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Grave attacco a Jenin, molte vittime e feriti

Palestine Chronicle Staff

19 settembre 2023 Palestine Chronicle

Con una drammatica escalation l’esercito israeliano ha attaccato il campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania, mentre cecchini israeliani hanno aperto il fuoco contro dimostranti palestinesi a Gaza. Queste le ultime notizie.

Nella serata di martedì tre palestinesi sono stati uccisi e più di altri 30 feriti in seguito ad un attacco militare israeliano contro il campo profughi di Jenin nel nord della Cisgiordania.

Risulta che alcuni dei feriti versino in gravi condizioni.

Intanto un quarto palestinese è stato ucciso dalle forze israeliane vicino alla barriera di separazione nella Striscia di Gaza.

Raid mortale su Jenin

Il sanguinoso attacco su Jenin è iniziato quando un gran numero di forze di occupazione israeliane hanno circondato una casa sparandole contro dei razzi.

Quando la casa è stata data alle fiamme si sono verificati duri scontri in tutto il campo, poiché i militanti di tutti i gruppi della resistenza cercavano di allentare l’assedio imposto alle famiglie palestinesi intrappolate nel quartiere preso di mira.

Il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha descritto l’assalto a Jenin come un “raid su larga scala dell’esercito israeliano”.

Un aereo militare israeliano sorvolava Jenin ed è stata interrotta l’elettricità in tutto il campo.

Testimoni oculari palestinesi hanno detto che un drone israeliano radiocomandato è esploso verso uno specifico obbiettivo nel campo. Resta poco chiaro quale obbiettivo Israele stesse cercando di eliminare.

Fonti locali palestinesi hanno riferito che i militanti della resistenza hanno scoperto l’unità militare speciale israeliana mentre tentava di infiltrarsi nel campo e hanno aperto immediatamente gli scontri, costringendo Israele a inviare rinforzi.

La rete informatica di Al Jazeera, citando fonti palestinesi, ha detto che la casa presa di mira all’interno del campo è quella di Ahmad Jaddoun, un prigioniero palestinese ferito che si trova attualmente in detenzione nelle carceri dell’Autorità Nazionale Palestinese.

In una dichiarazione le Brigate Al Qassam, l’ala armata del movimento Hamas, hanno affermato che i loro miliziani si stanno attualmente scontrando con un’unità militare israeliana all’interno del campo.

I nostri miliziani (…) hanno fatto esplodere con successo parecchi veicoli appartenenti all’esercito occupante, usando esplosivi contro le fiancate. Le esplosioni hanno direttamente provocato vittime e danni significativi. I nostri miliziani continuano a scontrarsi con l’esercito di occupazione su molteplici fronti per impedire che avanzi dentro il campo”, si legge nella dichiarazione.

Fonti palestinesi hanno altresì detto che il black out nel campo è stato causato dal fuoco dell’esercito israeliano contro la rete elettrica a Jenin.

L’ultimo raid contro Jenin ha fatto seguito a una massiccia invasione del campo il 3 luglio, che ha provocato l’uccisione di 12 palestinesi e il ferimento di più di 120.

Obbiettivo Gaza

Nella Gaza sotto assedio il 25enne palestinese Youssef Salem Radwan è stato ucciso e altri 11 palestinesi sono stati feriti quando l’esercito israeliano ha attaccato manifestanti palestinesi vicino alla barriera di separazione tra Gaza e Israele.

La risposta israeliana più violenta alle proteste palestinesi ha avuto luogo alla barriera est della città di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza.

Il corrispondente di Palestine Chronicle a Gaza ha detto che negli ultimi tre giorni i manifestanti palestinesi si erano radunati vicino alla barriera per protestare contro le reiterate incursioni alla moschea di Al-Aqsa da parte di coloni ebrei israeliani illegali.

Giovedì scorso cinque palestinesi sono stati uccisi ed altri feriti. Alcuni di loro sono stati uccisi da un ordigno esploso vicino alla barriera. Altri sono stati colpiti e feriti da spari israeliani. 

Gaza si trova sotto stretto assedio israeliano dal 2007 e la grande maggioranza della popolazione non può lasciarla o rientrarvi.

Durante tale periodo diverse importanti guerre israeliane sono state scatenate contro la Striscia assediata, provocando la morte e il ferimento di migliaia di palestinesi, soprattutto civili.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




A scuola a stomaco vuoto

Ruwaida Amer

18 settembre 2023 – Electronic Intifada

Khitam Salim non riesce a preparare il pranzo che i suoi figli dovrebbero portare a scuola.

Da quando il marito è morto di leucemia quattro anni fa è una mamma single con tre bambini che frequentano la scuola elementare a Rafah, la città più meridionale di Gaza. La scuola, gestita dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (UNRWA), non riesce a fornire i pasti ai suoi studenti, che quindi devono portarsi dei panini da casa o comprare da mangiare alla mensa.

Per il pranzo dovrebbero spendere quasi un euro al giorno, una somma che la loro mamma non può permettersi.

Nessuno mi aiuta,” dice Salim, che è disoccupata e dipende dall’assistenza sociale. “Le condizioni in cui ci troviamo sono molto difficili. I bambini vedono i loro compagni comprare da mangiare durante l’intervallo e non farlo ha un effetto psicologicamente negativo su di loro.”

Faris Qishta ha cinque figli, tutti frequentano le scuole dell’UNRWA.

Avrebbe bisogno di soldi per comprare le uniformi e il cibo e dice che non riesce a farlo.

Se non fosse per i pacchi di aiuti alimentari che riceve, dice che “la mia famiglia sarebbe morta di fame”. Tuttavia gli aiuti non comprendono i pasti scolastici.

Qishta, che faceva il taxista, ora è disoccupato.

Sono sempre alla ricerca di lavoro anche per pochi shekel per soddisfare le necessità di base dei miei bambini,” aggiunge. “Ma non riesco a trovare niente. I miei figli sono pieni di sogni e quando me li raccontano mi intristisco. Non so se il loro sarà un futuro migliore o se continuerà come ora.”

A Gaza l’UNRWA gestisce una rete di 288 scuole, con circa 300.000 studenti.

Niente colazione

Migliaia di questi bambini vanno a scuola senza colazione e senza soldi per comprarsi da mangiare durante la giornata. Dato che non hanno una dieta appropriata, molti non riescono a concentrarsi adeguatamente durante le lezioni.

L’UNRWA gestiva un programma di pasti gratis nelle sue scuole, ma per limiti di bilancio, il programma generale per le scuole è stato interrotto nel 2014 e ora li offre solo in casi particolari.

Da allora è stata costretta a fare dei tagli di spesa a causa di una grave crisi dei finanziamenti.

Sebbene sia cominciata prima, la crisi si è acutizzata con la presidenza USA di Donald Trump che, per ingraziarsi una lobby filoisraeliana estremista, introdusse tagli drastici agli aiuti all’UNRWA.

Gli USA hanno adottato una posizione più favorevole nei confronti dell’agenzia da quando è arrivato alla Casa Bianca Joe Biden, il suo successore.

Ciononostante i contributi USA sono diminuiti se li si considera su un periodo più lungo: nel 2022 ammontavano a $344 milioni, meno dei $365 che dava annualmente prima dei tagli di Trump nel 2018.

Difficoltà di finanziamento

In tale contesto le difficoltà finanziarie dell’UNRWA restano gravissime.

L’agenzia offre servizi sanitari ed educativi a un totale di circa 6 milioni di rifugiati palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gaza, in Giordania, Siria e Libano.

Facendo affidamento su donatori internazionali l’UNRWA quest’anno avrebbe avuto bisogno di un finanziamento di $1,75 miliardi, di cui ad agosto era stato raccolto solo il 44%.

Philippe Lazzarini, commissario generale dell’UNRWA, all’inizio di questo mese ha dichiarato che l’agenzia ha bisogno di $170-190 milioni “per fornire i servizi essenziali fino alla fine dell’anno.” Altri $75 milioni sono necessari “per continuare a fornire gli aiuti alimentari salvavita a oltre metà della popolazione di Gaza.”

Secondo gli ultimi dati disponibili, Gaza, sottoposta dal 2007 a un blocco israeliano totale ha un tasso di disoccupazione del 46%.

Said Khalid, 10 anni, frequenta la quinta elementare in una scuola dell’UNRWA nel campo profughi Beach a Gaza City.

La sua famiglia non è riuscita a comprargli l’uniforme nuova e il materiale necessario per la scuola alla riapertura dopo le vacanze estive, e inoltre non ha i soldi perché si compri da mangiare alla mensa.

So che mio papà non è avaro,” dice Said. “Se avesse i soldi me ne darebbe un po’ così potrei comprare le cose come fanno i miei compagni di classe, ma lui non ha un lavoro.”

Iyad Zaqout dirige un dipartimento di salute mentale dell’UNRWA.

Ha notato una crescente riluttanza dei bambini a parlare dell’impatto della povertà con i loro counselor. “Alcuni provano un senso di vergogna a rivelare le durissime condizioni in cui vivono le loro famiglie,” dice.

Sarah Jaber, 9 anni, fa la quarta elementare nel campo profughi di Jabalia. Il padre è un falegname, ma è disoccupato da anni.

Chiedo sempre alla maestra se posso stare in classe durante gli intervalli,” dice. “Non voglio vedere gli altri mentre comprano alla mensa, mi fa sentire triste.”

Ruwaida Amer è una giornalista che si trova a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Banca Mondiale: le restrizioni israeliane ostacolano l’accesso dei palestinesi all’assistenza sanitaria.

Redazione di The New Arab

18 settembre 2023- The New Arab

La Banca Mondiale ha affermato che le restrizioni israeliane e il peggioramento delle condizioni economiche nei territori palestinesi stanno ostacolando l’accesso dei palestinesi all’assistenza sanitaria.

Le restrizioni israeliane e i crescenti vincoli fiscali nei territori palestinesi stanno incidendo gravemente sulle condizioni economiche dei palestinesi e ostacolano il loro accesso a un’assistenza sanitaria salvavita tempestiva, ha affermato lunedì la Banca Mondiale.

In un rapporto intitolato “Racing Against Time” [corsa contro il tempo], la Banca Mondiale ha affermato che nel complesso l’economia palestinese sta sviluppandosi al di sotto del suo potenziale, con un reddito pro capite destinato a ristagnare.

La povertà nei territori palestinesi è in aumento, con un palestinese su quattro che vive al di sotto della soglia di povertà, ha affermato l’istituto di credito globale con sede a Washington.

Le restrizioni israeliane alla circolazione e al commercio nella Cisgiordania occupata, il blocco imposto alla Striscia di Gaza e la divisione tra i due territori palestinesi sono tra i diversi fattori che hanno messo ad alto rischio l’economia palestinese, afferma il rapporto.

In una dichiarazione rilasciata assieme al rapporto Stefan Emblad, direttore della Banca Mondiale per la Cisgiordania e Gaza, ha affermato: “I vincoli fiscali gravano pesantemente sul sistema sanitario palestinese e in particolare sulla sua capacità di far fronte al crescente peso delle malattie non infettive”.

Le restrizioni, comprese “le lungaggini del regime burocratico dei permessi”, spesso rendono difficile fornire una assistenza sanitaria salvavita tempestiva ai palestinesi, ha affermato.

L’accesso a cure mediche esterne per il trattamento di tumori, malattie cardiache e per le complicazioni della gravidanza e del parto è significativamente compromesso a causa di vincoli fisici e amministrativi, afferma la nota.

Si sostiene: “La situazione è particolarmente critica a Gaza, che soffre di una più limitata capacità del sistema sanitario e dove i pazienti faticano a ottenere tempestivamente i permessi di uscita richiesti per urgenti motivi medici”.

“I dati della ricerca mostrano che il quasi blocco di Gaza ha avuto un impatto sulla mortalità, dato che alcuni pazienti non sopravvivono alla durata del processo di autorizzazione”.

Israele occupa la Cisgiordania – che oggi ospita circa tre milioni di palestinesi – dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando conquistò anche la Striscia di Gaza, l’enclave costiera densamente popolata da cui si è poi ritirato.

L’anno scorso, secondo il COGAT, l’organismo del ministero della Difesa israeliano che sovrintende agli affari civili nei territori palestinesi, Israele ha rilasciato permessi di ingresso per oltre 110.000 visite mediche per i residenti in Cisgiordania.

Nello stesso periodo sono stati rilasciati più di 17.000 permessi di questo tipo ai palestinesi di Gaza, dove vivono 2,3 milioni di persone.

Un blocco imposto da Israele da quando il movimento islamista Hamas è salito al potere nel 2007 ha anche ostacolato le forniture mediche all’enclave.

La Banca Mondiale ha esortato Israele e le autorità palestinesi a gestire meglio questi casi medici e ad agevolare il processo di autorizzazione nel tentativo di fornire assistenza sanitaria tempestiva ai pazienti e ai loro accompagnatori.

Nel complesso, l’economia palestinese è rimasta stagnante negli ultimi cinque anni, ha detto Emblad, aggiungendo che non si prevede un miglioramento a meno che non cambino le politiche sul campo.

“Date le tendenze di crescita della popolazione si prevede che il reddito pro capite ristagnerà”, ha affermato la Banca Mondiale.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Un fotoreporter ferito dal fuoco israeliano è stato sottoposto a un’operazione chirurgica in Turchia

Redazione di MEMO

19 settembre 2023 – Middle East Monitor

L’agenzia Anadolu riferisce che un fotoreporter palestinese che ha subito una grave ferita alla mano mentre stava coprendo una protesta a Gaza ha subito un intervento chirurgico in Turchia.

Ashraf Amra, un freelance per Anadolu, l’agenzia di notizie ufficiale turca, è arrivato dal Cairo ad Istanbul lunedì su un volo della Turkish Airlines.

Venerdì stava coprendo una dimostrazione di protesta di palestinesi vicino alla barriera [di separazione tra Gaza e Israele, ndt.] nella regione di Khan Yunis a Gaza quando i soldati [israeliani, ndt.] hanno aperto il fuoco per disperdere la folla.

Dodici palestinesi sono stati feriti dall’esercito israeliano con l’uso di pallottole vere, proiettili ricoperti di gomma e candelotti lacrimogeni.

Amra è stato sottoposto ad un intervento chirurgico di due ore presso l’ospedale Basaksehir Cam e Sakura ad Istanbul.

Il dottor Okyar Altas, lo specialista della chirurgia della mano che ha effettuato l’operazione, ha affermato che essa ha avuto successo.

Da parte sua Amra ha ringraziato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e Anadolu per averlo accolto ad Istanbul.

Spero che le mie dita guariranno e che non ci sarà bisogno di amputarle.”

Egli ha aggiunto che i soldati che hanno visto che aveva in mano una macchina fotografica gli hanno deliberatamente sparato contro.

Anche il vicedirettore generale e caporedattore di Anadolu Yusuf Ozhan ha fatto visita ad Amra in ospedale, dove i dottori lo hanno ragguagliato sullo stato di salute del fotoreporter.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’esercito israeliano ammette di aver sparato per errore a palestinesi innocenti

Redazione di MEMO

12 settembre 2023 – Middle East Monitor

Ieri l’esercito israeliano ha riconosciuto che il mese scorso i soldati dell’occupazione hanno aggredito e imprigionato per errore tre palestinesi innocenti, lasciandoli con.lesioni permanenti.

Secondo il Times of Israel l’esercito israeliano ha dichiarato che i soldati dell’occupazione hanno sparato a molti palestinesi che si supponeva avessero tirato degli ordigni esplosivi artigianali da un veicolo in movimento verso una vicina postazione militare vicino alla città di Jenin, nella Cisgiordania occupata.

Tre dei palestinesi feriti sono stati arrestati dai soldati, mentre una quarta vittima è stata portata in un ospedale di Jenin da medici palestinesi in seguito alle gravi ferite che ha subito.

La rete israeliana Kan ha riferito che Wasim Herzallah, di 30 anni, ha riportato una ferita da arma da fuoco a una gamba ed è stato dimesso da un ospedale israeliano dopo essere stato curato. La seconda vittima, Ali Assan di 19 anni, è al momento paralizzato dalla vita in giù e ha subito ferite a una spalla. Egli è sottoposto a riabilitazione nell’ospedale di Tel Hashomer.

Secondo quanto riferito dalla rete Kan, lo zio di Hassan, Saleh ‘Atara, ha affermato:

Un soldato che ci ha accompagnati all’ospedale nei primi giorni si è scusato per la sparatoria”.

La rete Kan ha citato il fatto che il terzo sospetto ferito, Hassan Qassem Suleiman, rimane sotto sedazione e intubato in seguito a una grave ferita alla testa da un colpo sparato dai soldati israeliani.

Mentre l’unità del portavoce dell’esercito israeliano non ha fornito un commento immediato sull’incidente, una fonte militare ha riconosciuto che i militari hanno sparato per errore al veicolo sbagliato e che l’incidente è stato esaminato “dai ranghi più alti.”

La fonte ha affermato che “terroristi in un veicolo hanno tirato una bomba ai soldati che si trovavano nella postazione militare e un altro reparto che stava operando vicino alla postazione ha aperto il fuoco contro il veicolo. Dopo un‘indagine iniziale, si è capito che il veicolo che aveva effettivamente tirato la bomba si era rapidamente allontanato dalla strada. Uno dei militari che ha aperto il fuoco ha per sbaglio identificato un altro veicolo che è risultato non coinvolto.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




In attacchi separati alcuni coloni hanno aggredito attivisti palestinesi e israeliani di sinistra in Cisgiordania

Hagar Shezaf

11 settembre 2023 – Haaretz

Nel primo incidente i coloni hanno colpito un pastore palestinese con una mazza, rompendogli una mano. Nel secondo i coloni hanno aggredito attivisti di sinistra arrestati dalla polizia. “È stato il peggio incidente in cui sia mai stato coinvolto,” afferma uno degli attivisti.

Sabato in Cisgiordania coloni israeliani hanno aggredito e ferito un palestinese e attivisti di sinistra in due incidenti separati

La prima aggressione è avvenuta nel nord della Valle del Giordano, dove coloni mascherati si sono avvicinati e hanno colpito con una mazza un pastore palestinese, rompendogli una mano.

Il secondo incidente si è svolto sulle Colline Meridionali di Hebron, nei pressi della colonia di Otniel, dove i coloni hanno attaccato militanti di sinistra mentre venivano arrestati dalla polizia. Secondo gli attivisti i coloni hanno colpito anche il poliziotto che si trovava sul luogo.

Due coloni sono stati arrestati in quanto sospettati di essere coinvolti nel secondo incidente, ma sono stati rilasciati dopo essere stati interrogati.

Nella Valle del Giordano, Ahmad e suo figlio sono usciti dalla loro casa nei pressi di Ein al-Sakut nel pomeriggio per portare le loro pecore a pascolare con tre militanti di sinistra che li accompagnavano per proteggerli.

Mentre stavano camminando hanno visto un gruppo di circa 10 uomini mascherati diretto verso di loro dalla colonia di Shadmot Mehola. Ahmad “ha visto un gruppo comparso improvvisamente, come in un film dell’orrore, con magliette bianche, tzitzit (frange rituali ebraiche tradizionalmente portate dagli uomini) e con in mano delle mazze,” dice Gali Hendin, una degli attivisti che facevano da scorta e testimone oculare dell’incidente.

Mentre gli attivisti cercavano di contattare l’esercito e la polizia, “Ahmad è corso avanti, perché stavano cercato di prendere alcune delle sue pecore. È stato colpito con una sbarra di ferro, e poi siamo corsi avanti e li abbiamo fronteggiati.” Ahmad racconta ad Haaretz che uno degli uomini lo ha colpito con una mazza. “In passato ci avevano spaventati, ma non era mai successo niente del genere,” aggiunge Hendin.

Gli attivisti hanno registrato lo scontro con gli uomini mascherati. Nella registrazione uno degli uomini dice: “Questa è casa mia. Andatevene dalla mia casa. Via. Io l’ho comprata.”

Ahmad è stato portato all’ospedale nella città palestinese di Tubas, dove gli è stata diagnosticata una frattura alla mano. Due degli attivisti hanno detto che un’ambulanza israeliana è arrivata sul posto e lo ha portato via, ma, poiché è palestinese e di conseguenza non gli è consentito entrare nella colonia, dichiarata area militare chiusa, l’ambulanza ha dovuto viaggiare su strade sterrate sconnesse per portarlo all’ospedale.

Hanno aggiunto che anche il responsabile della sicurezza della colonia ha assistito all’incidente, ma non ha fatto niente.

C’è una guardia che li lascia andare e venire,” dice Ahmad, commentando altri incidenti. “Ora sono a casa. All’ospedale mi hanno detto che non posso uscire al pascolo per 40 giorni, e i miei figli non possono andare a scuola perché sono io che li accompagno.”

Questo è stato il peggior incidente da sempre in cui siamo stati coinvolti,” afferma Herdin. “Ciò che mi dà più fastidio è come il loro contesto lo accetta. Ci sono persone di Shadmot Mehola che dicono che forse era successo qualcosa prima. È arrivata una soldatessa e ha detto lo stesso. Quella che è inquietante è la normalizzazione della situazione.”

La polizia ha affermato che “appena ricevuta l’informazione sull’incidente agenti e forze militari sono arrivati sul posto ed è stata aperta un’inchiesta, che è ancora in corso.”

Nel secondo incidente, nelle Colline Meridionali di Hebron, un militante che ha chiesto di rimanere anonimo ha affermato di essere arrivato sul posto, nei pressi di Otniel, insieme ad altri attivisti e a palestinesi dopo aver ricevuto l’informazione che coloni avevano piazzato tende su terra palestinese proprietà di un privato.

Poi si sono presentati dei soldati che hanno mostrato agli attivisti un ordine in cui si dichiarava la terra zona militare chiusa, e hanno sparato granate stordenti e lacrimogeni, che hanno appiccato un incendio. Ma secondo gli attivisti i soldati non hanno cacciato i coloni che si trovavano sul posto. Hanno invece arrestato due militanti e li hanno consegnati a un poliziotto arrivato dopo.

L’agente “ci ha detto di andare con lui alla sua macchina per portarci alla stazione di polizia,” afferma l’attivista. “Lungo il percorso, mentre stavamo camminando con lui, sono arrivati quattro o cinque coloni e chissà perché hanno iniziato a martellarci di colpi micidiali. Tutto ciò è avvenuto dopo che eravamo stati arrestati, ci trovavamo sotto la protezione della polizia e l’agente era a circa mezzo metro da noi.” E continua: “Il poliziotto ha afferrato il giovane che guidava l’aggressione,” aggiungendo che il colono ha colpito anche l’agente. L’attivista ha subito una ferita alla testa.

Successivamente i militanti arrestati sono stati portati alla stazione di polizia e interrogati in quanto sospettati di aver violato l’ordine che dichiarava il luogo zona militare chiusa. Uno è stato rilasciato a condizione che si tenga lontano dalla zona, mentre il ferito è stato rilasciato senza condizioni e portato allo Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme, dove è stato visitato e poi dimesso.

La polizia afferma che durante l’incidente quattro israeliani, due coloni e due militanti di sinistra, sono stati arrestati. Secondo il comunicato tutti e quattro sono stati rilasciati dopo essere stati interrogati.

Il portavoce dell’Israeli Defence Forces [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] afferma che “vari israeliani e palestinesi si sono scontrati con alcuni abitanti dell’insediamento di Otniel, sottoposto alla giurisdizione della brigata della Giudea. I militari delle IDF che sono arrivati sul posto hanno chiesto ai presenti di andarsene, e quando questi non hanno acconsentito è stato usato equipaggiamento per il controllo dell’ordine pubblico. A causa di ciò sul luogo è scoppiato un incendio, ma è stato spento subito dopo.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Meta rimuove il profilo di un presentatore di Al Jazeera dopo una trasmissione critica nei confronti di Israele

Redazione di Al Jazeera

10 settembre 2023 – Al Jazeera

La puntata di Tip of the Iceberg ha analizzato come Facebook prende di mira contenuti palestinesi relativi a Israele.

Il profilo Facebook di Tamer Almisshal, presentatore arabo di Al Jazeera, è stato cancellato da Meta 24 ore dopo che il suo programma Tip of the Iceberg [Punta dell’iceberg] ha trasmesso The Locked Space [Lo Spazio Blindato], un’indagine sulla censura dei contenuti palestinesi attuata da Meta.

L’inchiesta del programma andato in onda venerdì includeva l’ammissione da parte di Eric Barbing, ex capo dei sistemi di cybersicurezza di Israele, che la sua organizzazione tenta di rintracciare i contenuti palestinesi secondo criteri come i “like” sotto una foto di un palestinese ucciso dall’esercito israeliano.

Poi l’agenzia si mette in contatto con Facebook sostenendo che quel contenuto dovrebbe essere rimosso.

Secondo Barbing di solito Facebook accoglie le richieste e gli apparati di sicurezza di Israele danno seguito al caso, anche avviando un’inchiesta giudiziaria.

Alle ammissioni di Barbing l’inchiesta faceva seguire interviste a vari esperti di diritti umani e digitali che concordavano sul fatto che c’è un’evidente disparità nel modo in cui sono limitati i contenuti palestinesi.

Nel programma si intervistava anche Julie Owono, che fa parte dell’organo di vigilanza di Facebook, che ha ammesso che c’è una discrepanza nel modo in cui le regole sono interpretate e applicate ai contenuti palestinesi, aggiungendo che sono state inviate a Facebook delle raccomandazioni per modificare la situazione.

Al Jazeera ha chiesto a Facebook il motivo della chiusura del profilo di Almisshal senza un preavviso o una spiegazione. Al momento della pubblicazione non ha ricevuto alcuna risposta.

Colpire un giornalista’

Almisshal afferma che il profilo rimosso è la sua pagina personale, che ha aperto nel 2006 ed è controllata. Ha almeno 700.000 follower.

Dopo l’enorme successo della puntata ho scoperto che il mio profilo personale Facebook era stato disabilitato senza spiegazioni,” dice ad Al Jazeera. “Sembra proprio una specie di vendetta per il programma. Non abbiamo ancora ricevuto una riposta da Facebook.”

La redazione del programma aveva iniziato un’inchiesta su quanto ampia sia la differenza fra i post palestinesi e quelli israeliani e su come i rispettivi materiali sono trattati da Facebook.

Per farlo si è ideato un esperimento costruendo due pagine differenti, una con un punto di vista filopalestinese e l’altra con uno filoisraeliano, e ha fatto delle prove. Il team ha concluso che in effetti c’era una notevole discrepanza su quanta attenzione veniva dedicata ai post delle due pagine e su come le regole vi erano applicate.

Non è chiaro perché Facebook abbia scelto di rimuovere la pagina di un singolo individuo in risposta a un programma.

Non ci sono state spiegazioni o avvertimento,” dice Almisshal. “Non ci sono mai stati problemi prima con nessuno dei contenuti della mia pagina. Nessun messaggio che dicesse che avevo infranto una regola.”

Almisshal difende il suo programma.

Lo scorso marzo Facebook aveva imposto delle limitazioni al mio account, ed era successo altre volte, ma normalmente la situazione veniva risolta,” conclude. “Questo era un progetto giornalisticamente valido e l’abbiamo comunicato a Meta per dar loro l’opportunità di parlare durante l’inchiesta.

Ma invece prendere di mira un singolo giornalista… non me lo sarei mai aspettato.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Soldatesse israeliane costringono delle donne palestinesi a spogliarsi utilizzando un cane da combattimento

Amira Hass

5 settembre 2023 – Haaretz

Durante un raid a Hebron cinque donne della stessa famiglia sono state costrette a spogliarsi sotto la minaccia di un cane dell’unità cinofila e dei fucili dei soldati

A luglio nella città di Hebron in Cisgiordania due soldatesse israeliane mascherate, armate di fucili e con un cane da attacco, hanno costretto cinque donne facenti parte di una famiglia palestinese a spogliarsi, ognuna separatamente. Le soldatesse hanno minacciato di liberare il cane se le donne non avessero obbedito, dichiara la famiglia.

Durante lirruzione nella casa i soldati hanno perquisito i maschi della famiglia ma non hanno chiesto loro di togliersi i vestiti.

I militari erano in possesso di informazioni secondo cui in quella casa sarebbero state presenti delle armi e il portavoce dellunità delle forze di difesa israeliane ha detto ad Haaretz che sono stati trovati un fucile M16 e munizioni, il che ha richiesto una ulteriore perquisizione degli occupanti.

Un totale di 26 persone, tra cui 15 minori dai 4 mesi ai 17 anni, vivono in tre appartamenti adiacenti nella casa della famiglia Ajluni, nella zona sud di Hebron. La famiglia dice che il 10 luglio all’1:30 di notte circa 50 soldati con almeno due cani hanno circondato la casa.

Secondo la famiglia circa 25 – 30 soldati hanno preso posizione all’interno degli appartamenti passando da una stanza all’altra dopo aver svegliato gli occupanti con torce elettriche, forti colpi alle porte e minacce di sfondarle.

La maggior parte dei soldati erano mascherati e si vedevano solo gli occhi. Uno, che sembrava essere l’ufficiale in comando ed era senza maschera, indossava pantaloni militari ma una normale camicia a maniche corte. Le donne non sapevano chi fosse.

Alle 5:30 del mattino, i soldati hanno lasciato la casa, portando con sé il primogenito della famiglia, Harbi, che hanno arrestato. La famiglia ha subito scoperto che i gioielli d’oro che il fratello più giovane, Mohammed, aveva acquistato in vista del suo matrimonio, erano scomparsi. Valevano 40.000 shekel [9.800 euro, ndt.]. Gli uomini si sono precipitati alla stazione di polizia israeliana nel vicino insediamento di Kiryat Arba per sporgere denuncia.

La polizia ha detto che non era stato rubato nulla, ma il giorno successivo un agente ha telefonato a Mohammed e gli ha detto di venire a ritirare il suo oro. Gli è stato detto che i soldati avevano pensato che si trattasse di proiettili. Lunità del portavoce delle IDF [esercito israeliano, ndt.] afferma che i gioielli si trovavano in una borsa nera chiusa con del nastro adesivo, aperta successivamente in una stanza investigativa.

La moglie di Harbi, Diala, ha scoperto che mancavano anche 2.000 shekel che si trovavano in un cassetto, ma il denaro non è stato restituito. I portavoce dell’esercito affermano di non essere a conoscenza di tale accusa.

Costretta a spogliarsi davanti ai suoi figli

Le donne costrette a denudarsi sono Ifaf, 53 anni, sua figlia Zeinab, 17 anni, e le tre nuore di Ifaf: Amal, Diala e Rawan, che hanno circa 20 anni. Una dopo laltra sono state portati nella cameretta rosa e viola dei figli di Amal; ,un orsacchiotto rosa faceva la guardia.

La prima a essere chiamata nella stanza è stata Amal, 25 anni, costretta a spogliarsi in presenza di tre dei suoi quattro figli, che si erano appena svegliati. Piangendo, urlando e terrorizzati dal cane e dai fucili, hanno visto delle soldatesse mascherate ordinare a gesti e in un arabo stentato ad Amal di togliersi l’abito da preghiera.

Amal se lo è sfilato. Quindi le è stato chiesto di togliersi il resto dei vestiti. Lei ha protestato, facendo presente che non poteva avere nulla nascosto sotto i pantaloncini e la canottiera. Racconta che allora hanno liberato il grosso cane, che le si è avvicinato ma senza toccarla.

I bambini atterriti urlavano per tutto il tempo. Amal ha detto alle soldatesse di tirare indietro il cane perché i bambini ne avevano paura; poi si è tolta il resto dei vestiti. I bambini hanno anche dovuto assistere all’ordine dato alla madre, una volta denudata, di voltarsi, mentre singhiozzava per l’umiliazione. Circa 10 minuti dopo lei e i bambini sono stati portati fuori dalla stanza pallidi e tremanti.

La seconda ad essere chiamata è stata Ifaf, la più anziana della famiglia. Non ha voluto parlare molto del suo calvario, anche se ha raccontato che le soldatesse le hanno ordinato con gesti e in un arabo stentato di togliersi i vestiti. Basta, voltati, rivestiti.

Nel frattempo gli altri membri della famiglia venivano trattenuti in altre due stanze dello stesso appartamento. Le donne e i bambini erano in una stanza e gli uomini nell’altra. Due o tre soldati armati erano appostati davanti alla porta di ogni stanza e ordinavano agli Ajluni di non parlare.

Di tanto in tanto compariva un altro soldato e riferiva qualcosa ai colleghi. Mentre erano tenuti prigionieri nelle stanze i membri della famiglia hanno sentito le urla di Amal e dei figli, seguite da quelle delle altre donne.

Sentivano anche i soldati frugare negli appartamenti adiacenti, dare colpi, aprire i cassetti e lasciarli cadere sul pavimento, oltre alle loro risate.

Silenzio sul trauma

Non sono molte le segnalazioni riguardanti donne palestinesi costrette a denudarsi durante un raid dellesercito nella loro casa. Manal al-Jabari nei suoi 15 anni nel ruolo di ricercatrice sul campo a Hebron per l’organizzazione israeliana per i diritti BTselem ha registrato circa 20 casi simili. Ma ritiene che tali episodi svoltisi sotto la minaccia del fucile siano aumentati negli ultimi mesi. La maggior parte delle donne rifiuta di essere intervistata dai giornalisti sul trauma subito, dice Jabari.

Ma le donne della famiglia Ajluni hanno accettato di essere identificate per nome a patto di non essere fotografate. Alla stessa Jabari è stato intimato di togliersi tutti i vestiti durante una massiccia perquisizione notturna delle case a Hebron dopo l’uccisione il 21 agosto di una donna nel vicino insediamento coloniale di Beit Hagai. Jabari ha notato una telecamera sulla fronte di una soldatessa e si è rifiutata di spogliarsi.

In seguito alle mie insistenze la soldatessa ha rimosso la telecamera. Comunque mi sono rifiutata di spogliarmi. Hanno ceduto, forse perché faccio parte di BTselem”, afferma. Ma i soldati hanno saccheggiato la sua casa, rotto diversi oggetti e lasciato un tale disordine che Jabari non sapeva da dove cominciare a rimettere tutto a posto. Questo è quello che fanno spesso i soldati ed è quello che hanno fatto a casa degli Ajluni.

Parlando ad Haaretz il 27 agosto, le donne della famiglia Ajluni hanno sentito da Jabari, anche lei presente, il racconto della sua personale disavventura. A quel punto hanno ricordato di aver visto anche loro qualcosa sulla fronte delle soldatesse, ma di non sapere cosa fosse. Ora, oltre al trauma della perquisizione, erano tormentate dal dubbio che le soldatesse le avessero filmate mentre erano nude.

L’esercito ha sostenuto con una dichiarazione che le soldatesse non indossavano telecamere, al contrario del cane, ma [hanno aggiunto che] quella era spenta.

In un primo momento le donne hanno detto di non essere sicure se le soldatesse fossero mascherate, ma poi hanno concluso che dovevano esserlo. “Quando ciascuna di noi entrava nella stanza, le soldatesse spostavano un po’ i loro berretti… così abbiamo potuto notare che avevano i capelli lunghi, il che significava che erano donne”, ricordano Diala e Zeinab, completando a vicenda il racconto.

Delle cinque donne costrette a spogliarsi solo Amal non era a casa quando le altre hanno parlato con Haaretz. Era andata a comprare degli oggetti per il matrimonio. La vita riprendeva, l’anno scolastico era iniziato e poco a poco il sorriso tornava sui volti delle donne e dei loro bambini.

Jabari, la ricercatrice sul campo di BTselem, ha registrato i resoconti delle donne un giorno dopo il raid, descrivendo il terrore e lo shock che le Ajluni avrebbero ancora provato settimane dopo. Per circa quattro settimane i bambini si svegliavano spaventati nel cuore della notte e bagnavano il letto. Spesso le donne avevano la sensazione che i soldati fossero ancora in casa e sussultavano ogni volta che sentivano un rumore provenire da fuori.

Soldati davanti alla casa

La notte del raid Diala, 24 anni, si è svegliata sentendo suo marito, Harbi, litigare con qualcuno e chiedere che non entrassero in camera da letto perché lì c’era sua moglie. “Mi sono resa conto che erano soldati e mi sono alzata velocemente per coprirmi e mi sono vestita in fretta con un abito da preghiera”, ha detto.

Continua dicendo che in quel momento hanno fatto irruzione nella stanza i soldati e due grossi cani con la museruola. Le tre ragazze che dormivano nella camera dei genitori si sono svegliate e hanno visto i fucili, i cani e gli occhi che scrutavano da sopra le maschere.

Mio marito ha urlato ai soldati, in ebraico e arabo, di allontanarsi e di portare via i cani. Le mie figlie strillavano, piangevano e tremavano di paura. Lujin, che ha 4 anni, se l’è fatta addosso. I soldati hanno ordinato a mio marito di non parlare con me, gli hanno puntato i fucili alla testa e lo hanno trascinato in cucina”, racconta Diala.

Lo avrebbe rivisto solo diversi giorni dopo, al tribunale militare di Ofer, dove la sua detenzione è stata prolungata più volte. È sospettato di possedere un’arma, dice.

La notte del raid lei e le figlie sono state lasciate in camera da letto per 10 – 15 minuti; poi i soldati le hanno ordinato di attraversare il cortile per recarsi dove era stata obbligata a raccogliersi tutta la famiglia. Era l’appartamento di suo cognato Abdullah e di sua moglie Amal. Diala ha chiesto di poter prendere i soldi dal cassetto, ma lufficiale in maniche corte non lo ha permesso, dice.

Il cortile è solo parzialmente asfaltato ed è pieno di sassi, spine e pezzi di vetro. Lufficiale non le ha permesso di mettere le scarpe alle figlie e ha fatto segno che dovevo portarle in braccio”, dice Diala. Ma lei ha preso in braccio solo Ayla, di 17 mesi e mentre uscivano Lujin e Lida, che ha 5 anni, rimanevano aggrappate alla loro mamma.

“Stavo morendo di paura quando sono passata accanto al cane”, ha detto. Le sue figlie le saltellavano accanto, scalze e piangenti. Ha pensato che nel cortile ci fossero anche altri cani.

A quel punto Abdullah ha chiesto il permesso di recarsi nell’appartamento in cui suo fratello Mohammed si sarebbe trasferito dopo il matrimonio. Abdullah voleva prendere i gioielli d’oro, ma i soldati hanno rifiutato. Lui si è ribellato, quindi lo hanno ammanettato da dietro, bendato e portato nella cucina di Diala e Harbi.

Hanno fatto lo stesso con suo cugino di 17 anni, Yamen. Le donne li hanno trovati in cucina dopo che i soldati sono andati via con Harbi. Hanno tagliato le manette di plastica con un coltello.

Dopo la perquisizione intima di Ifaf, è stata la volta di Diala. Un soldato è entrato nel soggiorno e le ha detto di andare con lui. “Sono entrata in una stanza e, avendo tanta paura del grosso cane, sono rimasta vicino alla porta e ho cercato di uscire”, racconta. Le soldatesse mi hanno urlato contro e mi hanno ordinato di restare nella stanza”.

Quando si è rifiutata di togliersi gli indumenti sotto l’abito da preghiera la soldatessa con il cane ha minacciato di liberare l’animale. Anche Diala una volta nuda ha dovuto girare intorno a se stessa in presenza delle soldatesse, e anche lei ha pianto.

La diciassettenne Zeinab si è ribellata. Quando i soldati hanno chiesto a tutti di consegnare i propri telefoni lei è riuscita a nascondere il suo sotto un cuscino. Ha raccontato che, mentre i membri della famiglia erano ancora seduti in soggiorno con i bambini, un soldato mi ha indicato e mi ha detto [in arabo] Tu, vieni e mi ha condotto nella stanza dei bambini.

Le soldatesse mi hanno mostrato i capelli per farmi capire che erano donne e mi hanno ordinato di mettermi in un angolo della stanza. Poi il soldato ha aperto con rabbia la porta, ha sbirciato dentro, ha agitato il mio telefono, ha sollevato il fucile e lo ha puntato contro di me. Era arrabbiato perché non lo avevo consegnato quando me lo ha detto. Ho urlato. Per fortuna non mi ero ancora tolto lhijab”.

(A quel punto Diala interviene dicendo che le altre donne l’hanno sentita urlare e non sapendo cosa stesse succedendo erano molto preoccupate.)

“Pensavo che ci avrebbero esaminato con apparecchiature elettromagnetiche”, dice Zeinab. Quando la soldatessa mi ha ordinato in un arabo stentato di spogliarmi sono rimasta sorpresa. Ho detto: “Cosa?”. Lei ha risposto: “I vestiti”. Ho detto: “Non voglio”. E lei mi ha intimato: “Togliti tutto”.

Ho deciso di urlare mostrando che non avevo niente addosso e lei ha insistito perché mi togliessi tutto. Quando mi sono opposta si sono avvicinate a me in modo minaccioso con il cane. Ho sentito Diala urlarmi dall’esterno della stanza di fare quello che diceva la soldatessa.

Dopodiché mi sono spogliata. La soldatessa mi ha detto di voltarmi. Mi sono voltata solo a metà e allora lei ha avvicinato di nuovo il cane. Tremavo e piangevo”.

Ad un certo punto i bambini sono stati lasciati soli in soggiorno, senza le loro madri e in presenza dei soldati armati. Dopo essere state perquisite, le madri sono state condotte in un corridoio adiacente. I bambini erano spaventati e piangevano.

I soldati hanno in parte accolto le richieste delle madri e hanno permesso loro di prendere i due bambini più piccoli. Ifaf e uno dei suoi nipoti raccontano che i soldati hanno cercato di calmare i bambini rimasti soli in soggiorno. Hanno fatto il batti pugno con i pugnetti di alcuni di loro.

Il portavoce dell’unità delle IDF ha dichiarato: Secondo lintelligence è stato trovato un lungo M16, oltre a munizioni e un caricatore. Dopo il ritrovamento dell’arma è stato necessario controllare le altre persone presenti nell’abitazione per escludere la possibilità di trovare altre armi. Secondo le istruzioni degli investigatori della polizia di Hebron le soldatesse [dell’unità cinofila] hanno perquisito le donne presenti nella casa in una stanza chiusa, ognuna individualmente. Le soldatesse non indossavano telecamere.

Il cane, che non era presente nella stanza durante l’ispezione, aveva una telecamera montata sulla schiena per scopi operativi e in quel momento non era accesa. Nel corso delle perquisizioni è stata rinvenuta e portata via insieme all’arma una borsa nera nascosta, chiusa con del nastro adesivo. La borsa è stata aperta nella stanza delle indagini e si è capito che si trattava di gioielleria.

Il giorno dopo la perquisizione è venuto il fratello dellarrestato, ha firmato [una dichiarazione secondo cui] si trattava di gioielli di famiglia e se li è ripresi. Non siamo a conoscenza dell’affermazione relativa ai 2.000 shekel. Non ci risulta alcuna lamentela riguardo al caso. Qualora pervenga verrà presa, come di consueto, in considerazione”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele uccide due palestinesi e distrugge ancor di più il campo di Nur Shams

Redazione di Al Jazeera

5 settembre 2023 – Al Jazeera

Ayed Abu Harb è stato ucciso durante un’incursione su vasta scala del campo di Nur Shams a Tulkarem, prima di un altro palestinese ucciso da Israele nella Valle del Giordano.

Tulkarem, Cisgiordania occupata – Forze israeliane hanno ucciso un giovane palestinese e ne hanno ferito gravemente un altro durante una massiccia incursione contro il campo profughi nella città di Tulkarem, nel nord della Cisgiordania occupata, danneggiando alcune infrastrutture del campo.

Sempre martedì qualche ora dopo un altro palestinese è stato ucciso dopo che avrebbe aperto il fuoco contro soldati israeliani in una colonia ebraica illegale in Cisgiordania.

