Le azioni efferate di Israele in nome degli ebrei li rendono insicuri

A lungo intellettuali ebrei hanno messo in guardia che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei dell’Occidente per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani potrebbero contribuire all’antisemitismo negli Stati Uniti.

Philip Weiss 

10 novembre 2023 – Mondoweiss

La scorsa settimana il direttore dell’FBI ha affermato che le ostilità in Medio Oriente potrebbero estendersi agli Stati Uniti con attacchi contro musulmani ed ebrei, e la senatrice del Nevada Jacky Rosen, che ha subito minacce di morte di natura antisemita, ha detto: “Sto provando quello che provano gli ebrei in ogni parte del mondo, sotto attacco e minacciati.”

Anche se dovremmo essere scettici riguardo alle organizzazioni e agli individui filoisraeliani che confondono manifestazioni di antisemitismo con l’antisionismo, riconosco che il direttore dell’FBI ha ragione e che alcuni di questi episodi sono effettivamente antisemiti.

Il professore della Columbia [University] Rashid Khalidi [di origine palestinese, ndt.] “ha prontamente riconosciuto l’esistenza di un’ondata di recenti episodi di antisemitismo nei campus universitari,” ha scritto Michelle Goldberg sul Times. In un caso uno studente della Cornell [importante università statunitense, ndt.] è stato accusato di aver minacciato di attaccare una mensa kosher [cioè che offre cibi che rispettano le norme alimentari ebraiche, ndt.]. E vedo in rete e altrove molti ebrei che manifestano timore e vulnerabilità, e non metterei mai in dubbio tali affermazioni.

È tuttavia necessario affermare una questione, come ho già fatto molte volte in precedenza: a lungo intellettuali ebrei hanno avvertito che la dipendenza di Israele dall’appoggio politico degli ebrei statunitensi per garantirsi l’impunità per le violazioni dei diritti umani che molti nel mondo condannano – pulizia etnica, massacri e ora azioni genocide a Gaza – rappresentano un pericolo per quelle comunità. Quando le organizzazioni ebraiche statunitensi esibiscono un sostegno incondizionato a tali azioni e inoltre insistono sul fatto che essere ebrei significa appoggiare Israele in quanto “Stato ebraico” mentre uccide civili, questa dichiarazione di unanimità è di fatto pericolosa per gli ebrei.

E quindi rischia di fomentare l’antisemitismo, quando i leader ebraici come Ted Deutch, dell’American Jewish Committee [Commissione Ebraica Americana, storica organizzazione ebraica, ndt.] pubblica una lunga difesa delle azioni di Israele a Gaza in cui cita ripetutamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre e non fa alcun cenno ai morti palestinesi. È così, non menziona neppure quelli che allora erano 9.000 morti, più di 3.000 dei quali minorenni. Tale indifferenza da parte di un leader ebraico ufficiale di fronte ai massacri da parte dello “Stato ebraico” provocherà risentimento verso gli ebrei.

“L’uccisione di migliaia di palestinesi a Gaza mette in pericolo gli ebrei sia in Israele che altrove,” ha scritto questa settimana lo studioso antisionista Yakov Rabkin. “Quando Israele afferma di essere lo Stato di tutti gli ebrei li trasforma in ostaggi delle sue azioni e politiche. Quando le organizzazioni della comunità ebraica dichiarano ‘Stiamo dalla parte di Israele!’ agiscono come rappresentanti di Israele invece che degli ebrei.”

All’inizio dell’anno ho citato vari intellettuali ebrei che hanno sostenuto posizioni simili. Ecco alcuni estratti di quelle affermazioni.

  • Ken Roth, ex-direttore di Human Right Watch, nel luglio 2021, dopo un massacro israeliano a Gaza:

“L’antisemitismo è sempre sbagliato e precede di molto la creazione di Israele, ma l’ondata di episodi antisemiti nel Regno Unito durante il recente conflitto a Gaza smentisce quanti sostengono che la condotta del governo israeliano non incide sull’antisemitismo.”

Roth ha spiegato che è vietato sostenere questo discorso perché suggerisce che il governo israeliano, che afferma di proteggere il popolo ebraico, stia in realtà danneggiando la sicurezza degli ebrei.

  • Nel 1944 Hannah Arendt, anticipando la creazione di Israele con l’appoggio degli ebrei americani, avvertì dei rischi di tale appoggio:

“Se nel prossimo futuro verrà costituita una Nazione ebraica, con o senza partizione [della Palestina], ciò sarà grazie all’influenza politica degli ebrei americani … Se la Nazione ebraica verrà proclamata contro la volontà degli arabi e senza l’appoggio dei popoli del Mediterraneo, per molto tempo saranno necessari non solo un aiuto finanziario, ma anche un sostegno politico. E ciò potrebbe rivelarsi veramente molto problematico per gli ebrei di questo Paese.”

  • Il sociologo di Harvard Nathan Glazer nel 1976 mise in guardia che gli americani sarebberopotuti diventare “ostili” agli ebrei americani per le loro pressioni a favore di Israele.

“Gli ebrei americani hanno potere solo perché i loro concittadini sono disponibili nei confronti del fatto che esercitano questo potere. Potrebbero diventarlo meno. Potrebbero anzi diventare ostili ad esso… Gli ebrei americani fanno spudoratamente pressione sul Congresso per misure a favore di Israele, e rendono politicamente scomodo essere contro Israele e persino prendere una posizione ‘imparziale’. Il personaggio politico che lo fa viene sottoposto a maggiori pressioni ed epiteti, alcuni dei quali decisamente ingiustificati. Ma, come ho detto, il potere deve essere visto nel contesto. Il contesto è che è stato consentito agli ebrei americani di fare quello che fanno.”

Il consiglio di Glazer era che la comunità ebraica statunitense dovesse fare pressione per la creazione di uno Stato palestinese, un consiglio che la comunità rifiutò.

  • Lo scrittore Eric Alterman ha avvertito ripetutamente che l’appoggio a Israele ha “svuotato” la vita ebraica negli USA. E ha affermato che ciò ha contribuito all’antisemitismo. Nel novembre 2022 ha detto ad Americans for Peace Now [organizzazione statunitense impegnata a favorire la soluzione del conflitto israelo-palestinese, ndt.]:

“Ad essere onesti, mentre è in corso un’impennata di antisemitismo negli Stati Uniti, di cui per inciso sono in gran parte responsabili persone adirate con Israele, non c’è davvero nessun problema ad essere ebreo in America come era una volta.”

  • Nel 2015, in un discorso a J Street [organizzazione statunitense moderatamente contraria all’occupazione della Cisgiordania, ndt.], l’ebreo britannico esperto di Medio Oriente Tony Klug affermò che la dipendenza di Israele dagli ebrei statunitensi per difendere l’indifendibile avrebbe contribuito a esiti “sinistri”, e a un’”ondata di antisemitismo”, rendendo forse “precaria” la vita degli ebrei.

“Se Israele non pone drasticamente fine all’occupazione e se la posizione delle organizzazioni ebraiche in altri Paesi sembra appoggiarla apertamente, ci sarà sicuramente  un’ondata di sentimenti antiebraici, scatenando potenzialmente impulsi più sinistri… Ovviamente non lo dico per giustificare tali tetri sviluppi futuri… Temo… che l’occupazione israeliana senza fine della terra e delle vite di un altro popolo non sia solo seriamente dannosa per Israele, per non parlare dell’aggravamento della disperazione dei palestinesi, ma che stia rendendo sempre più precaria anche la situazione degli ebrei in tutto il mondo.”

Questo problema è intrinseco nel sionismo. I suoi coloni ebrei erano dipendenti dal sostegno occidentale, soprattutto delle principali potenze (prima la Gran Bretagna e poi gli USA), e così le comunità ebraiche di quei Paesi vennero chiamate ad esercitare la loro influenza sui governi occidentali in appoggio a Israele. Di fatto nel 1900 molti ebrei inglesi si allontanarono da Herzl [il fondatore del sionismo politico, ndt.] perché si resero conto che l’appoggio a uno Stato ebraico stava minacciando la loro posizione in Gran Bretagna.

Una delle sorgenti storiche di antisionismo ebraico era la scelta di vivere in società diversificate, in cui i diritti di tutti venivano rispettati. Il sionismo ha corrotto questi principi. Ha fondato un’etnocrazia dipendente dall’influenza politica degli ebrei in Occidente.

Oggi ci sono molte buone ragioni per essere antisionisti. Ti preoccupi della vita dei palestinesi tanto quanto di quella degli altri. Ti opponi all’apartheid, alla pulizia etnica e al bombardamento di ospedali e campi di rifugiati. Ma un’altra ragione è che, quando la brutalità di Israele viene esibita al mondo come lo è oggi, il sionismo è un pericolo per gli ebrei in Occidente.

Sono preoccupato del futuro della vita degli ebrei. Non vedo come l’ebraismo che appoggia il genocidio possa sopravvivere spiritualmente. C’è bisogno di una crisi all’interno di quella comunità riguardo a quell’atteggiamento.

Oggi la “presa emotiva” del sionismo sulla comunità ebraica si sta spezzando, afferma Rabkin, in quanto in tutto il mondo giovani ebrei condannano il sionismo.

Oggi è più che mai importante che fiorisca l’antisionismo ebraico. Cosa ancor più importante, per il bene del popolo che viene massacrato da Israele una notte dopo l’altra, e anche per il bene della sicurezza degli ebrei qui.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Cosa vuol dire impadronirsi della Statua della Libertà

Centinaia di membri di Jewish Voice for Peace che chiedono un cessate il fuoco a Gaza hanno occupato il piedistallo della statua. Ecco come è successo.

