Ahed Tamimi è diventata il simbolo di una nuova generazione della resistenza palestinese

Ben Ehrenreich

24 dicembre 2017,The Nation

Sarebbe molto meglio, tuttavia, se potesse essere solo una ragazzina

Pronti a resistere?

Ahed Tamimi aveva 11 anni quando l’ho incontrata [per la prima volta], era una piccola cosa bionda, con i capelli quasi più grandi di lei. La ricordo fare delle smorfie quando ogni mattina sua madre scioglieva con il pettine i nodi [nei suoi capelli] nel loro soggiorno. La seconda volta andai ad una manifestazione a Nabi Saleh, il villaggio della Cisgiordania dove vive, e Ahed e sua cugina Marah finirono per guidare il corteo. Non perché lo volessero, ma perché la polizia di frontiera israeliana si mise ad inseguire tutti quanti, a sparare e lanciare granate assordanti e lei e Marah corsero davanti alla folla. Ed è stato così da allora. L’esercito israeliano continua a fare pressione – nel villaggio, nel cortile, nella casa, sotto la pelle, nelle teste e nei tessuti e nelle ossa dei suoi familiari ed amici –e Ahed finisce per andare davanti, dove tutti possono vederla. Era là di nuovo la scorsa settimana dopo che un video di lei che prende a schiaffi un soldato israeliano è diventato virale. Posso garantire che non è lì che lei vorrebbe essere. Vorrebbe piuttosto stare con i suoi amici, sui loro telefonini, facendo quello che fanno gli adolescenti. Preferirebbe essere una ragazzina piuttosto che un’eroina.

L’immagine di Ahed venne diffusa in tutto il mondo per la prima volta poco dopo che l’incontrai [per la prima volta]. In quella foto stava sollevando il suo magro braccio nudo per agitare il pugno davanti a un soldato israeliano grande due volte lei. I suoi commilitoni avevano appena arrestato suo fratello. All’improvviso divenne quello che nessun bambino dovrebbe mai essere: un simbolo.

Era allora il terzo anno delle manifestazioni a Nabi Saleh. I coloni israeliani avevano confiscato una sorgente nella valle tra il villaggio e la colonia di Halamish, e Nabi Saleh si era unito a un pugno di altri villaggi che avevano scelto il cammino della resistenza disarmata, manifestando per protestare ogni venerdì, settimana dopo settimana, contro l’occupazione. Il cugino di Ahed, Mustafa Tamimi, era già stato ucciso, colpito al volto da un candelotto lacrimogeno sparato da dietro una jeep dell’esercito israeliano. Suo zio materno, Rushdie Tamimi, sarebbe stato ucciso pochi mesi dopo. Nel novembre del 2012 un soldato israeliano gli sparò alla schiena appena sotto la collina su cui sorge la casa di Ahed . Non era affatto qualcosa di inconsueto, solo che il piccolo villaggio non si fermò. Iniziarono ad accumulare vittime, e continuarono a marciare, ogni venerdì, verso la sorgente. Non vi si sono quasi mai avvicinati. La maggior parte dei venerdì, prima di arrivare alla curva sulla strada, i soldati li fermavano con gas lacrimogeni e vari altri proiettili. L’esercito arrivava anche durante la settimana, in genere prima dell’alba, procedendo a fare arresti, perquisendo le case, seminando la paura, consegnando un messaggio diventato sempre più chiaro: le vostre vite, le vostre case, la vostra terra, persino i vostri corpi e quelli dei vostri bambini, niente vi appartiene.

La scorsa settimana i soldati sono arrivati per prendere Ahed. Mi risulta difficile comprenderlo ora, ma non avrei mai pensato che le potesse succedere. Pensavo che le sarebbe stato risparmiato, che le sarebbe stato consentito di finire la scuola e di andare all’università e senza questa interruzione sarebbe diventata la coraggiosa e brillante donna che un giorno era sicuramente destinata ad essere. Credevo che i suoi fratelli e suo cugino sarebbero tutti finiti in carcere prima o poi – la maggior parte di loro in effetti ci è finita – e che qualcuno di loro sarebbe rimasto ferito, o peggio. Ogni volta che vado a visitare Nabi Saleh e guardo i volti dei bambini cerco di non immaginare chi lo sarà, e quanto gravemente. Due venerdì fa, una settimana prima che Ahed cacciasse i soldati dal suo cortile, è stato ferito suo cugino Mohammed, uno degli amici più intimi del suo fratello minore. Un soldato gli ha sparato in faccia. La pallottola – rivestita di gomma, ma comunque una pallottola – si è conficcato nella sua testa. Una settimana dopo era ancora in coma farmacologico.

Se avete visto il video che ha portato al suo arresto, potreste esservi chiesti perché Ahed fosse così arrabbiata contro i soldati che sono entrati nel suo cortile, perché gridava loro di andarsene, perché li ha presi a sberle. Questa è la ragione. Questa e un migliaio di altre. Suo zio e suo cugino sono stati uccisi. Sua madre colpita a una gamba e con le stampelle per più di un anno. I suoi genitori e suo fratello portati via per mesi. E mai una notte di riposo senza la possibilità di doversi svegliare, come ha fatto martedì mattina presto, come ha dovuto fare per tante volte prima, con i soldati alla porta, nella sua casa, nella sua stanza, là per portare via qualcuno.

Non faccio affidamento sul sorprendente timore dell’opinione pubblica israeliana, o che un video di Ahed, senza paura, che schiaffeggia un soldato per obbligarlo ad uscire dal cortile, possa scuotere una simile faccia tosta. Ahed Tamimi non è stata arrestata per aver infranto la legge – Israele, nel suo controllo della terra che occupa, mostra uno scarso rispetto della legalità. È stata arrestata perché era su tutte le prime pagine e l’opinione pubblica e i politici stavano chiedendo che venisse punita. Hanno usato parole come “castrati” e “impotenti” per descrivere come si sentissero quando hanno visto quel soldato con il suo elmetto, il giubbotto antiproiettile e il fucile e la ragazzina con la maglietta rosa e la giacca a vento blu che lo ha messo in ridicolo. Ha fatto vergognare tutti quanti per tutta la loro forza, il loro potere, il loro benessere e la loro arroganza.

Il divario tra le due opposte fantasie che definiscono l’autorappresentazione di Israele non ha fatto che crescere negli anni: un Paese che si immagina ancora come Davide contro il Golia arabo – nobile, in inferiorità numerica e coraggioso –, mentre si compiace del suo esercito senza pari, letale e tecnologicamente sofisticato. Ahed ha mandato in frantumi queste due convinzioni. Di fronte al mondo, ha di nuovo messo in evidenza che Israele è il prevaricatore. E, guardando quel filmato, si sono resi conto che i loro fucili sono inutili, che la loro forza è una finzione. Ahed doveva essere punita per aver svelato questi segreti, per aver mostrato al mondo quanto deboli e paurosi sanno di essere. E così il ministro della Difesa del Paese con l’esercito tecnologicamente più avanzato al mondo è sceso dal suo trono per promettere di persona che non solo Ahed e i suoi genitori, ma “chiunque intorno a loro” avrebbero avuto “quello che meritano”. Il ministro dell’Educazione è stato più preciso: Ahed dovrebbe essere imprigionata a vita, ha detto, dato che il suo reato è stato così grave.

Per ora hanno arrestato Ahed, sua madre Nariman e sua cugina Nour, anche loro nel filmato. Hanno arrestato Nariman quando è andata al commissariato per vedere sua figlia e sono tornati a prendere Nour il giorno dopo. Gli uomini della propaganda hanno lavorato duro diffondendo menzogne – che Ahed non è una ragazzina o che non è palestinese, che i Tamimi non sono affatto una famiglia, o sono tutti quanti dei terroristi, che niente di tutto questo è vero, che l’occupazione non è un’occupazione e quello che pensi di vedere nel filmato è una finzione messa in scena per gli stranieri in modo da far apparire Israele come malvagio. Tutto è più facile da accettare della verità, che Ahed ha mostrato loro come sono, e come cinquant’anni di occupazione li hanno svuotati come Nazione, come li renda ogni giorno più deboli e più spaventati.

Per favore, non fate di Ahed un idolo. Gli eroi, quando sono palestinesi, finiscono per morire o dietro le sbarre. Lasciate che sia una ragazzina. Lottate per renderla libera, in modo che un giorno possa essere una donna qualunque, in una terra qualunque.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Come lo Stato Islamico tiene in ostaggio Gaza

Hamza Abu Eltarabesh

21 dicembre 2017,The Electronic Intifada

Quando Rami Fawda ha sentito che era prevista finalmente l’apertura del valico di Rafah, la sua reazione è stata di sollievo misto a preoccupazione.