Il ministero palestinese della Sanità ha annunciato che l’uomo ucciso a Tulkarem è il ventunenne Ayed Samih Khaled Abu Harb, affermando che è stato colpito alla testa. Alle 11 si è svolto il corteo per il suo funerale.

All’alba forze israeliane con trattori blindati hanno fatto irruzione da varie direzioni nel sovrappopolato campo profughi di Nur Shams. provocando la resistenza armata da parte di combattenti palestinesi.

Hanno disselciato la strada che porta al campo, a pochi minuti dalla città di Tulkarem, e prima di ritirarsi tre ore dopo hanno distrutto alcune case e negozi, così come infrastrutture.

Hanno distrutto ogni cosa”

Taha al-Irani, presidente del comitato popolare del campo, ha parlato martedì con Al Jazeera del livello di devastazione e dello shock per l’uccisione di Abu Harb e il ferimento di un altro uomo.

Ti assicuro che il martire [Ayed] era semplicemente in piedi davanti alla porta di casa quando è stato ucciso, e l’uomo in condizioni critiche è un taxista che stava andando al lavoro,” afferma al-Irani, 50 anni.

C’è una devastazione totale nel campo… La strada principale che lo collega ad altre città – Tulkarem, Nablus, Ramallah – è stata parzialmente distrutta.”

Il campo profughi di Nur Shams, sorto nel 1952, è uno dei due campi di Tulkarem ed è stato costruito per accogliere rifugiati palestinesi della zona di Haifa in seguito alla Nakba, o pulizia etnica della Palestina da parte delle milizie sioniste nel 1948.

Mohammad Abu Talal, trentanovenne proprietario di un supermarket, dice ad Al Jazeera: “L’esercito è entrato con scavatrici e trattori. Hanno distrutto il negozio, hanno distrutto ogni cosa.”

In un comunicato il provveditorato agli studi di Tulkarem ha annunciato che avrebbe sospeso le lezioni martedì.

Quest’anno sono stati uccisi 233 palestinesi

Più tardi sempre martedì nella Valle del Giordano forze israeliane hanno affermato di aver ucciso un palestinese che aveva aperto il fuoco verso un centro commerciale in una colonia illegale nei pressi della Route 90, la principale autostrada della regione.

Il palestinese è stato identificato dal ministero palestinese della Sanità come il diciassettenne Mohammed Zubaidat.

Prima di essere ucciso Zubaidat avrebbe ferito un soldato israeliano.

Con la morte di Abu Harb e Zubaidat il numero di palestinesi uccisi dall’esercito israeliano dall’inizio dell’anno è salito a 233.

L’esercito israeliano ha affermato di aver arrestato nella sola nottata di martedì 21 palestinesi “ricercati sospetti”. In totale sono migliaia i palestinesi detenuti in varie forme da Israele.

L’esercito israeliano occupa militarmente da 56 anni la Cisgiordania, dove vivono circa tre milioni di palestinesi.

Negli ultimi due anni la resistenza armata palestinese si è riorganizzata ed è cresciuta per rilevanza, soprattutto nel nord della Cisgiordania occupata. Come risposta Israele ha cercato di schiacciare questa resistenza con incursioni quasi quotidiane, che hanno provocato pressoché ovunque vittime, contro le città, villaggi e campi profughi palestinesi

Nur Shams è stato preso di mira il 24 luglio in un altro recente attacco israeliano su larga scala, durante il quale sono stati feriti almeno 13 palestinesi, di cui 4 da proiettili veri e 9 da granate. Durante l’incursione le forze israeliane hanno anche danneggiato seriamente infrastrutture, obbligando l’Autorità Nazionale Palestinese a destinare una parte del proprio bilancio alla ricostruzione del campo.

Grazie a dio non avevamo ancora pubblicato bandi di appalto per la ricostruzione di strade e infrastrutture (dopo i primi raid),” afferma al-Irani.

Il 5 agosto l’esercito israeliano ha fatto incursione nel campo e ha colpito alla testa da distanza ravvicinata il diciottenne Mahmoud Abu Sa’an uccidendolo, ha affermato il ministero della Sanità. Abu Sa’ad si era appena diplomato all’esame di maturità.

Se gli israeliani pensano di poter ottenere la sicurezza e la pace con l’oppressione e i crimini che commettono stanno delirando. Ciò non avverrà finché i palestinesi non avranno ottenuto i loro diritti per vivere in dignità nel loro Stato,” afferma al-Irani.

Interviste di Ayman Nobani nel campo profughi di Nur Shams.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La Palestina denuncia la ‘pirateria’ di Israele dopo la riduzione dell’ammontare delle tasse

Redazione di MEMO

5 settembre 2023 – Middle East Monitor

L’agenzia Anadolu riferisce che martedì il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha denunciato come “pirateria” la riduzione dell’ammontare delle tasse da parte di Israele.

Martedì il ministro delle Finanze israeliano ha affermato che dedurrà una quota di denaro dai fondi che Tel Aviv riscuote per conto dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per rimborsare i debiti per l’elettricità palestinese con la Israel Electric Corp (IEC).

Questi sono pirateria e furto sistematici del nostro denaro,” ha affermato Shtayyeh in una dichiarazione.

Queste riduzioni sono una dichiarazione di guerra finanziaria che fa parte della guerra politica in corso contro il popolo palestinese,” ha aggiunto.

Il premier palestinese ha sollecitato l’amministrazione statunitense e l’Unione Europea “a intervenire per fermare tutte queste politiche”, preavviso di “pericolose ripercussioni” della decisione di Israele.

Secondo i mezzi di comunicazione israeliani, il debito palestinese con la IEC è stimato in circa due miliardi di shekel (circa 526 milioni di euro).

Tuttavia la controparte palestinese afferma che i suoi debiti sono solo di 800 milioni di shekels (210.5 milioni di euro).

Negli ultimi anni l’ANP sta affrontando molteplici difficoltà economiche come risultato delle decisioni israeliane di ridurre o di bloccare il trasferimento delle entrate fiscali palestinesi raccolte da Israele.

Il gettito fiscale – conosciuto in Palestina e Israele come maqasa –viene raccolto dal governo israeliano per conto della ANP sulle importazioni ed esportazioni palestinesi. Israele in cambio incassa una commissione del 3% delle entrate fiscali raccolte.

Gli introiti fiscali, che costituiscono la fonte principale delle entrate della ANP, sono stimati intorno ai 30-33 milioni di euro al mese.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)