Premere il grilletto è la prima opzione: un nuovo rapporto rivela un’impennata della violenza israeliana contro i palestinesi

Comunicato stampa

30 gennaio 2023 – Euro-Med Monitor

Territori palestinesi – L’allarmante impennata delle uccisioni perpetrate nel 2022 dall’esercito israeliano contro palestinesi nei Territori Palestinesi Occupati è estremamente preoccupante, ha avvertito in una dichiarazione Euro-Med Human Rights Monitor, sottolineando la necessità di accertare le responsabilità e porre fine allo stato di impunità di cui Israele gode da decenni.

In un rapporto diffuso oggi intitolato “Premere il grilletto è la prima opzione”, Euro-Med Monitor ha affermato che il numero accertato di morti palestinesi in Cisgiordania è aumentato dell’82% nel 2022 rispetto al 2021 ed è quasi quintuplicato (491%) rispetto al 2020. L’analisi dei dati sul campo rivela che la maggioranza delle vittime palestinesi erano civili uccisi dall’esercito israeliano in operazioni ingiustificate e in contesti in cui non erano presenti minacce o pericoli imminenti per la vita di soldati o coloni israeliani.

Il nuovo rapporto si basa su un esame esaustivo dei casi di uccisioni nel 2022, sulla documentazione di eventi sul campo e su interviste condotte da Euro-Med Monitor con testimoni oculari e amici e familiari delle vittime.

Le uccisioni e le esecuzioni sommarie da parte dell’esercito israeliano di civili palestinesi, come si evince dalle sue indulgenti regole di ingaggio e dal sistema ufficiale di protezione per gli autori di terribili violazioni, dimostrano che si tratta di azioni autorizzate dallo Stato, piuttosto che individuali”, dice Ramy Abdu, direttore di Euro-Med Monitor.

A prescindere dal fatto che il governo di Israele sia politicamente di sinistra, di centro o di destra, l’uso della forza letale contro i palestinesi resta un elemento chiave della sua politica”, aggiunge Abdu. “Temiamo che quest’anno vedrà un incremento della violenza israeliana, con i decisori al potere che sostengono l’uccisione dei palestinesi e l’espulsione dalle loro terre.”

Il report contiene statistiche dettagliate di palestinesi uccisi dalle forze dell’esercito israeliano e da coloni nel 2022, documentando l’uccisione di 204 palestinesi da parte dell’esercito nel 2022, di cui 142 avvenute in Cisgiordania (69,6%), 37 nella Striscia di Gaza (18,1%), 20 a Gerusalemme (9,8%) e cinque nelle località arabe all’interno di Israele (2,4%).

I dati presentati dal rapporto mostrano che le forze israeliane hanno compiuto 32 esecuzioni sommarie, 18 delle quali accompagnate da accuse secondo cui le vittime avevano compiuto o stavano per compiere un attacco col coltello o con l’auto contro israeliani vicino a posti di blocco o aree sensibili israeliane; le altre esecuzioni in generale erano prive di qualsiasi motivazione o sono state effettuate sulla sola base di sospetti.

Con 55 palestinesi uccisi, il Governatorato di Jenin ha avuto il numero più alto di morti palestinesi nel 2022 rispetto ad altre città e governatorati, toccando una percentuale del 26,9% di tutti i decessi. Il Governatorato di Nablus segue con 35 morti, il 17,1% del totale; ciò è dovuto alla maggior frequenza delle incursioni e all’effettuazione di altre operazioni speciali nei due Governatorati.

Il mese di agosto 2022 ha registrato il maggior numero di palestinesi uccisi in un mese, con 42 morti, pari al 20,5% del numero totale, senza contare 16 altri uccisi nello stesso mese in seguito a razzi locali caduti nella Striscia di Gaza. Il tributo di morti in agosto è stato elevato a causa dell’operazione dell’esercito israeliano denominata “Breaking Dawn”, durata tre giorni, che ha preso di mira attivisti e postazioni legate al movimento della Jihad Islamica nella Striscia di Gaza. Ottobre ha visto il secondo più alto numero di palestinesi uccisi (28), seguito da 23 in aprile, 20 in novembre, 18 in settembre e 17 in marzo, tutti in Cisgiordania e Gerusalemme est.

Un’analisi sulla tipologia delle vittime e il contesto delle uccisioni ha rivelato che 125 degli uccisi erano civili non coinvolti in disordini, il 61,2% della cifra totale delle vittime. Altre 17 persone sono state uccise mentre cercavano di condurre attacchi individuali (come accoltellamenti o assalti con auto), mentre 62 militanti palestinesi – che agivano per conto proprio o in gruppi – sono stati uccisi in scontri o mentre cercavano di portare attacchi contro obbiettivi israeliani.

In base alle cifre del rapporto, i minori costituiscono circa il 20% delle vittime delle uccisioni israeliane nel 2022, con 48 minori uccisi in attacchi e aggressioni israeliane, oltre a 8 donne uccise nello stesso anno, tre delle quali in esecuzioni sul campo in Cisgiordania. L’autorizzazione concessa dai vertici politici israeliani all’esercito e alle forze di sicurezza di agire “in assoluta libertà” col pretesto di “combattere il terrorismo” sembra aver spianato la strada all’uccisione e alla violenza ingiustificate contro civili palestinesi ai posti di blocco militari e in città, villaggi e paesi in tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme est.

Il comportamento delle forze israeliane verso civili palestinesi rivela l’esplicito disinteresse dello Stato per i propri obblighi internazionali in base alle Convenzioni di Ginevra, in particolare alla Quarta Convenzione, che impone alle parti in conflitto di proteggere e non danneggiare i civili, e anche allo Statuto di Roma che ha dato vita alla Corte Penale Internazionale, ai sensi del quale le prassi israeliane configurano crimini di guerra.

Euro-Med Human Rights Monitor chiede all’Unione Europea di riconsiderare l’applicazione del suo accordo di partnership con il governo israeliano alla luce delle violazioni israeliane delle prescrizioni relative al rispetto dei diritti umani e dei principi di democrazia, e anche di interrompere i programmi di cooperazione fino a quando il governo di Israele non rispetti i propri obblighi e ponga fine alle sue gravi violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi.

Le principali strutture e agenzie dell’ONU devono intraprendere azioni urgenti per proteggere i civili nei Territori Palestinesi Occupati e garantire indagini e attribuzioni di responsabilità per le gravi violazioni e per qualunque violazione che potrebbe configurare un crimine di guerra. La Corte Penale Internazionale deve avviare le proprie inchieste senza ritardo e trattare la situazione nei territori palestinesi nello stesso modo in cui tratta casi simili in altre regioni del mondo.