Il sollievo era dovuto al fatto che il quarantaquattrenne ingegnere vive ad Ankara, in Turchia, dove lavora da 13 anni e vi doveva tornare. Era arrivato a Gaza durante l’estate per visitare la sua famiglia, solo per la seconda volta da quando era andato via, ma era rimasto bloccato, cercando inutilmente per tre volte di ottenere il passaggio attraverso Rafah – il confine tra Gaza e l’Egitto.

Allora Fawda ha cercato di andarsene in ottobre, quando le autorità egiziane hanno annunciato l’apertura prevista di Rafah in seguito ai tanto sbandierati negoziati preliminari di unità da poco conclusi tra i partiti palestinesi Fatah ed Hamas al Cairo. Ma anche questa possibilità è naufragata, questa volta a causa di un attacco ad un posto di controllo dell’esercito egiziano nel Sinai che ha causato 30 vittime, compresi sei soldati, attribuito al gruppo dello Stato Islamico.

Quell’attacco del 15 ottobre era la ragione della preoccupazione di Fawda. Negli ultimi mesi le rarissime aperture – il valico di Rafah è rimasto in funzione per soli 30 giorni circa in tutto il 2017 – sono state temporanee e di nuovo annullate in seguito ad attacchi di miliziani nel Sinai.

L’effetto concreto significa che i militanti del Sinai, molti dei quali hanno dichiarato la propria adesione allo Stato Islamico, con le loro azioni possono tenere in ostaggio due milioni di palestinesi di Gaza.

Non è più un problema egiziano

Fawda ha avuto maggiore fortuna a novembre, ma per un pelo. Il valico è stato aperto il 18 novembre per tre giorni, ed ha cercato di ottenere un permesso per andarsene. Se avesse tardato una settimana, quando il Cairo ha annunciato altri tre giorni di apertura, sarebbe di nuovo rimasto deluso. Il 24 novembre uomini armati hanno attaccato una moschea nel Sinai, uccidendo più di 300 persone. Il valico di Rafah è rimasto chiuso fino alla scorsa settimana.

Fawda ha parlato di controlli di sicurezza e di una ingente presenza militare al confine sul lato egiziano. Quando è stato raggiunto per telefono, ha detto ad Electronic Intifada che l’Egitto ha “la stessa paura che abbiamo noi.” Fawda ha affermato che i miliziani salafiti del Sinai, in precedenza di “Ansar Beit al-Maqdis”, che nel 2014 è diventato Stato Islamico – Provincia del Sinai, hanno di fatto unito le loro forze a Israele nell’ “assediare Gaza”.

Hanno sicuramente trovato un modo per fare pressione sia sull’Egitto che su Hamas. Hamas, spinto dalla necessità di aprire Gaza al mondo esterno, ha stipulato una serie di accordi con il Cairo per aiutare l’Egitto a combattere quella che è diventata una vera e propria insurrezione nel Sinai.

Questi includono la costituzione di una zona di sicurezza lungo il confine tra Gaza e il Sinai e l’arresto di miliziani del Sinai a Gaza e hanno già provocato la rottura dei rapporti da tempo difficili tra Hamas e i salafiti nella stessa Gaza che si è riacutizzata negli ultimi 10 anni.

Secondo Mukhaimer Abu Saada, un analista politico e docente all’università Al-Azhar di Gaza, Hamas ha pagato un prezzo per aver migliorato i suoi rapporti con l’Egitto. “Quando Hamas si è scagliata contro i militanti salafiti, lo Stato Islamico nel Sinai ha iniziato delle ritorsioni, minacciando le operazioni di Hamas lì, compresi i suoi interessi commerciali e il contrabbando di armi,” dice Abu Saada.

Il conflitto nel Sinai è quindi diventato una lotta più vasta, che ha un impatto diretto su Gaza. A Gaza Israele è universalmente visto come il principale beneficiario dell’ostilità tra lo Stato Islamico e Hamas.

E le tensioni generano altre tensioni. Le forze di sicurezza di Hamas hanno arrestato sospetti membri dello Stato Islamico nella zona di Tal al-Sultan a Rafah in risposta al primo attacco suicida rivendicato dallo Stato Islamico a Gaza in agosto. Che a sua volta è arrivato dopo che Hamas si è scagliato contro le infiltrazioni dentro e fuori Gaza.

Da allora il numero di arresti ha iniziato ad aumentare. Ashraf Issa, un ufficiale dei servizi di sicurezza interni di Gaza diretti da Hamas, ha detto a Electronic Intifada che ora ci sono 550 sospetti combattenti dello Stato Islamico in carcere a Gaza.

Ma in cambio ciò minaccia alcuni degli interessi vitali di Hamas, non ultimo il sistema di rifornimento attraverso il Sinai, da lungo tempo utilizzato come rotta di contrabbando per ogni genere di beni ed esigenze, così come di armi e munizioni.

Prendere di mira Hamas

Sicuramente questa è la minaccia che lo Stato Islamico vorrebbe rappresentare. Secondo uno dei dirigenti dello Stato Islamico del Sinai che opera con il nome di battaglia di Muhammad al-Yamani e che è stato raggiunto grazie al telefono di un parente, ogni operazione dello Stato Islamico “è una risposta alle azioni di Hamas e dell’Egitto contro i nostri membri.”

Al-Yamani ha giurato di continuare a colpire le posizioni militari egiziane nel Sinai e ha messo in guardia Hamas che, se continua ad arrestare membri dello Stato Islamico, “distruggeremo il loro sistema di approvvigionamento militare.”

Ha aggiunto: “Stiamo controllando tutti i convogli che attraversano il Sinai.”

Ha riattaccato prima che il giornalista potesse fargli altre domande.

I principali bersagli dello Stato Islamico nel Sinai sono gli egiziani. Significativamente, il 24 novembre uomini armati hanno aperto il fuoco in una moschea nei pressi di El Arish nel Sinai durante le preghiere del venerdì, il peggiore attacco di questo tipo nella storia contemporanea dell’Egitto.

Ma lo Stato Islamico è stato molto attivo anche nella zona di confine tra Gaza e l’Egitto. Lo scorso ottobre tre palestinesi che lavoravano nei pressi del confine sono stati rapiti con un’operazione attribuita allo Stato Islamico. Secondo Abd al-Rahman Odeh, un responsabile della sicurezza di Hamas, sono stati picchiati ed interrogati per circa 12 ore in territorio egiziano e poi rilasciati quando è risultato evidente che nessuno di loro era membro di Hamas.

Odeh insinua che l’operazione sia stato un tentativo di fare pressione su Hamas per uno scambio di prigionieri.

Poi, più tardi in ottobre, Tawfiq Abu Naim, il capo dei servizi di sicurezza interna di Hamas, è rimasto ferito da un’autobomba che Hamas ha definito un tentativo di assassinio fallito. Due membri del gruppo salafita di Gaza sono stati arrestati dopo l’attentato. Una fonte vicina agli investigatori, che ha parlato in condizione di anonimato, ha confermato che Hamas accusa lo Stato Islamico dell’operazione.

Sabotatori ovunque

Importanti esponenti di Hamas inizialmente hanno ipotizzato che dietro all’operazione ci fosse Israele, ma probabilmente più che altro per l’opinione pubblica. Sicuramente i miliziani salafiti hanno i loro motivi. Dalla nomina di Abu Naim, centinaia di salafiti a Gaza sono stati arrestati. Abu Naim è anche responsabile della sicurezza al confine tra Gaza e l’Egitto, dove negli ultimi mesi sono state piazzate alcune decine di posti di blocco.

Ciononostante c’è chiaramente una coincidenza di interessi tra la branca dello Stato Islamico nel Sinai e Israele nella loro lotta contro Hamas. Alcuni dirigenti di Hamas ed analisti hanno suggerito una collaborazione diretta che coinvolge Israele e lo Stato Islamico. Secondo Hussam al-Dajani, un docente di politica dell’università Uammah di Gaza, entrambi hanno interesse nell’uccisione di Abu Naim.

Israele voleva eliminare qualcuno che sia attivo nella resistenza; lo Stato Islamico voleva vendicarsi degli ostacoli che stanno affrontando a Gaza,” dice al-Dajani.

Anche le operazioni dello Stato Islamico nel Sinai hanno contribuito, se non sono state la ragione principale, ai ritardi nell’apertura a lungo promessa del valico di Rafah. Si parla persino di spostare l’attuale valico più vicino alla costa per fare in modo che sia più difficile da attaccare.

Secondo Ashraf Juma, un parlamentare di Fatah, non c’è ancora una decisione a questo proposito. “Abbiamo presentato la richiesta all’Egitto e se ne è discusso, ma non abbiamo ancora ricevuto una conferma,” dice.

