Un chirurgo palestinese sopravvive alle prigioni di Sde Teiman e Ofer

Dr. Khaled Al Serr
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Fedaa al-Qedra

10 novembre 2024 The Electronic Intifada

Il dott. Khaled Al Serr, chirurgo del Nasser Medical Complex di Khan Younis, ha recentemente trascorso sei mesi come prigioniero nel sistema giudiziario militare israeliano. Prima del suo arresto si stava prodigando quanto possibile nell’impegno assistenziale durante una delle peggiori crisi umanitarie che Gaza abbia mai visto.

“Dal momento in cui è iniziata la guerra ho fatto tutto il possibile per aiutare la mia gente”, ha ricordato Al Serr durante un’intervista all’inizio di ottobre. “Non potevo pensare alla mia sicurezza quando così tanti miei connazionali avevano bisogno di aiuto”.

Ma alla fine di marzo le forze israeliane hanno preso d’assalto il Nasser Medical Complex per la seconda volta durante il genocidio in corso. I soldati hanno costretto il personale medico, tra cui Al Serr, a evacuare.

Ronzando sopra le loro teste i droni impartivano l’ordine di lasciare l’edificio. Nonostante indossasse il camice bianco da medico e uno stetoscopio al collo, che lo identificavano chiaramente come un medico, Al Serr è stato arrestato.

“Ci hanno fatto spogliare, ci hanno legato le mani e ci hanno bendato gli occhi”, racconta a The Electronic Intifada. “È stato umiliante, ma peggio ancora, ci hanno trattato come criminali. Eravamo solo medici che cercavano di salvare vite”.

Sopportare condizioni disumane

I soldati hanno poi portato Al Serr e gli altri in una casa vicina che era stata trasformata in un centro di comando militare. Lì, afferma, lui e i suoi colleghi hanno sopportato cinque giorni di detenzione in condizioni disumane.

“Per i primi quattro giorni non ci hanno dato cibo”, dice Al Serr, “e il quarto giorno (la sera), ci hanno portato un pezzettino di pane e del formaggio, appena sufficienti per sopravvivere”.

Durante tutto il calvario i medici sono rimasti con le mani legate e gli occhi bendati, mentre venivano sottoposti a interrogatori aggressivi e trattamenti violenti, ricorda.

Dopo cinque giorni di tormento, sono stati gettati dentro jeep militari, stipati insieme come sacchi di verdura.

“Ci hanno ammucchiati uno sopra l’altro”, dice Al Serr. “Siamo stati trattati peggio degli animali e i soldati, seduti su di noi, ci hanno deriso e picchiato durante tutto il tragitto fino al centro di detenzione di Sde Teiman” nel deserto del Negev.

Il centro di detenzione di Sde Teiman, noto per il trattamento disumano riservato ai detenuti, è diventato la nuova prigione di Al Serr. Racconta come i prigionieri non solo fossero disumanizzati, ma anche sottoposti a continui abusi fisici e psicologici.

“Ci hanno legato le mani e bendato gli occhi. Non ci era permesso muoverci, parlare o anche solo guardare di lato. Ogni piccolo movimento dava seguito a brutali percosse”, afferma Al Serr.

Uno degli aspetti più strazianti della prigionia è stato l’abuso sessuale e l’uso eccessivo della forza contro i prigionieri, dice.

“Ci picchiavano senza pietà, prendendo di mira le zone sensibili del nostro corpo con i manganelli”, racconta Al Serr. “Ci hanno persino aggrediti sessualmente, usando qualsiasi mezzo possibile per degradarci e umiliarci. Ci hanno spruzzato spray al peperoncino sulle parti intime. Era orribile.”

Il trattamento era un tentativo calcolato di distruggere i prigionieri, fisicamente e mentalmente.

Li ho visti torturare un uomo anziano solo perché muoveva le labbra nel recitare il Corano,dice Al Serr

La crudeltà andava oltre il dolore fisico, precisa.