Euro-Med Human Rights Monitor è un’organizzazione indipendente con sede a Ginevra e uffici regionali in tutta la regione del Medioriente e Nordafrica e in Europa.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Dichiarazione di Lucia Elmi, coordinatrice umanitaria facente funzione per i territori palestinesi occupati, sull’allarmante incremento della violenza e delle restrizioni agli spostamenti in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Gerusalemme, 18 ottobre 2022 – OCHA Reliefweb

Per i palestinesi che risiedono nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est, con almeno 105 palestinesi uccisi dalle forze israeliane, tra cui 26 minorenni, il 2022 è stato l’anno più letale dal 2006 come media mensile, con un aumento del 57% delle vittime palestinesi rispetto all’anno scorso. Nel 2022 dieci civili israeliani, tre stranieri e quattro soldati israeliani sono stati uccisi da palestinesi della Cisgiordania.

Solo dall’inizio di ottobre 15 palestinesi, tra cui sei minorenni, sono stati uccisi dalle forze israeliane durante operazioni di rastrellamento e arresto, conflitti a fuoco o durante scontri tra forze israeliane e palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, spesso in seguito ad attacchi o incursioni dei coloni nei villaggi palestinesi. In alcuni casi le persone uccise non sembravano rappresentare una concreta o imminente minaccia che giustificasse l’eliminazione fisica, sollevando preoccupazioni per l’uso eccessivo della forza.

Oltre a questa situazione allarmante, le Nazioni Unite sono preoccupate per le crescenti limitazioni agli spostamenti. All’inizio di questo mese, dopo che due soldati israeliani sono stati colpiti e uccisi a posti di controllo a Nablus e a Gerusalemme est, forze israeliane hanno imposto estese restrizioni agli spostamenti, limitando l’accesso di molte persone alle cure mediche, all’educazione e ai mezzi di sostentamento. Nel campo profughi di Shuafat queste restrizioni sono state in buona parte sospese, ma rimangono in vigore a Nablus. Anche Huwwara, uno dei pochi punti di accesso alla città di Nablus, ha visto un crescendo di gravità e frequenza nella violenza dei coloni.

Le autorità israeliane hanno la responsabilità legale di garantire la protezione di tutti i palestinesi,” ha affermato Lucia Elmi, coordinatrice per le questioni umanitarie ad interim. “Ciò include la garanzia che ogni misura intrapresa non colpisca in misura sproporzionata le persone.”

Un allentamento delle tensioni è fondamentale per evitare ulteriori vittime, proteggere i civili e garantire l’accesso a servizi umanitari essenziali.

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




ICSPR: La decisione del Ministero degli Interni del Regno Unito di considerare Hamas una “organizzazione terroristica” è l’ennesimo intervento britannico che nega il diritto della popolazione di resistere all’occupante.

La Commissione Internazionale per i Diritti dei Palestinesi (ICSPR)

20 novembre 2021 – ICSPR

Comunicato stampa,

ICSPR: La decisione del Ministero degli Interni del Regno Unito di considerare Hamas una “organizzazione terroristica” è l’ennesimo intervento britannico che nega il diritto della popolazione di resistere all’occupante.

La Commissione internazionale per i diritti dei palestinesi (ICSPR) condanna con la massima fermezza l’annuncio fatto oggi (19 novembre 2021) dal ministro degli Interni britannico Priti Patel di designare Hamas come “organizzazione terroristica” e porre fuori legge le sue attività in tutto il Regno Unito.

Questa decisione arriva sulla scia di analoghe decisioni americane ed europee di considerare terroristi un certo numero di movimenti, organizzazioni e personalità palestinesi.

Nel 2018 il Dipartimento del Tesoro americano incluse Ismail Haniyeh, capo dell’Ufficio politico del Movimento della resistenza islamica (Hamas) e deputato nel Consiglio legislativo, nella lista dei terroristi. A metà ottobre del 2017 l’FBI inserì il segretario generale del Movimento per il Jihad islamico in Palestina [gruppo militante fondato negli anni settanta nella striscia di Gaza, ndtr.], a quel tempo il dottor Ramadan Abdullah Shallah e l’ex detenuto Ahlam Al-Tamimi, insieme ad altri otto palestinesi, nella sua lista di ricercati.

E prima ancora, esattamente nel 2014, il Dipartimento di Stato americano incluse nella lista dei “terroristi” il vicesegretario generale del Movimento per il Jihad islamico Ziad al-Nakhala.

ICSPR ritiene che l’intervento del Regno Unito esprima un reiterato e chiaro disprezzo da parte britannica per i principi sanciti dal diritto, l’ordine e la giustizia internazionali e dia il suo benestare a che lo Stato di occupazione israeliano privi il popolo palestinese dell’esercizio dei suoi diritti legittimi, soprattutto, il suo diritto di resistere all’occupante. ICSPR condanna la decisione britannica contro il Movimento di Resistenza Islamico, Hamas e la considera come un’estensione delle stesse politiche che produssero la Dichiarazione Balfour [lettera scritta nel 1917 dall’allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rothschild, principale rappresentante della comunità ebraica inglese, e referente del movimento sionista, con la quale il governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di un “focolare nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, ndtr.]. L’ICSPR dichiara la sua solidarietà al movimento, alla sua leadership, ai suoi membri e a tutti i leader e partiti palestinesi che le varie amministrazioni occidentali hanno inserito in quelle che chiamano liste dei terroristi. Di conseguenza:

1- ICSPR afferma che le leggi internazionali concedono ai popoli sotto occupazione militare il diritto di resistere all’occupante in tutte le forme fino alla liberazione e all’indipendenza politica ed economica.

2- ICSPR sottolinea che la nuova dichiarazione britannica contro Hamas fornisce ulteriori prove del pregiudizio britannico e occidentale nei confronti dello stato di occupazione a spese del diritto e della giustizia internazionali.

3- ICSPR attribuisce al governo britannico la responsabilità internazionale come partner in qualsiasi crimine israeliano contro qualsiasi palestinese affiliato ad Hamas.

4- ICSPR sottolinea che i vari rapporti internazionali dimostrano con prove conclusive che lo Stato di occupazione israeliano è quello che pratica il terrorismo internazionale contro il popolo palestinese e che la resistenza palestinese è impegnata sulla base delle norme e delle convenzioni internazionali che regolano i conflitti armati internazionali.

