Come Israele sta silenziosamente trasferendo palestinesi da Gerusalemme est

Mersiha Gadzo

25 settembre 2017,Mondoweiss

Jabal Mukaber, Gerusalemme est occupata – A poche centinaia di metri dalla casa di Manwa al-Qanbar c’è il muro di separazione che divide Gerusalemme est occupata dal resto della Cisgiordania occupata.

La sessantunenne al-Qanbar potrebbe essere presto espulsa dall’altro lato del muro, ma si rifiuta di pensare a questa possibilità.

“Dove potrei andare? Puoi lasciare la tua casa dopo averci vissuto per 35 anni? Io non me ne andrò”, ha detto al-Qanbar a Mondoweiss tenendo in braccio la sua nipotina appena nata.

A gennaio suo figlio Fadi di 28 anni è stato colpito a morte dopo aver lanciato il suo furgone su un gruppo di soldati israeliani nella colonia ebraica illegale di Talpiot est, uccidendone quattro.

Due giorni dopo al-Qanbar ha ricevuto dal ministero dell’Interno israeliano l’informazione che intendevano revocarle lo status di residenza permanente. Anche altri dieci membri della famiglia allargata di Fadi, compresi due minori di otto e dieci anni, hanno ricevuto avvisi che i loro permessi sarebbero stati revocati.

La residenza permanente di al-Qanbar è stata revocata nel gennaio 2017, segnando la prima volta in cui Israele ha punito con la revoca del permesso di residenza un membro della famiglia di un aggressore.

Il tribunale d’appello ha emesso un ordine temporaneo di sospensione della “deportazione” e i membri della famiglia sono ora in causa presso la corte per rimanere con i loro familiari a Jabal Mukaber.

“D’ora in poi chiunque trami, pianifichi o prenda in considerazione di condurre un attacco saprà che la sua famiglia pagherà un pesante prezzo per il suo atto”, ha dichiarato in un comunicato il ministro dell’Interno Arye Deri.

“Le conseguenze saranno gravi e di vasta portata, come la decisione che ho preso nei confronti della madre e dei parenti del terrorista (Fadi al-Qanbar), che ha compiuto l’attacco nel quartiere di Armon Hanatziv a Gerusalemme.”

Le organizzazioni della società civile sostengono che con la revoca punitiva delle residenze, Israele si sta impegnando in “una silenziosa deportazione e colonizzazione” dei palestinesi allo scopo di conservare una maggioranza ebrea a Gerusalemme.

Israele ha cercato di conservare il suo dominio mantenendo un equilibrio demografico del 60% di ebrei e 40% di palestinesi a Gerusalemme, in base al suo progetto complessivo.

“Fa parte della politica generale dell’occupazione israeliana ottenere una maggioranza demografica ebrea attraverso mezzi illegali”, ha detto Nada Awad, responsabile della difesa del “Centro di Azione della Comunità” dell’università di Al Quds.

“Con il pretesto della sicurezza, Israele sta deportando palestinesi da Gerusalemme est occupata… Se non vengono fermate, queste misure di punizione collettiva costituiranno preoccupanti precedenti che condurranno alla deportazione di palestinesi per atti compiuti da un membro della loro famiglia allargata.”

Bassam Alam, genero della sorellastra di Fadi, è uno dei membri della famiglia il cui permesso a rischio. Originario della Cisgiordania, ha ottenuto il permesso di vivere a Gerusalemme con la procedura di ricongiungimento familiare, dato che sua moglie Susan è di Gerusalemme est.

Nel corso dell’audizione del 10 settembre l’avvocato difensore, Murad al-Khatib, ha chiesto perché a membri della famiglia allargata che non hanno mai incontrato Fadi vengano revocati i permessi.

“Lo Shabak [agenzia di intelligence interna israeliana, nota anche come Shin Bet, ndt.] ha detto che hanno cercato di revocare la residenza del marito della sorellastra di Fadi. Ma Susan (la moglie di Bassam) non è nemmeno la sorellastra di Fadi: sono parenti molto più alla lontana, non si sono mai incontrati; non sono neanche della stessa famiglia”, ha detto al-Khatib.

Al-Khatib ha inoltre sostenuto che, mentre il ministero dell’Interno ha l’autorità di revoca di ogni permesso di residenza se la persona costituisce una minaccia alla sicurezza o è coinvolta in attività criminali, nel caso di Susan e Bassam Alam non è presente nessuna delle due ipotesi.

Al-Qanbar aveva ottenuto il suo status di residenza permanente attraverso il matrimonio. Rischia di essere trasferita a forza sulla base del fatto che il suo matrimonio durato 35 anni era presumibilmente poligamico, illegale secondo la legge israeliana. Lei dice che suo marito era già divorziato quando lo ha sposato.

E’ diventato sempre più difficile per i palestinesi stabilirsi e vivere con la famiglia a Gerusalemme est. In base all’”ordine temporaneo” entrato in vigore nel 2003, i palestinesi della Cisgiordania che sposano un cittadino israeliano (compresi quelli di Gerusalemme est) non possono ottenere la cittadinanza o la residenza israeliana. Possono ricevere solo “permessi temporanei” secondo rigidi criteri, che devono essere rinnovati ogni anno. I permessi di ricongiungimento familiare per le coppie di residenti a Gerusalemme e a Gaza sono stati completamente eliminati nel 2008.

Tra il 2000 e il 2013 è stato respinto il 43% delle richieste di ricongiungimento familiare, il 20% per motivi di sicurezza.

Più di 14.500 palestinesi si sono visti revocare lo status di residenti a partire dall’occupazione israeliana di Gerusalemme nel 1967, illegale secondo le leggi internazionali. Da allora i palestinesi sono stati trattati come immigrati nel loro stesso Paese e gli è stato dato uno “status di residenza permanente”. In pratica, secondo le organizzazioni della società civile, lo status non è permanente, ma è piuttosto una “concessione revocabile”, invece che un “diritto pieno”.

Da ottobre 2015 Israele ha intensificato l’uso della punizione collettiva come strumento di deportazione dei palestinesi da Gerusalemme est.

Il governo israeliano punisce abitualmente l’aggressore emettendo un ordine di demolizione per la sua casa, ma nei giorni seguenti all’attacco da parte di Fadi le autorità israeliane hanno bloccato tutte le strade principali e consegnato avvisi di demolizione a 81 case a Jabal Mukaber, con il pretesto di aver costruito senza la licenza edilizia.

“Hanno punito tutti quelli del quartiere. Il giorno dopo l’attacco hanno interrotto l’acqua e l’elettricità in tutte le case e bloccato tutti gli ingressi al quartiere. Hanno addirittura distrutto le tende per le pecore”, ha detto al-Qanbar.

La moglie di Fadi con i quattro bambini si è trasferita nella casa vicina alla loro, quella di al-Qanbar, dopo che gli israeliani hanno sigillato col cemento la sua casa, fin quasi al soffitto. Il cemento caldo e compresso ha presto dato fuoco alla casa, con un costo di 100.000 shekel [circa 24.000 €, ndt.] di danni per la ristrutturazione, come ha spiegato al-Qanbar.

Anche i servizi sanitari e sociali sono stati revocati ad al-Qanbar, ma lei continua a sperare di poter mantenere la sua residenza.

Dice: “Gli avvocati con cui ho parlato hanno detto che legalmente loro non hanno il diritto di togliermela…Ho vissuto qui da quando mi sono sposata ed ho sempre pagato le tasse per gli spazi in cui abito; ho pagato le bollette dell’elettricità e dell’acqua. Perciò perché dovrebbero togliermi la residenza? Me la stanno togliendo a causa di mio figlio.”

Mersiha Gadzo è una giornalista multimediale. Ha scritto articoli per Al Jazeera, CBC, Canadian Dimension e Middle East Eye. Il suo indirizzo twitter è: @MersihaGadzo.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




I neonazisti tedeschi vedono Israele come un modello da seguire

Ali Abunimah

25 settembre 2017,Electronic Intifada

Purtroppo i nostri peggiori timori si sono avverati,” ha detto Josef Schuster, presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei di Germania, del successo elettorale di Alternativa per la Germania nelle elezioni politiche di domenica.

Noto con le iniziali tedesche AfD, il partito nazionalista estremista ha conquistato circa 100 seggi nella Camera Bassa tedesca.

Un partito che tollera opinioni di estrema destra nelle proprie fila e incita all’odio contro le minoranze del nostro Paese è oggi non solo presente in ogni parlamento dei singoli Stati, ma rappresentato anche al Bundestag [il parlamento federale, ndt.],” ha affermato Schuster.

Il partito è noto per ospitare ogni sorta di razzisti ed estremisti, compresi apologeti del passato militare della Germania e revisionisti dell’Olocausto.

E’ stato un disastro che i principali politici tedeschi si aspettavano.

Sigmar Gabriel, il ministro degli Esteri del Paese, all’inizio di questo mese aveva avvertito che se l’AfD avesse avuto un buon risultato nelle urne, “allora per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale avremo dei veri nazisti nel parlamento tedesco.”

Finanziatrice filo-israeliana appoggia i neonazisti

Mentre la Germania non ha bisogno di lezioni per imparare ad essere razzista, questa catastrofe può essere in parte attribuita a dirigenti israeliani e ai loro fanatici sostenitori: per anni hanno fatto causa comune con l’estrema destra europea, che demonizza i musulmani come invasori stranieri che devono essere respinti e persino espulsi per conservare la mitica purezza europea.

Ciò può essere attribuito anche ai dirigenti tedeschi che per decenni hanno rafforzato questo Israele razzista finanziando l’occupazione militare israeliana e l’oppressione dei palestinesi.

Quello che avviene in Germania è un’altra faccia dell’alleanza tra suprematisti bianchi e sionisti che ha trovato ospitalità nella Casa Bianca di Donald Trump.

Nelle ultime settimane i portabandiera liberal [definizione dei liberaldemocratici nel sistema politico statunitense, ndt.] “The New York Times” e ”The Washington Post” si sono messi alla ricerca delle ombre inesistenti di interferenze russe nelle elezioni tedesche.

Nel frattempo, come ha informato Lee Fang per “The Intercept” [sito di controinformazione statunitense, ndt.], il “Gatestone Institute”, il gruppo di studio di Nina Rosenwald, finanziatrice della maggiore industria dell’islamofobia, aveva inondato le reti sociali tedesche con “un costante flusso di contenuti infuocati sulle elezioni tedesche, centrato sull’alimentare timori nei confronti di immigrati e musulmani.”

Il “Gatestone Institute” è presieduto da John Bolton, l’ex diplomatico neoconservatore noto per il suo aggressivo appoggio all’invasione dell’Iraq.

Articoli di “Gatestone” che facevano appelli in merito alla cristianità “in estinzione” e che mettevano in guardia sulla costruzione di moschee in Germania sono stati regolarmente tradotti in tedesco e postati da politici e simpatizzanti dell’AfD.

Innumerevoli resoconti sostenevano che immigrati e rifugiati stavano violentando donne tedesche e portando nel Paese malattie pericolose, temi classici della propaganda nazista, utilizzati a suo tempo per incitare l’odio genocida nei confronti degli ebrei.

Tragica ironia, il padre di Rosenwald, un erede del patrimonio dei grandi magazzini “Sears”, utilizzò la propria fortuna per aiutare i rifugiati ebrei che fuggivano dalle persecuzioni in Europa.

