Riaccendere una vecchia storia d’amore: Trump può salvare Netanyahu?

Ramzy Baroud

8 luglio 2024, Middle East Monitor

Molti analisti politici ritengono che il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, stia guadagnando tempo a Gaza e in Libano con la speranza che Donald Trump torni alla Casa Bianca dopo le prossime elezioni di novembre.

Che sia così o meno, è improbabile che Trump questa volta possa influenzare gli esiti della guerra o modificare il destino di Israele.

La politica estera degli Stati Uniti sembra essere governata da due prospettive diverse, una dedicata al mondo intero e l’altra solo a Israele. La prima è guidata dalla famosa e spesso ripetuta citazione dell’ex Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, secondo cui “l’America non ha amici o nemici permanenti, ma solo interessi”.

Israele, tuttavia, rimane un’eccezione e la guerra israeliana in corso contro Gaza ha dimostrato ancora una volta la veridicità di tale affermazione.

Sebbene Washington condivida pienamente gli obiettivi bellici di Israele, non è fondamentalmente d’accordo con la concezione di una guerra lunga e di una “vittoria totale” sostenuta da Netanyahu.

Le due lunghe guerre statunitensi in Afghanistan e in Iraq hanno insegnato agli americani che né la longevità delle guerre né le aspettative eccessive e irrealistiche modificano gli esiti inevitabili.

In effetti, molti funzionari statunitensi, generali militari e influenti analisti hanno cercato di mettere in guardia Netanyahu, senza successo.

Destabilizzare il Medio Oriente in questa specifica congiuntura storica è semplicemente negativo per gli Stati Uniti. Arriva in un momento in cui l’Ucraina sta soffrendo una grave carenza di armi, con conseguenti perdite territoriali, e in cui gli alleati USA-Europa stanno lottando sotto il peso delle crisi economiche e politiche.

Poiché le relazioni tra Stati Uniti e Israele sono regolate da un unico schema di politica estera, l’amministrazione Biden continua a sostenere Israele in tutti i modi possibili affinché possa continuare una guerra perdente.

La guerra si sta svolgendo ovviamente a spese di oltre 125 mila palestinesi che, finora, sono stati uccisi e feriti a causa degli attacchi israeliani, dei bombardamenti e delle esecuzioni di massa. Quelli che muoiono di fame o di malattie sono un numero diverso, che non è ancora stato completamente calcolato.

Washington non è preoccupata dal genocidio a Gaza in sé, ma dall’esito della guerra sui suoi piani in Medio Oriente e sul futuro delle sue basi militari, in particolare in Iraq e in Siria. È anche preoccupata per la sua influenza geostrategica nella regione a causa dell’instabilità senza precedenti del Mar Rosso.

Eppure, Joe Biden continua ad armare Israele e a fornire una rete di sicurezza alla sua economia in calo. Il 20 aprile la Camera ha approvato una legge che prevede 26,3 miliardi di dollari di assistenza a Israele. Inoltre, massicce spedizioni di armi continuano a fluire senza ostacoli verso Israele.

Queste bombe non solo stanno distruggendo l’intera Gaza, ma anche qualsiasi possibilità che gli Stati Uniti possano riacquistare un minimo di credibilità in Medio Oriente. Peggio ancora, il sostegno cieco degli Stati Uniti a Israele ha fatto vacillare anche la posizione di Washington a livello internazionale.

Quindi, cosa potrebbe fare Trump che Biden non ha fatto?

La politica di Trump è smaccatamente machiavellica. Durante il suo unico mandato, tra il 2017 e il 2021, ha svolto il ruolo di genio americano, esaudendo ogni desiderio di Israele, sebbene tutte quelle richieste fossero flagranti violazioni del diritto internazionale.

Le politiche pro-Israele di Trump hanno incluso, accanto ad altre, il riconoscimento di tutta Gerusalemme come capitale di Israele, l’annessione delle alture del Golan e il riconoscimento di tutti gli insediamenti ebraici israeliani illegali in Cisgiordania.

Ma anche Netanyahu è un seguace di Macchiavelli, un fatto che ha irritato Trump dopo la sua umiliante uscita dalla Casa Bianca.

“Non gli ho più parlato”, ha detto Trump in un’intervista con Barak Ravid di Axios nel dicembre 2021, in riferimento al leader israeliano. “Fan**lo”, ha detto.

Ma ora entrambe le parti stanno cercando di riaccendere la vecchia storia d’amore. Il candidato repubblicano alla presidenza deve essere soddisfatto delle critiche pubbliche di Netanyahu all’amministrazione Biden. In cambio, Trump è pronto a “finire il lavoro”, come ha dichiarato nel primo dibattito presidenziale del 27 giugno.

Tuttavia, il ritorno di Trump non cambierà in alcun modo le sventure di Israele dal 7 ottobre, perché i problemi di Israele non hanno origine a Washington. La crisi di Israele è multiforme. Non è in grado di vincere la guerra a Gaza, nonostante la tragedia e la distruzione di massa che vi ha creato. Non riesce nemmeno a cambiare le regole di ingaggio in Libano a causa della forza dei suoi nemici e del fatto che le sue forze armate non sono in grado di combattere e vincere su più fronti – nemmeno su uno.

Un’altra dimensione della crisi israeliana è interna: le profonde divisioni nella società, nell’apparato di sicurezza e fra i politici israeliani. Nemmeno Trump potrebbe colmare il divario o porre fine alla polarizzazione, che probabilmente si aggraverà in futuro.

Anche sul fronte internazionale, è probabile che Trump si dimostri altrettanto inefficace, ancora una volta, semplicemente perché l’amministrazione Biden ha sfidato il consenso internazionale su Israele fin dall’inizio della guerra. L’attuale Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti si è spinta fino ad approvare una legge per sanzionare la Corte Penale Internazionale (CPI) dopo che il suo procuratore ha richiesto mandati di arresto contro funzionari israeliani.

Se Netanyahu pensa che Trump gli offrirà un accordo migliore di quello di Biden, si sbaglia. Biden si è dimostrato il più grande sostenitore americano di Israele nei suoi 76 anni di storia.

Ironia della sorte, il sostegno indiscusso degli Stati Uniti a Israele potrebbe essere un fattore che contribuisce alla sua caduta.

“Essere un nemico dell’America può essere pericoloso, ma esserne amico è letale”, ha anche detto Kissinger. Non si sbaglia.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Carlo Tagliacozzo)