L’esercito israeliano e i coloni hanno colpito 2.350 volte in Cisgiordania il mese scorso: rapporto

Redazione di AJ

5 novembre 2025 – Al Jazeera

Il “ciclo del terrore” aumenta mentre l’Alto Consiglio di pianificazione si prepara a promuovere i progetti per costruire 1.985 nuove unità insediative nella Cisgiordania occupata.

Secondo la Commissione sulla Colonizzazione e la Resistenza al Muro (CRRC) dell’Autorità Nazionale Palestinese il mese scorso le forze armate e i coloni israeliani hanno effettuato 2.350 attacchi nella Cisgiordania occupata in un “ciclo di terrore senza fine”.

Il capo della CRRC, Mu’ayyad Sha’ban, ha dichiarato mercoledì che le forze israeliane hanno effettuato 1.584 attacchi fisici diretti, demolizioni di case e sradicamento di ulivi, e la maggior parte delle violenze si è concentrata nei governatorati di Ramallah (542), Nablus (412) ed Hebron (401).

La ricerca, edita in un rapporto mensile del CRRC intitolato “Violazioni dell’occupazione e misure di espansione coloniale”, ha rilevato anche 766 attacchi da parte dei coloni. La commissione ha affermato che stanno espandendo gli insediamenti, illegali secondo il diritto internazionale, nell’ambito di quella che ha definito una “strategia organizzata che mira a espellere la popolazione indigena del territorio e a imporre un regime coloniale pienamente razzista”.

Il rapporto afferma che gli attacchi dei coloni hanno raggiunto un nuovo picco, per la maggior parte nel governatorato di Ramallah (195), a Nablus (179) e a Hebron (126). Secondo il rapporto i raccoglitori di olive, definiti vittime di un “terrore di stato” orchestrato “nelle segrete stanze del governo di occupazione”, sono stati i più colpiti.

Si riportano casi di “vandalismo e furto” da parte di israeliani, perpetrati in combutta con i soldati israeliani, che hanno visto lo “sradicamento, la distruzione e l’avvelenamento” di 1.200 ulivi a Hebron, Ramallah, Tubas, Qalqilya, Nablus e Betlemme. Da ottobre i coloni durante le violenze hanno cercato di fondare sette nuovi avamposti su territorio palestinese nei governatorati di Hebron e Nablus.

Nell’ambito degli sforzi dei successivi governi israeliani per impadronirsi delle terre palestinesi ed espellere con la forza gli abitanti per decenni l’esercito israeliano ha sradicato ulivi, un importante simbolo culturale palestinese, in tutta la Cisgiordania.

L’impennata della violenza israeliana si verifica mentre si prevede che l’Alto Consiglio di Pianificazione (HPC) di Israele, parte dell’Amministrazione Civile dell’esercito israeliano che sovrintende alla Cisgiordania occupata, si riunirà mercoledì per discutere la costruzione di 1.985 nuove unità di insediamento in Cisgiordania.

Il movimento israeliano di sinistra Peace Now sostiene che 1.288 unità saranno dislocate in due insediamenti isolati nella Cisgiordania settentrionale, ovvero Avnei Hefetz ed Einav Plan.

Afferma che a partire da novembre dell’anno scorso l’HPC ha tenuto riunioni settimanali per promuovere progetti abitativi nelle colonie, normalizzando e accelerando così le costruzioni sui terreni sottratti ai palestinesi.

Secondo Peace Now dall’inizio del 2025 l’HPC ha promosso la costruzione di un numero record di 28.195 unità abitative

Ad agosto il ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich ha suscitato la condanna internazionale dopo aver affermato che i piani per costruire migliaia di case nell’ambito del progetto di insediamento E1 in Cisgiordania “seppelliscono l’idea di uno Stato palestinese”.

Il progetto E1, accantonato per anni a causa dell’opposizione degli Stati Uniti e degli alleati europei, collegherebbe Gerusalemme Est occupata con l’attuale insediamento illegale israeliano di Maale Adumim.

La spinta dell’estrema destra israeliana ad annettere la Cisgiordania porrebbe sostanzialmente fine alla possibilità di attuare una soluzione a due stati per il conflitto israelo-palestinese, come delineato in numerose risoluzioni delle Nazioni Unite.

L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stata chiara sul fatto che non permetterà a Israele di annettere i territori occupati. Durante una recente visita in Israele il vicepresidente statunitense J.D. Vance ha affermato che Trump si sarebbe opposto all’annessione israeliana della Cisgiordania e che questa non sarebbe mai avvenuta. Lasciando Israele Vance ha dichiarato: “Se si è trattato di una trovata politica, è molto stupida, e personalmente la considero un insulto”.

Ma, mentre strombazzano i loro sforzi per un cessate il fuoco a Gaza, gli Stati Uniti non hanno fatto nulla per frenare gli attacchi e la repressione di Israele contro i palestinesi in Cisgiordania.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




“Ci stanno obbligando a ingrassare”: a Gaza è consentito l’ingresso di certi cibi scelti mentre prodotti essenziali sono introvabili

Maha Hussaini da Gaza City, Palestina occupata

4 novembre 2025 – Middle East Eye

Alimenti voluttuari inondano gli scaffali di Gaza mentre cibi e medicine vitali continuano a scarseggiare o sono vietati

Nei supermercati che riaprono in tutta Gaza in seguito al cessate il fuoco che ha posto fine a due anni di guerra Monther al-Shrafi trova scaffali stracolmi di cioccolato, bibite gassate e sigarette, prodotti che durante la carestia sembravano “un sogno”.

Ma sostiene che, mentre questi beni di lusso sono tornati in abbondanza, quelli essenziali continuano a mancare, compresi cibi fondamentali come le uova o medicine salvavita come gli antibiotici.

“Ti rendi conto che a Gaza c’è il cioccolato mentre non ci sono antibiotici? O c’è la frutta ma non bendaggi e punti di sutura?” dice a Middle East Eye Shrafi, un abitante di Gaza City.

“Qui a Gaza c’è carenza, o persino quasi mancanza, di prodotti essenziali come carne, pollo, pesce e uova, di cui il corpo umano ha bisogno e che sono componenti fondamentali di una dieta sana.”

Dopo che il 10 ottobre è entrato in vigore il cessate il fuoco tra Israele e Hamas le autorità israeliane hanno riaperto parzialmente il valico di Kerem Shalom nel sudest di Gaza.

Per la prima volta da quando l’esercito israeliano ha chiuso i valichi il 2 marzo, costringendo la Striscia in una situazione di carestia che è costata la vita a centinaia di palestinesi, è stato consentito l’ingresso di beni e aiuti internazionali.

Insieme a frutta e verdura, i prodotti ammessi includono carboidrati e farinacei come farina di grano, semolino, riso, pasta, mais in scatola e patate; prodotti zuccherati come cioccolato, caramelle e marmellata; grassi come burro, sottilette e panna in scatola e altri beni secondari, comprese sigarette e bibite gassate.

Tuttavia le proteine animali sono molto scarse. Le uova sono completamente assenti, i prodotti quotidiani sono per lo più introvabili e pollo e carne bovina congelati sono autorizzati solo in quantità molto ridotta, rendendo il loro prezzo inaccessibile alla stragrande maggioranza degli abitanti.

Per esempio, quando si riesce a trovarlo, un chilo di pollo congelato ora costa circa 80 shekel (circa 22 euro).

“Non mi pare che (dopo il cessate il fuoco) ci sia alcun miglioramento nella situazione alimentare, perché i prodotti che si riescono a trovare a Gaza non sono sani,” dice Shrafi.

“Cibi in scatola e liofilizzati non possono sostituire quelli naturali fondamentali come uova o carne fresca. Quindi non c’è un miglioramento rispetto alla carestia.”

Shrafi afferma che in svariate occasioni è andato da una farmacia all’altra in cerca di alcune medicine ma non è riuscito a trovarle.

“Mia figlia soffre di un’infezione all’alluce e non riesco neppure a trovare antidolorifici per alleviare il suo dolore,” aggiunge.

“Le pillole di antibiotico sono introvabili, e se si trovano vengono vendute a prezzi esorbitanti, molto oltre le possibilità dei comuni cittadini schiacciati da due anni di continuo sterminio. Farmacie, negozi di articoli sanitari e reparti ospedalieri a Gaza sono completamente privi di molti prodotti essenziali di cui hanno bisogno i pazienti.”

Una piccola quantità rispetto a ciò che serve”

Secondo il ministero della Salute di Gaza anche dopo l’accordo di cessate il fuoco le autorità israeliane impongono ancora pesanti restrizioni sull’ingresso di medicine, forniture e attrezzature mediche. “Queste costanti restrizioni hanno portato ad una carenza di farmaci che raggiunge il 56%, mentre la mancanza di materiale sanitario è al 68%, delle forniture di laboratorio al 67%,” afferma Zahir al- Wahidi, direttore dell’Unità di Informazione sulla Salute del ministero della Sanità di Gaza.

“La chirurgia ortopedica deve affrontare una carenza dell’83%, la chirurgia cardiaca del 100% e i servizi renali e i tutori per le ossa dell’80%. Le carenze più gravi sono nei servizi d’emergenza, negli anestetici, nelle cure intensive e nei farmaci per gli interventi chirurgici.”

Commercianti e organizzazioni internazionali che operano a Gaza devono ottenere il permesso delle autorità israeliane per quali prodotti possono far entrare nella Striscia assediata.

Le restrizioni sono imposte sia attraverso ordini diretti e liste di beni vietati o indirettamente lasciando in sospeso le richieste di importazione di alcuni beni o rifiutandole in blocco.

Di conseguenza molti prodotti essenziali sono introvabili da più di due anni, mentre altri inondano Gaza.

“Quello che è entrato l’anno scorso è solo una frazione del necessario, sei o sette piccoli convogli che non soddisfano le richieste di un grande numero di medicinali e beni di consumo, che dovrebbero alleviare due anni di privazioni,” aggiunge Wahidi.

Un aumento di peso “anomalo”

Nelle ultime tre settimane sono entrate a Gaza decine di camion riattivando per la prima volta da mesi i suoi mercati. Centinaia di venditori ora espongono sulla strada i vivaci colori di cioccolatini, vari tipi di caffè e alcuni frutti.

“La grande maggioranza dei prodotti consiste in carboidrati, zuccheri e farinacei,” dice a MEE Abdallah Sharshara, avvocato e ricercatore giuridico di Gaza.

“Includono farina e vari tipi di formaggi usati per i dolci e la pizza, oltre a derivati dello zucchero e della farina per la produzione dolciaria. È chiaro che l’attenzione nell’importazione di questi prodotti spinge indirettamente la gente a basarsi su di essi come principale fonte di alimento, obbligando nel contempo le organizzazioni umanitarie a concentrarsi sull’acquisto e la distribuzione di questi prodotti, in quanto sono gli unici che possono accedere al mercato locale.”

Sharshara spiega che le autorità israeliane hanno anche creato condizioni che “scoraggiano i commercianti” dall’importare prodotti ad alto rischio come le uova, che potrebbero andare a male durante le lunghe attese.

Nota che Israele sta deliberatamente consentendo [l’ingresso] a Gaza di alcuni cibi per “nascondere i segni visibili di dimagrimento visti tra la popolazione l’anno scorso.

“Ora c’è un anomalo aumento di peso della gente. Sembra che l’occupazione israeliana stia cercando di occultare il crimine di aver affamato i palestinesi creando un’immagine opposta, di rapido e innaturale aumento di peso,” afferma.

Sharshara racconta che lo scorso anno, durante il blocco israeliano di Gaza, lui stesso aveva perso circa 20 chili, ma ora ha preso rapidamente peso. “Lo scorso anno ero dimagrito a causa delle ridotte e ripetitive disponibilità del cibo di cui dovevamo alimentarci,” sostiene. “Ora mangio le stesse quantità che però portano a un aumento di peso perché sono obbligato a consumare carboidrati, sottilette e carne in scatola, che è quello che si trova. Ci obbligano sistematicamente a ingrassare.”

In vari post sulle reti sociali la gente di Gaza ha condiviso la stessa impressione, notando che si possono trovare diversi tipi di prodotti elaborati ma non quelli essenziali che sono mancati per circa due anni. “Israele sta creando l’impressione errata che il blocco contro il popolo palestinese sia stato tolto, come se ora la gente stesse mangiando un sacco di pizza e di dolci, dando l’immagine di benessere e abbondanza,” afferma Sharshara.

“Carne fresca e uova sono ancora esclusi dall’ingresso a Gaza e i pescatori possono pescare solo all’interno di un’area marina molto limitata. L’obiettivo nel consentire l’ingresso parziale dei prodotti è di impedire a chiunque di sostenere che Israele li stia bloccando completamente. Ma in realtà quando dividi questi beni per le reali necessità della popolazione la quantità per persona è molto ridotta. È per questo che diciamo che, anche se Israele consente l’ingresso di alcuni prodotti, essi non arrivano realmente alle persone.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)