Sua figlia ha preso un cammino diverso. Il giornalista Max Blumenthal ha definito Nina Rosenwald la “riccona dell’odio antimusulmano.”

Blumenthal ha scritto nel 2012 che Rosenwald “ha utilizzato i suoi milioni per cementare l’alleanza tra la lobby filo-israeliana e gli estremisti islamofobi.”

Secondo Blumenthal, oltre a finanziare una serie dei più noti demagoghi antimusulmani, Rosenwald “ha fatto parte del consiglio di amministrazione dell’AIPAC, il braccio principale della lobby israeliana in America, e ricopre ruoli direttivi in una serie di importanti organizzazioni filo-israeliane.”

Il partito di Anders Breivik

In un profilo il giorno successivo le elezioni, “The Jerusalem Report, pubblicato dal giornale [israeliano] di destra “Jerusalem Post”, ha fornito alla vice segretaria dell’AfD Beatrix von Storch una tribuna per esporre l’ideologia antimusulmana del suo partito.

The Jerusalem Report” ha anche citato il politologo tedesco Marcel Lewandowsky che ha spiegato che “i membri dell’AfD vedono l’Unione Europea come traditrice dell’eredità cristiana dell’Europa perché ha lasciato entrare i musulmani. L’opinione è che l’islamizzazione dell’Europa sia stata provocata dall’UE.”

La sostituzione” da parte dei musulmani, ha spiegato Lewandowsky “è il centro dei timori degli elettori dell’AFN.”

Ciò significa che il centro dell’ideologia del partito è indistinguibile da quella di Andres Breivik, il norvegese che nel luglio 2011 ha assassinato decine di suoi concittadini, soprattutto adolescenti che partecipavano a un campo giovanile del partito Laburista, col pretesto di bloccare l’“islamizzazione” dell’Europa.

Uno dei maggiori beneficiari della generosità di Rosenwald, secondo Blumenthal, è stato Daniel Pipes, l’influente demagogo filoisraeliano e antimusulmano che Breivik ha citato 18 volte nel suo famoso documento.

Ammirazione per Israele

La vice-segretaria dell’AfD von Storch, che siede nel parlamento europeo, ha anche utilizzato l’intervista di “The Jerusalem Report” per esporre la posizione filo-israeliana del suo partito, confrontando il nazionalismo tedesco all’ideologia sionista di Israele.

Secondo “The Jerusalem Report, von Storch è una dei fondatori di “Friends of Judea and Samaria” [“Amici di Giudea e Samaria”, la denominazione israeliana della Cisgiordania, ndt.], un gruppo di estrema destra nel parlamento europeo che appoggia la colonizzazione illegale della terra palestinese occupata da parte di Israele.

Curiosamente, questo gruppo conta tra le sue persone di riferimento il capo del “Consiglio Regionale di Shomron”, un’organizzazione di coloni nella Cisgiordania occupata.

Israele potrebbe essere un modello da seguire per la Germania,” ha detto von Storch a “The Jerusalem Report”. “Israele è una democrazia che ha una società libera e pluralista. Israele cerca anche di preservare la propria cultura e le proprie tradizioni uniche. Lo stesso potrebbe essere possibile per la Germania e per ogni altra Nazione.”

L’identificazione di Von Storch con Israele riprende quella del demagogo nazista USA Richard Spencer, che ha descritto la propria visione di uno “Stato etnico” ariano come “sionismo bianco”.

Anche la presidentessa dell’AfD Frauke Petry ha espresso appoggio alle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata. In febbraio ha detto alla rivista ebrea di destra “Tablet” [periodico ebreo statunitense, ndt.] che la sua unica visita in Israele le ha dato un’impressione positiva del Paese.

Improvvisamente l’immagine che hai è alquanto diversa da quella che si ha quando si vive lontano,” ha detto.

I dirigenti dei coloni israeliani hanno preso nota. Mentre il mondo è scosso dal successo elettorale dell’AdF, Yehuda Glick, un parlamentare nel partito Likud, del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha twittato che tutti quelli che sono “in preda al panico” per via dell’AfD possono star sicuri che Petry sta lavorando “intensamente” per espellere ogni elemento antisemita.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Il giro d’Italia deve stare lontano da Israele

Tamara Nassar

22 settembre 2017,  Electronic Intifada

I palestinesi stanno chiedendo agli organizzatori del Giro d’Italia di annullare il progetto che vedrebbe partire da Gerusalemme la corsa di ciclismo del 2018.

Israele è stato annunciato come Paese ospite del più prestigioso avvenimento ciclistico dopo il Tour de France.

Secondo un post di appello alla mobilitazione del comitato nazionale del BDS palestinese, il gruppo dirigente per la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni per i diritti dei palestinesi, ospitare uno degli eventi sportivi più seguiti al mondo “servirà ad Israele come indice di approvazione dell’oppressione israeliana dei palestinesi.”

L’appello alla mobilitazione invita gli attivisti a dire agli organizzatori della competizione: “Proprio come sarebbe stato inaccettabile per il Giro d’Italia iniziare dal Sudafrica dell’apartheid negli anni ’80, è inaccettabile iniziare la corsa da qualunque luogo sotto il controllo israeliano.”

E’ previsto che la corsa inizi a Gerusalemme, e poi si allontani in due direzioni, una da Haifa a Tel Aviv e l’altra da Bir al-Saba a Eilat. Questa sarà la prima volta che il Giro d’Italia inizierà fuori dall’Europa.

L’evento intende celebrare i 70 anni dell’”indipendenza israeliana” ed è stato coordinato dal magnate canadese-israeliano del settore immobiliare Sylvan Adams.

La corsa inizierà solo 10 giorni prima della commemorazione della Nakba, che segna i 70 anni da quando le forze sioniste espulsero 750.000 palestinesi, svuotando o distruggendo in questo processo centinaia di città, cittadine e villaggi.

Aperto a tutti?

Yariv Levin, il ministro israeliano del Turismo, ha affermato che ciò è parte degli sforzi per “trasformare radicalmente” Israele in una normale “destinazione per lo svago ed il turismo”.

Non è la prima volta che avvenimenti sportivi sono stati utilizzati per mascherare i crimini di Israele, distrarre dall’occupazione militare e normalizzarne l’immagine.

Questi tentativi sono anche intesi a rafforzare le pretese di Israele su Gerusalemme.

Il sindaco israeliano di Gerusalemme Nir Barkat, che sovrintende alla continua distruzione delle case palestinesi e all’espulsione forzata di palestinesi per far posto ai coloni ebrei, è comparso con altre personalità israeliane ad un evento per annunciare i progetti per il Giro d’Italia 2018.

Il nostro messaggio al mondo è chiaro: Gerusalemme, la capitale dello Stato di Israele, è aperta a tutti,” ha dichiarato, sottolineando che egli vede il Giro d’Italia come un sostegno alle rivendicazioni politiche di Israele.

Tuttavia Gerusalemme non è aperta a tutti. Le milizie sioniste occuparono la parte occidentale della città nel 1948, espellendo i residenti palestinesi e impossessandosi delle loro proprietà. Non venne loro consentito di tornare. Israele occupò la parte orientale nel 1967, e da allora ha continuato a costruirvi colonie in violazione delle leggi internazionali.

Israele ha obbligato migliaia di palestinesi di Gerusalemme ad andarsene dalla città come parte di quello che Human Rights Watch descrive come “il tentativo di consolidare una maggioranza ebraica a Gerusalemme” da parte di Israele.

Le limitazioni israeliane significano anche che frequentemente ai palestinesi che vivono altrove nella Cisgiordania occupata viene impedito di visitare la città.

Anche a malati di Gaza sono state spesso negate dalle autorità israeliane cure mediche negli ospedali di Gerusalemme.

La demolizione da parte di Israele delle case in Cisgiordania – ed anche a Gerusalemme est sotto la supervisione di Barkat – ha raggiunto un nuovo record nel 2016.

Finanziamenti israeliani

Il governo israeliano ha dato un forte sostegno all’evento ciclistico. Parte del percorso porterà i corridori in giro a visitare il parlamento israeliano, la Knesset, l’Alta Corte israeliana, il museo di Israele e la Città Vecchia di Gerusalemme.

Il governo israeliano ha anche detto che sta mettendo in atto la più grande operazione di sicurezza nella storia di Israele.

Sta anche coprendo i costi totali per ospitare il Giro d’Italia, che ammontano a circa 14 milioni di dollari per l’evento, circa un terzo dei quali arriveranno direttamente al gruppo mediatico RCS per i diritti di ospitalità.

Il gruppo mediatico RCS è l’impresa italiana che organizza la corsa.

L’investimento israeliano nell’avvenimento è parte dei tentativi di promuovere la propria immagine pubblica. Dall’attacco israeliano del 2014 contro Gaza, l’industria turistica israeliana è andata declinando, nonostante gli sforzi promozionali che godono di abbondanti finanziamenti.

Un recente sondaggio della BBC ha classificato Israele come uno dei quattro Paesi meno apprezzati al mondo.

Respingere

Sharaf Qutaifan, della PACBI, la “Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel” [“Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele”, ndt.], ha ricordato le continue violenze nei confronti degli atleti palestinesi e la distruzione di impianti sportivi da parte di Israele.

Sostenere che questa corsa in qualche modo “unirà” è risibile ed è un affronto per i palestinesi, obbligati per decenni ad intraprendere una letale corsa ad ostacoli fra bombe, pallottole, posti di blocco, interruzioni di strade e muri,” ha affermato.

Ma il direttore del Giro d’Italia Mauro Vegni ha sostenuto che qualunque difficoltà l’evento possa incontrare sarà esclusivamente logistico e non politico.

Attivisti palestinesi hanno lanciato la #RelocatetheRace campaign [“Campagna per spostare la corsa”, ndt.] per protestare contro gli organizzatori del Giro d’Italia, ricordando loro le violazioni dei diritti umani da parte di Israele lungo il percorso previsto e invitandoli a tenere l’evento altrove.

L’ambasciata italiana a Tel Aviv ed il gruppo della lobby dei cristiani sionisti “Christians United for Israel” [“Cristiani uniti per Israele”, ndt.] hanno plaudito alla decisione di iniziare la corsa a Gerusalemme.

Nonostante l’ostilità dei leader italiani verso il movimento di solidarietà con la Palestina, attivisti italiani sono tra quanti in Europa hanno intensificato il proprio impegno per lottare contro la complicità con l’apartheid israeliano e i tentativi di nascondere i suoi crimini.

Tamara Nassar è vice-redattrice di “The Electronic Intifada”.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Presentate alla corte dell’Aja prove di apartheid, saccheggio ed assassinio da parte di Israele

Ali Abunimah

21 settembre 2017,Electronic Intifada

Mercoledì [20 sett.] quattro organizzazioni palestinesi per i diritti umani hanno presentato alla procura della Corte Penale Internazionale 700 pagine di prove di crimini di guerra e contro l’umanità da parte di Israele.

Ciò avviene mentre due comunità palestinesi in Cisgiordania devono affrontare un’imminente e totale distruzione da parte di Israele.

I crimini dettagliati nel dossier includono la persecuzione, l’apartheid, il furto esteso, la distruzione ed il saccheggio delle proprietà palestinesi e prove degli “omicidi ed assassinii deliberati” di centinaia di palestinesi dal 2014.

