“Ha lasciato Gaza, ma Gaza non ha lasciato lui”: i soldati israeliani di ritorno dalla guerra affrontano traumi e suicidi
Nadeen Ebrahim e Mike Schwartz
21 ottobre 2024 – CNN
Tel Aviv e Ma’ale Adumim, (CNN) — Quarant’anni e quattro figli, Eliran Mizrahi è stato schierato a Gaza dopo il mortale attacco sferrato da Hamas a Israele il 7 ottobre 2023.
La sua famiglia ha detto alla CNN che il riservista dell’esercito israeliano non era più lo stesso dopo essere tornato, traumatizzato da ciò cui aveva assistito nella guerra contro Hamas nella Striscia. Sei mesi dopo essere stato mandato per la prima volta in battaglia era a casa, alle prese con la sindrome da stress post-traumatico (PTSD).
“Lui ha lasciato Gaza, ma Gaza non ha lasciato lui. Ed è morto per questo, a causa del post-trauma” racconta la madre, Jenny Mizrahi.
L’esercito israeliano sostiene di fornire cure a migliaia di soldati che soffrono di PTSD o altri disturbi mentali causati da traumi riportati in guerra. Non è chiaro quanti si siano tolti la vita, perché l’esercito israeliano non fornisce una cifra ufficiale.
Dopo un anno, secondo il ministero della Striscia la guerra di Israele contro Gaza ha ucciso più di 42.000 persone, mentre le Nazioni Unite riferiscono che la maggior parte dei morti sono donne e bambini.
La guerra, avviata dopo che Hamas ha ucciso 1200 persone e preso più di 250 ostaggi, è già la più lunga mai combattuta da Israele. E, mentre essa si estende al Libano, alcuni soldati dicono di temere di essere trascinati in un ulteriore conflitto.
“Molti tra noi hanno molta paura di essere nuovamente mandati al fronte in Libano”, dice alla CNN un medico dell’esercito israeliano che preferisce restare anonimo a causa della delicatezza della questione. “In questo momento molti tra noi non hanno fiducia nel governo”.
Le autorità israeliane, con rare eccezioni, hanno precluso ai giornalisti stranieri l’accesso a Gaza se non scortati dall’esercito israeliano, cosa che rende difficile cogliere pienamente la sofferenza dei palestinesi o quello che sperimentano i soldati sul campo. I soldati israeliani che hanno combattuto nell’enclave hanno riferito alla CNN di aver assistito a orrori che il mondo esterno non potrà mai capire davvero. Le loro testimonianze offrono un raro scorcio sulla brutalità di quella che i detrattori hanno chiamato la “guerra eterna” del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, e sul costo incommensurabile che essa comporta per i soldati che vi prendono parte.
La guerra a Gaza è per molti soldati una lotta per la sopravvivenza di Israele e deve essere vinta con ogni mezzo. Ma la battaglia ha un prezzo anche in termini di salute mentale e, a causa dello stigma sociale, esso è per lo più tenuto nascosto. Le interviste rilasciate da soldati israeliani, da un medico e dalla famiglia di Mizrahi, il riservista che si è tolto la vita, permettono di svelare il fardello psicologico che la guerra impone alla società israeliana.
L’impatto sulla salute mentale
Mizrahi è stato schierato a Gaza l’8 di ottobre dello scorso anno e gli è stato assegnato il compito di guidare un bulldozer D-9, un veicolo corazzato di 62 tonnellate che non teme proiettili né esplosivi.
Egli è stato un civile per la maggior parte della sua vita, e ha lavorato come dirigente di un’impresa edile. Jenny ha raccontato alla CNN che dopo i massacri commessi da Hamas ha sentito il bisogno di combattere.
La famiglia riferisce che il riservista ha passato 186 giorni nell’enclave, fino a quando è stato ferito a un ginocchio e poi a febbraio ha riportato danni all’udito dopo che il suo veicolo è stato colpito da un lanciarazzi. Egli è stato quindi ritirato da Gaza per essere curato e ad aprile gli è stato diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico, per il quale riceveva ogni settimana un trattamento terapeutico.
Ma la cura non ha avuto successo.
“Non sapevano come curarli (i soldati)”, dice Jenny, che vive nella colonia israeliana di Ma’ale Adumim, nella Cisgiordania occupata. “Dicevano (i soldati) che la guerra è molto diversa. Hanno visto cose che non avevano mai visto in Israele”.