Ai prigionieri era consentito lavarsi solo una volta alla settimana e, anche in quel caso, i vestiti che venivano dati loro erano stati cosparsi di sputi da parte dei soldati. “Avevamo due minuti per fare la doccia e, una volta finito, dovevamo indossare vestiti sporchi su cui [i soldati] si erano asciugati i piedi”, aggiunge Al Serr.

Le condizioni di vita a Sde Teiman erano squallide, con la struttura infestata da insetti e topi.

I detenuti erano costretti a dormire sopra sottili stuoie su pavimenti di cemento grezzo.

“Il freddo era insopportabile e non avevamo coperte per proteggerci”, dice Al Serr. “In quei pochi mesi ho perso 40 chili, sopravvivendo a malapena con un pezzo di pane tostato e una piccola porzione di marmellata o formaggio ogni giorno. Non era abbastanza per sostenere una persona”.

I prigionieri venivano spesso picchiati, soprattutto quelli che sfidavano le regole arbitrarie e oppressive delle guardie.

“Quando gli andava le guardie facevano irruzione nella cella e ci intimavano di sdraiarci a faccia in giù con la testa a terra. Chi disobbediva veniva picchiato con i manganelli”, dice Al Serr. “Alcuni prigionieri mi hanno detto che venivano picchiati sulle parti intime con i manganelli e colpiti con scariche elettriche. Usavano qualsiasi metodo possibile per tormentarci”.

Trasferiti nella prigione di Ofer

Nel corso delle proteste internazionali per gli abusi a Sde Teiman alcuni prigionieri, tra cui Al Serr, sono stati trasferiti nella prigione di Ofer nella Cisgiordania occupata. Al Serr è stato portato nella prigione di Ofer a giugno.

Sebbene le condizioni fossero leggermente migliori, gli abusi psicologici e fisici sono continuati. Amnesty International ha riferito che era trattenuto lì “senza accuse o processo ai sensi della legge abusiva sui combattenti illegali“.

“A Ofer i pestaggi erano meno frequenti, ma l’umiliazione non è mai cessata”, afferma Al Serr. “Non ci fornivano cure mediche adeguate. Ho avuto un’emorragia interna e non sono stato visitato da un medico per oltre un mese”.

Al Serr ha detto che quando finalmente gli è stato prescritto un farmaco è arrivato 10 giorni dopo la sua visita in ospedale. La mancanza di cibo e cure mediche nella prigione di Ofer rispecchiavano le terribili condizioni di Sde Teiman.

Dopo essere arrivati ​​alla prigione di Ofer Al Serr e i suoi colleghi sono stati condannati da un tribunale militare.

È stato un processo farsa condotto al telefono”, ha ricordato. “Non conoscevamo nemmeno le accuse contro di noi. Ci hanno etichettati come ‘combattenti illegali’ catturati durante la guerra e ci hanno imposto condanne arbitrarie fino alla fine del conflitto”.

Preoccupazioni per la famiglia e il rilascio

Ciò che ha pesato di più su Al Serr durante la sua prigionia è stata l’incertezza riguardo alla sua famiglia. “Ero costantemente preoccupato per loro, soprattutto perché durante la guerra erano stati sfollati. Ho sentito voci di operazioni militari vicino a Rafah, dove si trovavano, e ho temuto il peggio”, dice.

Dopo il suo inaspettato rilascio il 30 settembre, probabilmente perché non era considerato una minaccia, Al Serr è tornato al lavoro determinato a continuare a servire il suo popolo nonostante il trauma che aveva sopportato. Ma quando si è riunito alla sua famiglia loro vivevano tra le rovine della loro casa a Khan Younis.

“Siamo persone forti e resilienti”, dice, riflettendo sulla sua esperienza. “Questa non è la fine; è una testimonianza”.

Fedaa al-Qedra è una giornalista a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)