Shawan Jabarin, direttore del gruppo per i diritti umani Al-Haq, ha affermato che il dossier “fornisce una base convincente e ragionevole” perché la procura apra un’indagine in merito a possibili crimini di guerra e contro l’umanità da parte di Israele nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est.

Questo è il quarto dossier che i gruppi per i diritti umani hanno presentato alla corte. Mentre questo si concentra sulla Cisgiordania, quelli precedenti riguardavano crimini commessi da importanti personalità civili e militari israeliane durante l’attacco del 2014 contro Gaza.

Minacce di morte e vessazioni

Jabarin ha presentato il documento alla corte dell’Aja insieme alla sua collega Nada Kiswanson. Kiswanson ed altri ricercatori per i diritti umani affiliati a Al-Haq sono stati bersaglio di una lunga campagna di vessazioni e di minacce di morte che un esperto analista israeliano ha collegato a “operazioni segrete” del governo israeliano.

Al-Haq ritiene che le minacce siano legate al lavoro di Kiswanson per preparare il dossier per la corte internazionale. Il governo dell’Olanda, dove si trova la corte, ha affermato che è stata aperta un’inchiesta penale in merito alle minacce.

Dominio degli ebrei israeliani”

In base alle affermazioni di Al-Haq, l’ultimo documento “prende in considerazione il tentativo di Israele di ampliare il proprio territorio e di garantirvi il dominio degli ebrei israeliani modificando la composizione demografica dei territori palestinesi occupati.”

Raji Sourani, direttore del “Palestinian Center for Human Rights” [“Centro Palestinese per i Diritti Umani”, ndt.], ha affermato che il trasferimento di coloni nelle terre palestinesi occupate da parte di Israele “costituisce un unico crimine di guerra in quanto accompagnato dalla confisca di parti consistenti di terra palestinese, dalla distruzione massiccia di proprietà palestinesi e dalla frammentazione del tessuto sociale e del modo di vita palestinesi.”

Benché le violazioni israeliane nella Cisgiordania occupata possano essere viste separatamente da quelle a Gaza, Issam Younis, direttore del “Al Mezan Center for Human Rights” [“Centro Al Mezan per i Diritti Umani”, ndt] ha spiegato come essi siano legati: “In ultima analisi l’isolamento di Gaza, oltre ai periodici attacchi militari su vasta scala, consente a Israele di consolidare il proprio controllo su tutti i territori palestinesi occupati e nega ai palestinesi il loro diritto, internazionalmente riconosciuto, all’autodeterminazione.”

Pressione

Il comportamento di Israele durante la guerra del 2014 contro Gaza, così come denunce di numerosi crimini in Cisgiordania, è attualmente oggetto di un esame preliminare da parte della procura dell’Aja. Deve decidere se aprire un’indagine accurata, che potrebbe portare a un’incriminazione formale di dirigenti e personale militare israeliani.

Non ci sono limiti di tempo per un esame preliminare, e la procura si trova sotto costante pressione da parte di Israele e degli Stati Uniti per lasciare che Israele se la cavi. Sono incentivati in ogni modo a starsene con le mani in mano.

Indagini farsa su se stesso

Lo scorso mese due gruppi per i diritti umani hanno concluso che il sistema israeliano di inchiesta su se stesso in merito a possibili crimini contro palestinesi da parte delle proprie forze è una farsa.

Centinaia di casi, compresa la nota uccisione di quattro ragazzini che giocavano a pallone su una spiaggia nel luglio 2014 [a Gaza, ndt.], non hanno portato a nessuna sanzione nei confronti dei responsabili.

Nel maggio 2016 B’Tselem ha annunciato che non avrebbe più collaborato con le inchieste per omicidio dell’esercito israeliano né per altri attacchi contro palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Non aiuteremo più un sistema che copre le inchieste e serve come foglia di fico per l’occupazione,” ha spiegato il direttore del gruppo israeliano per i diritti umani.

Quando si tratta di crimini come l’apartheid e la colonizzazione, Israele ovviamente non fa niente per condurre indagini e punire se stesso – dato che questi crimini sono pianificati ed eseguiti dallo Stato stesso.

Ma persino in situazioni in cui Israele ha riconosciuto – almeno sulla carta – che una determinata azione era un crimine, nessuno ne ha pagato le conseguenze.

Ciò dovrebbe essere un importante fattore nelle decisioni della procura, perché, in base al suo statuto fondativo, la Corte Penale Internazionale interviene solo quando le autorità giudiziarie nazionali non sono disposte o non possono condurre procedimenti imparziali.

Villaggi che devono far fronte alla distruzione

Né le azioni della corte sono solo una questione di responsabilizzazione per il passato, ma per porre fine a crimini in corso.

Questo mese B’Tselem ha messo in guardia importanti dirigenti israeliani, compresi il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Avigdor Lieberman e il capo di stato maggiore militare, che potrebbero essere personalmente imputabili per crimini di guerra se procedessero all’apparentemente imminente distruzione di Khan al-Ahmar e Susiya, due comunità della Cisgiordania.

La demolizione di intere comunità nei territori occupati è pressoché senza precedenti dal 1967,” ha affermato B’Tselem.

Robert Piper, direttore dell’aiuto umanitario ONU in Palestina, ha twittato: “Tener d’occhio la comunità beduina di Khan al-Ahmar a rischio di deportazione da parte delle autorità israeliane nei prossimi giorni.”

Egli ha involontariamente identificato un problema in cui l’ONU gioca un ruolo fondamentale: la cosiddetta comunità internazionale se ne sta in disparte e si limita a guardare come Israele commette quotidianamente crimini.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 

 




Roger Waters: il Congresso non dovrebbe far tacere i difensori dei diritti umani

Roger Waters

7 settembre 2017,New York Times

Membri del Congresso [USA] stanno attualmente prendendo in considerazione un disegno di legge che minaccia di far tacere il crescente appoggio al movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni a favore della libertà e dei diritti umani dei palestinesi, noto come BDS.

La norma draconiana, la “Legge anti-boicottaggio di Israele”, minaccia con pene fino a 20 anni di carcere e una multa di 1.000.000 di dollari singole persone e attività economiche che partecipano attivamente alle campagne di boicottaggio a sostegno dei diritti dei palestinesi intraprese da organizzazioni governative internazionali.

Approvando questa legge maccartista i senatori eliminerebbero i diritti del primo emendamento della costituzione americana per proteggere Israele dalle pressioni non violente per porre fine alla sua cinquantennale occupazione del territorio palestinese e ad altre violazioni dei diritti dei palestinesi.

L’ “Unione per le Libertà Civili Americane” [ACLU, ong che si dedica a difendere i diritti civili e le libertà individuali negli Stati Uniti] ha condannato questo disegno di legge, a favore del quale sta facendo pressione l’ “American Israel Public Affairs Committee” [AIPAC, uno dei principali gruppi di pressione a favore di Israele negli USA, ndt.], in quanto sarebbe una minaccia per il diritto costituzionale della libertà di parola.

Ogni americano – indipendentemente dalle proprie opinioni su Israele-Palestina – dovrebbe capire che la possibilità di prendere di mira e mettere in una lista nera concittadini che appoggiano i diritti dei palestinesi potrebbe rivelarsi la punta di un pesante cuneo autoritario.

Non è una novità. Circa 22 disegni di legge contro il BDS sono stati presentati agli organi legislativi del Congresso e degli Stati in tutto il Paese come parte di un pericoloso tentativo di mettere a tacere i sostenitori dei diritti umani dei palestinesi – alcuni sono già stati approvati. In molti casi questi disegni di legge vietano agli Stati ed al governo federale di fare affari con, o di investire in, imprese che aderiscono alle campagne di boicottaggio o disinvestimento riguardanti le violazioni delle leggi internazionali da parte di Israele. Nessuna di queste leggi è ancora stata messa alla prova in un tribunale.

Questa criminalizzazione dell’appoggio al BDS negli Stati Uniti rispecchia tentativi simili in Israele. Nel 2011 la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato una legge che consente che cittadini o organizzazioni israeliani che sostengono pubblicamente il BDS siano citati in giudizio da chiunque sia stato danneggiato dall’appello al boicottaggio. E all’inizio di quest’anno ha approvato una legge che consente ad Israele di negare l’ingresso a stranieri che abbiano pubblicamente sostenuto il boicottaggio. E’ stato in base a questa legge che a Alissa Wise, un rabbino americano che faceva parte di una delegazione interreligiosa in Terra Santa, è stato recentemente vietato di prendere un volo per Tel Aviv.

La criminalizzazione dei boicottaggi è anti-americana e anti-democratica. I boicottaggi sono sempre stati accettati come una forma legittima di protesta non-violenta negli Stati Uniti. Nel 1955 e nel 1956 un boicottaggio degli autobus a Montgomery, Alabama, innescato dalla protesta di Rosa Parks e di altri, diede inizio a una delle più importanti lotte per i diritti civili contro la segregazione nel Sud.

Più di recente la “National Collegiate Athletic Association” [associazione che organizza le attività sportive di 1.200 college e università negli USA, ndt.] ha rifiutato di tenere incontri del campionato in Nord Carolina dopo che i parlamentari dello Stato hanno approvato una legge che riduce la protezione legale di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender e stabilisce norme discriminatorie riguardo all’uso dei gabinetti nei locali pubblici da parte di transgender. Numerosi artisti, compreso Bruce Springsteen, si sono rifiutati di esibirsi nello Stato; importanti imprese hanno annullato i propri investimenti in Nord Carolina. La voce del boicottaggio a sostegno dei diritti civili è stata ascoltata e la legge è stata respinta, anche se come parte di un discutibile compromesso.

In questi casi i progressisti hanno lodato coloro che boicottavano come paladini di uguaglianza. Perciò perché parlamentari nazionali – compresi democratici apparentemente progressisti – vogliono fare un’eccezione per quelli che sostengono uguali diritti per i palestinesi?

Quando la causa è giusta, il boicottaggio ha dimostrato di essere un metodo efficace per mettere in luce violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale. E’ per questo che il governo israeliano e i suoi sostenitori sono così impegnati a mettere a tacere chi appoggia il BDS.

Quotidianamente sentiamo commenti ricchi di spunti provocatori da editorialisti, dal comitato editoriale del Times e da collaboratori di ogni parte del mondo.

Per anni i gruppi filo-israeliani hanno tentato di demonizzare i sostenitori del BDS – credetemi, ne so qualcosa. Attualmente sto facendo un tour di 63 date negli Stati Uniti e in Canada. Un pubblico di decine di migliaia di persone si è unito al nostro spettacolo “Us+Them”, che parla di amore, comprensione, collaborazione e coesistenza e incoraggia la resistenza all’autoritarismo e al proto-fascismo. Queste esibizioni sono state accolte da poche e sporadiche proteste da parte dei sostenitori di destra di Israele.

Queste proteste sarebbero senza conseguenze, se non di rado non ne avessero alcune veramente negative. Per esempio, la città di Miami Beach, dopo pressioni da parte della “Greater Miami Jewish Federation”, ha vietato a un gruppo di scolari di comparire con me sul palco. Capisco che funzionari della città abbiano il diritto democratico di non essere d’accordo con le mie opinioni, ma sono rimasto scioccato che abbiano voluto prendersela con i bambini.

Questi attacchi sono ripetuti e relativamente poco importanti. Ma la “Legge contro il boicottaggio di Israele” è un grave esempio di “lawfare” [uso della legge per combattere delle posizioni politiche, ndt.]. Funzionari della Contea di Nassau a Long Island minacciano azioni legali per impedire due spettacoli che ho in programma per la prossima settimana, utilizzando una legge locale anti-BDS approvata nel 2016. Se il procuratore della contea di Nassau procederà contro i gestori dello stadio di Nassau, andremo in tribunale a perorare la causa di coloro che credono nei diritti umani universali e nel Primo Emendamento.

I sondaggi dimostrano che circa la metà degli americani, e una maggioranza tra i Democratici, sarebbe disposto ad appoggiare sanzioni contro Israele a causa della costruzione di colonie illegali sulla terra palestinese occupata. In effetti sempre più chiese, gruppi studenteschi, artisti, accademici e organizzazioni di lavoratori stanno appoggiando la tattica di boicottaggio e disinvestimento come mezzo per fare pressione su Israele perché ponga fine ai suoi soprusi contro i palestinesi. Se approvata, la “Legge contro il boicottaggio di Israele” potrebbe mettere a rischio di arresto con accuse di tradimento tutti costoro, dagli arcivescovi ai chierichetti, dagli artisti agli artigiani.

Quelli che stanno tentando di farmi tacere capiscono il potere dell’arte e della cultura. Conoscono il ruolo che gli artisti hanno giocato nella lotta per i diritti civili negli Stati Uniti e contro l’apartheid in Sud Africa. Vogliono fare di noi un esempio per scoraggiare altri dal prendere la parola.

Invece di lavorare per indebolire il BDS, il Congresso dovrebbe difendere il diritto, stabilito dal primo emendamento, di ogni americano e stare dalla parte giusta della storia appoggiando uguali diritti civili ed umani per tutti, indipendentemente dall’etnia e dalla religione.

Roger Waters, musicista e cantautore, è un co-fondatore del gruppo dei “Pink Floyd”.

(Traduzione di Amedeo Rossi)

 

 




Poliziotto buono, poliziotto cattivo dell’espulsione

Amira Hass

18 settembre 2017 Haaretz

Il parlamentare dell’estrema destra Bezalel Smotrich si prende semplicemente la briga di rendere pubblico il suo piano, mentre il generale Yoav Mordechai preferisce lavorare in silenzio.

Mentre Bezalel Smotrich parla di espulsioni, Yoav Mordechai, coordinatore delle attività di governo nei territori [palestinesi occupati] fa in modo che avvengano. Mentre il primo blatera di espulsione definitiva, il secondo tace sulle decine di piccole espulsioni che egli approva e supervisiona.

Per esempio, completando il piano per obbligare il clan Jahalin a lasciare Khan al-Amar per andare in un luogo nei pressi della discarica di Abu Dis, in modo che i coloni di Kfar Adumim possano espandersi a piacimento. Presto Mordechai approverà anche l’evacuazione forzata dei residenti palestinesi di Sussia, in modo che i coloni della zona possano soddisfare il proprio desiderio di avere più spazio.

Il membro del parlamento israeliano per la fazione “Unione nazionale – Tekuma” del [partito di estrema destra, ndt.] “La Casa ebraica” cerca di ottenere le prime pagine dei giornali. La persona che guida l’unità del ministero della Difesa nota come COGAT [“Coordinator of Government Activities in the Territories”, cioè “Coordinamento delle Attività Governative nei Territori”, ndt.] non ne ha bisogno. Entrambi sono stati preceduti da altri che ne condividevano le idee, lo status e le funzioni.

Il cittadino S. si prende il disturbo di rendere pubblico il proprio piano, il generale M. preferisce lavorare in silenzio. Come i suoi predecessori, sa che i giornalisti israeliani non sono interessati a queste piccole e continue espulsioni, per cui non ne riferiscono. Sicuramente i reporter non vogliono vedere il rapporto tra loro; dopo tutto che cos’hanno in comune quelli che vivono nelle baracche senza elettricità con la donna americana, sposata con un palestinese, a cui è stato detto da un arrogante impiegato dell’Amministrazione Civile [il governo militare sui territori palestinesi occupati, ndt.] che la sua richiesta di prolungamento del suo permesso di residenza era stato rifiutato perché aveva osato viaggiare dall’aeroporto internazionale Ben-Gurion?

Sia il civile che il militare sembrano abbastanza gradevoli. Il civile con la kippah [copricapo ebraico, ndt.] in testa sembra a qualcuno assolutamente velleitario, mentre ad altri pare un razzista allucinato che puoi odiare e sei invitato a detestare. L’uomo in uniforme e il basco è dipinto come un adulto responsabile, nel sistema quello equilibrato e logico. Fornisce ai commentatori militari e agli esperti di questioni palestinesi le sue informazioni sintetiche e filtrate senza concessioni e senza timore dello scetticismo professionale. Le indicazioni date a diplomatici stranieri e a importanti uomini politici palestinesi è di tenersi alla larga da Smotrich. Il COGAT, invece è un interlocutore ufficiale dei rappresentanti degli Stati donatori dell’Autorità Nazionale Palestinese, e un collaboratore ammirato e abituale di importanti uomini politici del governo palestinese e di Fatah.

Tentacoli di un sistema simile a un polpo

Il cittadino S., il più giovane dei due, rappresenta una corrente politica minoritaria, anche se in espansione. Il generale M., il più anziano, è parte di una burocrazia ben oliata, ibrida, civile-militare, che è consolidata, con esperienza e simile a un polipo: l’Amministrazione Civile, impiegati governativi e personale dell’esercito, il Coordinamento Distrettuale e l’Amministrazione di Contatto, gli uffici di coordinamento distrettuale, l’amministrazione della Linea di Congiunzione, l’amministrazione dell’area di Gerusalemme, la Commissione Suprema di Pianificazione in Giudea e Samaria [denominazione israeliana di Cisgiordania, ndt.], il subcomitato di ispezione, i comitati di orientamento ispirati da o in collaborazione con lo Shin Bet [servizio di intelligence israeliano, ndt.], chiamateli come volete.

Negli scorsi anni l’assillo razzista dell’associazione no profit “Regavim”, che Smotrich ha contribuito a fondare, ha esortato l’Amministrazione Civile (subordinata al COGAT) ad accelerare la demolizione di strutture palestinesi. Inviando una richiesta all’Alta Corte di Giustizia, il gruppo, che intende preservare le terre della Nazione, ha fatto pressione per espellere dalle loro case gli abitanti di Sussia e di Khan al-Amar. Ma è l’Amministrazione civile che mette in pratica la politica di divieto di costruzione, di demolizioni e di furto delle terre palestinesi per darle agli ebrei – con ogni sorta di metodi palesi o occulti, che sono stati elaborati molto prima che Smotrich nascesse e “Regavim” fosse fondato.

Il COGAT e l’Amministrazione Civile agiscono lentamente ma inesorabilmente. Forniscono anche puntuali spiegazioni burocratiche per le loro iniziative che sono in apparenza puramente obiettive e professionali. Il 13 settembre rappresentanti dell’Amministrazione Civile si sono presentati al campo di tende del clan Jahalin a est di Gerusalemme e hanno informato gli abitanti che lo Stato aveva destinato loro un terreno in un misero, affollato e poverissimo villaggio chiamato “al-Jabal”, che era stato fondato 20 anni fa per beduini che erano stati espulsi per permettere a Ma’aleh Adumim [grande colonia israeliana a est di Gerusalemme, ndt.] di espandersi. L’avvocato della comunità, Shlomo Lecker, aveva informato il funzionario dell’Amministrazione Civile che a lui non era consentito incontrare i suoi clienti senza la sua presenza ed il suo consenso, ma il pubblico ufficiale ha semplicemente ignorato il messaggio.

L’Amministrazione Civile si sta preparando per il prossimo lunedì, il 25 settembre, quando il ricorso della comunità contro la demolizione delle sue strutture dovrebbe essere preso in considerazione. Come ha scritto B’Tselem: “Sembra che le azioni dell’Amministrazione Civile stiano preparando il terreno affinché lo Stato sostenga che sta agendo con buona volontà e che ha consultato la comunità.”

La scorsa settimana ho scritto un reportage, che probabilmente interessava a due lettori e mezzo, sui palestinesi (soprattutto maschi) che hanno osato sposare cittadini di Paesi con cui Israele ha rapporti diplomatici ed accordi per l’ingresso. Improvvisamente, senza preavviso o prendersi la briga di spiegare, il COGAT sta rendendo difficile per le loro famiglie rimanere unite. Per un verso, da molto tempo ha bloccato il processo attraverso cui chi è in possesso di passaporti stranieri e con famiglia palestinese può diventare residente permanente in Cisgiordania. Per l’altro, limita i loro visti e vieta loro di lavorare.

Come i suoi predecessori, questo coordinatore sta facendo il lavoro di mettere in pratica le politiche del governo. E’ così che obbliga famiglie “miste” a lasciare la Cisgiordania per andare all’estero, senza sbandierare quella che è l’intenzione reale.

L’espulsione di palestinesi dalle loro terre e case attraversa come una linea di filo spinato la storia di Israele, dal periodo precedente la costituzione dello Stato fino ad ora. Smotrich e Mordechai sono sia i prodotti che gli artefici di quella storia e di quella società, che negano le espulsioni che hanno attuato e continuano ad attuare, mentre al contempo non comprendono la ragione di tutto questo polverone e perché ciò sia un crimine.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Maestra canadese vince contro i tentativi della lobby israeliana di farla licenziare

Ali Abunimah – 18 Settembre 2017 , Electronic Intifada

La maestra elementare canadese Nadia Shoufani ha vinto una lotta durata un anno contro i tentativi di gruppi della lobby israeliana di farle perdere il lavoro.

Shoufani, che insegna a Mississauga, a ovest di Toronto, è stata oggetto di lamentele a causa di un discorso del luglio 2016 che ha tenuto durante un raduno in appoggio ai diritti dei palestinesi.

Lunedì Liz Stuart, presidentessa dell’Associazione degli Insegnanti Cattolici Inglesi dell’Ontario, ha detto in una dichiarazione a “The Electronic Intifada”: “All’inizio dell’anno il caso della signorina Shoufani è arrivato davanti al Collegio degli Insegnanti dell’Ontario ed è stato riconosciuto che non è stata in contrasto con la condotta che ci si attende da un insegnante.”

E’ in classe e non ha avuto sanzioni disciplinari.”

Ciononostante continua ed essere estremamente dispiaciuta che la sua integrità professionale sia stata pubblicamente messa in dubbio senza che ci sia stata una procedura corretta,” ha aggiunto Stuart. “Questo caso non avrebbe mai dovuto arrivare davanti al Collegio degli Insegnanti, e la signorina Shoufani non avrebbe dovuto passare per il calvario dei mesi scorsi.”

Il sindacato della Stuart ha rappresentato Shoufani davanti al Collegio degli Insegnanti dell’Ontario, un organismo riconosciuto, e davanti al consiglio scolastico.

Stuart ha affermato che Shoufani “è un’educatrice impegnata e sensibile, e noi siamo lieti che possa finalmente lasciarsi alle spalle tutto questo.”

Malefica campagna di calunnie”

In un post su Facebook della scorsa settimana Shoufani ha ringraziato amici e sostenitori che l’hanno aiutata a ottenere “una vittoria per me, per il movimento di solidarietà con la Palestina, per la libertà di espressione.”

Il post su Facebook non era pubblico, ma è stato citato dal gruppo di solidarietà con la Palestina “Samidoun”.

Shoufani non ha rilasciato dichiarazioni a “Electronic Intifada”.

Independent Jewish Voices” [“Voci Ebraiche Indipendenti”], uno dei gruppi che hanno appoggiato Shoufani, si è felicitato con lei per aver avuto la meglio contro una “malefica campagna di calunnie molto coordinata contro di lei, intesa a distruggere la sua carriera.”

La vittoria di Shoufani sulle organizzazioni con molte risorse, che hanno cercato di farne un esempio, invia alla società civile canadese il forte messaggio che quelli di noi che appoggiano i diritti umani dei palestinesi non soccomberanno mai alle tattiche aggressive dei gruppi della lobby israeliana,” ha aggiunto il gruppo di attivisti ebrei.

Sospesa per aver fatto sentire la propria voce

Shoufani è stata sospesa nel luglio 2016, quando il consiglio scolastico cattolico distrettuale “Dufferin-Peel” ha iniziato un procedimento nei suoi confronti in merito a un discorso in appoggio ai diritti dei palestinesi che aveva tenuto durante un raduno a Toronto.

La manifestazione segnava il “Giorno di al-Quds [Gerusalemme in arabo, ndt.]”, in genere l’ultimo venerdì del Ramadan, che molte persone celebrano come un giorno di solidarietà con i palestinesi.

Durante il suo intervento Shoufani ha difeso la lotta palestinese contro l’occupazione e la colonizzazione israeliane.

E’ subito stata presa di mira da una campagna di attivisti antipalestinesi che hanno cercato di farla licenziare perché avrebbe appoggiato il “terrorismo”.

Le associazioni della lobby israeliana “B’nai Brith Canada”, il “Centro per le Questioni di Israele ed ebraiche” e gli “Amici del Centro Simon Wiesenthal-Canada” sono state attivamente coinvolte nel tentativo di far tacere Shoufani.

I gruppi della lobby si sono concentrati sulle sue affermazioni riguardo a Ghassan Kanafani, il famoso scrittore palestinese che ha parlato della Palestina come una causa per tutti i rivoluzionari.

Kanafani, assassinato da uno squadrone della morte israeliano nel 1972, è un “martire”, ha detto Shoufani.

Kanafani è stato anche un importante membro del “Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina”, che il Canada ha classificato come organizzazione “terroristica” nel 2003, più di trent’anni dopo che un’auto bomba collocata dall’agenzia di spionaggio israeliana Mossad lo ha fatto esplodere a Beirut, insieme alla sua nipote adolescente, Lamis.

Diritto alla libertà di espressione

Un insegnante non dovrebbe mai aver paura che la propria reputazione professionale venga attaccata nel tentativo di evitare che eserciti il proprio diritto alla libertà di espressione,” ha detto a “The Electronic Intifada” Stuart, presidentessa del sindacato di Shoufani. “La signorina Shoufani si stava esprimendo come privata cittadina.”

Stuart ha aggiunto: “Abbiamo sempre sostenuto che noi insegnanti abbiamo diritto alle nostre opinioni politiche personali. Utilizziamo il nostro giudizio personale per stabilire se sia il caso di esprimere questi punti di vista in classe. Tuttavia, finché agiamo all’interno delle leggi, non c’è ragione per cui ci venga proibito di partecipare ad attività politiche al di fuori della scuola.”

Shoufani ha inoltre attirato in tutto il Canada e in altri Paesi una vasta solidarietà da parte di centinaia di colleghi insegnanti, che hanno firmato petizioni in appoggio al suo diritto di parola.

La vittoria di Shoufani è tanto più importante in quanto arriva nel mezzo di continui tentativi da parte dei gruppi della lobby israeliana e di dirigenti politici canadesi, compreso il primo ministro Justin Trudeau, di stigmatizzare ed emarginare quelli che appoggiano i diritti dei palestinesi – soprattutto il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni [contro Israele].

Ma recenti sondaggi mostrano che questi tentativi non corrispondono all’opinione pubblica: tra i canadesi c’è un ampio sostegno ai diritti dei palestinesi.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Crimini di guerra e ferite aperte: la dottoressa che ha sfidato la segregazione israeliana

Alon Mizrahi

 12 settembre 2017,+972

In occasione dei suoi 80 anni, Ruchama Marton, la fondatrice di “Physicians for Human Rights-Israel”, parla delle atrocità di cui è stata testimone quando era soldatessa, del duraturo potere del femminismo e perché solo un aiuto dall’esterno ha la possibilità di porre fine al dominio militare israeliano sui palestinesi.

Ruchama Marton viene dalla generazione che si potrebbe chiamare 1.5 degli attivisti israeliani contro l’occupazione. Era un po’ troppo giovane per partecipare al piccolo gruppo di avanguardia che fondò la rivoluzionaria organizzazione socialista Matzpen negli anni ’60, ma abbastanza grande da aver preso lezioni da una testa calda, il professor Yeshayahu Leibowitz [grande intellettuale e teologo ebreo israeliano, molto critico con gli esiti del sionismo, ndt.] a Gerusalemme. Là, mentre frequentava la facoltà di medicina, ha rivoluzionato la procedura di ammissione per le studentesse, che portò all’abolizione delle quote di ammissione. E quando scoprì che nella facoltà di medicina c’era un bando contro le donne in pantaloni, si ribellò anche contro di esso.

Marton ha fondato “Physicians for Human Rights-Israel” [“Medici per i Diritti Umani – Israele”] durante la Prima Intifada, portando il termine “diritti umani” nel discorso politico israeliano. Nata in Israele, dove ha passato tutta la sua vita, è stata per più di 40 anni una psichiatra impegnata. Il suo rapporto con questo posto è complicato e doloroso, quasi impossibile.

Marton non modera le sue parole quando si tratta delle organizzazioni di sinistra e per la pace, che vede come una specie di “società umanitaria”, attribuendo scarsa importanza ad un attivismo che non faccia i conti direttamente con la violazione dei diritti umani, il cui nucleo centrale sono i diritti politici.

Per tutta la sua vita si è indignata per l’ingiustizia e la segregazione. Tra la lotta contro lo sciovinismo, il patriarcato e quella di tutta una vita contro l’occupazione, rifiuta di rimanere in silenzio.

Ho incontrato Marton per un’intervista nella sua casa di Tel Aviv in occasione dei suoi 80 anni. Avevo previsto che non mi sarebbe stato facile. Avevo ragione.

Come psichiatra con anni di esperienza voglio iniziare con quella che ritengo una grande domanda. Perché siamo così ossessivamente legati alla disumanizzazione degli arabi? Perché sembra che il maggior desiderio di questo posto sia negare ai palestinesi qualunque tipo di riconoscimento e di legittimazione? In fin dei conti a questo punto non ha uno scopo concreto, abbiamo già vinto.

Cosa intende con ‘non ha uno scopo concreto?’ Non ha senso. Serve agli interessi sionisti. A ogni singolo [interesse].

Mi spieghi

Innanzitutto, siamo colonialisti. Il sionismo è colonialista. E la prima cosa che un buon colonialista fa è spogliare. Spogliare di cosa? Di tutto quello che può. Di quello che è importante, di tutto quello che gli serve. Della terra. Delle risorse naturali. E, naturalmente, dell’umanità. Dopotutto è ovvio che per controllare qualcun altro devi portargli via la sua umanità.”

Ma questo progetto non è terminato? Non è che noi adesso siamo in guerra e stiamo per conquistare un nuovo territorio. La “Guerra di indipendenza” [denominazione sionista della guerra contro palestinesi ed arabi nel 1947-48, ndt.] è finita molto tempo fa. Abbiamo vinto. Abbiamo già tracciato dei confini. Perché abbiamo ancora bisogno di quella mentalità?

Quali confini? Non ci sono confini, non ci saranno confini, e non vedo che ci sia una qualunque intenzione di tracciarli ora. Ma, oltre a ciò, la spoliazione è un compito senza fine. Quel popolo occupato, quel popolo spogliato, che sia all’interno o all’esterno della Linea Verde [il confine tra Israele e Giordania fino alla guerra del ’67 e all’occupazione israeliana della Cisgiordania, ndt.], non è d’accordo. Non si arrende. Non accetta di essere spogliato della sua terra, della sua acqua, della sua umanità. Come ha detto Hannah Arendt: “Senza diritti politici non c’è essere umano. I diritti politici vengono prima di ogni altra cosa. Prima del diritto di proprietà, di movimento, di riunione e associazione. Quelli sono tutti molto belli, ma sono secondari. Senza diritti politici, tutto quello che fai è beneficienza. Senza diritti politici, non c’è niente.”

La famiglia di Ruchama è arrivata in Israele da una regione rurale della Polonia. Entrambi i suoi genitori sono cresciuti in famiglie religiose, come la maggioranza degli ebrei in quei tempi, sicuramente quelli che vivevano fuori dalle grandi città. Dice che suo padre era così affascinato dalle idee comuniste che per mesi risparmiò segretamente denaro per poter andare in Russia negli anni ’20.

La notte prima che se ne andasse,” racconta, “suo padre entrò nella sua stanza e disse: ‘So che hai risparmiato denaro e so per fare cosa. Voglio chiederti che tu mi prometta una cosa. Vuoi andartene? Vai. Vai in America, vai in Palestina. Promettimi solo che non andrai in Russia. Ti uccideranno.’ Mio padre fece la promessa e la mantenne.”

I suoi genitori si sono stabiliti nel quartiere di Geula a Gerusalemme. Lei è nata nel 1937. Si ricorda il Mandato britannico a Gerusalemme?

Certo. Ricordo i soldati australiani che pattugliavano le strade, e che camminavo verso il “Muro del Pianto” con mia nonna. Avremmo camminato attraverso la Città Vecchia, oltre il mercato arabo; non avevamo paura. Non c’era neanche una grande amicizia, ma non c’era paura.

A Gerusalemme ogni notte c’era il coprifuoco. Ricordo una notte in cui rimasi a dormire da un’amica fin dopo il coprifuoco, scesi in strada e iniziai a camminare verso casa. Un soldato australiano mi chiamò, ma non capii quello che mi stava dicendo, in quanto non parlavo inglese. Mi raggiunse e cercò di capire cosa stessi facendo là, dove stessi andando.

Era un gigante, probabilmente alto 2 metri. Non so come successe, ma mi prese per mano e mi accompagnò a casa. Una ragazzina con un gigantesco soldato australiano.

La nonna che soleva portarmi con sé verso il Muro del Pianto venne uccisa da una bomba all’inizio della Guerra di Indipendenza. Uscì per prendere acqua con un secchio da un vicino che aveva bambini piccoli e venne colpita da una bomba sparata dagli arabi. Poco dopo ci spostammo a Tel Aviv, che era un mondo totalmente diverso.

Tel Aviv era molto diversa da Gerusalemme. Aveva un’atmosfera di stravaganza e di sfrenatezza. Vivevamo in una zona ai confini della città: c’erano pochissime case là. Era circondata da orti, da giardini arabi e da campi di canna da zucchero che crescevano lungo il fiume Yarkon [in arabo El-Auja, il “sinuoso”, ndt.]. Era un altro mondo.”

Aveva degli amici a Tel Aviv? Non deve essere stato facile.

Io non conoscevo nessuno lì, ovviamente. E genitori e figli di quella generazione difficilmente parlavano tra loro. Ma nella casa di fronte a noi, l’unica casa vicina, c’era una famiglia araba. Avevano un orto, un giardino e un piccolo gregge di pecore e capre.

Avevano due bambini, Zeidin, che aveva circa un anno meno di me, e Fatima, che era un po’ più grande di me. Erano i miei migliori amici. Eravamo soliti giocare insieme, passare insieme le giornate negli orti e in mezzo alla natura. Gli volevo bene.

Alla fine del 1947 arrivarono dei soldati e cacciarono la famiglia. Mi ricordo che stavo lì a guardare svolgersi quella scena. Caricarono i loro pochi averi e la vecchia nonna su un asino e partirono verso l’est. La loro casa esiste ancora – è stata trasformata in una sinagoga.”

Anche durante la guerra del Sinai del 1956 [combattuta da Francia, Inghilterra ed Israele contro l’Egitto di Nasser, che aveva nazionalizzato il canale di Suez, ndt.] lei ha assistito a scene che l’hanno profondamente segnata.

L’assassinio di prigionieri da parte dei soldati della mia unità, la ‘Givati’.”

Cosa successe lì?

Nei giorni che seguirono l’invasione israeliana della penisola del Sinai, i soldati egiziani continuavano ad arrendersi. Venivano fuori dalle dune di sabbia, a volte a piedi nudi, bruciati dal sole del deserto, sporchi e sudati, con le mani in alto.

I nostri soldati gli sparavano. A decine di loro, forse più. E’ proprio quello che ho visto. Scendevano dalle dune e i soldati prendevano i fucili e li uccidevano.”

E cosa ne facevano? Li lasciavano semplicemente lì sulla sabbia?

Sì. Questo mi fece stare male. Fisicamente male. Vomitai ed ero in uno stato terribile. Andai dal mio comandante e gli chiesi di andarmene. Gli raccontai che era a causa di quello che era successo. Non c’è bisogno di dirlo, lui “non sapeva” assolutamente di cosa stessi parlando. Ma mi autorizzò ad andarmene e chiesi un passaggio per tornare a casa.

Volevo parlare di quello che era successo. Volevo pubblicarlo, ma nessuno accettò. Mi dissero di lasciar perdere. Avevo amici che lavoravano per dei giornali, e pensai, ingenuamente, che avrebbero voluto pubblicarlo. Nessuno accettò di occuparsene. Quando avevo 19 anni sapevo già che quello che mi dicevano del sionismo e dell’esercito era un sacco di menzogne.”

Una ricerca su internet sull’uccisione di prigionieri durante la guerra del Sinai porta a una serie di siti, compresa un’intervista al generale Arieh Biro, che ammise che lui e i suoi soldati uccisero prigionieri egiziani durante la guerra. Posso solo presumere che le uccisioni che ebbero luogo furono molto più frequenti e gravi di quelle scoperte dall’ “inchiesta” ordinata da Shimon Peres nel 1995.

Dopo l’esercito lei è andata alla facoltà di medicina. All’epoca c’erano quote per le donne. 

Sì. C’era un numero stabilito e non volevano che molte donne diventassero medico. Per cui le limitavano a una quota del 10%. Ho condotto una lotta contro ciò insieme ad altri studenti e membri della facoltà, che portò alla cancellazione della quota. Da allora le donne sono ammesse alla facoltà di medicina in Israele in base ai loro titoli, proprio come gli uomini.”

Dopo tutti i suoi anni di lavoro con la psicologia umana e il conflitto, vede qualche cambiamento? Se ho capito bene [quello che lei ha detto], nonostante tutte le notevoli capacità propagandistiche che Israele ha sviluppato, nonostante il continuo lavaggio del cervello, da quanto sta dicendo sembra che fosse lo stesso negli anni ’50.

In primo luogo il sionismo e quello che un essere umano è sono due cose che non si incontrano. Ma qui non c’è stato un cambiamento essenziale. E’ sempre lo stesso. E’ vero che la macchina della propaganda sionista renderebbe orgogliosi i sovietici, ma l’essenza delle convinzioni su questioni fondamentali, sul trattamento degli arabi e sul loro posto – queste convinzioni non sono cambiate.”

Una salute mentale rivoluzionaria

A 80 anni Marton è ancora una psichiatra in attività. Nei suoi molti anni di professione ha sostenuto e fatto campagna per portare la cura della salute mentale fuori dagli ospedali psichiatrici e all’interno della società.

Sono rimasto molto sorpreso che ci fosse qualcuno in Israele che parlasse di cure psichiatriche come parte della comunità. Ciò significa davvero normalizzare la salute mentale.

Perché non ci dovrebbe essere un consultorio psichiatrico all’interno degli ambulatori di quartiere? Ci dovrebbero essere un optometrista, un otorinolaringoiatra e uno psichiatra. Esattamente nello stesso posto, allo stesso piano, nello stesso corridoio, in base allo stesso concetto.”

Lei ha creduto in questo fin dall’inizio della sua carriera e ha fatto passi concreti per realizzarlo.

Sono stata la prima persona in Israele che ha fatto una proposta al sistema sanitario – sono andata fin da Shimon Peres e da altri, ho detto loro che i consultori psichiatrici non devono essere all’interno degli ospedali psichiatrici. Non è altro che un disastro. Le persone hanno un terribile stigma che le scoraggia dall’entrare in un ospedale psichiatrico.

C’era un direttore, Davidson (il prof. Shamai Davidson, direttore dell’ospedale “Shalvata” dal 1973 al 1986. Arrivò in Israele da Dublino nel 1955), era veramente un santo, comprese veramente e appoggiò l’idea di cure psichiatriche inserite nella comunità. Il concetto di comunità è una cosa che si era portato dalla diaspora. Mi stette ad ascoltare con il cuore aperto e fu colui che portò avanti quella rivoluzione e che portò all’apertura di un ambulatorio per il trattamento psichiatrico a Morasha, e poi a Ramat Hasharon, e da lì si è diffuso.

A tutt’oggi il progetto non è stato completato. Ma abbiamo rotto quel muro iniziale.

Sa quante persone non chiedono un aiuto perché l’ambulatorio è situato all’interno di un ospedale psichiatrico? E quindi cosa succede? Crollano e vengono ospedalizzate. Grandioso! Abbiamo ottenuto quello che volevamo.”

Sto ascoltando quello che dice, e penso: c’è qualcosa di giustificato in merito al timore della gente nei confronti del sistema psichiatrico. Qualcosa riguardo alla percezione di se stesso e del paziente da parte del sistema – è qualcosa di insano.

E’ verissimo. Quello era ciò per cui stavo lottando. Ma oggi i miei giorni di lotta sono passati. Dopo 30 o 40 anni ne ho avuto abbastanza. Forse non sono riuscita in tutto, ma in alcune cose sì. Sono molto orgogliosa di questo.”

Lei pensa al conflitto israelo-palestinese o alla storia del sionismo in termini psicologici? La storia dell’uccisione di prigionieri, per esempio, simile a quello che ho sentito da persone a me vicine, mi riempie di profonda vergogna.

Sono affascinata dall’argomento della vergogna. E’ un sentimento su cui ho lavorato per la maggior parte degli anni. Credo che senza vergogna non ci sia speranza per il mondo – non ci sia essere umano. Senza vergogna una persona può fare qualunque cosa. Una delle cose che ci sono successe è che abbiamo perso ogni vergogna. I soldati che sparavano ai prigionieri non si vergognavano. E’ per questo che fecero quello che fecero.”

In quale altro posto lei vede esempi di questa mancanza di vergogna?

Nella mia professione. I palestinesi coinvolti nel terrorismo, o quanto meno accusati di questo, sono mandati ad un esame psichiatrico. Si sorprenderà di saperlo, ma semplicemente non ci sono palestinesi con problemi mentali – almeno non del tipo che gli impedisca di essere giudicati da Israele. I palestinesi non hanno il diritto di essere pazzi.”

Psichiatri israeliani esaminano imputati palestinesi e sanno che soffrono di vari problemi psichiatrici, eppure li dichiarano in grado di essere processati?

Certo che lo sanno. E come so che loro lo sanno? Perché dopo che sono stati giudicati e mandati in carcere, ricevono medicine per la schizofrenia. E non si tratta di errori dovuti all’ignoranza. Sto parlando di bravi medici. Ciononostante fanno diagnosi ridicole e sbagliate.

Ci sono andata ed ho visto con i miei occhi. Ho parlato ai prigionieri. All’epoca ho scritto di questo sul giornale. Sono stata sanzionata dall’ordine dei medici israeliani per aver fatto i nomi dei medici coinvolti in queste diagnosi. Avevano intenzione di denunciarmi, ma hanno deciso di lasciar perdere per non rendere noti tutti gli sporchi trucchi che si svolgono a porte chiuse. Allora sono stata obbligata a scrivere una lettera di scuse. Ho scritto la lettera, che includeva due righe di scuse, seguite da un resoconto completo delle cose che ho saputo, comprese le diagnosi sbagliate e quello che c’era dietro. Finora quella lettera non è mai stata pubblicata.”

Quella non è stata la fine dei problemi di Marton e “Physicians for Human Rights-Israel” (PHRI) con l’ordine dei medici israeliani e con le istituzioni israeliane. Nel 2009 l’ordine ha annunciato che avrebbe rotto i rapporti con “PHRI” dopo che l’organizzazione ha accusato dottori israeliani di partecipare alle torture. Inoltre l’amministrazione tributaria ha rifiutato di rinnovare lo status come associazione pubblica dell’organizzazione per fini fiscali, da quando ha pubblicato una dichiarazione secondo la quale l’occupazione è una violazione dei diritti umani – compreso il diritto alla salute. Secondo l’amministrazione tributaria, queste affermazioni sono ritenute “politiche”.

La medicina è una questione politica

Com’è nato “Medici per i Diritti Umani – Israele”?

Quando ho deciso di fare qualcosa di concreto, qualcosa di politico, ho utilizzato quello che avevo a disposizione: la medicina. Ho contattato un’organizzazione di medici palestinesi. Volontari palestinesi andavano sul terreno a curare le persone, e mi sono unita a loro.

In seguito ho iniziato ad organizzare volontari israeliani. Ho dovuto pregare persone di venire con me il sabato mattina. All’inizio sono riuscita a trovare due persone, che sembravano un grande risultato. Ora vanno (in Cisgiordania) circa 30 volontari con un ambulatorio mobile.

Ho stabilito io le regole dell’organizzazione: siamo sempre insieme noi e i palestinesi. Non è mai una delegazione di bianchi colonialisti che vanno a salvare i nativi. Lavoriamo insieme in pieno accordo con i nostri colleghi palestinesi: sono loro a dire dove hanno bisogno di noi e nell’assoluta maggioranza dei casi è lì che andiamo.”

E dove lavorate? Non è che abbiano ambulatori organizzati.

Ambulatori? C’è a malapena qualche ambulatorio in quei villaggi, e quelli che ci sono sono piccoli e inutilizzabili per gruppi numerosi come il nostro. Utilizziamo scuole e uffici delle amministrazioni locali. E non c’è bisogno di fare grandi annunci – la voce gira nel villaggio e in quelli vicini. La prima cosa il sabato mattina è che c’è già troppa gente.”

Che tipo di cure fornite?

Tutto quello che si può fare sul campo, compresi interventi chirurgici relativamente semplici. Portiamo con noi medicine regalate, e scriviamo prescrizioni per quelle che non abbiamo. Quando c’è la necessità di esami complicati li inviamo a diversi ospedali dell’Autorità Nazionale Palestinese e in Israele. Anche ciò ha implicato molti anni di lotta.”

Lo Stato di Israele non si è mai ritenuto responsabile della salute di quelli che occupa.

E’ vero. Ma fino a Oslo, o alla Prima Intifada, c’erano ospedali palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, che dopo il 1967 erano diventati ospedali pubblici israeliani. C’era un bilancio molto ridotto per la salute, niente a che vedere con un Paese normale. Ma, per esempio, c’era uno stanziamento di fondi per le vaccinazioni. Paradossalmente nei campi dei rifugiati la situazione era molto migliore, dato che erano sotto la responsabilità dell’UNRWA [l’agenzia ONU per i profughi palestinesi, ndt.].

Quando scoppiò la Prima Intifada una delle decisioni prese dall’allora ministro della Difesa Yitzhak Rabin fu di bloccare il bilancio dei servizi medici palestinesi. Quando lo venni a sapere mi precipitai a Londra e mi presentai agli uffici della BBC. Parlai loro della situazione nei territori occupati e inviarono un’equipe per fare un breve servizio sulla decisione e sulle sue conseguenze, ossia gente che moriva in casa per la mancanza di cure mediche. Il clamore convinse Rabin a ripristinare almeno una parte degli stanziamenti.”

Vai a casa, vestiti

Pochi giorni fa sul giornale c’era una foto del capo del Mossad che visitava la casa del consigliere per la sicurezza nazionale degli USA. Nella foto tutte le persone erano uomini. Sono molto contento di dire che una simile foto oggi mi sembra strana.

Ciò mi riporta all’argomento della segregazione. E’ così che alle persone si insegna a pensare di se stesse. Quella separazione, il fatto che ci sia una tribuna per le donne (nella sinagoga) ed ora vogliano la separazione [tra i sessi] anche nell’esercito e nelle università. La segregazione è la radice di ogni male.

Le mie prime battaglie non sono state sul problema palestinese. Sono state femministe, anche se all’epoca non le chiamavo così.

Lei è una donna orgogliosa.

Non abbastanza. Sono troppo orgogliosa per chiedere un riconoscimento e a volte sono piena di risentimento per non averlo ottenuto. Per esempio, sono stata la prima ad introdurre il concetto di “diritti umani” nel dibattito israeliano. Prima c’erano i “diritti civili”, ma i diritti umani come concetto politico sono stati merito mio.”

Eppure lei ancora non se la sente di chiedere che le venga riconosciuto.

E’ vero. Forse è il risultato della mia educazione femminile. Non femminista, femminile. Quella che insegna alle donne a non farsi notare. Ad essere gentili, a sorridere, a non essere arrabbiate. A non iniziare mai una frase con la parola “Io”. E’ così che sono educate le donne.”

Lei è indignata dallo sciovinismo [maschile]. Non è molto diverso dalla sua indignazione contro l’occupazione.

Per tutta la mia vita ho dovuto lottare contro stigmi e norme separate per le donne. Con il fatto che alle donne non fosse permesso mettersi i pantaloni nella facoltà di medicina nella fredda Gerusalemme. Quando mi sono presentata con i pantaloni una docente mi ha detto: ‘Tu, signorina, vai a casa, vestiti come si deve e torna indietro.’ Sono andata a casa e non sono tornata. Ho scatenato un putiferio ed alla fine ho vinto.”

Critiche a ogni parte

Lei è molto critica con la Sinistra israeliana e con il modo in cui si oppone all’occupazione.

Non c’è una Sinistra israeliana. Quello che dobbiamo fare è ricostruire da zero le organizzazioni dei diritti umani israeliane in modo che siano disposte a lottare per porre fine all’apartheid. Apartheid che distingue tra quelli che hanno tutto e quelli che non hanno niente. Quelli a cui è consentito tutto e quelli a cui tutto è proibito. Se non vogliono intraprendere questa lotta, per cosa stanno lottando? Per la loro stessa immagine.

Non puoi combattere contro il colonialismo, l’occupazione, l’apartheid – chiamalo come vuoi- avendo un ruolo alla corte del governo, in base al programma del governo. Devi rompere questi confini.”

Effettivamente il partito Laburista ha mantenuto l’occupazione per ben 10 anni e non ha fatto niente a questo proposito.

Non dica che il Mapai [il predecessore del partito Laburista, in cui è confluito nel 1968, ndt.] non ha fatto niente. Sono stati quelli che hanno fondato le colonie. Begin [fondatore del Likud e dal 1977 al 1983 primo capo del governo israeliano di destra, ndt.] è stato l’unico leader giusto che abbiamo avuto. Dico sul serio. Sotto il suo governo la tortura è stata totalmente vietata. Quando il capo dello Shin Bet andò da lui e gli chiese: ‘Signore, neanche uno schiaffo?’ disse: ‘No, neanche uno schiaffo.’”

Begin vietò di demolire case, vietò le espulsioni. E’ stato l’unico uomo giusto a Sodoma. Non c’è mai stato un solo uomo giusto né prima né dopo di lui.”

Ho sempre pensato, ed ancora penso, che la normale Destra revisionista [i seguaci della corrente di destra del sionismo, ndt.] moderata sia il campo con le migliori possibilità di trattare gli arabi in modo umano.

Non voglio un trattamento umano degli arabi. Voglio diritti politici. Poi puoi essere umano o quello che vuoi. Senza diritti politici continui ad essere un colonialista, un occupante, un sostenitore dell’apartheid.

Un’organizzazione dei diritti umani che non voglia lottare per questo sta ululando alla luna. E’ priva di senso.”

In un certo senso lei sta parlando anche di se stessa. E’ una resa dei conti personale.

E’ vero. Le sto parlando dopo 30 o forse 50 anni di lotta contro l’occupazione. Abbiamo bisogno di aiuto esterno. E sto parlando soprattutto di una cosa: il BDS [il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele, ndt.].”

Lavorare per questa causa in Israele non è facile.

Ride. “E’ una questione che riguarda i traditori, e i traditori di oggi sono gli eroi di domani. Chiunque non voglia pagare quel prezzo non sa come lottare. Se non paghi un prezzo tu stai lottando solo per la tua bella immagine. Finché l’occupazione continuerà, finché continuerà l’apartheid, non importa se tu sei un po’ più o un po’ meno bello.”

Si ferma un momento a pensare.

Dobbiamo lottare contro l’idea della segregazione, perché è una separazione tra me e la politica, tra gli arabi e la loro terra, tra gli arabi e la loro dignità umana. La segregazione è la ferita. E’ l’asse attorno al quale girano le cose.”

Anche se gli ebrei portarono qui con sé l’idea della segregazione. In fin dei conti, c’è ogni sorta di segregazione tra gli stessi ebrei, in base a divisioni etniche, religiose e politiche.

Sicuramente qui c’è segregazione a tutti i livelli. Dopotutto, qui siamo divisi tra ebrei di prima e di seconda categoria, e sotto di loro ci sono i palestinesi cittadini di Israele, e i palestinesi in Cisgiordania sono ancora più in basso. E proprio in fondo alla scala ci sono i richiedenti asilo e i rifugiati (“Medici per i Diritti Umani” ha una “clinica aperta” che fornisce cure mediche ai rifugiati e ai richiedenti asilo).

La segregazione esiste all’interno della nostra società come un principio politico fondamentale. Se cancelliamo la segregazione, poi che succede? Sarà un disastro politico per il regime – non solo per la Destra.

Se penso a quello che la mia organizzazione ha fatto – ai viaggi a Gaza, alla distribuzione di medicinali per la solidarietà, al tentativo di infrangere la segregazione – quello è stato il nostro maggior risultato.”

Alon Mizrahi è uno scrittore e un blogger presso “Local Call” [“Chiamata locale, sito in ebraico di +972, ndt.], dove il suo articolo è stato per la prima volta pubblicato in ebraico. E’ stato tradotto dall’originale in ebraico da Shoshana London Sappir.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Rapporto OCHA del periodo 29 agosto – 11 settembre 2017 (due settimane)

Un palestinese di 21 anni, colpito con arma da fuoco dalle forze israeliane il 9 agosto, durante gli scontri nel Campo Profughi di Ad Duheisha (Betlemme), è morto per le ferite riportate.

Le autorità israeliane hanno trattenuto il suo corpo per cinque giorni, prima di consegnarlo per la sepoltura. Sale così a 19 (sei i minori) il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane durante scontri violenti verificatisi in Cisgiordania dall’inizio del 2017.

Durante scontri con le forze israeliane sono stati feriti 64 palestinesi: 61 in Cisgiordania, 3 a Gaza; 11 i minori. Almeno 6 dei feriti sono stati colpiti con armi da fuoco, 26 da proiettili di gomma e la maggior parte dei rimanenti da inalazione di gas lacrimogeno, con necessità di trattamento medico. La maggior parte degli scontri con feriti si sono verificati durante operazioni di ricerca-arresto (la più ampia si è svolta nella città di Al ‘Ezariya, Gerusalemme); nel contesto delle proteste settimanali contro le restrizioni di accesso, principalmente in Kafr Qaddum (Qalqiliya) e presso la recinzione perimetrale israeliana di Gaza; e in concomitanza con l’ingresso di coloni Israeliani e di altri fedeli alla Tomba di Giuseppe a Nablus. Inoltre, le forze israeliane hanno ferito con armi da fuoco e successivamente arrestato una donna palestinese di 60 anni che, secondo quanto riferito, al posto di controllo di Ni’lin (Ramallah) aveva tentato di pugnalare i soldati; non è stato segnalato alcun ferimento di israeliani.

Nella Striscia di Gaza, durante il periodo cui si riferisce questo rapporto, sono continuati i tagli di corrente per 18-20 ore/giorno, rendendo difficile la vita quotidiana e minando l’erogazione dei servizi di base. Nel mese di settembre, le Nazioni Unite hanno iniziato la distribuzione di circa 950.000 litri di combustibile di emergenza per consentire il funzionamento di oltre 200 strutture essenziali, tra cui centri sanitari ed impianti per il trattamento di rifiuti solidi ed acque reflue. Il finanziamento è stato sostenuto dal Fondo Umanitario per i Territori occupati (FF) e dal Fondo Centrale di Emergenza delle Nazioni Unite (CERF). Dall’Egitto, dopo due mesi di malfunzionamento, il 31 agosto due delle tre linee di alimentazione elettrica hanno ripreso a funzionare, incrementando la fornitura elettrica per la zona sud della Striscia di Gaza.

Il 31 agosto, il comandante militare israeliano per la Cisgiordania ha emesso un ordine militare che istituisce un nuovo organismo comunale per amministrare gli insediamenti di coloni israeliani che occupano il centro della città di Hebron. Dalla fine del 2015, questa zona è dichiarata “zona militare chiusa”, isolando così dal resto della città i circa 2.000 palestinesi che vi risiedono e sconvolgendo gravemente le loro condizioni di vita. Vi è il timore che questo recente sviluppo rafforzerà ulteriormente il contesto coercitivo che agisce sui residenti palestinesi, aumentando il rischio di un loro trasferimento forzato. Inoltre, sempre ad Hebron, durante il periodo di riferimento, le forze israeliane hanno chiuso una stazione radio, sequestrato le apparecchiature di radiodiffusione e consegnato un ordine di chiusura per sei mesi.