Secondo la famiglia, mentre era in congedo Mizrahi soffriva di attacchi di rabbia, ipersudorazione, insonnia e isolamento sociale. Diceva in famiglia che soltanto chi è stato a Gaza con lui poteva capire cosa stesse attraversando.
“Diceva sempre: ‘Nessuno può capire quello che ho visto’” riferisce sua sorella Shir.
Jenny si chiede se suo figlio avesse ucciso qualcuno e non potesse sopportarlo.
“Ha visto morire molte persone. Forse ne ha anche uccise alcune. (Ma) noi non insegniamo ai nostri figli a fare questo genere di cose”, afferma. “Perciò quando lo ha fatto, una cosa come questa, forse per lui è stato uno shock.”
Guy Zaken, amico di Mizrahi e co-pilota del bulldozer, ha fornito ulteriori elementi utili alla comprensione della loro esperienza a Gaza. “Abbiamo visto cose molto, molto, molto difficili”, ha detto Zaken alla CNN. “Cose che sono difficili da accettare.”
L’ex-soldato ha parlato pubblicamente del trauma psicologico subìto dalle truppe israeliane a Gaza. A giugno, in una testimonianza alla Knesset, il parlamento israeliano, Zaken afferma che in molte occasioni i soldati hanno dovuto “schiacciare passandogli sopra i terroristi, morti e vivi, a centinaia”.
“Schizza fuori tutto”, ha aggiunto.
Zaken dice di non poter più mangiare carne perché gli ricorda le scene raccapriccianti cui ha assistito dal suo bulldozer a Gaza, e di faticare a dormire la notte, quando le esplosioni gli risuonano ancora in testa.
“Quando vedi tanta carne sparsa in giro, e sangue, sia nostro che loro, poi ti fa effetto quando mangi” dice alla CNN, riferendosi ai corpi come “carne”.
Sostiene che la stragrande maggioranza di coloro in cui si è imbattuto erano “terroristi”.
“Quando vedevamo dei civili, ci fermavamo e portavamo loro acqua da bere, e davamo loro il nostro cibo”, ricorda, aggiungendo che i combattenti di Hamas facevano fuoco contro di loro anche in simili situazioni.
“Quindi non esistono civili”, afferma, facendo riferimento alla capacità di Hamas di mescolarsi tra i civili. “Questo è terrorismo”.
Secondo il medico dell’esercito israeliano che ha parlato alla CNN in anonimato, quando però i soldati effettivamente incontrano i civili, molti sono posti di fronte a un dilemma morale.
C’era tra i soldati israeliani un “atteggiamento collettivo molto forte” di sfiducia nei confronti dei palestinesi a Gaza, soprattutto all’inizio della guerra, sostiene il medico.
C’era questa idea che i gazawi, civili inclusi, “fossero cattivi, che sostenessero Hamas, che aiutassero Hamas, che nascondessero munizioni”, afferma il medico.
Dicono [i soldati] che però sul campo alcuni di questi atteggiamenti sono cambiati “quando ti vedi davvero davanti i civili gazawi”.
L’esercito israeliano sostiene di fare tutto quello che può per ridurre al minimo il numero di vittime tra i civili a Gaza, compreso il ricorso a messaggi di testo, chiamate telefoniche e al lancio di volantini di evacuazione per avvertire i civili prima degli attacchi.
Ciononostante, più volte a Gaza un gran numero di civili è stato ucciso, anche quando rifugiati in aree che l’esercito stesso aveva definito “zone sicure”.
L’impatto sulla salute mentale a Gaza è probabilmente enorme. Le Nazioni Unite e diversi gruppi di soccorso hanno ripetutamente sottolineato le catastrofiche conseguenze della guerra sulla salute mentale dei civili di Gaza, molti dei quali sono già segnati da 17 anni di blocco e diverse guerre con Israele. In un rapporto di agosto le Nazioni Unite hanno affermato che le esperienze dei gazawi sfidano le “definizioni biomediche tradizionali” di sindrome da stress post-traumatico, “dato che a Gaza non c’è alcun ‘post’”.
Dopo che Mizrahi si è tolto la vita, sono apparse sui social media video e foto che ritraggono il riservista nell’atto di demolire case e palazzi a Gaza e in posa di fronte a strutture devastate. Alcune delle immagini, che sembra fossero state pubblicate sui suoi stessi account, ora rimossi, sono apparse in un documentario realizzato dall’emittente televisiva israeliana Channel 13 per il quale egli era stato intervistato.
