la sicurezza internazionale e di analizzare lintero fascicolo, senza essere selettivo e parziale.

Ma sembra che sia sotto pressione e non potrebbe andare oltre la data del 7 ottobre. Se lo facesse, significherebbe aprire il dossier sugli insediamenti coloniali [in Cisgiordania]. Per i palestinesi le colonie non sono meno pericolose della guerra in atto perché hanno il fine di eliminare ogni possibilità di esistenza per il popolo palestinese. Il trasferimento di una popolazione in territori occupati è un crimine grave ai sensi dello Statuto di Roma e delle Convenzioni di Ginevra. Mi aspettavo che ciò entrasse a far parte del processo in corso presso la CPI, ma sembra che questo sia il massimo che Khan può fare adesso.

La pressione su di lui spiega anche perché ha scelto di richiedere mandati contro tre membri di Hamas e solo due israeliani. Inoltre, i palestinesi sono accusati di otto crimini, gli israeliani di sette, e solo i palestinesi sono accusati di tortura, maltrattamenti, ecc., mentre non vengono nemmeno citati i crimini di rapimento, sparizione e detenzione di palestinesi nelle carceri militari israeliane. Lavoro in questo campo da 35 anni, e non ho mai visto una tale brutalità [contro i prigionieri]: 27 palestinesi sono stati uccisi nelle carceri israeliane: non combattenti illegali”, ma lavoratori che si trovavano sul posto di lavoro quando Hamas ha lanciato il suo attacco, tutti passati attraverso controlli di sicurezza e in possesso del permesso di lavorare in Israele.

Inoltre il procuratore ha scelto di non menzionare il reato di genocidio. Eppure quello che sta accadendo ora è un genocidio in tutti i sensi, e prove attendibili [di questo] sono state presentate dal team legale sudafricano davanti alla CIG.

Una questione chiave riguardo allintervento della CPI è la complementarità (ovvero Israele che indaga su sé stesso). Quale è stata lesperienza di Al Mezan sul modo di perseguire l’accertamento di responsabilità da parte del sistema giudiziario israeliano?

In quanto organizzazione per i diritti umani, trattiamo con lautorità esistente purché garantisca un certo rispetto per i diritti umani dei cittadini. Tra le parti con cui abbiamo collaborato, ad esempio, c’è il Corpo dellAvvocatura Generale Militare Israeliana (MAG Corps). Durante la guerra del 2014 e prima abbiamo presentato centinaia di richieste sui crimini più gravi commessi. La stragrande maggioranza dei casi non è stata oggetto di indagini, ad eccezione di quelli riguardanti la disciplina militare, come il caso di un soldato che ha rubato una carta di credito. Non c’è stata alcuna indagine sugli omicidi di intere famiglie cancellate dall’anagrafe o sulla distruzione di un ospedale. Ma dobbiamo sfruttare tutti i mezzi di contenzioso a livello nazionale di fronte alla potenza occupante.

Israele è quasi l’unico Paese al mondo in cui la magistratura boicotta le vittime. Ciò è delineato nella modifica del 2012 della legge sulla responsabilità dello Stato [n. 8]. In molti paesi, le vittime boicottano il sistema giudiziario perché lo considerano non indipendente, imparziale o neutrale.

Il nostro criterio è stato: Siamo di Gaza e i giudici israeliani devono renderci giustizia”, ma loro forniscono sempre copertura politica e legale [allo Stato]. Una vittima [che noi rappresentavamo] ha perso la sua casa nel 2008 e l’ha ricostruita, nel 2012 un suo familiare è stato ucciso e nel 2014 lesercito ha nuovamente distrutto la sua casa. Nessun tribunale israeliano gli ha reso giustizia. Allora dove deve rivolgersi? Il principio di complementarità è fondamentale, ma nel caso di Israele, la sua magistratura non può garantire giustizia ai palestinesi.

Come considera la reazione degli Stati Uniti alle notizie della CPI?

Gli Stati Uniti sono parte del problema, non parte della soluzione. Gli Stati Uniti hanno esercitato pressioni sulla Corte e quando la precedente procuratrice Fatou Bensouda ha aperto unindagine, è stata punita: lamministrazione Trump ha revocato i visti a Bensouda e ad altri collaboratori, oltre ad altre misure di ritorsione. Durante lamministrazione Bush, gli Stati Uniti hanno anche firmato accordi con la maggior parte degli Stati firmatari dello Statuto di Roma per non estradare o detenere alcun cittadino americano accusato di crimini di guerra, garantendo così limmunità ai propri soldati. Questa settimana, i senatori statunitensi hanno firmato dichiarazioni minacciose contro la Corte. Ciò non ha precedenti.

Cosa ci si può aspettare da un Paese che pensa e agisce in questo modo? Se gli Stati Uniti avessero voluto porre fine alla guerra lavrebbero fatto in cinque minuti, con una telefonata di Biden. Per gli Stati Uniti, il tribunale è eccellente purché emetta un mandato di arresto per Putin, ma diventa un problema quando si occupa di altri casi che riguardano suoi stretti alleati. Gli Stati Uniti stanno trascinando il mondo verso situazioni pericolose e persino catastrofiche.

Cosa significano i mandati per gli obblighi della Palestina in quanto firmataria dello Statuto di Roma – compreso il fatto che Sinwar e Deif si trovano in territorio palestinese?

Conveniamo sul fatto che lo Stato di Palestina non esercita alcun tipo di sovranità ed è uno Stato sotto occupazione. È uno Stato virtuale. Se lo stesso Presidente vuole spostarsi da un luogo all’altro della Cisgiordania o al di fuori di essa ha bisogno dell’approvazione degli israeliani. Il mondo è consapevole che lAutorità Nazionale Palestinese non ha alcun potere per arrestare nessuno. Vuole adempiere ai suoi doveri legali come Stato indipendente, ma non può.

[Riguardo ad Hamas], non siamo noi a stabilire il diritto internazionale, ma ci sono regole che valgono per tutti e che tutti devono rispettare. La resistenza e la lotta fanno parte della natura umana, che cerca di porre l’accento sulla moralità e le leggi umanitarie che il mondo civilizzato ha accettato per sé. C’è sempre bisogno di riflettere sui mezzi di resistenza e su come ottenere i migliori risultati possibili. La resistenza ha sempre bisogno di riesaminare sé stessa, ma ciò non nega che esiste unoccupazione e ad essa bisogna resistere.

La domanda più importante è come può il popolo palestinese fare ciò mentre è sottoposto a questa ferocia e aggressione. Alla fine, lalbero della vita è sempreverde e la teoria è grigia.

È necessario porre fine a questo conflitto e fornire ai palestinesi tutte le risorse morali, legali e umanitarie affinché possano esercitare il loro diritto allautodeterminazione. A proposito, non si tratta solo del diritto al proprio Stato; sono contrario allidea che il problema dei palestinesi sia che non hanno uno Stato. In effetti, il popolo palestinese rivendica il diritto allautodeterminazione affinché possiamo decidere del nostro destino. E se non volessimo uno Stato?

Questa è la prima volta che i leader palestinesi vengono formalmente accusati di crimini di guerra internazionali. Cosa significa questo per la lotta e la resistenza palestinese? La mossa della CPI significa che ci sono linee rosse anche per la resistenza?

Come organizzazioni per i diritti umani crediamo che chiunque violi lo Statuto di Roma, indipendentemente dalla sua nazionalità, debba essere assicurato alla giustizia e assumersi la responsabilità delle proprie azioni.

Sono dellopinione che, anche se questa decisione di richiedere mandati di arresto contro Sinwar, Deif e Haniyeh è inaccettabile per alcuni palestinesi, questa è unopportunità per qualsiasi imputato per presentarsi davanti alla Corte, difendere la propria versione, contestualizzare le cose e presentare prove. In definitiva, anche se vengono emessi mandati, gli accusati sono sempre innocenti fino a prova contraria.

Non siamo noi a decidere cosa sia un crimine di guerra: alla fine lo deciderà il tribunale. Ma la Corte stessa deve essere totalmente credibile e non politicizzare la questione, perché il sistema internazionale è ora messo alla prova. E continuiamo a chiedere ad alta voce: Chi sta commettendo un genocidio?”

Per quanto riguarda la scelta tra resistere o negoziare [con Israele], secondo me, entrambe le scelte sono problematiche finché non hanno il consenso della gente. Pagheremo un prezzo per entrambe le opzioni, ma siamo pronti a farlo. La questione importante è che esiste una causa giusta e noi vogliamo porre fine alloccupazione, ma c’è uno sforzo organizzato per inquadrare ogni nostra azione come immorale.

E’ fiducioso sul fatto che il mondo rispetterà i mandati di arresto?

Continuiamo a credere che il mantenimento della sicurezza internazionale, della stabilità e della pace sia un dovere internazionale. È interessante che un Paese che fornisce copertura per il genocidio, come la Germania, affermi che le decisioni della Corte devono essere rispettate. La mancata attuazione di queste decisioni significherebbe che il mondo ha dimenticato lo Stato di diritto e sta passando alle regole della giungla.

In che modo la richiesta di mandati darresto da parte della CPI potrebbe influenzare il procedimento giudiziario presso la CIG?

Sono due ambiti diversi e ogni tribunale gode di piena indipendenza, senza alcun rapporto ufficiale tra loro. Ma dal momento che la CIG sta discutendo il caso del genocidio, ciò può aiutare il procuratore della CPI nelle accuse contro gli israeliani incriminati. Senza dubbio, il procedimento presso la CIG aiuta a creare lambiente appropriato [per le azioni della CPI]. LCIG ha accettato la richiesta del Sud Africa, il che significa che esiste un fondamento per la richiesta. Spetta alla Corte decidere nel merito, ma da un punto di vista procedurale il procuratore della CPI non avrebbe dovuto aver paura di portare avanti le accuse di genocidio contro i singoli israeliani.

Lei e la sua famiglia avete lasciato Gaza a dicembre e ora vi trovate al Cairo. Come vi sentite in questo momento?

Siamo vivi per caso e ci troviamo ancora in bilico tra la vita e la morte. La cosa più importante per me è essere forte e sostenere mia moglie e i miei figli. Sono al Cairo, ma il mio cuore e la mia mente sono con la mia famiglia, i miei vicini, i miei colleghi e i miei amici a Gaza.

Abbiamo perso le nostre case e le proprietà. Sono stato costretto a lasciare la mia casa nel quartiere di Al-Rimal a Gaza City il 13 ottobre. La mia casa e il mio ufficio sono stati gravemente danneggiati e lintero edificio di mio figlio è stato distrutto, colpito da un missile. Siamo stati sfollati a Rafah per alcuni mesi, a differenza di molti altri che sono stati uccisi quando le loro case sono state prese di mira, e abbiamo lasciato Gaza il 3 dicembre.

Ciò che abbiamo vissuto a Gaza è stato incredibile. Non dimenticherò mai la paura della cintura di fuoco dei bombardamenti. Immagini il rumore degli spari di un fucile automatico; ora immagini la stessa cosa dagli aeroplani. Con lanci a intervalli regolari, di pochi secondi tra loro, in una zona residenziale piena di bambini e donne. Lo stato di terrore è indescrivibile. Ho perso molti familiari e amici. Cerco di non ascoltare le notizie, perché le notizie ti portano sempre i nomi delle persone che sono state uccise.

Tornerà a Gaza?

Sì, naturalmente. Quando la guerra finirà voglio tornare indietro e contribuire alla ricostruzione di Gaza. Non c’è dignità se non nella propria patria. Voglio tornare indietro, ma la mia famiglia potrebbe non tornare perché non ci sono case, ospedali, scuole o università.

Capisco chi afferma di non poter tornare, perché tutte le cose necessarie alla vita sono state completamente distrutte. Capisco i giovani che sono riusciti ad andare via e non vogliono tornare. Ma tornerò per ricostruire Gaza per le giovani generazioni, per i miei figli e nipoti.

Ghousoon Bisharat è la redattrice capo della rivista +972.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




“Storica decisione”: Hamtramck diventa la prima città USA che boicotta Israele

Pauline Ertel

30 maggio 2024 – Middle East Eye

La città del Michigan si è impegnata ad astenersi dall’acquisto di beni e servizi provenienti dalle imprese segnalate dalla campagna BDS

Giovedì la città di Hamtramck, nei dintorni di Detroit, Michigan, ha approvato una risoluzione di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), diventando la prima città degli USA a sostenere pienamente una campagna di boicottaggio a sostegno dei diritti dei palestinesi.

La risoluzione afferma che Hamtramck “farà tutto il possibile per astenersi dall’acquisto di beni e servizi provenienti da qualunque fornitore che sia oggetto di una campagna BDS”, come anche da investimenti nello Stato di Israele e in “imprese israeliane che sostengono l’apartheid israeliano.”

Inoltre incoraggia gli abitanti a partecipare al boicottaggio, appoggia l’attivismo studentesco nei campus universitari e sottolinea che il sostegno al BDS non è antisemita in quanto molti importanti sostenitori del BDS sono essi stessi ebrei.

Il movimento BDS a guida palestinese è un’iniziativa non violenta che cerca di contrastare l’occupazione israeliana e le violazioni dei diritti umani dei palestinesi attraverso boicottaggi economici, culturali ed accademici, analoghi alle campagne di boicottaggio contro l’apartheid sudafricano.

In una riunione registrata del consiglio comunale di Hamtramck nella notte di giovedì, i membri del consiglio hanno dichiarato che la decisione di appoggiare il BDS è stata presa “per mandare un significativo messaggio di sostegno al popolo palestinese e ai suoi sforzi di porre fine all’occupazione israeliana delle loro terre native.”

Dobbiamo adottare ogni possibile misura per aiutare i palestinesi”, ha detto un membro del consiglio comunale, aggiungendo che “dobbiamo chiaramente boicottare l’utilizzo dei loro prodotti e non possiamo usare il denaro dei nostri contribuenti per uccidere le persone.”

Dal 2013 Hamtramck è l’unica città a maggioranza musulmana negli Stati Uniti con una storia di attivismo.

A febbraio di quest’anno il consiglio comunale di Hamtramck ha approvato la Risoluzione 22-2024, “Spostare i soldi”, che chiede al Congresso e al presidente di stornare importanti fondi dal budget militare al finanziamento di programmi di servizi sociali essenziali.

Nell’ottobre dello scorso anno il consiglio comunale ha auspicato un cessate il fuoco e ha rinominato una delle sue strade principali “Corso Palestina”, come simbolica dimostrazione di solidarietà ai palestinesi di Gaza.

Un altro membro del consiglio comunale presente alla riunione di giovedì ha parlato della “storica decisione che sta per essere presa”.

A quanto pare la maggioranza degli americani è contro la guerra, ma il nostro governo ovviamente non ascolta le preoccupazioni della gente”, ha detto il sindaco di Hamtramck Amer Ghalib.

Diversi sondaggi hanno mostrato che la maggioranza degli americani appoggia un cessate il fuoco a Gaza.

Il ruolo del governo locale nel BDS

Due città della California, Hayward e Richmond, hanno votato il disinvestimento da imprese che fanno affari in Israele. Tuttavia le loro risoluzioni, approvate a gennaio e maggio di quest’anno, prendono di mira imprese specifiche da boicottare, mentre la risoluzione di Hamtramck sostiene l’intero movimento BDS.

La consigliera comunale di Richmond Soheila Bana, co-autrice della risoluzione, ha ringraziato il movimento studentesco dicendo che sono stati gli studenti a portare alla nostra attenzione il fatto che “l’unica cosa che possiamo fare attivamente è il disinvestimento.”

Il movimento BDS è nato nel 2005 con la missione di “porre fine all’appoggio internazionale all’oppressione israeliana sui palestinesi e fare pressione su Israele perché rispetti il diritto internazionale”, recita la sua dichiarazione di intenti.

Relativamente a questo obbiettivo gli enti governativi locali come i consigli comunali e regionali rivestono un ruolo chiave, in quanto spesso “hanno rapporti con imprese e istituzioni che aiutano Israele ad opprimere i palestinesi”, specifica inoltre il BDS.

Nel 2018 la capitale irlandese Dublino è diventata la prima capitale europea a sostenere il movimento BDS per i diritti dei palestinesi e ha chiesto l’espulsione dell’ambasciatore israeliano in Irlanda.

Una serie di città europee hanno preso simili iniziative, decidendo l’appoggio al BDS.

A settembre Barcellona ha annullato l’accordo di gemellaggio con Tel Aviv, anche se la decisione in seguito è stata ribaltata quando l’allora sindaca Ada Colau ha perso le elezioni.

Ad aprile 2023 la capitale della Norvegia Oslo ha annunciato che non avrebbe commerciato in beni e servizi prodotti in aree illegalmente occupate in violazione del diritto internazionale, come i territori occupati sulle Alture del Golan e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Le imprese che direttamente o indirettamente contribuiscono all’impresa coloniale illegale di Israele saranno escluse dalla politica in materia di appalti della città, ha deciso il consiglio comunale di Oslo.

Da allora Irlanda, Norvegia e Spagna hanno riconosciuto lo Stato di Palestina.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)