Il 5 settembre, nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, dopo una lunga procedura giudiziaria, le forze israeliane hanno forzatamente sfollato dalla loro casa, dove vivevano dal 1964, una famiglia di otto rifugiati palestinesi, tra cui un minore e un anziano invalido. Subito dopo, la proprietà è stata consegnata a coloni israeliani che, sulla base di una legge israeliana appositamente emanata, ne reclamavano la proprietà da prima del 1948. A Gerusalemme Est, a causa di simili cause legali intentate presso i tribunali israeliani, in primo luogo da organizzazioni di coloni israeliani, oltre 800 palestinesi rischiano di essere sfrattati dalle loro case.

Nell’area C della Cisgiordania, per mancanza di permessi di costruzione emessi da Israele – quasi impossibili da ottenere – sono state demolite o confiscate quattro strutture di proprietà palestinese, incluso un ricovero fornito come assistenza umanitaria. Conseguentemente, quattro persone sono state sfollate, tra cui tre minori, mentre altre 61 sono state diversamente colpite dal provvedimento. Presso due comunità di Hebron (Khalet Athaba’a e As Samu’), le autorità israeliane, contestandone l’utilizzo per “costruzioni illegali”, hanno sequestrato tre bulldozer che lavoravano su due progetti di ristrutturazione finanziati da donatori.

Sempre in Area C, in quattro comunità, le autorità israeliane hanno rilasciato almeno 25 ordini di demolizione e arresto lavori nei confronti di strutture abitative e di sostentamento. Due di questi ordini hanno riguardato Khirbet al Fakhit, una delle 46 comunità beduine palestinesi della Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato. Altre otto strutture destinatarie degli ordini si trovano nella comunità di Birin (Hebron) ed erano state fornite come assistenza umanitaria e finanziate dal Fondo Umanitario per i Territori palestinesi occupati.

A Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno cinque occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso agricoltori e pescatori; pur non provocando feriti, ne hanno tuttavia interrotto le attività di sussistenza. In due distinte occasioni le forze israeliane hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo all’interno di Gaza, lungo la recinzione perimetrale. Inoltre, al valico di Erez, le forze israeliane hanno arrestato un malato che viaggiava per cure mediche ed un docente universitario, in viaggio per partecipare ad un progetto scientifico.

Nel periodo cui si riferisce il presente rapporto, sono stati registrati quattro episodi in cui coloni israeliani hanno causato ferimenti di palestinesi o danni alle loro proprietà. Nel villaggio di Burqa, vicino allo sgomberato insediamento di Homesh (Nablus), un ragazzo palestinese di 15 anni, mentre stava giocando vicino a casa, è stato aggredito fisicamente, spogliato dei vestiti e ferito da un gruppo di circa 20 coloni Israeliani; il ragazzo è stato trovato in stato di incoscienza e condotto in ospedale. Nella zona H2 di Hebron controllata da Israele, una donna palestinese di 55 anni è stata colpita con pietre e ferita da coloni israeliani. Almeno 43 ulivi palestinesi sono stati vandalizzati, secondo quanto riferito, da coloni israeliani dell’insediamento di Rechelim (Nablus); il fatto è avvenuto in un’area prossima all’insediamento il cui accesso, per i palestinesi, richiede il coordinamento preventivo con le autorità israeliane. A Jalud (Nablus), coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, hanno spianato con buldozer un terreno coltivato di proprietà palestinese.

In Cisgiordania, secondo le segnalazioni dei media israeliani, si sono verificati nove casi di lancio di pietre contro veicoli israeliani: non si sono avuti feriti, ma danni ad almeno quattro veicoli.

Durante le due settimane di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato aperto per tre giorni in entrata, consentendo a 2.055 pellegrini palestinesi di tornare nella Striscia di Gaza. Nel corso del 2017, il valico è stato parzialmente aperto per soli 26 giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 20.000 persone, tra cui casi umanitari, sono registrati e in attesa di attraversare.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

þ




Hamas si impegna a sciogliere il comitato amministrativo e a tenere elezioni

Ma’an News – 17 settembre 2017

Betlemme (Ma’an) – Hamas, il partito che di fatto governa la Striscia di Gaza, si è impegnato a sciogliere il proprio comitato amministrativo, che gestisce l’enclave costiera assediata, ed ha affermato di essere pronto a tenere elezioni generali, come passo per la riconciliazione con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) guidata da Fatah.

Una dichiarazione del movimento Hamas ha affermato che la decisione è una risposta ai recenti sforzi diplomatici dell’Egitto per riconciliare le fazioni rivali, mentre il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas ha chiesto ad Hamas di porre fine al comitato amministrativo, di restituire il controllo del piccolo territorio all’ANP e di tenere elezioni presidenziali e legislative.

Hamas e l’ANP guidata da Fatah sono stati coinvolti in un conflitto più che decennale dal 2006, quando Hamas vinse le elezioni legislative palestinesi e scoppiò un sanguinoso conflitto tra i due gruppi.

Nonostante numerosi tentativi di riconciliarli, i dirigenti palestinesi hanno ripetutamente mancato di dare seguito alle promesse di riappacificazione e di tenere le elezioni a lungo attese, in quanto entrambi i movimenti si sono spesso incolpati a vicenda dei numerosi errori politici.

Il movimento Hamas domenica ha affermato di aver sciolto il comitato amministrativo, formato all’inizio di quest’anno con grande indignazione dell’ANP, di accettare per la prima volta dal 2006 di tenere elezioni generali, di iniziare colloqui con Fatah e consentire al governo di riconciliazione nazionale di gestire Gaza.

Nell’aprile 2014 Hamas ha firmato un accordo di riconciliazione con l’OLP, che doveva preparare la strada ad elezioni generali entro la fine del 2014. Tuttavia quell’anno un devastante attacco israeliano di 50 giorni contro Gaza, così come una disputa sul pagamento dei salari a decine di migliaia di [membri delle] forze di sicurezza di Hamas, hanno bloccato subito il proseguimento dell’accordo verso la riconciliazione.

La crisi politica palestinese da allora non ha fatto che continuare a peggiorare, ed Hamas ha detto di aver formato il comitato dopo che il governo di intesa non si era preso la responsabilità dell’amministrazione di Gaza. L’ANP ha sostenuto che Hamas stava cercando di formare un “governo ombra” per rendere Gaza indipendente dalla Cisgiordania.

Negli ultimi mesi l’ANP è stata anche accusata di aver fatto cadere deliberatamente l’impoverita Striscia di Gaza ancor più in una catastrofe umanitaria – tagliando i finanziamenti per il combustibile da Israele, le medicine e i salari degli impiegati civili e degli ex-prigionieri – per strappare ad Hamas il controllo sul territorio.

Lo scorso mese Abbas ha minacciato di intraprendere ulteriori misure repressive contro il territorio impoverito se Hamas non avesse ottemperato senza condizioni alle richieste dell’ANP per porre fine al comitato amministrativo, restituire il controllo dell’enclave all’ANP e tenere elezioni presidenziali e legislative.

In seguito all’accettazione di queste condizioni basilari da parte di Hamas domenica, l’importante dirigente di Fatah Mahmoud Aloul ha detto all’agenzia di stampa Reuters di accogliere favorevolmente ma con cautela la posizione di Hamas. “Se questa è la dichiarazione di Hamas, allora si tratta di un segnale positivo,” avrebbe detto. “Noi del movimento Fatah siamo pronti a mettere in atto la riconciliazione.”

L’agenzia di stampa “Wafa”, dell’ANP, ha detto che anche il membro del comitato centrale di Fatah Azzam al-Ahmed ha plaudito alla decisione di Hamas di sciogliere il comitato amministrativo.

Al-Ahmed, che attualmente si trova al Cairo per i colloqui di riconciliazione con Hamas condotti dall’Egitto, ha detto a “Wafa” che si è tenuta una lunga riunione tra la delegazione di Fatah al Cairo e il capo dei servizi segreti egiziani, il ministro Khaled Fawzi, in cui hanno rinnovato i continui sforzi esercitati dall’Egitto per porre fine alla divisione interna palestinese.

Secondo il reportage di “Wafa” Al-Hamed ha confermato notizie secondo cui la delegazione di Fatah si è incontrata con i dirigenti di Hamas e “ha salutato l’appello di Hamas per un governo di unità che riprenda il suo lavoro normale a Gaza, così come il suo accordo per tenere elezioni presidenziali e legislative.”

Wafa” ha detto che il dirigente di Fatah ha anche affermato che ci saranno incontri bilaterali tra dirigenti di Fatah e di Hamas, seguiti da una riunione di tutte le fazioni palestinesi che hanno siglato l’accordo di riconciliazione del maggio 2011 “al fine di iniziare passi concreti per mettere in atto l’accordo,” ed ha espresso la speranza che nei prossimi giorni si possa “assistere a passi concreti e tangibili.”

Anche Nickolay Mladenov,  coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, ha rilasciato una dichiarazione in cui ha accolto positivamente l’annuncio di Hamas. “Plaudo al recente comunicato di Hamas in cui annuncia lo scioglimento del comitato amministrativo a Gaza e il consenso a permettere al governo di unità nazionale di prendere il controllo a Gaza,” ha affermato.

Mi congratulo con le autorità egiziane per i loro incessanti sforzi per determinare questa situazione positiva. Tutti i partiti devono cogliere questa opportunità per ristabilire l’unità ed aprire una nuova pagina per il popolo palestinese,” ha proseguito l’inviato dell’ONU. “Le Nazioni Unite sono pronte ad assistere qualunque tentativo a questo proposito. E’ fondamentale che la grave situazione umanitaria a Gaza, in particolare la durissima crisi elettrica, sia affrontata come una priorità.”

Questo sviluppo è arrivato inoltre dopo che la scorsa settimana il capo del comitato centrale del movimento Hamas Ismail Haniyeh ed altri importanti membri di Hamas si sono incontrati con funzionari dell’intelligence egiziana al Cairo, con colloqui centrati sulla disponibilità di lavorare per l’unità nazionale.

La dirigenza di Hamas ha detto agli egiziani di essere disposta a consentire al governo di riconciliazione nazionale palestinese di farsi carico di Gaza e di svolgere le elezioni, purché tutte le fazioni palestinesi tengano una conferenza al Cairo dopo l’elezione di un governo nazionale che si faccia carico della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e di Gerusalemme est.

Una fonte egiziana vicina ai servizi di sicurezza ha detto al giornale israeliano “Haaretz” che Hamas sta cercando di dimostrare all’Egitto che non sta ostacolando la riconciliazione e sta accogliendo le richieste, sperando di raccoglierne i frutti se e quando i colloqui dovessero essere messi in dubbio da parte dell’ANP.

Negli scorsi mesi Hamas ha cercato di migliorare i rapporti con il Cairo, incrementando la sicurezza sulle frontiere, compresa la costituzione di una zona cuscinetto militare, nella speranza che l’Egitto attenui l’applicazione del brutale assedio decennale israeliano del territorio ed apra il valico di Rafah.

Sabato anche una delegazione di Fatah inviata da Abbas al Cairo ha discusso dei tentativi egiziani per riconciliare i palestinesi.

Nel contempo domenica Abbas è arrivato a New York per partecipare ai lavori della settantaduesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Mercoledì, prima del discorso del presidente palestinese giovedì all’ONU, incontrerà il presidente USA Donald Trump.

(traduzione di Amedeo Rossi)