5- ICSPR esorta allo stesso modo la diplomazia palestinese, araba e islamica a impegnarsi duramente per garantire che il governo britannico abolisca la sua recente decisione e a lavorare allo sviluppo e alla pubblicazione di una lista nera palestinese e araba con i nomi dei leader israeliani accusati di aver commesso crimini internazionali e crimini di terrorismo.

ICSPR

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Attivisti di Palestine Action e di Extinction Rebellion bloccano una fabbrica di armi israeliana.  

Palestine Action      

 2 febbraio 2021 – Mondoweiss  

Otto attivisti di Extinction Rebellion North e Palestine Action sono stati arrestati ieri dopo avere sbarrato tre ingressi di una fabbrica di armi israeliana a Oldham, Gran Bretagna.

 

Nota dell’editore: il seguente comunicato stampa è stato rilasciato da Palestine Action il 2 febbraio 2021. Mondoweiss pubblica saltuariamente comunicati stampa e dichiarazioni di diverse organizzazioni con lo scopo di richiamare l’attenzione su temi altrimenti ignorati.

Ieri sono stati arrestati otto attivisti di Extinction Rebellion North [movimento ecologista internazionale, ndtr.] e Palestine Action per avere causato danni ammontanti a 20.000 sterline [circa 23.000 euro] dopo avere bloccato una fabbrica di armi israeliana a Oldham, Gran Bretagna. Gli attivisti hanno preso d’assalto la fabbrica nelle prime ore del mattino di lunedì 1^ febbraio – sei di loro hanno bloccato tre ingressi e altri due sono saliti sul tetto.

 

Lo stabilimento della Ferranti Technologies, proprietà di Elbit Systems, la maggiore industria bellica israeliana, è stata pitturata con vernice rossa, ha subito alcune finestre spaccate e la perdita dell’insegna “Cairo House”. L’azione ha riscosso ampi consensi, compresi quello di Roger Waters, cofondatore dei Pink Floyd, e del gruppo nazionale di Extinction Rebellion.

 

Durante le sedici ore di occupazione della fabbrica la polizia ha impedito la presenza di osservatori legali, minacciando di multarli o arrestarli in base alle vigenti normative anti-Covid 19 se non avessero sgombrato il campo. Gli attivisti che hanno resistito più a lungo sono stati i due sul tetto, i quali, dopo essersi rifiutati di scendere dalla loro posizione, sono stati trascinati giù ed arrestati mentre, avvolti in bandiere palestinesi, urlavano “Palestina Libera”. Erano circa le 6 del pomeriggio, sedici ore dopo che la fabbrica era stata occupata e la produzione interrotta.

In seguito alla protesta, martedì 1^ febbraio la pagina Facebook di Palestine Action è stata rimossa, con il pretesto che il gruppo “viola le regole della nostra comunità”. Palestine Action ha accusato Facebook di prendere di mira in modo discriminatorio gli attivisti per i diritti umani in Palestina, visto che gli unici post pubblicati lunedì erano quelli dei video in streaming condivisi con la pagina di Extinction Rebellion North, che invece non ha subito conseguenze.

 

Gli otto attivisti si trovano tuttora in stato di fermo. L’assedio della fabbrica è stato il primo caso di collaborazione fra Extinction Rebellion e Palestine Action. I due gruppi di azione diretta si sono impegnati ad intensificare i propri interventi fino alla chiusura definitiva di Elbit Systems e all’eliminazione di ogni ingiustizia sistemica.

Commentando il blocco della fabbrica di Oldham e la censura operata da Facebook contro l’attivismo per i diritti umani in Palestina, un membro di Palestine Action ha dichiarato:

“L’azione di ieri è stata un grande successo e dimostra la forza derivante dall’alleanza fra diversi movimenti, specialmente quando l’umanità e il mondo in cui viviamo si trovano ad affrontare le peggiori sfide alla propria esistenza. Questo non è che l’inizio di tali azioni, onoreremo l’impegno di continuare ad intensificare le nostre attività insieme con Extinction Rebellion per chiudere per sempre Elbit.

Facebook ha sistematicamente censurato i nostri post, dicendo che incitiamo al male, quando invece promuoviamo azioni dirette contro una fabbrica di armi colpevole di estrema violenza in quanto testa le sue armi sui bambini palestinesi prima di esportarle ad altri regimi oppressivi nel resto del mondo. Facebook non riuscirà a zittirci né fermerà il nostro fondamentale lavoro finalizzato alla chiusura di Elbit”.


Parlando dal tetto della fabbrica ieri, gli attivisti di Extinction Rebellion North hanno denunciato la produzione da parte di Elbit di armi “illegali”, il ruolo dei droni nella videosorveglianza contro i profughi e la nefasta tecnologia di simulazione prodotta nella fabbrica ad Oldham, che insegna ai piloti a bombardare gli obiettivi usando simulazioni dei bombardamenti dell’esercito israeliano a Gaza.

La dichiarazione prosegue:

Questo non riguarda solo la Cisgiordania, questo non riguarda solo Gaza, questo riguarda tutte le vite innocenti, tutti i civili innocenti uccisi dall’impresa che gestisce questo edificio.

Pertanto siamo qui in quanto partecipiamo alla collaborazione fra queste due associazioni, e siamo consapevoli della necessità di lavorare insieme come movimento di azione diretta per combattere per il cambiamento e la giustizia sociale; questo include lottare contro il sistema che permette l’esistenza dei combustibili fossili e delle industrie di armamenti.”

  

Negli ultimi sedici anni Elbit Systems UK ha creato una vasta rete nel Regno Unito con l’apertura di dieci stabilimenti in Inghilterra e nel Galles, comprese quattro fabbriche di armi. Ferranti Technologies ad Oldham è stata acquisita da Elbit Systems per 15 milioni di sterline [circa 17 milioni di euro] nel 2007. Le componenti di armi prodotte da Elbit Ferranti includono sistemi di intercettazione per droni.

  

L’obiettivo di Palestine Action è fare chiudere le attività a Elbit UK; dal suo inizio nell’agosto 2020 la campagna ha colpito circa quaranta volte le sedi della ditta, oltre a quelle di LaSalle Investment Management, proprietaria dei siti. Fra queste azioni ricordiamo la chiusura per ben tre volte di UAV Engines a Shenstone (la più clamorosa delle quali sarebbe costata 145.000 sterline [circa 165.000 euro] alla compagnia) e una serie di proteste e occupazioni del quartier generale di Elbit a Londra.

  

Extinction Rebellion è una rete internazionale apolitica che attraverso l’utilizzo di azioni dirette nonviolente cerca di persuadere i governi ad affrontare in modo corretto ed efficace l’emergenza climatica ed ecologica. In generale la missione di Extinction Rebellion North è mobilitare il 3,5% della popolazione per conseguire un cambiamento di sistema. Il gruppo costituisce e collega in tutta la regione comunità resilienti che lavorano insieme e si sostengono reciprocamente, con l’obiettivo di creare un mondo accogliente per le future generazioni.

 

 

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)




Intervento urgente per liberare immediatamente il detenuto amministrativo in sciopero della fame Maher Al-Akhras in imminente pericolo di morte

7 ottobre 2020,  Addameer

 

Il signor Maher Al-Akhras, un detenuto amministrativo palestinese di 49 anni nelle carceri israeliane, è attualmente in imminente pericolo di morte all’ospedale di Kaplan in  seguito al crescente deterioramento ed alla gravità delle sue condizioni di salute dopo 73 giorni di sciopero della fame. Il signor Maher annunciò che avrebbe iniziato uno sciopero della fame il giorno del suo arresto, il 27 luglio 2020, nel tentativo di chiedere giustizia contro l’infame ordine di detenzione amministrativa di quattro mesi. Da allora, ha ingerito esclusivamente acqua, rifiutando integratori come vitamine o sali e qualsiasi altro liquido.

Il 23 settembre 2020, Ahlam Hadad, l’avvocato del signor Maher, ha presentato una petizione per revocare l’ordine di detenzione amministrativa e, in risposta, l’Alta corte israeliana ha deciso di “congelare” l’ordine contro il signor Maher. La corte ha spiegato che, al momento, tenendo presente lo stato di salute critico del signor Maher, non esiste una “minaccia alla sicurezza” o la possibilità di una minaccia futura.

La decisione di “congelare” il provvedimento di fermo amministrativo non lo annulla in alcun modo né elimina il rischio che venga rinnovato e neppure quello che venga completato successivamente con i mesi che mancano.

Indica semplicemente che il signor Maher non è attualmente detenuto e gli sono concessi i diritti di visita. Questo è un tentativo di interrompere lo sciopero della fame in corso del signor Maher e una tattica intimidatoria che mira a continuare a opprimere il detenuto negandogli ogni diritto di difendersi legittimamente e di cercare giustizia.

Successivamente, il 1 ° ottobre 2020, è stata presentata una seconda petizione contro l’ordine di detenzione amministrativa, tuttavia il tribunale ha respinto la petizione sulla base del fatto che al momento l’ordine è inattivo e quindi non può essere revocato. È evidente che l’intenzione del procuratore militare israeliano, insieme alle forze di intelligence israeliane (“Shabak”), è quella di mantenere il signor Maher sotto detenzione amministrativa. Nonostante la mancanza di prove chiare o lo svolgimento di indagini serie sulla credibilità delle accuse contro di lui. Data la tenacia della corte a non revocare l’ingiusto ordine di detenzione amministrativa del signor Maher e le intenzioni delle autorità di occupazione israeliane, il signor Maher si sta ancora sottoponendo allo sciopero della fame.

Dopo il suo arresto, il signor Maher è stato portato al centro di detenzione di Hawara e, quando ha annunciato il suo sciopero della fame, è stato trasferito nelle celle della prigione di Ofer fino a quando non è stato portato  nella prigione della clinica Ramla. Il 23 settembre 2020, poiché il signor Maher ha iniziato a perdere saltuariamente conoscenza e ha avuto altri problemi di salute, è stato trasferito all’ospedale di Kaplan. Va detto che questa non è la prima volta che Maher Al-Akhras è stato soggetto ad arresti da parte di Israele e a detenzione amministrativa. È stato arrestato per la prima volta nel 1989 per sette mesi e successivamente nel 2004 per altri due anni. Successivamente, è stato detenuto nel 2009 per 16 mesi in detenzione amministrativa e di nuovo nel 2018 per 11 mesi in detenzione amministrativa.

L’uso e la pratica sistematici e arbitrari della detenzione amministrativa da parte delle autorità di occupazione israeliane hanno richiamato  una diffusa condanna da parte di organizzazioni locali e internazionali che è stata considerata una  violazione dei diritti umani fondamentali. In particolare, il 13 maggio 2016 il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (“UNCAT”) ha invitato il governo israeliano a “prendere le misure necessarie per porre fine alla pratica della detenzione amministrativa e garantire che a tutte le persone attualmente carcerate  in detenzione amministrativa abbiano garanzie legali di base. ”

Di conseguenza, il Consiglio delle organizzazioni palestinesi per i diritti umani conferma quanto detto sopra e chiede inoltre:

i. Ad Israele, in quanto potenza occupante, di rilasciare immediatamente il signor Maher Al-Akhras, che è attualmente in imminente pericolo di morte , di interrompere tutte le procedure e le intenzioni di mantenere il signor Maher in detenzione amministrativa e porre fine all’uso sistematico e arbitrario della detenzione amministrativa contro i palestinesi

ii. Alla comunità internazionale e a tutte le Alte Parti aderenti alla Quarta Convenzione di Ginevra ad adempiere ai loro obblighi nei confronti della protezione dei diritti umani e dell’applicazione del diritto internazionale umanitario, soprattutto quando vengono perpetrate gravi violazioni in tempi di conflitto e occupazione;

iii. L’ immediata intervento delle relative procedure speciali delle Nazioni Unite (“ONU”) che prevedono un Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato dal 1967, il signor S. Michael Lynk; e il gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria.

 

Traduzione a cura di Associazione di Amicizia Italo-Palestinese.




Comunicato Relatori speciali ONU contro l’annessione,l’apartheid e l’occupazione

Ginevra 16 giugno 2020

Comunicato Esperti Onu

L’annessione israeliana di parti della Cisgiordania palestinese violerebbe il diritto internazionale – gli esperti dell’ONU chiedono alla comunità internazionale che ne paghi le conseguenze.

GINEVRA (16 giugno 2020) – Oggi esperti dell’Onu hanno detto che l’accordo del nuovo governo di coalizione di Israele per annettere dopo il 1° luglio ampie zone della Cisgiordania palestinese occupata violerebbe un principio fondamentale del diritto internazionale e deve essere contrastato in modo efficace dalla comunità internazionale. Quarantasette degli inviati indipendenti per le procedure speciali nominati dalla Commissione per i diritti umani hanno rilasciato la seguente dichiarazione:

L’annessione dei territori occupati è una grave violazione della Carta delle Nazioni Unite e delle Convenzioni di Ginevra ed è contraria alle norme fondamentali più volte affermate dal Consiglio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, secondo cui l’acquisizione di territori con la guerra o con la forza è inammissibile.

La comunità internazionale ha vietato l’annessione proprio perché incita a guerre, devastazioni economiche, instabilità politica, sistematiche violazioni dei diritti umani e diffuse sofferenze.

I piani dichiarati da Israele per l’annessione estenderebbero la sovranità su gran parte della Valle del Giordano e su tutti gli oltre 235 insediamenti israeliani illegali in Cisgiordania. Ciò equivarrebbe a circa il 30% della Cisgiordania. L’annessione di questo territorio è stata approvata dal Piano Americano di Pace per la Prosperità, reso noto alla fine di gennaio 2020.

Le Nazioni Unite hanno dichiarato in molte occasioni che l’occupazione israeliana, che risale a 53 anni fa, è fonte di gravissime violazioni dei diritti umani contro il popolo palestinese. Queste violazioni includono confisca di terre, violenza dei coloni, leggi di pianificazione urbanistica discriminatorie, confisca delle risorse naturali, demolizione delle case, trasferimento forzato della popolazione, uso eccessivo della forza e tortura, sfruttamento del lavoro, violazioni estese dei diritti alla privacy, restrizioni sui media e sulla libertà di espressione, prendere di mira le donne attiviste e i giornalisti, detenzione di minorenni, avvelenamento da esposizione a rifiuti tossici, sfratti ed espulsioni forzate, deprivazione economica e povertà estrema, detenzione arbitraria, mancanza di libertà di movimento, insicurezza alimentare, applicazione discriminatoria delle leggi e imposizione di un sistema a due livelli di diritti politici, legali, sociali, culturali ed economici diversi in base all’etnia ed alla nazionalità. I difensori dei diritti umani palestinesi e israeliani, che portano pacificamente l’attenzione dell’opinione pubblica su queste violazioni, sono calunniati, criminalizzati o etichettati come terroristi. Soprattutto, l’occupazione israeliana ha significato la negazione del diritto all’ autodeterminazione dei palestinesi.

Dopo l’annessione queste violazioni dei diritti umani non farebbero che intensificarsi. Ciò che rimarrebbe della Cisgiordania sarebbe un Bantustan palestinese, isole di territorio completamente scollegate, circondate da Israele e senza alcun legame territoriale con il mondo esterno. Recentemente Israele ha promesso che manterrà il controllo permanente della sicurezza tra il Mediterraneo e il fiume Giordano. Quindi il giorno dopo l’annessione sarebbe la cristallizzazione di una realtà già di per sé ingiusta: due popoli che vivono nello stesso spazio, governati dallo stesso Stato, ma con diritti profondamente disuguali. Questa è la visione di un’apartheid del XXI secolo.

Già per due volte in precedenza Israele ha annesso territori occupati – Gerusalemme Est nel 1980 e le Alture del Golan siriane nel 1981. In entrambe le occasioni il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha immediatamente condannato le annessioni come illegali, ma non ha preso alcuna contromisura significativa per opporsi alle azioni di Israele.

Allo stesso modo, il Consiglio di Sicurezza ha ripetutamente criticato le colonie israeliane in quanto flagrante violazione del diritto internazionale. Tuttavia, la sfida di Israele a queste risoluzioni e il suo continuo rafforzamento delle colonie è rimasto senza risposta da parte della comunità internazionale.

Questa volta deve essere diverso. La comunità internazionale ha la grave responsabilità giuridica e politica di difendere un ordine internazionale basato su regole, di opporsi alle violazioni dei diritti umani e dei principi fondamentali del diritto internazionale e di dare attuazione alle sue numerose risoluzioni che criticano la condotta da parte di Israele durante questa prolungata occupazione. In particolare, gli Stati hanno il dovere di non riconoscere, aiutare o assistere un altro Stato in qualsiasi forma di attività illegale, come l’annessione o la creazione di insediamenti civili in territorio occupato. Le lezioni del passato sono chiare: le critiche senza conseguenze non impediranno l’annessione né porranno fine all’occupazione.

La responsabilizzazione e la fine dell’impunità devono diventare una priorità immediata per la comunità internazionale. Essa ha a sua disposizione un’ampia gamma di misure di responsabilizzazione che sono state ampiamente applicate e con successo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU in altre crisi internazionali negli ultimi 60 anni. Le misure di responsabilizzazione che vengono selezionate devono essere prese in piena conformità con il diritto internazionale, essere proporzionate, efficaci, soggette a revisione periodica, coerenti con i diritti umani, umanitari e con il diritto dei rifugiati, progettate per annullare le annessioni e por fine all’occupazione e al conflitto in modo giusto e duraturo. I palestinesi e gli israeliani non meritano di meno.

Esprimiamo grande rammarico per il ruolo degli Stati Uniti d’America nel sostenere e incoraggiare i piani illegali di Israele per l’ulteriore annessione dei territori occupati. Negli ultimi 75 anni in molte occasioni gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo importante nel promuovere i diritti umani a livello mondiale. In questa occasione dovrebbero opporsi decisamente all’imminente violazione di un principio fondamentale del diritto internazionale, piuttosto che favorirne concretamente la violazione”.

(*) Gli esperti:

Mr. Michael Lynk, Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian Territory occupied since 1967; Ms. Agnès Callamard, Special Rapporteur on extrajudicial, summary or arbitrary executions; Mr. Ahmed Reid (Chair), Ms. Dominique Day, Mr. Michal Balcerzak, Mr. Ricardo A. Sunga III, and Mr. Sabelo Gumedze, Working Group of experts on people of African descent;Ms. Alena Douhan, Special Rapporteur on the negative impact of the unilateral coercive measures on the enjoyment of human rights; Ms Alice Cruz, Special Rapporteur on the elimination of discrimination against persons affected by leprosy and their family members, Ms. Anaïs Marin, Special Rapporteur on the situation of human rights in Belarus; Mr. Aristide NONONSI, Independent Expert on the situation of human rights in the Sudan; Mr. Alioune Tine,Independent Expert on the situation of human rights in Mali; Mr. Balakrishnan Rajagopal, Special Rapporteur on adequate housing as a component of the right to an adequate standard of living, and on the right to non-discrimination in this context; Mr. Baskut Tuncak, Special Rapporteur on human rights and hazardous substances and wastes; Ms. Catalina Devandas-Aguilar, Special Rapporteur on the rights of persons with disabilities; Ms. Cecilia Jimenez-Damary, Special rapporteur on the human rights of internally displaced persons; Mr. Chris Kwaja (Chair), Ms. Jelena Aparac, Ms. Lilian Bobea, Mr. Saeed Mokbil,Ms. Sorcha MacLeod, Working Group on the use of mercenaries as a means of violating human rights and impeding the exercise of the right of peoples to self-determination; Ms. Claudia Mahler, Independent Expert on the enjoyment of all human rights by older persons; Mr. Clément Nyaletsossi Voule, Special Rapporteur on the right to peaceful assembly and association; Mr. Dainius Pūras, Special Rapporteur on the right to physical and mental health; Mr. David Kaye, Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of expression; Mr. David R. Boyd, Special Rapporteur on human rights and the environment; Mr. Diego García-Sayán, UN Special Rapporteur on the independence of judges and lawyers; Ms. Dubravka Šimonovic, Special Rapporteur on violence against women, its causes and consequences; (Chair) Ms. Elizabeth Broderick (Vice Chair) Ms. Melissa Upreti, Ms. Alda Facio, Ms. Ivana Radačić, Ms. Meskerem Geset Techane, Working Group on discrimination against women and girls; Mr. Fernand de Varennes, Special Rapporteur on minority issues; Ms. Fionnuala D. Ní Aoláin, Special Rapporteur on the promotion and protection of human rights and fundamental freedoms while countering terrorism; Mr. Githu Muigai (Chair), Ms. Anita Ramasastry (Vice-chair), Mr. Dante Pesce, Ms. Elżbieta Karska, and Mr. Surya Deva, UN Working Group on Business and Human Rights; Ms. Isha Dyfan, Independent Expert on the situation of human rights in Somalia; Mr. Joe Cannataci, Special Rapporteur on the right to privacy; Mr. José Francisco Calí Tzay, Special Rapporteur on the rights of indigenous peoples;Mr. José Antonio Guevara Bermúdez (Chair), Ms. Elina Steinerte (Vice-Chair), Ms. Leigh Toomey (Vice-Chair), Mr. Seong-Phil Hong, and Mr. Sètondji Adjovi, Working Group on Arbitrary Detention; Ms. Karima Bennoune, Special Rapporteur in the field of cultural rights; Ms. Kombou Boly Barry, Special Rapporteur on the right to education; Mr. Léo Heller,Special Rapporteur on the human rights to water and sanitation; Mr. Livingstone Sewanyana, Independent Expert on the promotion of a democratic and equitable international order; Ms. Mama Fatima Singhateh, Special Rapporteur on sale and sexual exploitation of children; Ms Maria Grazia Giammarinaro, Special Rapporteur on trafficking in persons, especially women and children; Ms. Mary Lawlor, Special Rapporteur on the situation of human rights defenders; Mr. Michael Fakhri, Special Rapporteur on the right to food; Mr. Nils Melzer, Special Rapporteur on torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment; Mr. Obiora C. Okafor, Independent Expert on human rights and international solidarity,Mr. Olivier De Schutter, Special Rapporteur on extreme poverty and human rights; Mr. Saad Alfarargi, Special Rapporteur on the right to development; Ms. E. Tendayi Achiume, Special Rapporteur on Contemporary Forms of Racism; Mr. Thomas Andrews. Special Rapporteur on the situation of human rights in Myanmar; Mr. Tomás Ojea Quintana, Special Rapporteur on the situation of human rights in the Democratic People’s Republic of Korea; Mr. Tomoya Obokata, Special Rapporteur on contemporary forms of slavery, including its causes and consequences; Mr. Victor Madrigal-Borloz, Independent Expert on protection against violence and discrimination based on sexual orientation and gender identity; Ms. Yuefen LI, Independent Expert on the effects of foreign debt and other related international financial obligations of States on the full enjoyment of all human rights, particularly economic, social and cultural rights; Mr. Yao Agbetse, Independent Expert on the situation of human rights in Central African Republic

Gli osservatoti speciali fanno parte di quelle che sono note come le Procedure Speciali della Commissione per i Diritti Umani. Procedure Speciali, l’ente più grande di esperti indipendenti nel sistema dell’ONU per i Diritti Umani, è il nome complessivo del sistema di accertamento dei fatti e dei meccanismi di controllo che si occupano sia della situazione di Paesi specifici sia di questioni tematiche in ogni parte del mondo. Gli esperti delle Procedure Speciali lavorano su base volontaria: non fanno parte del personale dell’ONU e non ricevono uno stipendio per il loro lavoro. Non dipendono da nessun governo o organizzazione e prestano servizio nell’ambito delle loro competenze individuali.

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Euro-Med: l’acquisto da parte dell’UE di droni israeliani favorisce la violazione dei diritti umani nella Palestina occupata

Palestine Chronicle, WAFA [Agenziadi Stampa Palestinese], Social Media

5 maggio 2020 – Palestine Chronicle

LEuro-Mediterranean Human Rights Monitor [Monitoraggio Euromediterraneo dei Diritti Umani, organizzazione non governativa, ndtr.] (Euro-Med) con sede a Ginevra ha affermato oggi in un comunicato che i contratti per 59 milioni di euro stipulati dall’Unione Europea con industrie belliche israeliane per la fornitura di droni da guerra per la sorveglianza dei richiedenti asilo in mare sono immorali, di dubbia legittimità giuridica e favoriscono le violazioni di diritti umani nella Palestina occupata.

Secondo quanto riportato, i 59 milioni di euro dei recenti contratti dell’UE per i droni sono andati a due industrie belliche israeliane: Elbit Systems e Israel Aerospace Industries, IAI. L’Hermes 900 di Elbit è stato sperimentato sulla popolazione della Striscia di Gaza assediata nella guerra israeliana del 2014 contro Gaza, l’operazione Margine Protettivo.

Euro-Med ha affermato in una nota come questo investimento dimostri che l’UE sta investendo in attrezzature israeliane il cui “pregio” è stato dimostrato nel corso dell’oppressione del popolo palestinese e dell’occupazione del suo territorio. E ha aggiunto che questo acquisto di droni va visto precisamente come supporto e incentivo all’uso sperimentale di tecnologia militare da parte del regime repressivo israeliano.

“È scandaloso che l’UE acquisti droni dai produttori israeliani considerando i modi repressivi e illegali con cui sono stati usati nell’oppressione dei palestinesi, che vivono sotto occupazione da più di cinquant’anni”, ha affermato il prof. Richard Falk [ebreo americano, professore emerito di diritto internazionale a Princeton, ndtr.], presidente del consiglio di amministrazione di Euro-Med.

“È anche inaccettabile e disumano che l’UE utilizzi dei droni, indipendentemente da come se li è procurati, per violare i diritti fondamentali dei migranti che rischiano la vita in mare per cercare asilo in Europa”, ha aggiunto il prof. Falk.

L’UE dovrebbe scoraggiare le violazioni dei diritti umani a danno dei palestinesi astenendosi dall’acquistare materiale bellico israeliano utilizzato nei territori palestinesi occupati, ha affermato Euro-Med.

“Israele, Paese super-esperto nella manipolazione del termine ‘sicurezza’, è sul punto di beneficiare grandemente dai relativi sviluppi. Sta già sfruttando abilmente la mentalità europea ossessionata dalla sicurezza per ampliare il suo spazio nel mercato delle armi”, hanno scritto Ramzy Baroud e Romana Rubeo in un recente articolo.

“Israele è il settimo esportatore di armi al mondo e sta emergendo come leader nell’esportazione globale di droni aerei”, hanno aggiunto Baroud e Rubeo.

“Il marchio israeliano è particolarmente popolare perché la sua tecnologia è ‘sperimentata in combattimento’. In effetti, l’esercito israeliano ha avuto ampie opportunità di testare le sue diverse armi e dispositivi di sicurezza contro i civili palestinesi “.

(traduzione dallinglese di Luciana Galliano)




B’Tselem sul piano di “pace”di Trump: nessuna pace, apartheid

28 gennaio 2020 B’Tselem

Il piano dell’amministrazione americana, definito “l’accordo del secolo” è più simile al formaggio svizzero:il formaggio offerto agli israeliani e i buchi ai palestinesi.Esistono molti modi per porre fine all’occupazione, ma le uniche opzioni legittime sono quelle basate sull’uguaglianza e sui diritti umani per tutti. Questo è il motivo per cui l’attuale piano che legittima, consolida e addirittura amplia la portata delle violazioni dei diritti umani di Israele, perpetuate ormai da oltre 52 anni, è assolutamente inaccettabile.

Il piano di Trump svuota di qualsiasi significato i principi del diritto internazionale e ignora del tutto il concetto di responsabilità a causa delle loro violazioni. Trump propone di premiare Israele per le pratiche illegali e immorali in cui [Israele] si è impegnato sin da quando ha conquistato i Territori. Israele sarà in grado di continuare a saccheggiare terra e risorse palestinesi; riuscirà anche a mantenere le sue colonie e persino ad annettere più territorio, il tutto in totale spregio del diritto internazionale. I cittadini israeliani che vivono nei Territori continueranno a godere di tutti i diritti concessi ad altri cittadini israeliani, compresi i diritti politici e la libertà di movimento, come se non vivessero affatto all’interno di un’area occupata.

I palestinesi, d’altra parte, saranno relegati in piccole enclave chiuse, isolate, senza alcun controllo sulla loro vita poiché il piano rende eterna la frammentazione dell’area palestinese in porzioni di territorio non connesse tra loro e circondate dal controllo israeliano, non diversamente dai bantustan del regime di apartheid sudafricano. Senza contiguità territoriale, i palestinesi non saranno in grado di esercitare il loro diritto all’autodeterminazione e continueranno a dipendere completamente dalla buona volontà di Israele riguardo alla loro vita quotidiana, senza diritti politici e senza alcun modo di gestire il loro futuro.

Continueranno a essere alla mercé del rigido regime israeliano di permessi e avranno bisogno della sua approvazione per qualsiasi attività produttiva o sviluppo. In questo senso, non solo il piano non riesce a migliorare in alcun modo la situazione dei palestinesi, ma di fatto aggrava ancora la loro condizione perché la perpetua e la legittima. Questo piano rivela una visione del mondo che concepisce i palestinesi come eternamente sottomessi piuttosto che come esseri umani liberi e autonomi. Una “soluzione” di questo tipo, che non garantisce i diritti umani, la libertà e l’uguaglianza di tutte le persone che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo e perpetua invece l’oppressione e l’espropriazione di una parte – non è una soluzione valida. Di fatto, non è per niente una soluzione, ma solo una ricetta per ulteriore oppressione, ingiustizia e violenza.

(Traduzione dall’inglese di Carlo Tagliacozzo)




L’Associazione Rabbinica Ricostruzionista appoggia la legge USA che protegge i minori palestinesi dalla prigione militare israeliana

16 ottobre 2019 – Comunicato stampa di Jewish Voice for Peace

Filadelfia (Pennsylvania), 16 ottobre 2019: Jewish Voice for Peace [Voce Ebraica per la Pace, gruppo di ebrei americani contro l’occupazione, ndtr.] è entusiasta del fatto che oggi l’Associazione Rabbinica Ricostruzionista [scuola rabbinica progressista statunitense, ndtr.] ha appoggiato la proposta di legge del Congresso [americano] per la protezione dei diritti dei bambini palestinesi incarcerati dall’esercito israeliano.

Promossa dalla deputata Betty McCollum, la legge HR 2407 vieterebbe che i finanziamenti USA contribuiscano a “detenzione militare, interrogatori, violenze o maltrattamenti di minori in violazione del diritto umanitario internazionale”.

La deputata Betty McCollum ha ringraziato l’Associazione Rabbinica Ricostruzionista: “Questo è da parte dell’Associazione Rabbinica Ricostruzionista una grande spinta per la promozione della Legge HR 2407. Ringrazio questi autorevoli rabbini per l’aiuto alla lotta per i diritti umani. Il loro appoggio invia un segnale forte alla gente di ogni fede sul fatto che ogni minore merita di essere trattato con dignità e rispetto. Ora è tempo per gli Stati Uniti di mandare un chiaro segnale che nessun dollaro delle tasse USA possa consentire la detenzione e il maltrattamento dei minori palestinesi da parte dell’esercito israeliano.”

La “Legge per la promozione dei diritti umani per i minori palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana” (HR 2407) garantisce che nessun finanziamento militare USA sia destinato all’arresto militare e all’ incriminazione di minori – in Israele o in ogni altro Paese. Dal 2000 si stima che circa 10.000 minori palestinesi tra i 12 e i 17 anni siano stati arrestati, incriminati e incarcerati dall’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata. Molti di questi minori vengono trascinati fuori dalle loro case nel pieno della notte da soldati armati e per giorni viene loro impedito di parlare con le proprie famiglie. Subiscono violenze verbali, umiliazioni, intimidazioni e violenza fisica. Questi minori vengono interrogati senza la presenza di familiari o avvocati, nel tentativo di estorcere confessioni forzate, e alla fine possono essere detenuti per mesi.

La rabbina Alissa Wise, Vicedirettrice esecutiva di Jewish Voice for Peace, ha sottolineato: “Alcuni anni fa l’idea di proporre al Congresso USA una legge per i diritti dei palestinesi era inconcepibile, per non parlare della possibilità che un’ importante associazione rabbinica la appoggiasse. La decisione dell’Associazione Rabbinica Ricostruzionista di appoggiare la Legge HR2407 è la dimostrazione più evidente che la comunità ebraica americana sta accrescendo il proprio sostegno ai diritti dei palestinesi.”

La rabbina Wise continua: “L’appoggio dell’Associazione Rabbinica Ricostruzionista contraddice fortemente i postulati precedenti riguardo alle comunità ebraiche americane e alla difesa dei palestinesi ed è un segnale di un mutamento radicale per quanto possibile. In questo momento politico di precarietà ed incertezza, questo è un richiamo auspicato e necessario al dinamismo della comunità ebraica di Washington e più in generale dell’America. Oggi sono molto orgogliosa di essere una rabbina ricostruzionista”.

La direttrice delle questioni istituzionali di Jewish Voice for Peace, Beth Miller, ha detto: “Questa coraggiosa e storica presa di posizione dell’Associazione Rabbinica Ricostruzionista indica chiaramente che il terreno si sta modificando. I movimenti progressisti in tutti gli USA, compresi gli ebrei americani progressisti, chiedono passi concreti verso la giustizia e l’equità per i palestinesi. La proposta di legge della deputata McCollum per proteggere i minori palestinesi dalle violazioni israeliane dei diritti umani va proprio in questa direzione. Siamo entusiasti e grati all’Associazione per aver mandato un chiaro messaggio al Campidoglio [sede del Congresso a Washington, ndtr.] che il cieco appoggio ad Israele non è più lo ‘status quo’ ed il Congresso deve prenderne atto.”

Jewish Voice for Peace è orgogliosamente membro della campagna ‘Non è il modo di trattare i minori’, condotta da ‘Defense for Children International – Palestina’ e ‘American Friend Service Commettee’.

Jewish Voice for Peace è un’organizzazione nazionale di base ispirata alla tradizione ebraica che lavora per una pace giusta e duratura in base ai principi dei diritti umani, dell’eguaglianza e del diritto internazionale per tutto il popolo di Israele e Palestina. JVP conta oltre 500.000 sostenitori online, più di 70 sedi locali, un gruppo giovanile, un Consiglio rabbinico ed uno artistico, un Consiglio di consulenza accademica ed un Comitato consultivo formato da importanti intellettuali e artisti statunitensi.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Amnesty International: ‘La demolizione di Khan al-Ahmar è un crimine di guerra’

3 ottobre 2018, Ma’an News

BETLEMME (Ma’an) – Martedì Amnesty International ha dichiarato che la demolizione del villaggio beduino di Khan al-Ahmar, ad est di Gerusalemme occupata, ed il trasferimento dei suoi abitanti da parte delle forze israeliane come parte di un piano illegale israeliano di espansione delle colonie è un “crimine di guerra”. Saleh Higazi, vicedirettore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nordafrica, ha denunciato la programmata demolizione israeliana di Khan al-Ahmar ed ha sottolineato che “questa azione non solo è spietata e discriminatoria, ma è illegale.”

La demolizione del villaggio porterebbe al trasferimento di 181 abitanti, il 53% dei quali sono minori e il 95% rifugiati registrati presso l’UNRWA, Agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi. A settembre l’Alta Corte israeliana ha respinto un appello contro la demolizione del villaggio ed ha sentenziato a favore della sua evacuazione e demolizione, concedendo ai residenti un periodo fino al 1 ottobre perché se ne vadano.

L’Alta Corte israeliana ha deciso la demolizione sulla base della mancanza dei permessi di costruzione israeliani, quasi impossibili da ottenere, cosa che le Nazioni Unite hanno detto essere la conseguenza del regime urbanistico e di pianificazione discriminatorio praticato nell’area C – l’oltre 60% della Cisgiordania occupata sotto completo controllo israeliano.

Gli accordi di Oslo del 1995 tra l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e le autorità israeliane hanno diviso la Cisgiordania in tre settori: le aree A, B e C. L’area A, comprensiva delle popolose città palestinesi e che rappresenta il 18% della Cisgiordania, sarebbe stata sotto il controllo dell’appena costituita Autorità Nazionale Palestinese (ANP), mentre l’area B sarebbe rimasta sotto il controllo dell’esercito israeliano, e all’ANP sarebbe spettato quello per l’amministrazione civile.

Invece l’area C, la maggior parte della Cisgiordania, è stata posta sotto il completo controllo militare israeliano e include la maggioranza delle risorse naturali e degli spazi liberi sul territorio palestinese. In base agli accordi di Oslo, era previsto che la terra sotto controllo israeliano sarebbe stata gradualmente trasferita all’ANP entro un periodo di 5 anni.

Tuttavia, circa due decenni dopo, la terra continua ad essere sotto il controllo israeliano.

L’area C, insieme a Gerusalemme est – considerata la capitale di un futuro Stato palestinese come parte di una soluzione a due Stati – è stata terreno della rapida espansione degli insediamenti, mentre il muro israeliano di separazione ha ulteriormente diviso le comunità palestinesi ed ha posto restrizioni ai palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza anche rispetto alla possibilità di andare a visitare quella che doveva essere la loro capitale.

Lunedì Amnesty International, insieme a Jewish Voice for Peace (Voci Ebraiche per la Pace, organizzazione ebraica statunitense contraria all’occupazione, ndtr.), ha lanciato una campagna sui social media nei confronti del Coordinamento delle Attività Governative nei Territori [occupati], un’unità del ministero della Difesa israeliano che è responsabile di attuare la politica del governo nell’area C.

La campagna afferma che “le politiche di Israele di insediamento di civili israeliani nei Territori Palestinesi Occupati, di arbitrarie distruzioni delle proprietà e di trasferimenti forzati di palestinesi che vivono sotto occupazione, costituiscono violazioni della Quarta Convenzione di Ginevra e sono crimini di guerra previsti dallo Statuto della Corte Penale Internazionale.”

Aggiunge che dal 1967 Israele ha espulso e trasferito con la forza intere comunità e demolito più di 50.000 case e strutture palestinesi.

Amnesty International ha dichiarato: “Dopo circa un decennio di tentativi di combattere l’ingiustizia di questa demolizione, i residenti di Khan al-Ahmar vedono ora avvicinarsi il giorno terribile in cui vedranno le loro case, possedute da generazioni, crollare davanti ai loro occhi.”

Ha sottolineato che “il trasferimento forzato di Khan al-Ahmar si configura come un crimine di guerra”, specificando che “Israele deve porre termine alla sua politica di distruzione delle case e delle esistenze palestinesi per fare spazio alle colonie.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

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