Sua sorella, Shir, afferma che sui social media ha visto molti commenti che accusano Mizrahi di essere “un assassino”, che inveiscono contro di lui e che rispondono con spiacevoli emoji.
“È stata dura,” sostiene, aggiungendo che ha fatto del suo meglio per ignorarli. “So che era una persona di buon cuore”.
Rimuovere persone morte insieme alle macerie
Ahron Bregman, politologo presso il King’s College di Londra che ha prestato servizio nell’esercito israeliano per sei anni, inclusa la guerra in Libano del 1982, afferma che la guerra di Gaza è diversa da ogni altra guerra combattuta da Israele.
“É molto lunga”, dice, ed è in un contesto urbano, il che significa che i soldati combattono in mezzo alla gente, “in stragrande maggioranza civili”.
I conducenti di bulldozer sono tra i più direttamente esposti alla brutalità della guerra, afferma Bregman. “Non vedono altro che morti, e li rimuovono insieme alle macerie”, dice a CNN. “Ci passano sopra”.
Il ritorno dal campo di battaglia alla vita civile può essere insostenibile per molti, soprattutto dopo una guerra urbana che comporta la morte di donne e bambini, sostiene Bregman.
“Come fai a mettere a letto i tuoi bambini quando, sai, hai visto bambini uccisi a Gaza?”
Nonostante la sindrome da stress post-traumatico di Mizrahi, la sua famiglia riferisce che aveva accettato di tornare a Gaza quando fosse stato richiamato. Si è ucciso due giorni prima di tornare al fronte.
A casa sua Jenny ha dedicato una stanza alla memoria del figlio defunto, con fotografie della sua infanzia e del suo lavoro nell’edilizia. Tra gli oggetti che sua madre ha conservato c’è il berretto che Mizrahi portava quando si è sparato alla testa, con il buco della pallottola ben visibile.
La famiglia di Mizrahi ha cominciato a parlare in pubblico della sua morte dopo che l’esercito non gli ha concesso la sepoltura militare, in quanto non “in servizio attivo come riservista”. La decisione è stata in seguito revocata.
Il quotidiano israeliano Haaretz riferisce che secondo i dati dell’esercito di cui il quotidiano è entrato in possesso, tra il 7 ottobre e l’11 di maggio 10 soldati si sono tolti la vita.
Intervistato sul numero di suicidi nell’esercito dall’inizio della guerra, Uzi Bechor, psicologo e comandante dell’Unità di Risposta al Combattimento dell’esercito israeliano, ha detto che il personale sanitario non è autorizzato a fornire una cifra e che l’esercito considera il tasso di suicidi sostanzialmente invariato.
“Il tasso di suicidi nell’esercito è più o meno stabile negli ultimi cinque o sei anni”, afferma Bechor, facendo notare che esso è di fatto in calo nell’ultimo decennio.
Anche se il numero di suicidi è più alto, il tasso per il momento “è circa lo stesso dell’anno precedente perché abbiamo più soldati”.
“Non significa che ci sia una tendenza all’aumento dei suicidi”, dice Bechor alla CNN.
Non ha fornito alla CNN né il numero dei suicidi né il loro tasso. “Ogni caso per noi è straziante”, aggiunge.
Eppure più di un terzo di coloro che sono stati ritirati dal combattimento risulta avere problemi di salute mentale. La Divisione Riabilitazione del Ministero della Difesa israeliano ha dichiarato ad agosto in un comunicato che ogni mese sono ritirati dal combattimento per essere curati più di 1.000 nuovi soldati feriti, il 35% dei quali lamenta problemi di salute mentale, mentre il 27% sviluppa “una reazione mentale o una sindrome da stress post-traumatico”.
Ha aggiunto che entro la fine dell’anno i soldati ricoverati saranno probabilmente 14.000, circa il 40% dei quali si prevede dovrà affrontare problemi di salute mentale.
Secondo il ministero della Sanità, il quale nota che “ai numeri menzionati deve essere aggiunto circa il 23% per mancate denunce, ogni anno in Israele più di 500 persone muoiono suicide”.
Sulla base di dati dell’esercito, secondo i quali nel 2021 almeno 11 soldati israeliani si sono tolti la vita, il Times of Israel riferisce che in quello stesso anno il suicidio è stato la principale causa di morte tra i soldati israeliani.