L’apertura del valico di Rafah è fondamentale e rimane il tallone d’Achille di Hamas. È l’unico valico per entrare ed uscire da Gaza che ha la possibilità di rimanere a breve termine sempre aperto e per ogni uso ragionevole.

Israele ha imposto un blocco di Gaza da più di 10 anni che il Cairo ha per lo più assecondato.

Questa chiusura ha avuto drammatici effetti economici e sociali su questa striscia di terra costiera stretta e sovrappopolata che è stata a lungo sull’orlo di un disastro umanitario e che le Nazioni Unite ritengono sarà inabitabile entro il 2020.

Come Hamas ha già dimostrato, sta cercando di prendere decisioni difficili, tranne consegnare le sue armi, per garantire che Gaza si apra di nuovo al mondo. Ciò include la fine formale del governo esclusivo su Gaza così come combattere i miliziani salafiti a Gaza e nel Sinai.

L’Egitto – oltre alla cooperazione per reprimere l’insurrezione nel Sinai – è interessata anche a questo. Se fatto in modo corretto, consentire l’attraversamento di Rafah potrebbe stimolare la poco soddisfacente economia aprendo un nuovo mercato per i prodotti egiziani e fornendo al contempo un centro per l’economia del Sinai, oltre al contrabbando ed al turismo.

Ma i sabotatori sono ovunque, non ultimo lo Stato Islamico- Provincia del Sinai.

Hamza Abu Eltarabesh è un giornalista e scrittore freelance di Gaza.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Il New York Times cerca di mettere a tacere la vicenda di Ahed Tamimi

James North

23 dicembre 2017,Mondoweiss

Oggi il New York Times ha pubblicato un articolo sul modo molto diverso in cui israeliani e palestinesi considerano l’episodio degli schiaffi che ha visto coinvolti la sedicenne Ahed Tamimi e un soldato israeliano.

Il titolo è “Atti di resistenza e di repressione in Cisgiordania che sfuggono ad una facile definizione”, ed è stato scritto da David Halbfinger.

L’articolo fa di tutto per minimizzare il caso, in cui una coraggiosa ragazza di sedici anni, il cui cugino era stato da poco colpito, si ribella alla disumanità dell’occupazione. No, il senso dell’articolo è fare in modo che i sostenitori di Israele che potrebbero aver sentito parlare della vicenda scuotano la testa sulla “doppia narrazione”, per tornare ai propri affari.

Ecco il piano di insabbiamento del Times:

1.Fare in modo che nell’edizione a stampa non compaia nessuna delle impressionanti foto divenute virali della coraggiosa resistenza di Ahed Tamimi.

2.Non dire da nessuna parte che gli israeliani sono occupanti e che gli insediamenti (le colonie) sono illegali in base alle leggi internazionali.

3. Infilarci astutamente il seguente paragrafo: “L’apparente incoraggiamento della famiglia alle rischiose sfide della ragazzina ai soldati offende alcuni palestinesi e manda in bestia molti israeliani.”

4.Citare di sfuggita il fatto che l’illegale insediamento/colonia di Halamish ha preso il controllo dell’accesso del villaggio di Nabi Salh alla sua sorgente e non fare nessun tentativo di dare conto di chi abbia ragione. Trattare invece la questione come se fosse un “da una parte… ma dall’altra…”

5. Nella prima frase, far sembrare che il soldato israeliano sia la vittima: “Una ragazzina, con una kefiah sulla giacca di jeans, urlando in arabo, colpisce ripetutamente, schiaffeggia e prende a calci un ufficiale dell’esercito israeliano pesantemente armato, che l’affronta impassibile, incassando qualche colpo, schivandone altri, ma senza mai reagire.” (Di sicuro vi concentrate sulla kefiah e sugli “urli in arabo”: perle di perfetto orientalismo).

6. Far in modo che il colono Yossi Klein Halevi [presentato nell’articolo del NYT come uno scrittore e intervistato dal giornalista, ndt.] ribadisca il concetto che l’israeliano è la vittima: “La mia prima reazione è stata che sono fiero dei soldati, ma ero anche incerto: questo potrebbe incitare altre aggressioni, anche più gravi?”

7. Aggiungere un altro odioso paragrafo: “…la scena di una giovane donna trascinata via potrebbe aver fornito ai palestinesi l’evidente colpaccio propagandistico che gli era stato negato all’inizio dell’incidente.”

8. Mettere solo nel tredicesimo paragrafo l’informazione che ore prima dello scontro un soldato israeliano aveva sparato in faccia al cugino di Ahed Tamimi. Ignorare il nome del cugino, Mohammad, e la gravità delle ferite. No, per saperlo devi andare su Al Jazeera.

9 Citare 6 israeliani ebrei e solo 4 palestinesi. Ma soprattutto non citare nessun membro della coraggiosa famiglia Tamimi, nonostante siano stati menzionati nel fondamentale articolo di Ben Ehrenreich apparso sul “New York Times Magazine” [supplemento domenicale del NYT, ndt.] a proposito di Nabi Saleh. E nonostante il fatto che l’episodio degli schiaffi [al militare] sia avvenuto quando il soldato aveva violato la loro proprietà.

P.S. Louis Allday, un dottorando alla School of Oriental and African Studies [Scuola di Studi Orientali ed Africani, ndt.] dell’università di Londra, che sta digitalizzando documenti coloniali, aggiunge [citazioni da un tweet, ndt.]: 23 dicembre: Questo non è neppure un commento di opinione, questo è un reportage del responsabile della redazione di Gerusalemme del New York Times, David M. Halbfinger.

Lo strenuo tentativo di Halbfinger di far sì che qualcosa di molto semplice ed ovvio risulti complicato (elogiando efficacemente la “moderazione” israeliana) è un chiaro esempio di come i mezzi di comunicazione in generale parlino della Palestina, soprattutto il NYT.

(Una correzione: il post originale diceva: “La maggior parte di persone legge ancora il Times su carta.” In realtà il Times ha 2,5 milioni di abbonati alla versione digitale, contro 1 milione di abbonati alla versione cartacea).

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Politici, membri di una famiglia reale e persone famose si esprimono a favore dell’adolescente palestinese che ha schiaffeggiato dei soldati

Mustafa Abu Sneineh

Middle East Eye – Venerdì 22 dicembre 2017

Dopo che questa settimana la diciassettenne è comparsa in un tribunale militare israeliano, personaggi importanti hanno condiviso messaggi di appoggio ad Ahed al-Tamimi

Da un parlamentare britannico a un membro della famiglia reale giordana a un famoso cantante palestinese, continua la solidarietà internazionale ed araba con un’adolescente palestinese che è stata arrestata questa settimana dopo aver schiaffeggiato soldati israeliani nel cortile di casa sua.

Ahed al-Tamimi, 17 anni, è stata arrestata all’alba del 19 dicembre, quando soldati israeliani hanno fatto irruzione in casa della sua famiglia ad Al-Nabi Saleh, un piccolo villaggio nei pressi di Ramallah, nella Cisgiordania occupata.

L’esercito israeliano ha perquisito la casa degli al-Tamimi, impossessandosi di computer portatili, telefonini ed apparecchi elettronici di proprietà della famiglia.

L’arresto di Ahed è avvenuto dopo che un filmato, che la mostra mentre schiaffeggia e prende a calci soldati israeliani armati con fucili M16, elmetti e giubbotti antiproiettile, è diventato virale nelle reti sociali israeliane.

Il video sarebbe stato filmato il 15 dicembre con un telefonino davanti alla casa degli al-Tamini. Non mostra nessuna ferita grave provocata ai soldati.

Il padre di Al-Tamimi, Bassem, ha scritto il 19 dicembre su Facebook che sua figlia ha reagito dopo che il 15 dicembre i soldati israeliani hanno sparato a suo cugino, Mohammed al-Tamimi, mentre stava protestando contro la decisione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele.

Il quattordicenne sarebbe in coma farmacologico dopo che i soldati israeliani gli hanno sparato al volto con un proiettile di gomma.

Mercoledì un tribunale militare israeliano ha prolungato la detenzione di Ahed fino al 25 dicembre. Lei non ha ricevuto un’accusa formale.

Dopo l’udienza in tribunale, Bassem ha detto ai giornalisti di essere orgoglioso di sua figlia.

Ma sono preoccupato per lei perché si trova nelle mani di questo regime terrorista e non ho fiducia in questo tribunale perché è parte dell’occupazione,” ha affermato. “Aiuta l’occupazione e l’occupante ad essere ancora più ostili contro i palestinesi.”

Anche la madre di Ahed, Nariman, è stata arrestata il 19 dicembre, mentre sua cugina, Nour al-Tamimi, di 21 anni, che compare nel filmato, è stata arrestata il 20 dicembre e neanche loro sono state formalmente incriminate.

Il ministro della Pubblica Istruzione israeliano Naftali Bennett [del partito dei coloni “La casa ebraica”, ndt.] ha detto alla radio dell’esercito che le due ragazze palestinesi, Ahed e Nour, coinvolte nell’incidente, “dovrebbero finire la loro vita in prigione”.

Le giovani e la madre di Ahed sono state portate nella prigione di HaSharon, a nord della città di Herzilya, in Israele, fino alla prossima udienza in tribunale il prossimo lunedì.

Lasciatele libere”

Il video virale dell’incidente e dell’arresto delle tre ha ottenuto una vasta eco.

Il segretario del partito Laburista britannico Jeremy Corbyn ha detto che Ahed al-Tamimi “non dovrebbe essere imprigionata perché i minori non dovrebbero stare in prigione.”

Se la gente lotta per i propri diritti, gli dovrebbe essere consentito di farlo,” ha detto Corbyn. “Dobbiamo mandarle (ad Ahed) un messaggio di sostegno e dire alle autorità: per favore, basta con le incarcerazioni di bambini. Lasciatele libere e permettete loro di essere dei bambini.”

Venerdì parlamentari britannici hanno presentato una prima mozione che ha raccolto decine di firme e chiede l’immediato rilascio di al-Tamimi.

La mozione sostiene che al-Tamimi è stata presa di mira perché i suoi genitori sono i capi della resistenza contro l’occupazione del loro villaggio. Chiede anche che il governo britannico dica ad Israele che azioni messe in atto senza “reali rischi riguardanti la sicurezza violano le leggi che regolamentano l’occupazione militare.”

Il membro della famiglia reale, principe Ali Bin Al-Hussein, fratellastro del re Abdullah II, questa settimana ha twittato a proposito di al-Tamimi.

È questo che fa realmente paura a Israele e a Netanyahu?” ha scritto Al-Hussein. “Una ragazzina di 16 anni, che ha il coraggio di difendere i propri diritti come adolescente di fronte a un’occupazione illegale che infrange tutte le regole delle leggi internazionali? Liberatela!!”

Il famoso cantante pop palestinese Mohammed Assaf, che ha vinto la seconda stagione dello spettacolo televisivo “Arab Idol” nel 2013, a twittato il suo appoggio definendo anche la ragazza “la donna libera, la bellezza della Palestina.”

Far impazzire Israele”

Gli arresti dei membri della famiglia al-Tamimi sono gli ultimi dopo che più di 450 palestinesi sono stati arrestati da quando Trump ha fatto l’annuncio su Gerusalemme il 6 dicembre, scatenando proteste generalizzate e una condanna in tutto il mondo.

La famiglia è in prima fila nella lotta contro le colonie israeliane illegali in Cisgiordania. Il loro villaggio, Al-Nabi Saleh, [composto da] 600 abitanti palestinesi, è circondato dalla colonia illegale israeliana di Halamish. Dal 2010 attivisti filo-palestinesi tengono ogni settimana una manifestazione nella zona contro la confisca delle terre del villaggio da parte di Israele.

In estratti da un breve documentario che ha circolato sulle reti sociali dopo il suo arresto, Ahed descrive le difficoltà che deve affrontare ai posti di blocco israeliani quando vuole andare a scuola. Dice anche di sognare di diventare una giocatrice di pallone.

Nel 2012, dopo che aveva vinto il premio turco “Handala Courage” [premio assegnato da un municipio di Istanbul che prende il nome dal personaggio di un fumetto palestinese, ndt.] per aver sfidato le truppe israeliane nel suo villaggio, ha fatto colazione con il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan.

Questa settimana il giornale israeliano Yediot Ahronot ha pubblicato un articolo in prima pagina su Ahed con il titolo “La provocazione non funziona: alcuni soldati si controllano di fronte alla provocazione di una ragazza.”

Su Haaretz il giornalista e collaboratore occasionale di MEE Gideon Levy ha analizzato come Ahed “ha fatto impazzire Israele”.

La ragazzina di Nabi Saleh ha infranto una serie di miti degli israeliani. Peggio di tutti, ha osato danneggiare il mito israeliano della mascolinità,” ha scritto Levy.

Improvvisamente è risultato che l’eroico soldato, che veglia su di noi giorno e notte con audacia e coraggio, è stato messo contro una ragazza a mani nude. Che cosa ne sarà del nostro machismo, che Tamimi ha così facilmente infranto, e del nostro testosterone?”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Netanyahu è orgoglioso del miglioramento dei rapporti diplomatici di Israele, ma il voto dell’ONU dà una lezione di umiltà

Noa Landau

22 didembre 2017,Haaretz

Le molte dichiarazioni del primo ministro negli ultimi due anni riguardo ad un presunto e vistoso cambiamento nell’atteggiamento del mondo verso Israele non hanno superato la prova della realtà.

Più passava il tempo prima della sconfitta all’Assemblea generale dell’ONU, tanto più a Gerusalemme cambiavano le aspettative sui risultati attesi.

All’inizio Israele ha cercato di convincere più Paesi possibile a votare contro la risoluzione, ma quando le esplicite minacce americane di tagliargli gli aiuti non hanno cambiato in modo significativo la situazione, il principale tentativo fatto è stato centrato sul convincere i leader almeno ad astenersi o ad andarsene improvvisamente per le vacanze di Natale e assentarsi dall’aula. E se questo non avesse funzionato, che per lo meno abbassassero il tono dei loro discorsi durante il dibattito.

Dopo il voto, il primo ministro Benjamin Netanyahu ed il suo ministro degli Esteri, Benjamin Netanyahu [Netanyahu ricopre entrambi gli incarichi, ndt.], hanno risposto all’unisono: “Israele rifiuta la risoluzione dell’ONU ed esprime la sua soddisfazione per il grande numero di Paesi che non hanno votato a favore della risoluzione,” rallegrandosi delle astensioni e festeggiando le assenze.

La maggiore delusione per Israele è venuta dai Paesi che negli ultimi anni hanno rafforzato i rapporti bilaterali, soprattutto quelli che condividono con il governo Netanyahu una visione molto conservatrice. Per esempio l’India, il cui primo ministro Narendra Modi ha visitato Israele in luglio – un viaggio memorabile soprattutto per le immagini bucoliche di lui e Netanyahu abbracciati che sguazzavano nelle onde – ha votato la risoluzione contro Israele e contro gli Stati Uniti. Durante la sua visita Netanyahu aveva definito Modi “un’anima gemella”. Ma anche con la visita bilaterale prevista a metà del prossimo mese, l’India non cambiato idea sul proprio rifiuto di astenersi.

Altre delusioni significative sono venute dalla Grecia e da Cipro, con cui è stato firmato molto recentemente un accordo per il gas naturale. La Russia e la Cina che Netanyahu loda in continuazione per i loro calorosi rapporti con Israele, hanno di nuovo votato, come al solito, per la posizione palestinese.

Un diplomatico israeliano ha detto che il principale insegnamento da trarre da questo episodio potrebbe essere una “lezione di umiltà”. Alla luce del voto del consiglio a New York, dove 128 quadratini luminosi verdi sono apparsi al suono di fragorosi applausi che sono rimbombati nell’aula quando si è saputo il risultato, le molte dichiarazioni del primo ministro negli ultimi due anni riguardo al presunto cambiamento significativo dell’atteggiamento del mondo verso Israele ora appaiono a dir poco diverse.

Ma ci sono state anche modeste consolazioni. Sei Paesi hanno rotto l’unanimità dell’Unione Europea ed hanno accolto le pressioni israeliane ad astenersi. L’Ungheria ed il suo leader Orban hanno guidato la ribellione, insieme alla Repubblica Ceca, il cui primo ministro è stato messo sotto pressione da Netanyahu prima del voto, ed alla Polonia, la cui posizione in Europa è comunque indebolita, e insieme a Croazia, Lettonia e Romania hanno votato per la risoluzione. Austria e Lituania, anche loro considerate amiche di Israele, hanno votato a favore della risoluzione. E ad ogni modo l’astensione dei Paesi dell’Europa orientale, come ha spiegato dalla tribuna il rappresentante della Cechia, è stata debole: “Non ci opponiamo alla posizione dell’Unione Europea sulla questione di Gerusalemme (la salvaguardia dei confini del 1967), ma ci asteniamo perché non pensiamo che il voto di questo pomeriggio farà progredire la pace.”

Il ministro degli Esteri ha riservato i suoi commenti più negativi all’”Europa classica”, alla Germania, per esempio. Alcuni Paesi africani, in cui Israele sta investendo un notevole impegno, si sono astenuti (per esempio il Rwanda e il Sud Sudan) o erano assenti (come il Kenia), mentre uno, il Togo, ha persino votato contro la risoluzione. È anche interessante notare l’astensione dell’Argentina, che Netanyahu ha visitato quest’anno. Tuttavia, in sostanza, se prendiamo in considerazione i viaggi di Netanyahu quest’anno, e sono stati molti – 59 giorni all’estero – non ci sono prove che queste visite abbiano dato risultati giovedì all’Assemblea Generale dell’ONU.

Rispetto agli esiti di importanti votazioni precedenti, per esempio nel 2012 sulla promozione dei palestinesi allo status di osservatori, c’è qualche miglioramento per quel che riguarda il governo: allora votarono “sì” 138 Paesi; questa volta lo hanno fatto “solo” 128. Ma questa volta non è stato messo alla prova solo il sostegno a Israele, era sotto esame soprattutto l’appoggio agli Stati Uniti. Poiché negli scorsi giorni il presidente Donald Trump e la sua ambasciatrice alle Nazioni Unite, Nikki Haley, non hanno esitato da fare esplicite minacce (“di prendere i nomi”) e di vendicarsi di chi avesse votato “sì” tagliando gli aiuti USA a quei Paesi, i quadratini verdi sulla lavagna elettronica hanno segnato non solo il chiaro appoggio della maggior parte dei Paesi alla soluzione dei due Stati all’interno dei confini del 1967, ma anche una crescente sfiducia nell’amministrazione Trump come mediatrice neutrale nel conflitto e nello stesso Trump come leader di una potenza mondiale.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




L’ONU è indulgente sull’uccisione da parte di Israele di un disabile palestinese

Ali Abunimah

19 Dicembre 2017, Electronic Intifada

L’alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti si è unito alla condanna di Israele per l’uccisione di un disabile palestinese nella Striscia di Gaza occupata.

Ma mentre Zeid Ra’ad Al Hussein [alto commissario ONU per i diritti umani, ndt.] definisce l’uccisione di Ibrahim Abu Thurayya “incomprensibile” a un “atto davvero scioccante e immotivato,” il suo ufficio non procede ad imputare alcuna responsabilità reale a Israele.

Si dimostra così il doppio standard secondo cui Israele è trattato più indulgentemente dall’ONU rispetto ad altri responsabili di crimini umanitari.

Abu Thurayya, 29 anni, ha perso entrambe le gambe in un attacco aereo israeliano nel 2008. Lo scorso venerdì ha partecipato a manifestazioni a Gaza vicino alla recinzione di confine con Israele per protestare contro il riconoscimento di Gerusalemme capitale israeliana.

Abu Thurayya “protestava a circa 15 metri dalla recinzione est di Gaza quando è stato colpito da una pallottola, seduto sulla sua sedia a rotelle”, ha dichiarato il gruppo per i diritti umani Al-Haq.

Colpito a morte sulla sedia a rotelle, con in mano una bandiera

Secondo la documentazione di Al-Haq e il filmato dell’incidente, Abu Thurayya “aveva solo in mano una bandiera palestinese e non rappresentava affatto una minaccia [per le forze di occupazione israeliane]) quando gli hanno sparato alla fronte in quello che sembra essere stato un deliberato assassinio.”

Una dichiarazione rilasciata martedì dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein riconosce i fatti e afferma che “non c’è assolutamente nulla che suggerisca che Ibrahim Abu Thurayya rappresentasse una minaccia imminente di morte o di gravi ingiurie quando è stato ucciso.”

La dichiarazione aggiunge: “Data la sua grave disabilità, che deve essere stata chiaramente visibile a chi gli ha sparato, la sua uccisione è incomprensibile – un atto davvero scioccante e immotivato.”

Tuttavia, la dichiarazione è molto lontana da ciò che ci si aspetterebbe in una situazione così grave.

Linguaggio blando

L’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha anche dichiarato che le altre uccisioni e ferite inferte da Israele a centinaia di palestinesi nello stesso giorno sollevano “serie preoccupazioni riguardo al fatto che la forza usata dalle forze israeliane fosse adeguatamente calibrata alla minaccia.”

Questo linguaggio mite sembra giustificare e a spiegare razionalmente l’uso della forza da parte dell’esercito di occupazione contro i dimostranti civili, mentre fa cortesemente appello all’occupante ad essere un po’ meno brutale.

La cosa più preoccupante, tuttavia, è l’appello a Israele dell’ufficio ONU per i diritti umani “ad aprire immediatamente un’indagine indipendente e imparziale su questo incidente e su tutti gli altri che hanno provocato lesioni o morti, al fine di individuare i responsabili di eventuali crimini commessi.”

L’ONU sa perfettamente che Israele è assolutamente incapace di fare indagini su di sé in modo serio. La dichiarazione prende anche atto che sull’uccisione di Abu Thurayya “si è svolta un’inchiesta preliminare interna all’esercito israeliano”.

Quella “inchiesta” è già giunta alla conclusione che le forze israeliane non hanno fatto nulla di male e non hanno mostrato “alcuna mancanza morale o professionale” nello sparare a morte a un disabile.

L’ufficio di Zeid certamente sa che questo genere di impunità è sistematico.

I gruppi per i diritti umani hanno consegnato alla Corte penale Internazionale dell’Aia montagne di prove sulle violazioni israeliane, compresi crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Sono crimini su cui Israele ha rifiutato di indagare.

Sembra che la Corte Penale Internazionale stia tergiversando nei casi che riguardano Israele.

Secondo Al-Haq, le uccisioni israeliane di manifestanti palestinesi venerdì “potrebbero rappresentare degli omicidi volontari, una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra e un crimine di guerra che rientra nella giurisdizione della Corte Penale Internazionale”.

Tuttavia, nella sua dichiarazione su Abu Thurayya, l’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite omette di richiamare la Corte Penale Internazionale affinché si opponga vigorosamente alla sistematica impunità di Israele.

Richieste di intervento

Tutto ciò è in aperto contrasto con le richieste dell’ufficio per i diritti umani al Tribunale Internazionale di occuparsi di Paesi come la Siria, il Burundi, la Corea del Nord e il Myanmar.

Zeid ha anche chiesto “un’indagine internazionale sulle violazioni dei diritti umani in Venezuela per individuare i responsabili.

La richiesta di intervento in Venezuela si basava sulla sua valutazione che “l’attuale sistema è inadeguato” e dovesse essere “riconfigurato con il sostegno e il coinvolgimento della comunità internazionale”.

La dichiarazione su Abu Thurayya non è purtroppo l’unico segno della faziosità per cui l’ONU tratta Israele con i guanti di velluto.

Su mandato del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, l’ufficio di Zeid sta stilando un database delle imprese che operano negli insediamenti israeliani sulla terra palestinese occupata.

All’inizio il database avrebbe dovuto essere pubblicato questo mese, ma l’ufficio di Zeid ha riferito di averlo accantonato in seguito a pesanti pressioni da parte di Israele e Stati Uniti, suscitando preoccupazione nei gruppi per i diritti umani.

E nel 2016, pur dicendo di essere “estremamente preoccupato” per l’uccisione senza verdetto da parte di un medico militare israeliano di un palestinese ferito, l’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani è parso esigere che i palestinesi sotto occupazione militare debbano garantire la sicurezza dei loro occupanti.

(traduzione di Luciana Galliano)




Colono israeliano uccide un contadino ma vengono accusati dei palestinesi

Maureen Clare Murphy

19 dicembre 2017,Electronic Intifada

Un palestinese – ma ancora nessun israeliano – deve rispondere di gravi accuse in merito a uno scontro tra coloni e abitanti di un villaggio della Cisgiordania, che lo scorso mese ha lasciato un bilancio di un contadino palestinese ucciso.

Muhammad Wadi è stato accusato di tentato omicidio da un tribunale militare israeliano.

Il quotidiano israeliano Haaretz informa che l’atto di accusa sull’incidente del 30 novembre nel villaggio di Qusra sostiene che Wadi è entrato in una grotta in cui un gruppo di bambini e un adulto si erano rifugiati ed ha lanciato grosse pietre contro di loro da distanza ravvicinata, ferendo l’adulto alla testa.

Il giornale aggiunge che altri diciannove palestinesi sono stati arrestati perché sospettati di essere coinvolti [nell’episodio].

Lo scontro mortale è avvenuto quando un gruppo di bambini sono stati portati a fare un’escursione nei pressi del villaggio palestinese come parte di una festa di bar mitzvah [rito ebraico che celebra l’ingresso a pieno titolo nella comunità dei bambini maschi di 13 anni, ndt.].

I coloni sostengono che gli abitanti di Qusra li hanno attaccati e che uno degli accompagnatori dell’escursione ha sparato con il suo fucile per difendersi, uccidendo Mahmoud Zaal Odeh, di 48 anni.

Lo sparatore è stato interrogato dalla polizia in quanto sospettato di omicidio colposo e successivamente rilasciato.

Il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha affermato che l’israeliano ha agito “per legittima difesa”, sostenendo che un gruppo di palestinesi ha tentato di “linciare” i bambini.

I miei ringraziamenti e il mio apprezzamento alla scorta armata che ha salvato gli escursionisti da un pericolo evidente ed immediato per le loro vite,” ha aggiunto.

Gli abitanti di Qusra, tuttavia, hanno detto ai mezzi di comunicazione che Odeh stava lavorando la propria terra quando è stato colpito.

Secondo il gruppo per i diritti umani “Adalah” a insaputa e senza il permesso della sua famiglia l’esercito israeliano ha portato il corpo di Odeh a Tel Aviv per l’autopsia, prima che venisse restituito ai suoi cari per il funerale.

Una settimana dopo, decine di coloni sono tornati a Qusra per continuare l’escursione con una massiccia scorta militare e insieme al vice ministro degli Esteri israeliano Tzipi Hotovely ed al ministro dell’Agricoltura Uri Ariel:

Circa 100 coloni arrivano fuori da Qusra per terminare il percorso del bar mitzvah che era finito in scontri con palestinesi la scorsa settimana. Ad accompagnare il ragazzino del bar mitzvah è il ministro Uri Ariel.

Alla domanda se fosse proprio il caso di portare così tanti bambini in una zona che si sta ancora tranquillizzando dopo la violenza della scorsa settimana, Ariel ha detto: “Abbiamo un forte esercito e ci sentiamo sicuri ovunque andiamo sulla nostra terra.”

E si parte. Si uniscono alla festa anche il vice ministro degli Esteri Tzipi Hotovely e Itamar Ben Gvir” [citazione di una cronaca twittata da Jacob Magid, giornalista del quotidiano indipendente israeliano “Times of Israel”, ndt.]

Con loro c’era anche Itamar Ben Gvir, un colono, militante di estrema di destra e avvocato che è considerato “un amico a cui rivolgersi” per gli israeliani che hanno commesso atti di violenza contro i palestinesi, compresi due adolescenti sospettati di essere coinvolti in un attacco incendiario che ha ucciso tre membri di una famiglia palestinese in un villaggio della Cisgiordania [a Duma, nei pressi di Nablus, in cui morì anche un bambino di 18 mesi, ndt.] nel 2015.

Sarit Michaeli, responsabile internazionale del gruppo israeliano per i diritti umani “B’Tselem”, ha definito l’escursione una “sfilata provocatoria dei coloni”.

La gita si è conclusa con una foto di gruppo e un raduno alla grotta in cui i coloni accusano i palestinesi di aver assediato il gruppo di bambini.

Violenza dei coloni

Gli abitanti di Qusra sono da molto tempo vittime di violenze, danni alle proprietà e vessazioni da parte dei coloni.

Nel settembre 2011 la moschea del villaggio è stata devastata e bruciata con gomme incendiate come atto di “price tag” [lett. “pagare il prezzo”; indica le azioni di rappresaglia dei coloni contro i palestinesi, ndt.] o vendetta dopo che la polizia ha demolito tre strutture dell’avamposto non autorizzato dei coloni “Migron”.

Quello stesso mese l’abitante di Qusra Issam Badran è stato ucciso dai soldati durante scontri che sono scoppiati dopo che i coloni sono entrati nelle terre del villaggio.

Un’inchiesta dell’esercito riguardo all’uccisione di Badran è stata chiusa senza che venisse presentato un atto d’accusa. Nel gennaio 2014 gli abitanti di Qusra hanno bloccato più di dodici coloni che avevano fatto incursione nel villaggio e avevano tentato di sradicare ulivi.

Gli abitanti di Qusra sono stati anche sottoposti a incursioni notturne nelle loro case da parte delle forze israeliane come parte delle loro “procedure di mappatura” per censire tutta la popolazione civile palestinese.

Invece un minore israeliano della vicina colonia di Itamar che aveva aggredito un attivista dei diritti umani e lo aveva minacciato con un coltello è stato condannato a svolgere un lavoro socialmente utile per l’incidente dell’ottobre 2015.

L’adolescente aveva attaccato Arik Ascherman, allora capo di Rabbis for Human Rights [gruppo di rabbini che si oppone all’occupazione dei territori palestinesi, ndt.], mentre quest’ultimo stava aiutando un contadino palestinese a raccogliere le olive.

Haaretz ha informato che la giudice che ha emesso la sentenza contro il giovane “ha scritto di aver optato per i lavori socialmente utili perché una detenzione avrebbe potuto danneggiare le possibilità per il ragazzo di essere arruolato nell’esercito israeliano, e perché era convinta che avesse buone possibilità di essere rieducato.”

L’adolescente era rappresentato in giudizio da Itamar Ben-Gvir.

Bambini palestinesi arrestati da Israele per imputazioni come aver tirato pietre ai soldati non godono di una simile indulgenza.

Un crescente numero di parlamentari statunitensi sta appoggiando una legge che imporrebbe al Segretario di Stato [il ministro degli Esteri USA, ndt.] di attestare ogni anno che nessuno dei fondi USA destinati ad Israele venga utilizzato per “finanziare la detenzione militare, gli interrogatori, gli abusi o i maltrattamenti contro i bambini palestinesi.”

La legge condanna i procedimenti giudiziari israeliani contro i minori palestinesi nei tribunali militari, mentre nello stesso territorio i coloni israeliani sono sottoposti alle leggi civili.

Nella Cisgiordania occupata Israele mette in atto un sistema giuridico a due livelli: i palestinesi sono sottoposti ai tribunali militari, in cui viene loro negato un processo minimamente equo e si trovano a dover affrontare una detenzione quasi certa, mentre i coloni israeliani sono soggetti alla giurisdizione della polizia e dei tribunali civili israeliani.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Un ragazzo palestinese ripreso in una foto virale sarà giudicato da un tribunale con il 99,74% di probabilità di condanna

Sheren Khalel

18 dicembre 2017, Mondoweiss

Fawzi al-Junaidi, di 16 anni, affronterà oggi un’audizione presso un tribunale militare israeliano, dopo essere stato detenuto dagli israeliani per più di una settimana.

Junaidi è stato arrestato durante gli scontri scoppiati nella città di Hebron, nella Cisgiordania occupata, il 7 dicembre, il giorno dopo l’annuncio del Presidente USA Donald Trump del riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele.

Una foto scattata dal fotografo Wisam Hashlamoun durante l’arresto è diventata virale: mostrava il ragazzo disorientato e bendato mentre era malmenato, circondato da almeno venti soldati israeliani armati quando è stato portato via.

Brad Parker, dirigente ed avvocato per la Difesa Internazionale di ‘Defense for Children International – Palestine (DCIP)’, ha detto a Mondoweiss che la foto dovrebbe essere considerata come un simbolo delle normali pratiche israeliane riguardo ai ragazzi palestinesi, e non come una situazione eccezionale.

L’immagine ha fornito un’istantanea vivida e cruda della disparità di potere implicita nell’occupazione militare israeliana dei palestinesi ed ha contribuito a palesare i continui e diffusi maltrattamenti, sistematici ed istituzionalizzati, dei minori palestinesi detenuti dalle forze israeliane”, ha detto Parker.

L’avvocata di Fawzi, Farah Bayadsi, ha riferito ai media che il ragazzo era stato picchiato e presentava “contusioni sul collo, sul petto e sulla schiena.” Il ragazzo ha detto che i soldati lo hanno colpito con un fucile. Fawzi è accusato di aver lanciato pietre durante gli scontri, fatto che lui nega. Se ritenuto colpevole, la massima pena per il lancio di pietre è di 20 anni nelle prigioni israeliane.

Le probabilità che Fawzi venga giudicato colpevole sono alte, poiché, in base alla stessa documentazione interna del tribunale, il 99,74% dei casi portati davanti al tribunale militare israeliano si conclude con un verdetto di colpevolezza.

Tuttavia Parker ha detto che il tribunale non è in errore, ma agisce piuttosto secondo le direttive per cui è stato concepito. “Se i ragazzi palestinesi come Fawzi continuano a subire diffuse esperienze di maltrattamenti e torture e il sistematico diniego dei dovuti diritti al processo, è evidente che la detenzione militare israeliana ed il sistema giudiziario non non sono interessati a fare giustizia”, ha spiegato Parker. “Ciò che emerge è un sistema di controllo che si spaccia per giustizia. Non è che sistema di detenzione militare non funzioni, sta lavorando precisamente come previsto per negare i diritti fondamentali.”

In un reportage di al Jazeera, l’avvocata di Fawzi ha detto ai giornalisti che il primo giudice che ha esaminato il suo caso è rimasto “sbalordito dall’eccessivo uso della forza” a cui è stato sottoposto il ragazzo.

Si è presentato con grosse ciabatte fornite dal carcere. Aveva perso le sue scarpe ed ha parlato del modo in cui è stato maltrattato durante il trasferimento alla prigione,” ha detto l’avvocata ai giornalisti.

La procura non ha neanche detto se i soldati saranno indagati per l’uso eccessivo della forza. Finora l’intero caso è stato trattato con negligenza.”

Parker ha detto a Mondoweiss di dubitare che gli agenti che lo hanno arrestato verranno accusati o giudicati responsabili di uso eccessivo della forza, visto che tre ragazzi palestinesi su quattro arrestati dalle forze israeliane riferiscono di aver subito aggressioni fisiche.

Le forze israeliane godono di completa impunità per le violenze fisiche contro i ragazzi palestinesi detenuti. Anche nei casi in cui le prove evidenziano che esse hanno illegalmente ucciso un ragazzo con proiettili veri, senza che egli rappresentasse una minaccia nei confronti dei soldati, non vi è stata giustizia né attribuzione di responsabilità.”

Secondo la documentazione di Addameer [associazione palestinese per la difesa dei detenuti, ndtr.], attualmente ci sono più di 300 minori palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

In un rapporto diffuso da Addameer il 17 dicembre, l’associazione rivela che almeno 350 palestinesi sono stati arrestati nei primi 11 giorni dopo l’annuncio di Trump, che ha scatenato disordini in tutta la Cisgiordania occupata, a Gerusalemme est e a Gaza. Almeno nove degli arrestati sono minori palestinesi – anche se il numero potrebbe essere più elevato, in quanto il lavoro di documentazione è lento e complicato.

Il 16 dicembre le forze israeliane hanno arrestato nella Città Vecchia di Gerusalemme Sultan Ashour, di 16 anni, Mahmoud Taha, di 15, Muhammad Hamadeh, di 14 e Adnan Siyam, di 16. Il 15 dicembre hanno arrestato il tredicenne Abed al-Kareem Yassien, il quindicenne Muhammad Lutfi Melhem del villaggio di A’aneen e il diciassettenne Muhammad Ayman Sherydeh è stato arrestato a Tubas. Giovedì 14 dicembre il quindicenne Mutassem Hammas è stato arrestato a Ramallah.

In media, ogni anno vengono arrestati, detenuti e giudicati dal sistema giudiziario militare israeliano tra i 500 e i 700 minori palestinesi – dal 2000 sono passati nel sistema più di 8.000 minori palestinesi.

Dopo la condanna, circa il 60% dei ragazzi viene trasferito dai territori occupati alle carceri all’interno di Israele – una chiara violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

La conseguenza pratica di ciò è che molti di loro ricevono poche visite dei familiari, quando non nessuna, a causa delle restrizioni nella libertà di movimento e del tempo necessario a rilasciare un permesso di visita in carcere”, ha rilevato il DCIP.

Dato che nel 1991 Israele ha firmato la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia, dovrebbe attenersi agli standard della giustizia minorile internazionale, che prevedono che i minori “vengano privati della libertà soltanto come misura estrema”; tuttavia le associazioni internazionali per i diritti hanno riscontrato che l’arresto di minori palestinesi da parte delle forze israeliane e la condanna presso il sistema dei tribunali militari è una pratica diffusa e normale, anche per violazioni della legge di scarsa gravità.

Sheren Khalel è una giornalista multimediale indipendente, che si occupa di Israele, Palestina e Giordania. È specializzata in diritti umani, questioni femminili e conflitto israelo-palestinese. Khalel ha precedentemente lavorato per l’Agenzia Ma’an News a Betlemme e vive attualmente a Ramallah e Gerusalemme.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




L’uccisione di un uomo senza gambe

Amira Hass

17 dicembre 2017,Haaretz

Ibrahim Abu Thuraya, con entrambe le gambe amputate e su una sedia a rotelle, si distingueva tra la folla di manifestanti sul confine di Gaza. È stato il suo coraggio che ha innervosito un soldato che si trovava sul lato israeliano?

I fanali della macchina illuminano due soldati nel buio, con fucili ed altro equipaggiamento all’ingresso della città cisgiordana di A-Ram, sovrappopolata e ammassata. I nostri occhi si sono incrociati per un attimo, come si suol dire. I loro volti esprimevano quel familiare misto di arroganza, ignoranza e paura. Come sembrano giovani, ho pensato. Ho anche riflettuto su quello che pensa in questi giorni chiunque guidi davanti a soldati: una lieve deviazione dell’auto e loro supporranno che questa signora sia decisa ad investirli. Una successiva inchiesta della polizia militare stabilirà che avevano avuto l’impressione che la loro vita fosse in pericolo e quindi che avevano agito correttamente. Concéntrati sulla guida, mi sono detta, pensando di nuovo a quanto fossero giovani.

Non credo che venerdì si sia vista alcuna paura negli occhi dei soldati israeliani che hanno sparato a Ibrahim Abu Thuraya, 29 anni, uccidendolo. Erano dall’altra parte della barriera di confine, a est del quartiere di Shujaiyeh a Gaza. Forse erano su una torre di guardia, forse su una collina o in una jeep blindata, che ha sparato a raffica sui manifestanti palestinesi.

Quale pericolo rappresentava Abu Thuraya? Certo si distingueva tra gli altri manifestanti: amputato delle due gambe, è avanzato sulla sua carrozzella, sceso da questa si è mosso rapidamente con l’aiuto delle braccia, andando verso est attraverso una collinetta sabbiosa. Il suo coraggio e la sua mancanza di paura hanno turbato un soldato sul lato israeliano della barriera?

Abu Thuraya era stato gravemente ferito durante l’offensiva israeliana del 2008-09 contro Gaza, quando perse entrambe le gambe. Nel 2015 una storia sul sito web palestinese di notizie Al Watan raccontava che lui e i suoi amici erano stati presi di mira da un bombardamento israeliano nel campo di rifugiati di Bureij. In seguito si era ripreso dalle gravi ferite e si guadagnava da vivere pulendo i finestrini delle auto nelle strade di Gaza, muovendosi tra le macchine sulla sua sedia a rotelle. Una ripresa video senza data lo mostra mentre si arrampica su un palo della luce nei pressi del confine di Gaza e sventola una bandiera. In un altro video, probabilmente registrato venerdì, lo si vede sulla sua carrozzella allo scoperto di fronte alla recinzione, mentre sventola di nuovo una bandiera palestinese.

Venerdì a mezzogiorno davanti a una telecamera diceva che la manifestazione era un messaggio all’esercito sionista di occupazione che “questa è la nostra terra e non ci vogliamo arrendere.” Poi un montaggio video lo mostra sulla sua sedia a rotelle, circondato da decine di giovani sconvolti. La sua testa è reclinata, viene messo in un’ambulanza e portato in ospedale. È stato dichiarato morto quel pomeriggio, ucciso da un proiettile alla testa.

Il montaggio video omette qualche scena che lo potrebbe accusare? Per esempio, Abu Thuraya ha puntato un razzo contro i soldati? Se questa è stata la ragione per cui un soldato ha sparato ad un uomo senza gambe su una sedia a rotelle, si è trattato di un errore dell’esercito e dei portavoce del Coordinamento delle Attività Governative nei Territori [COGAT, l’amministrazione israeliana dei territori palestinesi occupati, ndt.]. Perché non hanno emesso un comunicato ai mezzi di informazione riguardo ad un attacco con i razzi da parte dei manifestanti, evitando in questo modo qualunque danno che possa colpire i nostri soldati?

Di nuovo in Cisgiordania, un prurito al naso mi ha avvisato della presenza di soldati sulla strada che porta al campo di rifugiati di Jalazun –il che significa che c’erano anche quelli che lanciano sassi. Ma non era possibile tornare indietro. Il diffuso fumo di lacrimogeni aumentava di intensità e la strada procedeva a curve. Da una parte, tra alcune case, si erano accovacciati alcuni giovani – ed erano molto giovani. Avevano pietre in mano ma per il momento non le stavano tirando. Dall’altra parte, nei pressi di un muro che protegge la colonia di Beit El, stava uno spaventoso furgone passeggeri blindato, con di fianco qualche soldato. Forse erano della polizia di frontiera (il mio senso di panico mi ha fatto dimenticare qualche dettaglio). Sotto i loro elmetti e da lontano era difficile stabilire quanto fossero giovani. Ma nel loro atteggiamento arroganza e ignoranza erano evidenti.

Il mio tentativo di andare da Ramallah a Betlemme venerdì (per un concerto e l’esibizione di un coro di bambini) era fallito. Ad un incrocio verso il checkpoint di Beit El, alcuni giovani – quanto erano giovani! – hanno tirato fuori da un’auto dei copertoni con l’intenzione di incendiarli. Ho capito quello che stava succedendo e sono tornata indietro verso Qalandiyah. Il traffico era lento.

A un certo punto dei fedeli stavano uscendo da una moschea e in un altro della gente camminava in mezzo alla strada portando ceste dal mercato. Altrove c’erano macchine parcheggiate in doppia fila o uomini che uscivano da un salone per le feste portando tazze di caffè usa e getta e pezzi di torta. Un’ambulanza, a sirene spiegate, stava arrivando dalla direzione del checkpoint, segnalando quello che mi aspettava. Qualche decina di metri più in là si poteva chiaramente vedere una nuvola di lacrimogeni. Ogni desiderio che avevo di andare a vedere la situazione in ognuna delle altre uscite dalla prigione 5 stelle che è Ramallah mi era passato. In seguito si è saputo che una persona era morta al checkpoint di Beit El e un’altra era stata gravemente ferita a Qalandiyah.

Venerdì, durante una gita con amici, lui ha detto: “Per un verso, so che dovrei essere là con quei coraggiosi ragazzi al checkpoint. Per l’altro, so che solo se centinaia di migliaia di persone andassero lì, con le mani in tasca, qualcosa cambierebbe.”

Lei ha aggiunto: “Una volta quando sentivamo di una persona ferita a Gaza tutta la Cisgiordania era in fiamme. Ora sentiamo di qualcuno che è morto a Ramallah o un giovane che ha perso un occhio per un candelotto lacrimogeno e tutto quello che facciamo è scuotere la testa in segno di solidarietà e continuiamo con le nostre vite.”

Una persona che vive in una strada nei pressi del checkpoint di Beit El ha aperto la porta di casa a quelli che scappavano dal fumo dei lacrimogeni. Il fazzoletto impregnato di alcool fatto giare da un paramedico aiutava, ma solo in casa le lacrime e la sensazione di bruciore sono cessate.

I nostri dirigenti sono isolati,” ha dichiarato l’ospite. “Non gli importa della gente, ma solo dei soldi e degli affari. Non posso dire ai giovani di non andare ai checkpoint, ma so che il loro coraggio è inutile.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’assedio israeliano a Gaza sta impedendo la consegna di 50 romanzi inviati a una biblioteca pubblica

Nada Elia

Mondoweiss 18 Dicembre 2017

Dovrebbe essere obbligatorio per i giornalisti occidentali leggere esempi della banalità del male israeliano, le indignazioni quotidiane che i palestinesi sopportano durante i periodi descritti dai media tradizionali come di “relativa calma”.

“Relativa calma”, per i giornalisti occidentali mainstream, è quando gli ebrei-israeliani non sono disturbati dalla resistenza palestinese alle violazioni dei diritti umani da parte di Israele. È in questi periodi di cosiddetta “calma” che Israele espande le sue colonie illegali, continua la pulizia etnica iniziata nel 1948 e concepisce nuove leggi che privano di diritti la popolazione indigena, favorendo così il sistema di apartheid che ora Israele abbraccia apertamente, niente che faccia ufficialmente notizia.

Per i quasi due milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza, dove il blocco imposto da Israele è giunto al decimo anno, questo articolo vorrebbe ricordare come i bambini continuano a studiare a lume di candela, i giovani a fare la doccia fredda perché non c’è acqua calda, le acque reflue non trattate a invadere le strade, le medicine salva-vita a mancare e i generatori a funzionare ventidue ore al giorno negli ospedali, mentre medici e personale medico sopraffatti cercano di salvare la vita di bambini nati pre-termine a causa dell’anemia della madre, un risultato della “dieta di sussistenza” imposta da Israele.

Questo articolo vorrebbe parlare dei soldati israeliani che sparano ai pescatori che cercano di guadagnarsi da vivere nelle proprie acque costiere e nominare le decine di migliaia di persone a cui viene negato il permesso di lasciare la prigione di Gaza, perché Israele ha posto un limite severo ai casi “umanitari” a cui è concesso di fuggire. Questo articolo non vorrebbe includere l’assassinio extragiudiziale di un doppio amputato in sedia a rotelle, o la demolizione dei tunnel attraverso i quali sono fatti passare di contrabbando elementi essenziali salvavita – tunnel non dissimili da quelli che consentivano agli ebrei europei di sopravvivere all’assedio del ghetto di Varsavia.

Una recente manifestazione della banalità del male è lo svuotamento delle biblioteche pubbliche nella Striscia di Gaza, qualcosa a cui Mosab Abu Toha si è dato come impegno di rimediare. Alla giovane età di 25 anni, l’insegnante di lingua inglese ha fondato la “Biblioteca pubblica Edward Said” a Gaza, una piccola e modesta biblioteca che spera fornirà agli abitanti della Striscia una finestra sul mondo attraverso la letteratura, principalmente in inglese. Ha detto che l’idea gli è venuta nel 2014, quando il dipartimento inglese della sua università, l’Università Islamica di Gaza, è stato colpito da un missile israeliano durante l’operazione Cast Lead. Ha lanciato una raccolta di fondi e ha ricevuto $15.000 in donazioni in un mese, cosa che gli ha permesso di affittare un piccolo spazio, costruire alcuni scaffali e inizialmente rifornirli con i suoi libri. Con il leggerissimo calo delle restrizioni su ciò che può entrare nella striscia di Gaza continuamente bloccata, alcune persone (tra cui Noam Chomsky e Katha Pollitt) hanno inviato libri ad Abu Toha, ma la consegna dei pacchi è ancora inaffidabile.

Più di recente, un donatore del Canada ha inviato una cassa di 50 romanzi alla biblioteca, per la quale hanno pagato $ 1200 a FedEx come spese di consegna. L’indirizzo a cui FedEx ha chiaramente accettato di consegnare, come evidente sull’etichetta di supporto, specifica Gaza come destinazione finale. FedEx subappalta a una compagnia palestinese, Wassel, ma quando Abu Toha ha chiesto informazioni sullo stato dei libri, Wassel lo ha informato che non effettua consegne a Gaza. Inoltre, a causa delle dimensioni della donazione, i libri sono considerati beni tassabili e ora sono trattenuti nella dogana israeliana. “Il mio amico ha pagato $1200 USD per spedire i libri al mio indirizzo e ora [vogliono] addebitarmi circa $700 USD come tasse sulle merci. I libri erano una donazione. Li ha comprati per $600 USD.”

Nel frattempo, FedEx Canada ha informato Abu Toha che, a meno che non paghi i $700 in tasse, i libri saranno distrutti. Ma anche se pagasse la tassa di $700, Abu Toha avrebbe comunque bisogno di andare in Cisgiordania e riportare i libri a Gaza di persona, cosa che ovviamente non può fare, a causa del blocco. Un’altra opzione sarebbe che il donatore canadese paghi per farli rispedire indietro. “Se il mio amico non coprirà il costo della restituzione dei libri, distruggeranno il pacco”, mi ha scritto Abu Toha. (FedEx Canada può essere contattato qui, e spinto a non distruggere i libri, avendo il donatore pagato oltre $1200 per consegnarli).

Abu Toha ha un sogno, una visione ed è determinato ad andare avanti. Il suo caso è uno tra milioni, letteralmente, di palestinesi che trovano ogni aspetto della loro vita quotidiana avvelenato da Israele. A livello più ampio, dobbiamo fare pressioni sul governo israeliano per porre fine alla sua occupazione e al regime di apartheid. Il modo migliore per farlo è attraverso il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), che ha cambiato la narrazione sul sionismo, mostrandolo per l’ideologia violenta e razzista che è. Questo cambiamento del discorso sta finalmente cominciando ad avere un impatto sulla politica, dato che ora abbiamo politici statunitensi che sostengono un disegno di legge che protegge i diritti dei bambini palestinesi – una svolta nell’impenetrabile scudo sionista. Nel frattempo, a livello più piccolo, possiamo sostenere la Biblioteca Edward Said facendo pressione su FedEx, o donando alla biblioteca (il sito web ha una lista dei desideri). Alcuni dei titoli che Abu Toha spera di ricevere includono “Go Tell It on the Mountain” di James Baldwin e l’opera di Toni Morrison, ma la biblioteca ha bisogno anche di più scaffali, più computer e vorrebbe potersi permettere uno spazio più ampio.

Ma per ora, il messaggio di Abu Toha è “per favore salvate i 50 libri”.

(Traduzione di Angelo Stefanini)