Sophie Hurwitz

7 novembre 2023 – The Nation

Un traghetto pieno di turisti diretto alla Statua della Libertà si è fermato completamente alle 13:15 di lunedì. Le file di visitatori che speravano di entrare nella base della statua si sono bloccate. E’ stato detto loro che a Liberty Island si stava verificando un problema e che non avrebbero visitato la statua finché il problema non fosse stato risolto.

Sull’isola, a poche centinaia di metri di distanza, circa 400 manifestanti di Jewish Voice for Peace occupavano la base della statua. Hanno tenuto quello spazio per poco meno di un’ora e poi sono tornati indietro catturando l’attenzione di tutti sull’isola.

Jane Hirschmann, settantasette anni, era una delle manifestanti più anziane. Ha portato le sue due figlie adulte con lei ad appendere gli striscioni su Lady Liberty. La disobbedienza civile è diventata una sorta di nuova tradizione familiare, ha detto.

“Siamo stati arrestati nella rotonda [dell’edificio del Congresso] a Washington e nella Grand Central”, ha detto, riferendosi alle due azioni di disobbedienza civile di massa nelle ultime due settimane di ebrei che chiedevano la liberazione della Palestina. “A Grand Central avevo con me tutti i miei figli e tutti i miei nipoti. Eravamo un gruppo di 13. I nipoti se ne sono andati, non sono stati arrestati”. I suoi nipoti, alcuni di appena 1 anno, sono un po’ troppo piccoli.

La famiglia di Hirschmann non era certo l’unico gruppo intergenerazionale sull’isola. Intere famiglie si sono unite alla protesta perché, per molti, la loro storia familiare li obbligava a farlo. Hirschmann ha parlato di suo nonno, morto di infarto sulla barca diretta a Ellis Island mentre fuggiva dall’Olocausto. Ha visto la sua famiglia sparpagliata in giro per il mondo, costretta a lasciare le proprie case e, ha detto Hirschmann, “è morto di crepacuore”.

“Non ho mai avuto modo di incontrare quel nonno. Ma il suo ricordo è impresso nel mio cuore”, ha detto. Nello sfollamento di massa e nell’uccisione dei palestinesi, vede gli echi della storia di suo nonno. “Ha capito quando ha visto il fascismo che doveva proteggere la famiglia e fuggire. Ora stiamo andando verso il fascismo, in questo paese, e certamente in Israele. Questo genocidio deve finire”.

Portare centinaia di manifestanti in un pezzo di territorio federale fortemente sorvegliato non è un’impresa da poco. Le persone sono entrate in piccoli gruppi scaglionati in un periodo di diverse ore, giurando di mantenere il segreto assoluto su dove stavano andando. Alle 13:00 tutti e 400 erano riuniti sulla base di Lady Liberty e si sono tolte le giacche per mostrare le loro T-shirt con le scritte.

Alcuni manifestanti indossavano fasce con corona di Lady Liberty in schiuma verde, mentre altri interpretavano il ruolo di turisti in modo meno convincente. (Molti degli ebrei newyorkesi che partecipavano alla protesta hanno sottolineato di non essere stati alla Statua della Libertà da quando erano bambini in gita.)

Ogni giorno circa 10.000 persone attraversano il complesso della Statua della Libertà, rendendolo uno dei monumenti nazionali più frequentati del Paese, quindi ai manifestanti è stata garantita una grande folla di spettatori. Alcuni hanno manifestato la loro opposizione gridando contro il gruppo o mostrando il dito medio. Ma altri, come i visitatori scozzesi David e Sheila Miller, erano entusiasti.

La coppia ha deciso che scattare foto con i manifestanti sullo sfondo era più importante che cercare di inclinare la fotocamera per farsi un selfie con la parte superiore della torcia della statua.

“Penso che sia un ottimo messaggio che stanno inviando”, ha detto Miller. “È fantastico! Penso solo che sia bello essere qui a testimoniarlo. Quando siamo saliti sulla corona, pensavo che sarebbe stato il momento clou della giornata, ma invece è stato questo. Essere testimoni di questo evento in prima linea”.

Joe Biden ha appoggiato l’idea di una “pausa umanitaria” in cui le bombe israeliane smettono di cadere per un breve periodo non specificato per consentire agli aiuti umanitari di entrare a Gaza. Parlando con il primo ministro israeliano Netanyahu, le definisce “pause tattiche”. Biden, tuttavia, non ha sostenuto un cessate il fuoco totale. In caso di pausa umanitaria alla fine le bombe cadranno di nuovo.

Le proteste in tutto il mondo sono continuate quotidianamente dall’inizio dell’incursione israeliana a Gaza. Mentre gli attivisti di tutto il mondo sono stati accusati di antisemitismo per aver definito genocidio le azioni del governo israeliano, funzionari delle Nazioni Unite e studiosi dell’Olocausto hanno usato lo stesso termine per descrivere l’uccisione di massa e lo sfollamento di una popolazione civile imprigionata.

Le Nazioni Unite affermano che non è stato consentito l’ingresso di carburante a Gaza nel mese successivo agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, il che significa che gli ospedali e altri servizi essenziali stanno lentamente chiudendo del tutto. In quel periodo sono stati uccisi oltre 10.000 palestinesi, tra cui più di 4.000 bambini.

La scrittrice Molly Crabapple faceva parte di un gruppo di artisti che hanno partecipato alla protesta vestiti in modo appariscente. Come molti operatori culturali ebrei di New York, è una firmataria della lettera aperta di Writers Against the War on Gaza. E per Crabapple, che ha lavorato a Gaza, questa guerra è anche un fatto personale.

“Ci sono persone a cui tengo che vivono a Gaza”, ha detto Crabapple. “Diecimila persone sono morte. Quattromila di loro sono bambini. Ogni giorno questo genocidio continua, altri bambini e altre brave persone stanno morendo. Questo genocidio deve finire adesso”.

Crabapple, la fotografa Nan Goldin e gli scrittori Raquel Willis e Tavi Gevinson erano tra gli artisti presenti. Si sono uniti alla protesta anche dei politici. Dopotutto la Statua della Libertà è stata teatro di clamorose azioni di disobbedienza civile sin dalla sua inaugurazione nel 1886. Zohran Mamdani membro del consiglio di quartiere dei Queens ha partecipato spesso alle manifestazioni pro-Palestina che si sono tenute in città dall’attacco di Hamas il 7 ottobre e si è unita al gruppo sul basamento della statua.

“Non posso votare sulla questione se debbano o meno essere stanziati altri 14 miliardi di dollari in finanziamenti militari. Ma io, come ogni altro politico locale, ho una piattaforma”, ha detto. “È con quella piattaforma che… ognuno di noi dovrebbe chiarire che non esiste un consenso di massa per l’uccisione di un bambino palestinese ogni 10 minuti. Gran parte della politica federale e della Casa Bianca in questo momento si basa sull’idea che gli americani, in massa, sostengano questo. Sappiamo che il 66% degli americani vuole un cessate il fuoco, la maggioranza di loro si oppone all’invio di ulteriori finanziamenti a Israele”. Ora, ha detto Mamdani, è tempo di fare in modo che la politica statunitense rifletta quella maggioranza.

L’occupazione della Statua della Libertà da parte della JVP è stata solo una delle numerose azioni contro la guerra nella giornata di lunedì. A St. Louis, 75 manifestanti contro la guerra del gruppo Dissenters hanno formato un cordone e bloccato gli ingressi ad uno stabilimento Boeing dove vengono costruite le bombe sganciate su Gaza. E a Tacoma, nello stato di Washington, i manifestanti hanno bloccato l’accesso al porto dove stava attraccando una nave da carico militare che si pensava fosse diretta in Israele. Alcuni attivisti sono addirittura saliti su canoe per fermare il movimento della nave.

Di ritorno a New York, le proteste si sono svolte su un diverso tipo di imbarcazione: un traghetto turistico.

Molti di quelli in fila hanno battuto le mani e scandito: “Cessate il fuoco adesso!” e “Non in nostro nome!”

Il gruppo è uscito lentamente dal complesso della Statua della Libertà verso le 14:30, una grande nuvola di persone in maglietta nera che scandivano: “Fine all’assedio di Gaza adesso!” lungo la via del ritorno su un traghetto. Una volta sulla barca, hanno riappeso i loro striscioni, salutando le persone che guardavano dalla riva. Hanno urlato e pestato i piedi così forte che la barca ha tremato per tutto il tragitto verso Manhattan.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Funzionaria americana afferma che il numero di palestinesi uccisi a Gaza potrebbe essere “superiore a quello riportato”.

I commenti di Leaf sono in contrasto con la dichiarazione del mese scorso del presidente americano Joe Biden, che aveva affermato di non avere “nessuna fiducia” nei numeri palestinesi.

Redazione di Palestine Chronicle

9 novembre 2023 – The Palestine Chronicle

Il numero di palestinesi di Gaza uccisi nella guerra israeliana contro Gaza è probabilmente superiore ai 10.000 riportati dal Ministero della Sanità locale, ha detto al Congresso l’Assistente del Segretario di Stato americano per gli Affari del Vicino Oriente, Barbara Leaf.

Giovedì 9 novembre il Ministero della Sanità di Gaza ha dichiarato che dal 7 ottobre sono stati uccisi a Gaza 10.812 palestinesi. Il numero comprende 4.412 bambini e 2.918 donne.

Secondo The Hill [giornale politico statunitense con sede a Washington, ndt.] Leaf ha detto alla Commissione per gli Affari Esteri della Camera durante un’audizione mercoledì: “In questo periodo di conflitto e di condizioni di guerra è molto difficile per chiunque di noi valutare quante siano le vittime Francamente  pensiamo che siano molte e potrebbero essere anche più di quelle riportate.”

“Apprendiamo notizie da molte persone diverse che sono sul campo”, ha aggiunto Leaf. Non posso stabilire una cifra o un’altra, è molto probabile che siano anche più di quanto riportato.”

I commenti di Leaf sono in contrasto con la dichiarazione del mese scorso del presidente americano Joe Biden, che aveva affermato di non avere “nessuna fiducia” nei numeri forniti dai palestinesi.

In seguito il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale John Kirby ha detto ai giornalisti che il Ministero della Sanità di Gaza è “solo una copertura per Hamas”.

“Non possiamo prendere per oro colato nulla che venga da Hamas, incluso il cosiddetto ‘Ministero della Sanità’”, ha detto Kirby alla conferenza stampa della Casa Bianca il 26 ottobre.

Gli Stati Uniti avrebbero chiesto a Israele di evitare di uccidere civili, ma un articolo del New York Times della scorsa settimana ha rivelato che i funzionari israeliani “ritenevano che un alto numero di vittime civili fosse un prezzo accettabile nella campagna militare”, paragonando le operazioni a Gaza con i bombardamenti incendiari su Germania e Giappone nella Seconda Guerra Mondiale

Finora Israele ha ucciso oltre 10.812 persone – tra cui 4.412 bambini e 2.918 donne – e ne ha ferite 26.905. Rapporti del Ministero della Sanità palestinese e organizzazioni internazionali affermano che la maggior parte delle persone uccise e ferite sono donne e bambini.

Nonostante il massiccio rafforzamento militare israeliano attorno ai confini di Gaza e le sporadiche incursioni alla periferia della Striscia assediata, la Resistenza Palestinese continua a respingere gli attacchi israeliani.

Per giustificare il suo fallimento militare, l’esercito israeliano continua a martellare abitazioni civili in tutta la Striscia di Gaza, con nuovi massacri segnalati ovunque nell’enclave assediata.

Gaza è sotto uno stretto assedio militare israeliano dal 2007 in seguito ad un’elezione democratica nella Palestina occupata, i cui risultati sono stati respinti da Tel Aviv e Washington.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Cisgiordania: le forze israeliane uccidono un palestinese nel campo profughi di Nablus

Secondo il ministero palestinese della Sanità Mohammad Abdel-Hakim Nada, di 23 anni, è stato colpito al petto.

Redazione di MEE

26 luglio 2023 – Middle East Eye

Mercoledì le forze israeliane hanno ucciso un uomo palestinese durante un’incursione militare in un campo profughi nella Cisgiordania occupata.

Secondo il ministero della Sanità palestinese Mohammad Abdel-Hakim Nada, di 23 anni, è stato colpito al petto dal fuoco israeliano e successivamente è morto in ospedale.

I media locali affermano che in tarda mattinata le truppe israeliane hanno fatto una incursione nel campo profughi di Al-Ain, a Nablus, per arrestare alcuni palestinesi.

Scontri armati sono scoppiati dopo che un’unità di soldati israeliani in borghese è stata scoperta nel campo.

Non è stato immediatamente chiaro se Nada è morto durante gli scontri o come testimone.

Durante l’incursione le forze israeliane hanno circondato una casa e chiesto ad uno dei suoi abitanti di arrendersi. Secondo quanto riferito da fonti palestinesi l’uomo dentro la casa è stato successivamente arrestato.

I militari israeliani hanno confermato che stavano facendo un’operazione nel campo ma non hanno fornito ulteriori dettagli.

La morte di Nada accade un giorno dopo che l’esercito israeliano ha ucciso tre palestinesi a Nablus, sostenendo che essi avevano aperto il fuoco sui soldati.

Almeno 201 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano quest’anno, inclusi 34 minorenni – una media di quasi una vittima al giorno.

In totale 164 persone sono morte nella Cisgiordania e a Gerusalemme Est, rendendo il 2023 uno degli anni più insanguinati nei territori occupati palestinesi. Altre 36 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza.

Nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso 25 israeliani, inclusi sei minorenni.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)

 

 

 




L’approvazione della riforma giudiziaria in Israele consolida la ‘supremazia ebraica’

La nuova legge approvata dalla Knesset renderà più facile al governo di estrema destra condurre politiche che danneggiano i palestinesi, affermano gli esperti.

Farah Najjar

24 luglio 2023 – Al Jazeera

I palestinesi dicono che la legge approvata dal parlamento israeliano che limita alcuni poteri della Corte Suprema renderà più facile per il governo israeliano condurre politiche funzionali al suo programma “di estrema destra”.

La legge è parte di un più ampio sforzo da parte del Primo Ministro Benjamin Netanyahu e dei suoi alleati di destra di riformare la magistratura ed impedisce alla Corte Suprema di mettere il veto a decisioni del governo con la motivazione che siano “irragionevoli”.

La legge “indebolisce ed elimina ogni forma di supervisione della Corte Suprema sulle decisioni del governo”, ha detto a Al Jazeera Ahmad Tibi, membro palestinese della Knesset o parlamento israeliano.

“In particolare quando sono decisioni che che riguardano nomine ufficiali e altre importanti decisioni”, dice Tibi.

Amjad Iraqi, caporedattore di +972 Magazine, dice che queste nomine determinano chi ricopre cariche di alto livello nella polizia, nell’esercito, nelle istituzioni finanziarie e altro.

Queste nomine incidono direttamente sui cittadini palestinesi di Israele, per esempio “quanti soldi percepiscono” e come i dipartimenti di polizia “seguono l’impostazione del governo di estrema destra”, dice Iraqi ad Al Jazeera da Haifa.

L’approvazione della legge lunedì annulla la possibilità per i palestinesi di contrastare queste nomine “per via giudiziaria e amministrativa”, dice, aggiungendo che i governi ora possono applicare le proprie politiche “molto più velocemente”.

La legge è passata lunedì con 64 voti contro 0, in quanto l’opposizione ha boicottato il voto ed è uscita furiosa dall’aula dopo un’accesa sessione parlamentare.

‘Implicazioni negative per i palestinesi’

La Corte Suprema “non è andata incontro ai palestinesi né ha emesso sentenze eque nei loro confronti ed ha agito a favore di coloni, omicidi, uccisioni e della stessa occupazione”, dice Tibi.

“Non vogliamo che il governo fascista acquisti il controllo completo sulla magistratura – anche se le decisioni della magistratura sono prevenute”, aggiunge. “Questo consentirà al governo ancor maggiore controllo su decisioni che avranno implicazioni molto negative per i palestinesi.”

La Corte Suprema è vista come l’ente che garantisce lo stato di diritto e dovrebbe avere un ruolo importante nel controllo del potere esecutivo nel Paese – che è ampiamente nelle mani del governo.

I piani del governo hanno innescato mesi di proteste di massa, che secondo Tibi probabilmente continueranno “per un po’”. Alla vigilia del voto i dimostranti hanno bloccato una strada che conduce al parlamento, mentre molte imprese, compresi centri commerciali, banche e distributori di benzina, lunedì hanno preso parte ad uno sciopero per opporsi alla legge.

Il quotidiano Haaretz ha riferito che la polizia ha utilizzato idranti nel tentativo di disperdere i dimostranti e ha descritto gli ultimi sviluppi come “una crisi senza precedenti”.

Migliaia di riservisti dell’esercito hanno dichiarato che non presteranno servizio se il governo di estrema destra di Netanyahu porterà avanti i suoi piani.

Il servizio militare è obbligatorio per la maggior parte degli israeliani, uomini e donne, sopra i 18 anni e molti volontari per il servizio di riservisti hanno già superato i 40 anni.

Nonostante questa “disubbidienza di massa”, l’estrema destra è ancora “ben ferma sulla sua strada”, dice Iraqi. “Le proteste non hanno fatto veramente breccia per fermare del tutto il governo…la coalizione dominante semplicemente non ne tiene conto.”

La Corte Suprema ‘al passo con Israele’

Tariq Kenney-Shawa, un ricercatore politico statunitense del gruppo di esperti di Al-Shabaka, ripropone le preoccupazioni di Tibi, dicendo che, invece di agire come “strumento di controllo ed equilibrio nei confronti delle correnti della destra più estrema di Israele”, la Corte Suprema “è servita solo ad avallarle ulteriormente.”

Nel 2021 la Corte Suprema ha confermato una controversa legge che definisce Israele come lo Stato-Nazione del popolo ebraico, respingendo le accuse secondo cui la legge discrimina le minoranze.

La legge, approvata nel 2018, declassa lo status della lingua palestinese e araba e considera l’espansione delle colonie illegali di soli ebrei nella Cisgiordania occupata come un valore nazionale.

La Corte Suprema ha anche consentito alle autorità israeliane di continuare a porre i palestinesi in detenzione amministrativa, una prassi consistente nel detenerli sulla base di prove segrete, senza accuse o processo.

Kenney-Shawa ha avvertito che la nuova legge potrebbe condurre ad una “accelerazione delle politiche” ulteriormente funzionali al programma di Israele e potrebbe “trasferire e sottoporre a pulizia etnica i palestinesi e consolidare ancor più la supremazia ebraica.”

Secondo Kenney-Shawa è anche per questo che molti palestinesi non hanno appoggiato il movimento di protesta, che lui sostiene essere finalizzato a “proteggere e mantenere il sistema esistente”.

Diana Buttu, analista ed ex consulente legale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), dice che la Corte Suprema israeliana non è mai stata liberale e non è mai stata utile ai palestinesi “in alcun modo, in alcuna forma né sotto alcun aspetto”.

Di fatto è “sulla stessa linea di Israele e dell’occupazione”, dice Buttu a Al-Jazeera.

Il parlamento ha ratificato la legge perché la destra “vuole essere sicura che non vi sia mai una minaccia alla sua occupazione”, dice.

‘Solo l’inizio’

Buttu dice che il processo di riforma della magistratura è stato avviato da anni.

Un esempio ne sono le fattispecie di casi che possono essere portati davanti ai tribunali israeliani dai palestinesi. Questi sono stati “limitati” e “fortemente ridotti”, dice, intendendo che tali casi possono avvitarsi per anni ed anni attraverso il sistema giuridico.

Il Ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, che è a capo del partito di estrema destra Potere Ebraico, ha detto che l’approvazione della contestata legge è stato “solo l’inizio”.

“Ci sono molte altre leggi che dobbiamo approvare come parte della riforma giudiziaria”, avrebbe detto secondo quanto riferito da The Times of Israel.

Intanto Mouin Rabbani, analista di Medio Oriente e co-editore della rivista Jadaliyya, dice che la crisi riguardo alle riforme è anzitutto “una disputa interna tra la popolazione ebraica di Israele.”

La crisi potrebbe approfondirsi e portare ad una “crescente polarizzazione” all’interno della società israeliana e delle sue istituzioni, dice Rabbani ad Al-Jazeera.

Di fatto l’approvazione della nuova legge potrebbe favorire i palestinesi se il suo impatto comprendesse “l’indebolimento delle forze armate e dei servizi di sicurezza di Israele”, dice.

Gli avvertimenti dei riservisti che potrebbero non prestare servizio hanno suscitato timori che possa essere compromessa la capacità di reazione dell’esercito.

“Sono crepe pericolose”, ha scritto domenica il capo dell’esercito Tenente Generale Herzi Halevi in una lettera ai soldati. “Se non saremo un esercito forte e coeso, se i migliori non prestano servizio” nell’esercito israeliano, ha detto Halevi, “non saremo più in grado di esistere come Paese nella regione.”

 

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Insegnanti o terroristi? I parlamentari di estrema destra vogliono che lo Shin Bet controlli le scuole

Un disegno di legge che autorizza il servizio di sicurezza israeliano ad assumere e licenziare insegnanti, una politica condotta da tempo nelle scuole arabe, è così estremista che è contrario persino lo Shin Bet.

Gil Gertel

26 luglio 2023  –  +972 Magazine

In collaborazione con Local Call

 

La settimana scorsa la commissione per l’istruzione, la cultura e lo sport della Knesset ha discusso un disegno di legge che assegna allo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, poteri intrusivi nel sistema educativo del Paese. Se approvata, la legge autorizzerebbe lo Shin Bet a condurre un controllo dei precedenti di tutti gli insegnanti scolastici di nuova assunzione, rilevare le loro affermazioni nelle aule e sui social media, e persino licenziarli e revocare la loro abilitazione all’insegnamento.

Il disegno di legge, che unifica diverse versioni proposte dai membri di estrema destra della Knesset, è stato delineato come uno strumento atto a “proibire l’impiego di terroristi condannati”, creando l’impressione che la legge prenderebbe di mira solo un gruppo di persone molto specifico e pericoloso. Ma non è affatto così. Secondo il testo attuale, il divieto di assunzione non si riferisce solo a coloro che sarebbero coinvolti in “terrorismo”, ma anche a coloro che presumibilmente “sostengono” o “sarebbero collegati a” una “organizzazione terroristica”.

Cosa si intende per organizzazione terroristica? A dire il vero non lo sappiamo. In Israele il Ministro della Difesa ha l’autorità di dichiarare qualsiasi organizzazione come terroristica, con una procedura del tutto avvolta nella massima segretezza. Prendiamo, ad esempio, le sei organizzazioni palestinesi per i diritti umani che nel novembre 2021 sono state dichiarate fuori legge in quanto “organizzazioni terroristiche” dall’allora ministro della Difesa Benny Gantz nonostante non sia stata fornita alcuna prova attendibile.

Il termine è così generico che, secondo l’attuale ministro dell’Istruzione Yoav Kisch, le proteste di massa che hanno avuto luogo contro il governo nell’ultimo semestre equivalgono ad atti di “terrorismo”. Pertanto, secondo i termini del nuovo disegno di legge, un insegnante non ha nemmeno bisogno di partecipare alle proteste israeliane per essere colpevole di attività illecite: è sufficiente che esprima semplicemente simpatia per il movimento antigovernativo affinché lo Shin Bet lo ritenga un ” simpatizzante del terrorismo” e lo licenzi.

A partire da questa settimana i funzionari dello Shin Bet, della polizia, del ministero della Giustizia e delle Finanze hanno messo il comitato della Knesset di fronte alle numerose lacune giuridiche del disegno di legge e hanno chiesto delle revisioni. Tuttavia, i parlamentari ubriachi di potere sembravano determinati ad apportare dei semplici ritocchi e riportare la proposta sull’iter legislativo.

Né il Ministro dell’Istruzione né i dirigenti delle varie organizzazioni degli insegnanti erano presenti alla riunione della commissione della scorsa settimana, nonostante il fatto che la legge abbia a che fare in modo esplicito con le condizioni per l’assunzione e il licenziamento degli insegnanti. Neanche le organizzazioni di genitori e studenti hanno alzato la voce. Nessun membro ebreo dell’opposizione ha ritenuto opportuno uscire allo scoperto e difendere l’istruzione gratuita e il finanziamento statale in Israele. Solo i membri palestinesi della Knesset hanno trovato il tempo per venire a protestare contro la legge durante la riunione.

Il “segreto di Pulcinella” dello Shin Bet

Basti dire che l’idea che il governo dovrebbe avere il controllo sugli insegnanti attraverso l’apparato di sicurezza dello Stato ha un ampio sostegno alla Knesset. E non solo da parte di Netanyahu e i suoi amici fascisti.

Dall’istituzione dello Stato nel 1948 fino al 2009 Israele ha concesso allo Shin Bet la piena autorità di supervisionare gli insegnanti nelle scuole arabe del Paese, e questi sono stati monitorati, assunti e licenziati secondo la volontà dell’agenzia. Ciò è avvenuto attraverso un “segreto di Pulcinella” praticamente noto a tutti: il vicedirettore della Divisione Educazione Araba, che dipende dal Ministro dell’Educazione, è sempre stato un membro dello Shin Bet. Lui ha sempre preso parte con il suo staff alle commissioni di assunzione con il diritto di porre il veto su qualsiasi decisione.

Queste cose sono descritte in dettaglio nel libro dello storico Hillel Cohen del 2010, “Good Arabs” [Buoni Arabi, ndt.]. Attraverso l’esame di archivi di Stato consultabili, che confermano decisamente la narrazione pubblica dei cittadini palestinesi, Cohen ha descritto come lo Shin Bet compilasse un file di ogni preside o insegnante palestinese, che includeva tutte le loro dichiarazioni pubbliche nel corso degli anni. Non ci è voluto molto per fare questo lavoro. Per controllare una popolazione non è necessario che ognuno sia un collaboratore e informatore, basta che pensi che tutti gli altri lo siano.

Ad esempio, Cohen descrive come nel 1952, quando i cittadini palestinesi erano sotta la giurisdizione di un governo militare, 42 insegnanti — che all’epoca costituivano il sei per cento di tutti gli insegnanti delle scuole arabe in Israele — fossero stati licenziati perché “hanno abusato dell’opportunità data loro di educare la prossima generazione forgiandone l’immagine”. Naturalmente non sono stati condannati in nessun tribunale; è bastata una decisione arbitraria di un comandante militare.

I posti di lavoro che si sono resi vacanti sono stati poi assegnati, in segno di riconoscenza, a palestinesi che hanno collaborato con lo Shin Bet e che si sono distinti nel trasmettere informazioni alle autorità israeliane. Non era necessario che fossero qualificati all’insegnamento. Le parole sono state esplicitamente pronunciate alla conferenza dei funzionari del dipartimento responsabile degli affari arabi: “Tra i favori che possiamo fare, grazie alle nostre relazioni con il Ministero dell’Istruzione, vi è l’assunzione di insegnanti e l’ammissione di candidati all’insegnamento ai corsi [di formazione]”.

Questo terrorismo psicologico è stato applicato anche agli studenti. Nel 1958, gli studenti arabi di Nazareth celebrarono la Nakba, l’espropriazione dei palestinesi della loro patria nel 1948, tenendo una veglia silenziosa per cinque minuti. Gli insegnanti ebrei che lavoravano nella scuola hanno trasmesso le informazioni allo Shin Bet. Al preside della scuola fu chiesto di consegnare i nomi degli studenti e gli venne persino detto di informare gli studenti che: “sarà possibile che tra due anni, quando finiranno la scuola e faranno domanda per un lavoro, i funzionari governativi con il potere decisionale sull’assegnazione del lavoro ai laureati staranno in silenzio per cinque minuti in memoria della perdita della loro possibilità di carriera”.

Va da sé che la selezione degli insegnanti basata sulle loro opinioni piuttosto che sulle competenze, e la diffusione della paura tra presidi, insegnanti e studenti, ha danneggiato gravemente per decenni il sistema educativo arabo in Israele. Ha sofferto della mancanza di personale professionalmente valido, del paralizzante sospetto reciproco e dell’indebolimento del concetto stesso di educazione.

Fu solo nel settembre 2004 che il centro legale palestinese Adalah presentò una petizione all’Alta Corte per porre fine al coinvolgimento dello Shin Bet nel sistema educativo arabo. Venne posto alla luce del sole che l’intero sconvolgimento e degrado del sistema educativo era stato attuato senza alcuna base giuridica e portato a termine unicamente perché il governo israeliano aveva il potere di farlo. La petizione non venne nemmeno discussa in tribunale poiché il Ministero dell’Istruzione annunciò la cancellazione del ruolo del funzionario dello Shin Bet nel Dipartimento dell’Istruzione Araba.

“Un terribile mostro che danneggia il popolo ebraico”

Nel 2023, con la sua nuova legge, il governo israeliano vuole tornare alla vecchia realtà. Eppure i politici di estrema destra hanno affermato esplicitamente che l’intento del disegno di legge non è quello di tenere sotto controllo la società palestinese ma anche gli insegnanti ebrei-israeliani.

Il 4 luglio, nel corso del primo dibattito sul disegno di legge, i membri della Knesset hanno fatto a gara per scoprire chi fosse il più fascista. Il parlamentare Amit Halevi del Likud [partito nazionalista e di destra capofila della coalizione di governo, ndt.] ha detto, per esempio, che per licenziare un insegnante non bisogna aspettare che venga condannato per terrorismo e nemmeno che venga aperto un procedimento penale. Basta che lo Shin Bet scopra che l’insegnante “sia messo in relazione con il terrorismo”, e già “il solo fatto che si trovi in una scuola è di per sé un reato”.

Il collega di partito Avihai Boaron è andato anche oltre. Ai suoi occhi, non c’è nemmeno bisogno di aspettare informazioni dallo Shin Bet: “Il direttore generale del Ministero dell’Istruzione può farsi un’idea da quello che vede sui social media”, ha detto. In altre parole, basta ad esempio che il direttore generale navighi sulla pagina Facebook di un insegnante per poterlo licenziare e revocargli l’abilitazione.

Il parlamentare Limor Son Har-Malech del partito kahanista Otzma Yehudit [movimento ebraico della destra radicale suprematista, ndt.]  ha accusato gli insegnanti presi di mira di “presentare valori in un modo bellissimo che suona bene, ma che sotto tutti questi valori si nasconde un terribile mostro che danneggia e mina l’esistenza del popolo ebraico.”

Durante la seconda discussione del 18 luglio i funzionari dei vari ministeri hanno spiegato quanto sia inutile la proposta di legge. I rappresentanti del Ministero della Giustizia hanno sostenuto che non è possibile richiedere un controllo completo da parte dello Shin Bet di tutti gli insegnanti; una tale mossa, hanno detto, avrebbe un effetto intimidatorio che potrebbe impedire a molti di accedere alla professione. Inoltre, non è possibile escludere i dipendenti del sistema educativo dalle norme disciplinari già esistenti, che includono motivi sufficienti per la cessazione del rapporto di lavoro, come “comportamenti che possono ledere il nome del servizio statale”.

Un rappresentante della polizia israeliana ha spiegato che esiste già un sistema automatizzato attraverso il quale tutti i ministeri del governo, compreso il Ministero dell’Istruzione, ricevono informazioni sui dipendenti statali sospettati di aver commesso un crimine, nonché su quelli sotto inchiesta. Con l’ausilio di queste informazioni i ministeri competenti possono decidere se il motivo dell’indagine giustifichi la sospensione o la cessazione del rapporto di lavoro.

Inoltre un rappresentante del Ministero delle Finanze ha spiegato che la legge richiederebbe decine di milioni di shekel per l’istituzione e la gestione di un database nuovo di zecca, nonché per il controllo dei precedenti di 300.000 dipendenti.

Un rappresentante del Ministero dell’Istruzione ha inoltre spiegato che non ci sono problemi con il funzionamento attuale del sistema, dal momento che i condannati per terrorismo non occupano un impiego e che il ministero dispone già degli strumenti necessari per ottenere informazioni che consentano di affrontare la questione.

Anche il consulente legale dello Shin Bet ha ritenuto la legge del tutto inutile, affermando che l’agenzia dispone già di un’interfaccia funzionante attraverso la quale può trasferire al Ministero dell’Istruzione le informazioni che ritiene rilevanti. “Quello che state proponendo qui”, ha detto il consulente, “è di vasta portata. Nessun partito ha mai ricevuto informazioni aperte dallo Shin Bet”. Guai a noi se i diritti degli insegnanti in Israele verranno “protetti” dallo Shin Bet.

 

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)

 




Israele approva una legge per ampliare la segregazione  razziale

Redazione di MEE

26 luglio 2023 – Middle East Monitor

 

Ieri la Knesset ha approvato l’ampliamento della discriminatoria legge riguardante i Comitati di ammissione consentendo a un numero maggiore di comunità esclusivamente ebraiche di selezionare candidati e respingere quanti sono giudicati inadatti. Lo scorso mese era stata presentata una proposta di legge per estendere la segregazione razziale in Israele tramite comitati discriminatori.

I Comitati di ammissione, introdotti nel 2011, sono presenti in centinaia di cittadine sorte su territori demaniali nel Naqab (Negev) e in Galilea. La legge concede ai comitati una quasi totale discrezionalità riguardante il consenso o il rifiuto che individui vivano nelle città sotto il loro controllo. I comitati includono un rappresentante dell’Agenzia ebraica o dell’Organizzazione sionista mondiale, enti quasi-governativi. In pratica vengono esclusi i candidati arabo-palestinesi.

La legge originaria che concedeva poteri ai Comitati di ammissione fu approvata per aggirare la decisione della Corte Suprema che vietava alle comunità israeliane la prassi razzista di vendere i terreni solo agli ebrei. Si applicava solo alle comunità con un massimo di 400 famiglie e solo nel Negev e in Galilea.

La disposizione di legge discriminatoria è stata approvata dalla Knesset con una maggioranza di 42 a 11. L’approvazione rimuove le restrizioni sul numero di città a cui è permesso avere i “Comitati di ammissione”. L’estensione geografica della nuova legge include, oltre a Naqab e Galilea, tutte le cittadine designate come Aree di Priorità Nazionale (NPAs). Si applicherà anche alle comunità con 400-700 famiglie.

Infine la legge stabilisce che dopo cinque anni dall’entrata in vigore, il ministero dell’economia potrà estenderla a comunità con oltre 700 famiglie.

Adalah, il centro legale [per i diritti della minoranza araba in Israele], ha evidenziato che durante il dibattito alla Knesset e negli accordi di coalizione i promotori e i sostenitori della proposta di legge hanno dichiarato inequivocabilmente il loro scopo chiaramente razzista. I parlamentari hanno persino invitato a partecipare al dibattito un rappresentante del servizio di sicurezza interna di Israele, lo Shin Bet (“Shabak”). Il funzionario israeliano ha sottolineato l’importanza di espandere le colonie esclusivamente ebraiche in Galilea in tema di sicurezza.

Adalah ha affermato: ’Nessuno sta cercando di nascondere lo scopo razzista della legge che mira a continuare e promuovere valori ancorati alla Legge dello Stato-Nazione Ebraico per insediare ed espandere colonie ebraiche. Ad ogni stadio della procedura legislativa, inclusa la presentazione di opinioni del personale dello Shin Bet, i parlamentari della Knesset hanno rimarcato la loro intenzione di promuovere gli stessi valori nazionalisti. Usando il termine ‘comunitario,’ intendono politiche di segregazione razziale e apartheid contro i cittadini palestinesi in Israele. Perciò Adalah presenterà un ricorso contro questa legge alla Corte Suprema.”

Prima della decisione del governo israeliano di ampliare  i Comitati di ammissione, il ministro della Giustizia Yariv Levin ha spiegato che nominare giudici che capiscono che gli ebrei “non vogliono vivere con gli arabi” è uno dei motivi del controversa riforma giudiziaria.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’American Anthropological Association aderisce al boicottaggio accademico di Israele

Con il 71% dei voti i membri dell’American Anthropological Association hanno approvato a larga maggioranza una risoluzione per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane.

Michael Arria

24 luglio 2023 – Mondoweiss

 

I membri dell’American Anthropological Association [Associazione degli Antropologi Americani] (AAA) hanno approvato a larga maggioranza una risoluzione per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane. Il 71% dei membri che hanno votato ha appoggiato l’iniziativa, mentre solo il 29% vi si è opposta.

“Questa è stata in effetti una questione controversa e le nostre differenze possono aver scatenato un aspro dibattito, ma abbiamo preso una decisione collettiva ed ora è nostro dovere andare avanti uniti nel nostro impegno per far progredire la conoscenza accademica, trovare soluzioni ai problemi umani e sociali e fungere da tutori dei diritti umani,” ha affermato in un comunicato la presidentessa di AAA Ramona Pérez. “Le politiche e le procedure per la votazione sono state seguite rigorosamente e senza eccezioni, e il risultato avrà tutto il peso dell’approvazione da parte dei membri dell’AAA.”

Una precedente iniziativa per il boicottaggio di Israele era stata entusiasticamente accolta da un incontro di lavoro dell’AAA nel 2015, ma terminò sconfitta in una votazione molto serrata l’anno successivo. Nel marzo 2023 oltre 200 membri dell’AAA hanno presentato una petizione al Comitato Esecutivo in cui si chiedeva un voto di tutti gli iscritti sulla questione. La votazione ha avuto luogo tra il 15 giugno e il 14 luglio.

“Lo Stato di Israele mette in atto un regime di apartheid dal fiume Giordano al mare Mediterraneo, anche nello Stato di Israele internazionalmente riconosciuto, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e la Convenzione Internazionale per la Soppressione e le Sanzioni contro il Crimine di Apartheid del 1973 e lo Statuto di Roma per la [creazione della] Corte Penale Internazionale (CPI) definiscono l’apartheid un crimine contro l’umanità,” si legge nella risoluzione.

“Le istituzioni accademiche israeliane sono complici del regime dello Stato israeliano di oppressione contro i palestinesi… anche fornendo ricerche e sviluppo delle tecnologie militari e di sorveglianza utilizzate contro i palestinesi,” continua. “… Le istituzioni accademiche israeliane non forniscono protezione alla libertà accademica, a discorsi nelle università a favore dei diritti umani e politici dei palestinesi né alla libertà di associazione degli studenti palestinesi nei loro campus.”

In base alla risoluzione le istituzioni accademiche israeliane non possono pubblicare nei materiali editi dall’AAA, fare promozione nelle pubblicazioni dell’AAA, utilizzare sale per le conferenze dell’AAA per incontri di lavoro, partecipare a eventi dell’AAA o riprendere articoli da pubblicazioni dell’AAA. La risoluzione si applica solo alle istituzioni, non agli studiosi e studenti ad esse collegati.

“Questa risoluzione è una significativa dimostrazione di solidarietà da parte di migliaia di studiosi che stanno dalla parte dei loro colleghi palestinesi, il cui lavoro e le cui vite sono quotidianamente condizionati dalle politiche razziste e discriminatorie e dal brutale dominio militare di Israele,” ha affermato Jessica Winegar, una docente di antropologia e membro del collettivo “Anthroboycott”, un’associazione che ha sostenuto l’iniziativa.

“Come studiosi con una lunga storia di studi sul colonialismo, gli antropologi conoscono fin troppo bene il danno devastante dell’oppressione e il furto di terra palestinese da parte di Israele. Questo voto è un’importante passo nel dimostrare che il sostegno ai diritti dei palestinesi è coerente con i valori a difesa di diritti umani per tutti dell’AAA.”

All’inizio dell’anno Alisse Waterston, docente di antropologia al John Jay College ed ex presidentessa dell’AAA aveva spiegato perché ha appoggiato la misura in un articolo per Mondoweiss.

“Riconosco che talvolta alcuni principi possono entrare in contraddizione. Se il boicottaggio da parte dell’AAA danneggia la libertà accademica, ciò deve essere valutato a fronte dei morti e delle case distrutte che sono la tragedia dei palestinesi. Se alcuni membri disdiranno la propria adesione e alcuni donatori si ritireranno, coloro che sostengono il boicottaggio dovranno impegnarsi a portare ognuno 1-2 nuovi membri e a offrire all’associazione un sostegno finanziario oltre alla quota di iscrizione. Ogni altra minaccia o danno all’AAA possono essere affrontati con l’impegno di prenderne le difese. Se il boicottaggio si dimostra inefficace, esso deve essere valutato considerando l’alternativa di essere complici del silenzio sulle condizioni dei palestinesi sotto l’apartheid, che li lascia isolati, soli e invisibili.”

 

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

 

 




Il sionismo liberale: un pilastro del progetto coloniale di insediamento di Israele

Muhannad Ayyash*

Al-Shabaka** – giugno 2023

 

Panoramica

Nonostante le politiche sempre più di destra del regime israeliano, il sionismo liberale gioca ancora un ruolo dominante nell’ideologia sionista. Svolge la funzione specifica e cruciale di fornire al progetto sionista la patina di una civiltà occidentale illuminata e di una politica democratica e progressista. Di conseguenza, il regime israeliano è raramente descritto nei circoli occidentali tradizionali per quello che è: uno stato coloniale che pratica l’apartheid.

I politici e i media di tutto lo spettro politico in Europa, Nord America e altrove descrivono Israele in gran parte come “l’unica democrazia in Medio Oriente” che condivide i valori occidentali, il che ne fa un faro per la politica progressista in una regione altrimenti autoritaria e irredimibile. Questa retorica viene quindi utilizzata per giustificare il sostegno sfrenato dell’Occidente al regime israeliano, anche fornendo i mezzi diplomatici, economici e militari necessari per mantenere ed espandere la sua colonizzazione della Palestina.

Sebbene le ideologie sioniste di destra abbondino e abbiano i loro sostenitori in tutto il mondo, specialmente tra i sionisti cristiani, con cui è necessario confrontarsi, è fondamentale sfatare il sionismo liberale. Mentre i leader globali e i media tradizionali continuano a esprimere preoccupazione per il governo di coalizione estremista israeliano e chiedono un ritorno alla soluzione dei due stati, l’idea che esista una forma liberale di sionismo che vale la pena salvare deve essere confutata. Dopo aver definito il sionismo liberale, esposto i suoi fondamenti coloniali di insediamento e di apartheid e aver offerto un caso di studio dagli Stati Uniti, questo documento politico propone un quadro guida su come affrontare e invalidare la nozione di sionismo liberale.

Comprendere il sionismo liberale

Il sionismo liberale contemporaneo emerge dal Sionismo laburista: il cosiddetto braccio socialista di sinistra del movimento sionista emerso più di un secolo fa e che ha svolto un ruolo fondamentale nella formazione dello Stato sionista. Dall’istituzione dello Stato il sionismo liberale è apparso come costitutivo delle politiche dei successivi governi di sinistra e degli scopi di organizzazioni non governative, gruppi di pressione, partiti politici e reti e istituzioni accademiche che promuovono Israele come stato ebraico liberale. Il sionismo liberale godette di un’egemonia ideologica per molti decenni dopo il 1948. Come scrive il sionista liberale Yehuda Kurtzer riferendosi ai primi sionisti: “I sionisti trionfanti compresero quello che stavano facendo nel costruire un movimento politico liberale. Il liberalismo è stato incorporato nel sionismo politico che alla fine ha portato alla costruzione dello Stato”.

Come Kurtzer, la maggior parte degli analisti israeliani si concentra sull’interazione tra le ideologie di sinistra e di destra come una questione di politica intra-israeliana e intra-ebraica. Il sionismo, tuttavia, è meglio definito attraverso le esperienze delle sue vittime: i palestinesi. Da questa prospettiva, il sionismo liberale può essere inteso solo come coloniale di insediamento, radice e germoglio, poiché è direttamente responsabile della Nakba del 1948. Sebbene il sionismo liberale non sia un monolite, i suoi sostenitori hanno operato per decenni nei circoli che formano l’opinione pubblica ponendo al centro le seguenti convinzioni:

  1. L’istituzione dello Stato israeliano è l’unico metodo per garantire la sicurezza degli ebrei e risolvere l’esilio ebraico;
  2. Gli ebrei hanno rivendicazioni radicate, bibliche e sovrane sulla terra di Palestina;
  3. Il progetto sionista è uno sforzo eroico e miracoloso che ha portato la fiaccola della modernizzazione e della civiltà nella cosiddetta terra di Israele; e
  4. La “Guerra d’Indipendenza” del 1948 fu necessaria, e i risultati della guerra – vale a dire, l’espulsione di più di 750.000 Palestinesi dalle loro terre e case e la distruzione della Palestina – erano una conseguenza naturale che dovrebbe essere accettata.

Non tutti i sionisti liberali sono d’accordo con ciascuno dei quattro punti. Ad esempio, alcuni usano un linguaggio molto diverso per il quarto punto, sostenendo che i palestinesi se ne sono andati e non sono stati espulsi. Tuttavia, attraverso le sue varianti, l’ideologia sionista liberale tradizionale sostiene che la conquista coloniale della Palestina nel 1948 fu giusta, legittima, valida e pienamente giustificabile e, pertanto, nessuna critica seria può essere diretta contro l’istituzione di Israele nel 1948.

“Il sionismo liberale può essere inteso solo come colonialismo di insediamento, radice e germoglio, in quanto direttamente responsabile della Nakba del 1948”

Il sionismo liberale è ostile alle critiche di decolonizzazione palestinesi del 1948 e spesso le dipinge come antisemite per emarginarle e censurarle. La cancellazione della critica palestinese attraverso la nozione di “nuovo antisemitismo” risale almeno ai primi anni ’70, quando il Ministro degli Esteri israeliano per il governo laburista, Abba Eban, iniziò a sostenere la narrazione che l’antisionismo è antisemitismo. Inoltre, i sionisti liberali usano queste opinioni di fondo per criticare l’occupazione della Cisgiordania nel 1967, compresa Gerusalemme est e Gaza, evitando accuratamente di attirare l’attenzione sul 1948.

Un articolo di opinione del 2023 sul Washington Post ad opera dei sionisti liberali Paul Berman, Martin Peretz, Michael Walzer e Leon Wieseltier è un buon esempio di queste critiche tattiche. Gli autori collocano Israele dal momento della sua fondazione all’interno delle “nazioni amanti della libertà” del mondo, sostenendo che il nuovo governo di destra di Benjamin Netanyahu “minaccia la posizione di Israele negli affari mondiali”.

La centralità del problema dell’immagine è accentuata alla fine del pezzo, dove si insiste sul continuo e pieno finanziamento militare degli Stati Uniti a Israele e si chiede il sostegno degli Stati Uniti agli israeliani che protestano contro il governo di coalizione di destra di Netanyahu.

Il “doppio, ma non contraddittorio, sostegno”, come dicono loro, è davvero una descrizione accurata, ma non perché, come suggeriscono, proteggerebbe la democrazia nella battaglia globale di “democrazia contro autocrazia”. Piuttosto è perché sottoscrivere questa richiesta all’amministrazione Biden è un riconoscimento implicito che: (a) ciò che è stato preso con la forza nel 1948 può essere detenuto solo con la forza – da qui il bisogno continuo e perpetuo di finanziamenti militari indipendentemente da quale ideologia politica sia al potere – (b) il rifiuto delle politiche espansionistiche e di annessione del nuovo governo salverà lo Stato ebraico come Stato per una maggioranza ebraica, impedendo in modo decisivo alla critica palestinese di Israele di entrare nel discorso mainstream.

Ciò dimostra che il sostegno dei sionisti liberali alle proteste israeliane del 2023 nei territori del 1948 non è affatto in opposizione al progetto di insediamento coloniale dello Stato sionista, ma, piuttosto, un’indicazione della loro preoccupazione che il percorso di destra possa distruggere la patina liberale del colonialismo di insediamento israeliano. In definitiva, la sinistra e la destra sono sullo stesso piano per quanto riguarda la creazione e la “difesa” di Israele come Stato a maggioranza ebraica. Infine è fondamentale comprendere il sionismo liberale come parte integrante della modernità coloniale. In altre parole quella modernità – concepita come fenomeno occidentale – non può essere separata dagli strumenti utilizzati per realizzarla: la colonizzazione e la schiavitù. Non sorprende che i sionisti liberali non riescano ad affrontare in modo critico le fondamenta violente e coloniali delle cosiddette democrazie liberali occidentali. Invece accettano come giudizio convenzionale e dato di fatto che la civiltà occidentale sia superiore a tutte le altre e vanti i sistemi democratici più avanzati del mondo.

Inoltre l’Occidente sta giustamente e globalmente diffondendo una civiltà che si è sviluppata completamente all’interno dell’Occidente. Un esempio calzante è il libro più recente di Walzer, in cui elogia e promuove la “moralità liberale” e il “liberalismo” come “prodotto dell’Illuminismo e del trionfo… dell’individuo emancipato, una figura occidentale”. Sostiene che questa presunta invenzione occidentale, di cui Israele fa parte, è necessaria per impedirci di diventare “monisti, dogmatici, intolleranti e repressivi”.

Assente dal libro è un paradigma de-coloniale che ponga al centro le esperienze e le aspirazioni di coloro che hanno sofferto e sono stati cancellati a causa del progetto coloniale occidentale. Separando la civiltà dell’Occidente da ciò che fa l’Occidente, il sionismo liberale giustifica, legittima e naturalizza il violento progetto coloniale di insediamento sionista nella Palestina colonizzata e oltre.

Politiche coloniali di insediamento e di apartheid del sionismo liberale

Come evidenziato dall’espulsione di massa dei palestinesi nel 1948 e dalla successiva giustificazione e legittimazione ideologica di tale espulsione, tutte le politiche che sorgono all’interno del quadro del sionismo liberale sono coloniali di insediamento e di apartheid. Fondamentalmente, la creazione dello Stato sionista nel 1948 fu un’operazione di colonialismo di insediamento; rese necessaria l’espulsione e l’espropriazione dei palestinesi. Subito dopo Israele promulgò una serie di leggi di apartheid per rendere permanente l’espulsione e per iniziare il processo di ebraizzazione della Palestina colonizzata: la Legge del Ritorno del 1950, la Legge sulla proprietà degli assenti del 1950 e la Legge sulla Nazionalità del 1952, tra molte altre.

Come parte della loro accurata attenzione al problema dell’immagine di Israele i sionisti liberali evitano il linguaggio che riveli la realtà della colonia di insediamento. Ad esempio nella loro critica all’ultimo governo di coalizione Netanyahu, Berman, Peretz, Walzer e Wieseltier descrivono le politiche coloniali di insediamento e di apartheid di Israele come una campagna “sempre più aggressiva” per stabilire ulteriori insediamenti e “sfide crescenti” ai cittadini palestinesi di Israele. Descrivono inoltre il governo di Netanyahu come sostenitore del “vigilantismo ebraico estremista” e degli “etno-nazionalisti”, avvertendo che Israele si sta avvicinando all’Ungheria di Viktor Orban. Nel loro discorso, Israele diventa un’altra vittima dell’ondata globale di etnonazionalismo che sta minacciando le democrazie liberali occidentali, un punto che altri, come Kurtzer, sottolineano più esplicitamente per riaffermare l’immagine di Israele come fondamentalmente una democrazia liberale.

Questa visione è tutt’altro che rispondente a realtà. Israele continua a consolidare un sistema che spazialmente, politicamente, militarmente, economicamente e legalmente colloca il colono in una posizione superiore alla popolazione indigena.

Questo viene fatto in modo tale da avvantaggiare materialmente e simbolicamente il colono; da un lato, gli insediamenti vengono espansi e, dall’altro, il colono viene legittimato come abitante del territorio mentre il palestinese viene sfollato. A questo proposito, l’apartheid è un passo lungo il continuum di violenza del colonialismo di insediamento che inizia con l’espulsione di massa e il trasferimento delle popolazioni indigene. È un processo che elimina la sovranità indigena, fungendo così da strumento per cementare ed espandere le conquiste delle colonie di insediamento.

Dal momento che i sionisti liberali presumibilmente sostengono una soluzione a due Stati lungo i confini del 1967, teoricamente non dovrebbero più essere interessati all’espansione; anzi, considerano l’occupazione pericolosa per il progetto dello stato ebraico. Ciò è talvolta espresso attraverso una critica delle politiche e delle pratiche di apartheid (senza usare il termine apartheid) che espandono lo stato israeliano stabilendo un potere totalitario sui palestinesi. Tuttavia questo sostegno a una soluzione a due Stati deve essere inteso come basato sulla loro radicata paura di una soluzione a uno Stato in cui la sovranità israeliana “non ufficiale” sui palestinesi si trasformerà in sovranità israeliana “ufficiale” sull’intera Palestina colonizzata, lasciando Israele con una significativa popolazione palestinese che minacci lo status di Israele come stato ebraico. Dal momento che il sionismo liberale non può conciliare il sogno sionista di uno stato ebraico etnocratico con la vera democrazia, la realtà di un unico stato svelerà questo errore fondamentale. In questo modo, le politiche coloniali e di apartheid sono radicate nell’ideologia sionista liberale che rifiuta di affrontare ciò che il sionismo è ed è sempre stato nei fatti.

Un caso di studio sul sionismo liberale statunitense

Una delle principali organizzazioni sioniste liberali negli Stati Uniti è J Street, che si descrive come un’organizzazione “pro-Israele, pro-pace, pro-democrazia” che lavora contro “il fanatismo, la disuguaglianza e l’ingiustizia”.

È importante sottolineare che J Street sostiene che Israele condivide questi

“principi democratici” con gli Stati Uniti, dipingendo la “grave minaccia” alla “democrazia liberale” in Israele come parte di una recente ondata globale di estremismo ed etnonazionalismo che minaccia anche gli Stati Uniti.

Afferma inoltre di lavorare “in coalizioni multireligiose e multirazziali con le comunità nei loro sforzi per superare … l’oppressione e rafforzare la democrazia liberale”. Infine, ritiene che Israele affronti “nemici pericolosi” e abbia il diritto di difendere sé stesso e, per estensione, la democrazia, il progresso e la civiltà.

Basandosi su queste premesse che rendono illegittimo “mettere in discussione il diritto fondamentale di Israele di esistere come patria ebraica”, J Street costruisce la sua opposizione all’occupazione. In effetti, l’organizzazione riconosce che i palestinesi “meritano pieni diritti civili e la fine dell’ingiustizia sistemica dell’occupazione” e che “sostiene la creazione di uno Stato di Palestina indipendente e smilitarizzato con confini definiti”. In questo modo, J Street si posiziona solidamente come liberale e ragionevole.

“Il sionismo liberale è un’ideologia che fornisce copertura e fa avanzare la conquista coloniale di insediamento della Palestina in nome della razionalità, del progresso, dell’uguaglianza, della tolleranza, della democrazia e persino dell’anti-razzismo”.

Anche così, J Street non riesce a spiegare perché crede che uno Stato palestinese debba essere smilitarizzato. Questo serve da esempio eloquente di come i sionisti liberali ritengano che i palestinesi siano già – o possano sempre potenzialmente diventare – pericolosi nemici che, se gli venissero dati gli strumenti per esercitare una violenza militare organizzata, la scatenerebbero inevitabilmente. Tale linguaggio rientra esattamente nei discorsi e nelle politiche sioniste decennali che razzializzano i corpi palestinesi come violenti.

Anche la posizione di J Street sui confini è rivelatrice. Il sito web dell’organizzazione afferma che Israele deve “rinunciare alla stragrande maggioranza del territorio occupato su cui può essere costruito uno Stato palestinese in cambio della pace”. Invitando Israele a “cedere” il territorio, J Street riconosce implicitamente che Israele ne ha la sovranità, riflettendo la logica fondamentale del sionismo liberale secondo cui Israele ha diritto alla terra dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.

Inoltre J Street chiarisce, rispetto alla sua proposta politica sui confini, che la sua idea di un piano di pace “consentirebbe di incorporare nello Stato di Israele i quartieri ebraici stabiliti a Gerusalemme est e alcuni dei grandi blocchi di insediamenti della Cisgiordania vicino alla Linea Verde. ” Questa politica indica il sostegno all’annessione e si allinea con i governi israeliani di tutto lo spettro politico.

Il dilemma dell’annessione

Per J Street e organizzazioni simili l’annessione deve essere limitata per paura che l’espansione riveli le fondamenta di Israele come colonia di insediamento. Anche se i sionisti liberali ignorano che le terre occupate nel 1948 sono diventate ebraiche e democratiche – solo per gli ebrei – attraverso politiche e leggi di colonialismo di insediamento e apartheid, questa realtà è sempre presente nella loro ideologia. Appare, prima di tutto, nella loro opposizione al diritto palestinese al ritorno nelle loro terre d’origine. Ma appare anche nelle loro preoccupazioni che la crescente visibilità della violenza quotidiana di Israele contro i palestinesi – grazie alla rivoluzione digitale e all’attivismo palestinese – possa portare gli osservatori internazionali a mettere in discussione tutte le politiche di Israele e, forse, il suo stesso fondamento.

Questa paura spinge i sionisti liberali a criticare il governo di coalizione di destra di Netanyahu. Come possono sostenere la narrazione di Israele come Stato democratico ed ebraico se annettono l’intera Palestina colonizzata? Pertanto, la principale implicazione del nuovo regime israeliano per il sionismo liberale è che lo espone per il mito che è. In altre parole il nuovo regime israeliano accompagna le politiche di eliminazione con un’onesta articolazione dell’aspirazione alla base di queste pratiche, come quando il ministro delle finanze Bezalel Smotrich ha invitato lo Stato israeliano a “spazzare via” la città di Huwara in Cisgiordania, smantellando così l’apparenza di politiche democratiche e progressiste che i sionisti liberali hanno impiegato decenni a costruire.

Nei loro sforzi per salvare quell’apparenza i sionisti liberali hanno risposto protestando contro l’attacco a Huwara usando il linguaggio di “anti-occupazione”, “coloni estremisti” e persino “terrore ebraico”. Ma continuano a ignorare che le terre che chiamano “Israele vero e proprio” – da cui portano avanti le loro proteste – sono state stabilite come “israeliane” dalla stessa struttura di violenza coloniale di insediamento che mira alla cancellazione di Huwara.

Il sionismo liberale si colloca, nella migliore delle ipotesi, in una politica liberale multiculturale che vede le basi dei sistemi politici coloniali di insediamento come forse tragiche, ma fondamentalmente giuste e orientate al progresso e alla civiltà. A questo proposito, si unisce a un lungo elenco di apologeti dei progetti coloniali occidentali, nascondendone i fondamenti e le strutture e quindi emarginando ed eliminando le alternative a tali strutture. Se la politica progressista oggi non vede il progetto antirazzista come un progetto che deve necessariamente essere de-coloniale e impegnato a smantellare le strutture della modernità coloniale, allora non è affatto una politica progressista.

La de-sionizzazione è l’unica via da seguire

Il sionismo liberale è un’ideologia che fornisce copertura e promuove la conquista coloniale della Palestina in nome della razionalità, del progresso, dell’uguaglianza, della tolleranza, della democrazia e persino dell’antirazzismo. È quindi fondamentale contrastare questa ideologia in tutti gli spazi in cui opera. Ciò significa il rifiuto del sionismo liberale come “partner nella pace” e l’insistenza sulla liberazione de-coloniale palestinese per l’intera Palestina colonizzata e ovunque per i palestinesi.

Un quadro di liberazione de-coloniale è a lungo termine vantaggioso anche per gli ebrei israeliani. Questo è ciò che intendiamo con de-sionizzazione: inizia con il riconoscimento da parte degli ebrei israeliani che il sionismo non ha mai risolto la “questione ebraica” in Europa, ma piuttosto l’ha interiorizzata e ha replicato il progetto coloniale occidentale in Palestina; finisce in un luogo in cui gli ebrei israeliani non sarebbero più “nativi o coloni nella Palestina storica”, ma piuttosto “immigrati… residenti benvenuti in una patria storica”. È importante sottolineare che questo concetto significa la rivisitazione dello Stato, del nazionalismo e della sovranità lontano dai modelli coloniali occidentali.

Al di là della Palestina colonizzata, il sionismo liberale deve essere sfatato attraverso i partiti e le istituzioni politiche, i media e le collettività della società civile. Sia in situazioni di attivismo che in situazioni più istituzionali le persone devono formare coalizioni intersezionali impegnate nella giustizia de-coloniale. Questi collettivi devono organizzare attività come momenti di riflessione e studio nella comunità, petizioni, campagne di scrittura di lettere e così via al fine di elaborare strategie su come affrontare l’inevitabile rifiuto del sionismo.

Queste coalizioni devono seguire cinque pratiche principali per realizzare la de-sionizzazione:

1-Contrastare l’ideologia con la realtà: giornalisti, studiosi e attivisti dovrebbero rifiutare le posizioni delle organizzazioni sioniste liberali, come J Street, ponendo la questione di cosa significhi effettivamente l’autodeterminazione palestinese nei confronti della sovranità su Gerusalemme e così via. I sionisti liberali non vogliono affrontare la liberazione palestinese de-coloniale, quindi è necessario spostare la conversazione su questo argomento e rifiutare la normalizzazione della colonizzazione di insediamento israeliana.

2-Rifiutare l’uso come arma dell’antisemitismo: il sionismo liberale non presenta risposte sostanziali alle critiche de-coloniali e quindi, quando costretto, risponde con l’accusa di antisemitismo. Istituzioni e organizzazioni devono rifiutare definizioni di antisemitismo che in qualche modo incorporino la questione della Palestina (da destra, l’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto (IHRA), a sinistra, la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo).

3-Concentrarsi sui paradigmi palestinesi: non basta ascoltare le storie di sofferenza dei palestinesi. Il discorso pubblico deve concentrarsi sui paradigmi palestinesi che spiegano perché e come i palestinesi soffrono e, soprattutto, forniscono una piattaforma per le aspirazioni palestinesi alla liberazione. Per consentire questo cambiamento, è necessario esercitare pressioni sui media per sfidare lo status quo che censura e mette a tacere i paradigmi palestinesi.

  1. Enfatizzare l’antirazzismo de-coloniale: gli uffici per l’Equità, la Diversità e l’Inclusione (EDI) si sono diffusi nelle istituzioni politiche e sociali. Molti operano sull’antirazzismo corporativizzato, multiculturale e liberale e sostengono che le critiche de-coloniali a Israele sono antisemite e quindi non hanno posto negli spazi antirazzisti. Opporsi all’iniziativa corporativizzata EDI è necessario non solo per la liberazione palestinese, ma anche per la liberazione di tutti coloro che continuano a subire la violenza della modernità coloniale.

5-Smantellare il sionismo: il sionismo non può portare alla liberazione de-coloniale. Che sia liberale o di destra, il sionismo è l’esclusiva sovranità ebraica sulla terra, che stabilisce Israele come potere supremo e indivisibile. Ciò significa necessariamente la continua espulsione dei palestinesi dalle loro terre e l’eliminazione della sovranità indigena palestinese. Solo lo smantellamento della sovranità coloniale di insediamento dei coloni sionisti può portare a un sostanziale progetto de-coloniale e antirazzista. Perché ciò sia possibile le comunità ebraiche e israeliane – in nome delle quali pretendono di parlare gli interessi sionisti – devono partecipare al progetto di de- sionizzazione.

 

*M. Muhannad Ayyash è nato e cresciuto a Silwan, Al-Quds (Gerusalemme), prima di immigrare in Canada, dove ora è professore di sociologia alla Mount Royal University. È autore di ‘A Hermeneutics of Violence’ (UTP, 2019). Ha pubblicato diversi articoli su riviste come Interventions, European Journal of International Relations, Comparative Studies of South Asia, Africa and the Middle East e European Journal of Social Theory. Ha scritto articoli di opinione per Al-Jazeera, The Baffler, Middle East Eye, Mondoweiss, The Breach e Middle East Monitor. Attualmente sta scrivendo un libro sulla sovranità coloniale di insediamento in Palestina/Israele.

** Al-Shabaka, The Palestine Policy Network è un’organizzazione indipendente, apartitica e senza scopo di lucro la cui missione è educare e promuovere il dibattito pubblico sui diritti umani e l’autodeterminazione dei palestinesi nel quadro del diritto internazionale. I rapporti politici di Al-Shabaka possono essere riprodotti con la dovuta attribuzione ad Al-Shabaka, The Palestine Policy Network. Per maggiori informazioni visita www.al-shabaka.org o contattaci via e-mail: contact@al-shabaka.org.

I materiali di Al-Shabaka possono essere fatti circolare con la dovuta attribuzione ad Al-Shabaka: The Palestine Policy Network. Le opinioni dei singoli membri della rete politica di Al-Shabaka non riflettono necessariamente le opinioni dell’organizzazione nel suo insieme.

 

(Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)

 




Le forze israeliane uccidono tre palestinesi in Cisgiordania

I palestinesi nella Cisgiordania occupata contestano la versione israeliana sull’uccisione di tre palestinesi

Redazione di MEE

25 luglio 2023  –  Middle East Eye

 

Il ministero della Salute palestinese ha annunciato che all’alba di martedì mattina le forze israeliane hanno ucciso tre palestinesi nella città occupata di Nablus, in Cisgiordania.

Anche l’esercito israeliano ha confermato le uccisioni, sostenendo che i tre palestinesi hanno aperto il fuoco contro i soldati vicino agli insediamenti coloniali israeliani sul Monte Garizim, nei pressi di Nablus.

Secondo la testata giornalistica palestinese Arab48 le ambulanze israeliane sono arrivate sul posto e hanno portato via i tre corpi.

Le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze palestinesi di raggiungere le tre vittime, le cui identità devono ancora essere confermate.

Secondo i resoconti dei testimoni oculari, l’esercito israeliano ha sparato all’impazzata per quasi dieci minuti sul veicolo su cui viaggiavano i tre palestinesi colpendolo con una pioggia di proiettili.

L’esercito israeliano sostiene che vi sia stato uno scontro a fuoco tra le due parti e, a seguito di una perquisizione del veicolo, siano state rinvenute ulteriori armi.

Tuttavia testimoni oculari palestinesi hanno affermato che le forze israeliane hanno “teso un’imboscata” al veicolo per poi “assassinare” i giovani.

Le forze israeliane hanno in seguito perquisito un certo numero di case e negozi palestinesi nelle vicinanze della sparatoria e, secondo quanto riferito da Arab48, hanno confiscato il filmato delle telecamere a circuito chiuso.

Non è chiaro se il filmato abbia ripreso la sparatoria israeliana.

‘Sparare per uccidere’

L’esercito israeliano, che raramente indaga sull’uccisione di palestinesi da parte delle sue truppe, è stato criticato dalle organizzazioni per i diritti umani per la sua politica di “sparare per uccidere” anche quando i palestinesi non rappresentano un pericolo per i soldati.

Un rapporto del 2022 dell’organizzazione israeliana per i diritti Yesh Din ha rilevato che meno dell’uno per cento dei soldati accusati di aver danneggiato i palestinesi tra il 2017 e il 2021 sono stati accusati di crimini.

Le autorità giudiziarie militari “evitano sistematicamente di indagare e perseguire i soldati che danneggiano i palestinesi”, afferma l’organizzazione.

Quest’anno sono stati uccisi dal fuoco israeliano almeno 200 palestinesi, di cui 34 minori, un tasso di quasi un morto al giorno.

In totale sono morte 163 persone nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est mentre le restanti 36 sono state uccise nella Striscia di Gaza.

Nel frattempo, nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso 25 israeliani, di cui sei minori.

 

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)