Volendo “sfatare voci di un crescente tasso di suicidi a partire dal 7 ottobre”, all’inizio di quest’anno il Ministero della Sanità ha dichiarato che i casi riportati sono “incidenti isolati enfatizzati dai media e sulle reti sociali”. Senza fornire cifre, il Ministero ha detto che c’è stato “in Israele un calo nei suicidi tra ottobre e dicembre in rapporto agli stessi mesi negli ultimi anni”.
Bregman, il veterano della guerra del Libano, afferma che, grazie ai minori pregiudizi, oggi è più facile parlare di sindrome da stress post-traumatico e altri problemi di salute mentale di quanto non lo fosse negli anni ’70 e ’80. Eppure, sostiene, i soldati che tornano da Gaza “porteranno con sé (le loro esperienze) per il resto della loro vita”.
Il medico dell’esercito israeliano che ha parlato con la CNN afferma che durante e dopo l’impiego in battaglia in ogni unità dell’esercito c’è un ufficiale incaricato della salute mentale. Ciononostante l’impatto della guerra persiste, dice il medico, e a Gaza ci sono soldati giovani, anche diciottenni, che soffrono di traumi mentali. Spesso piangono o sembrano emotivamente insensibili, aggiunge il medico.
Normalizzare l’anormale
Bechor, lo psicologo dell’esercito israeliano, sostiene che uno dei modi in cui l’esercito aiuta i soldati traumatizzati a tornare alla loro vita è quello di cercare di “trattare come normale” quello che hanno vissuto, in parte ricordando loro gli orrori commessi il 7 ottobre.
“Questa situazione non è normale per un essere umano”, afferma Bechor, e aggiunge che quando i soldati tornano dal campo di battaglia con i sintomi della sindrome da stress post-traumatico gli chiedono: ‘Come faccio a tornare a casa dopo quello che ho visto? Come faccio ad avvicinarmi ai miei bambini dopo quello che ho visto?’
“Cerchiamo di trattarla come una cosa normale e di aiutarli a ricordare i loro valori e perché ci vanno (a Gaza)”, dice alla CNN.
Per le decine di migliaia di israeliani che si sono offerti volontari o che sono stati chiamati a combattere la guerra a Gaza non è stata vista solo come un atto di autodifesa, ma come una battaglia per la sopravvivenza. Questa idea è stata promossa dai più alti livelli della dirigenza politica e militare israeliana, così come dagli alleati internazionali di Israele.
Netanyahu ha descritto Hamas come “i nuovi nazisti” e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto che il 7 ottobre “l’antico odio per gli ebrei” abbracciato dai nazisti era stato “riportato in vita”.
Le minacce provenienti dall’esterno hanno unito molti israeliani, mettendo da parte il conflitto politico interno che per mesi aveva diviso la società. Nel frattempo la sofferenza dei palestinesi è stata perlopiù assente dagli schermi televisivi israeliani, che sono dominati da notizie sugli ostaggi a Gaza.
Dopo gli attacchi di Hamas i sondaggi mostravano che la maggior parte degli israeliani era favorevole alla guerra a Gaza e non voleva che il proprio governo fermasse i combattimenti nemmeno mentre erano in corso i negoziati per il rilascio degli ostaggi. Secondo un sondaggio pubblicato in occasione del primo anniversario del 7 ottobre dall’Istituto Israeliano per la Democrazia solo il 6% degli israeliani pensa che si dovrebbe mettere fine alla guerra a Gaza a causa del suo “alto costo in vite umane”.
Alcuni soldati però non hanno potuto razionalizzare gli orrori che hanno visto.
Quando è tornato da Gaza Mizrahi diceva spesso alla sua famiglia che sentiva uscire dal suo corpo “sangue invisibile”, afferma sua madre.
Shir, sua sorella, incolpa la guerra per la morte del fratello. “Per colpa dell’esercito, per colpa di questa guerra, mio fratello non è più qui”, afferma. “Forse non è stato ucciso da un proiettile (in battaglia) o da un lanciarazzi, ma è stato ucciso da un proiettile invisibile” aggiunge, riferendosi alla sofferenza psicologica.
Che cos’è la sindrome da stress post-traumatico (PTSD)? Secondo il Servizio Sanitario nazionale del Regno Unito la PTSD è un problema di salute mentale causato da eventi molto stressanti, spaventosi o angoscianti. Una persona che soffre di PTSD spesso rivive l’evento traumatico in incubi e ricordi intrusivi e può esperire sensazioni di isolamento, irritabilità e colpa. La PTSD può svilupparsi subito dopo aver vissuto un evento disturbante o manifestarsi a distanza di settimane, mesi o persino dopo anni.
(traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola)