La guerra a Gaza: come Israele ha ucciso i palestinesi in attesa dei camion alimentari nel nord di Gaza

Corrispondente di MEE nel nord di Gaza, Palestina occupata

15 gennaio 2024 – Middle East Eye

L11 gennaio carri armati e droni israeliani hanno aperto il fuoco sui palestinesi in attesa dei camion alimentari in via Al-Rasheed, uccidendo e ferendo decine di civili.

Per i palestinesi sfollati avrebbe dovuto costituire una zona dove ottenere le forniture di cibo di cui nel nord di Gaza hanno disperatamente bisogno.

Ma testimoni oculari hanno raccontato a Middle East Eye come l’11 gennaio una grande folla in attesa di un camion carico di cibo in via al-Rasheed sia stata colpita dal fuoco dell’esercito israeliano, con decine di morti e feriti nell’attacco.

L’esercito israeliano ha bombardato la folla con il fuoco dei carri armati e dei droni. Muhammad Al-Salim, 27 anni, ha assistito al massacro e ha raccontato a Middle East Eye di aver visto decine di corpi sparsi lungo la strada.

“Alle 9 del mattino io e i miei due cugini siamo andati in via Al-Rasheed dopo che i nostri vicini ci avevano detto che stavano per passare camion che trasportavano farina”, ricorda.

Siamo arrivati lì alle 10 perché la maggior parte delle strade erano distrutte e piene di macerie, quindi le macchine non potevano passare.

Quando siamo arrivati cerano già centinaia di persone che aspettavano.

Mentre attraversavamo la rotonda di Nabulsi un carro armato dellesercito israeliano è apparso da dietro una collina di sabbia e ha iniziato a sparare a caso sulla gente.

Contemporaneamente i droni hanno iniziato ad attaccare noi e le centinaia di persone, compresi i bambini, che ci circondavano”.

Salim dice di aver visto due ragazze davanti a lui colpite da proiettili e le persone in prima fila uccise dal fuoco dei carri armati e droni.

Aggiunge di aver visto più di 50 morti e feriti, con centinaia di persone tra la folla che fuggivano nelle stradine adiacenti Al-Rasheed per evitare la pioggia di proiettili e granate.

Nonostante l’eccidio Salim è tornato sul posto insieme ad altre decine di persone quando intorno alle 11,30 sono arrivati finalmente i camion degli aiuti.

Ha visto sei camion in totale: quattro trasportavano farina e prodotti in scatola mentre gli altri due trasportavano medicinali.

Come noi, nonostante fossero feriti e fossimo circondati dai cadaveri, molte persone sono tornate per aspettare i camion. Cercavano di bloccarli per assicurarsi di poter portare del cibo alle proprie famiglie”, racconta, aggiungendo: “Ho visto due ragazze correre accanto al camion per prendere un po’ di farina; correvano davvero veloci ma sono state travolte. Sono morte subito.

La scena era spaventosa

Il racconto di Salim è confermato anche da altri testimoni, tra cui Ahmed Abed, 27 anni.

La mattina dell’11 gennaio alle 7:30 Abed e suo fratello si sono diretti con un gruppo di giovani in via Al-Rasheed dopo aver sentito che lì avrebbero potuto comprare della farina.

Sapeva che sarebbe stato rischioso, ma i camion che trasportano il cibo sono convenienti rispetto alla farina di provenienza locale.

Come per Salim, quando Ahmed ha raggiunto la rotonda di Nabulsi, il suo viaggio ha preso una brutta piega.

Dopo aver raggiunto il punto di riferimento vicino alla costa di Gaza si è unito a un folto gruppo di persone che ha pensato si stessero dirigendo verso i camion degli aiuti.

“All’improvviso e senza alcuna provocazione o avvertimento sono iniziati degli spari dal luogo in cui avrebbero dovuto arrivare gli aiuti e i camion con la farina”, ricorda, aggiungendo: “Contemporaneamente sopra di noi sono apparsi dei droni che hanno iniziato a spararci indistintamente.

“Le scene erano terrificanti: ho visto persone colpite da colpi di arma da fuoco cadere uccise accanto a me.”

Abed dice che poteva sentire i proiettili sfiorarlo e persino schiantarsi a terra vicino a lui.

Si è diretto verso le rovine delle case lungo via Al-Rasheed correndo veloce attraverso cumuli di macerie, incapace di pensare ad altro che a sfuggire ai proiettili.

“Ero così spaventato che mi sono dimenticato di mio fratello e dei ragazzi che erano con me.”

Dopo aver proseguito per qualche centinaio di metri è riuscito a riunirsi con alcuni dei suoi amici e a tornare nel suo quartiere.

Suo padre stava aspettando con ansia il suo ritorno insieme ad altre persone della comunità.

Due componenti del gruppo di Abed sono rimasti gravemente feriti: uno di loro è stato colpito al collo e un altro alla mano.

Cercavamo farina”, dice Abed. Non tornerò mai più a prendere la farina, anche se morissi di fame”.

“La sparatoria è iniziata all’improvviso”

Per la popolazione di Gaza la fame è ormai una realtà quotidiana e, sebbene nessuna parte del territorio assediato sia al sicuro dagli attacchi israeliani, per la popolazione del nord la minaccia è più pervasiva.

Vivendo tra le macerie e con una dieta insufficiente la scelta che devono affrontare è se restare nei loro rifugi sperando che il cibo duri il più a lungo possibile o rischiare la morte avventurandosi alla ricerca dei camion degli aiuti.

Mahmoud Hamdi, 33 anni, vive con la moglie e quattro figli a Gaza City e da quando è iniziata la guerra si sono uniti a loro i genitori di Hamdi e il fratello con la sua famiglia di tre persone, perché le loro case sono state distrutte.

Facciamo un pasto al giorno, principalmente riso o lenticchie, così possiamo far durare il cibo disponibile”, ha detto a Middle East Eye.

Quando ha saputo che l’11 gennaio i camion degli aiuti sarebbero arrivati vicino a via Al-Rasheed ha deciso di intraprendere il percorso nella speranza di ottenere delle scorte di cibo.

“Sapevo che la strada poteva essere pericolosa, ma ho deciso di andare perché non avevo altra scelta”, dice.

“I miei figli mi chiedevano costantemente di portare del cibo e dicevano alla madre che erano molto affamati. Non potevo sopportare di vedere i miei figli soffrire per la paura e la fame.”

Inizialmente Hamdi si sentiva al sicuro nel riunirsi alla folla presso la rotonda di Al-Nabulsi pensando che Israele non avrebbe sparato su un così esteso raduno di civili. Ma poi è iniziata la sparatoria.

“Ho visto molte persone colpite dai colpi di arma da fuoco cadere a terra morenti”, ricorda.

Non cerano ambulanze in giro e nessuno poteva fare nulla perché la sparatoria è iniziata allimprovviso e la gente correva nel caos travolta dalla paura”.

Hamdi dice di aver visto la gente del posto arrivata con carri trainati da asini per caricare la farina usarli invece per trasportare i morti e i feriti lontano dalla sparatoria.

Altri, che avevano l’auto, la usavano come ambulanza improvvisata.

Mi sono bloccato”, ricorda Hamdi. Ho iniziato a piangere perché non ero in grado di reagire o scappare. Non sapevo cosa fare.

Quando è riuscito a riprendersi Hamdi si è messo a correre ma nel mentre un proiettile gli ha sfiorato il piede.

Dice che la ferita erasuperficiale” e così ha continuato a scappare dagli spari, mentre il suo piede sanguinava.

“Quel giorno sono tornato a casa più tardi senza portare né farina né cibo per i miei figli”, afferma.

Se avessi saputo che ottenere degli aiuti avrebbe significato un massacro, non sarei mai andato.

“Ho ringraziato Dio per essere riuscito a tornare, questa volta.”

Nota dell’editore: i nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità degli intervistati

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)




Un ‘genocidio culturale’: quali sono i siti storici distrutti a Gaza?

Indlieb Farazi Saber

14 gennaio 2023 – Al Jazeera

Negli ultimi 100 giorni circa 200 siti di importanza storica sono stati distrutti o danneggiati dai raid aerei israeliani contro l’enclave palestinese.

Secondo un’ong che documenta i danni di guerra ai siti storici un porto antico datato all’800 a.C., una moschea che conserva rari manoscritti e uno dei più antichi monasteri cristiani del mondo sono solo alcuni degli oltre 195 siti distrutti o danneggiati dal 7 ottobre quando è iniziata la guerra di Israele contro Gaza.

Spazzare via il patrimonio culturale di un popolo è uno dei molti crimini di guerra che il Sudafrica cita nella causa intentata contro Israele esaminata la scorsa settimana dalla Corte Internazionale di Giustizia. In essa si legge: “Israele ha danneggiato e distrutto numerosi centri di studio e cultura palestinesi”, fra cui biblioteche, luoghi religiosi e importanti siti storici antichi.

Secondo gli storici Gaza, una delle aree del mondo abitate da più tempo, è stata patria di una mescolanza di popoli almeno fin dal XV secolo a.C.

Gli imperi dell’antico Egitto, degli assiri e dei romani sono andati e venuti, dominando in momenti diversi la terra dei Cananei, gli antenati dei palestinesi, lasciando reperti del proprio patrimonio culturale. Nel corso dei secoli anche greci, ebrei, persiani e nabatei sono vissuti in questa striscia costiera.

Situata strategicamente sulla costa orientale del Mediterraneo, Gaza è sempre stata in una posizione eccellente sulle vie commerciali fra Eurasia verso l’Africa. I suoi porti l’hanno resa un polo regionale per commerci e cultura. Almeno dal 1300 a.C. la Via Maris che da Eliopolis, nell’antico Egitto, tagliava la costa occidentale di Gaza e poi entrava in Siria era il principale passaggio per i viaggiatori diretti a Damasco.

Il crimine di prendere di mira e distruggere siti archeologi dovrebbe spronare il mondo e l’UNESCO ad agire per conservare questa grande civiltà e il suo patrimonio culturale,” ha detto il ministero per il Turismo e le Antichità di Gaza dopo la distruzione della grande moschea di Omari nel corso di un attacco aereo israeliano l’8 dicembre.

Come conseguenza di quel particolare attacco, un’antica collezione di manoscritti conservata nella moschea potrebbe essere andata persa per sempre. “La collezione di manoscritti resta nelle vicinanze della moschea e al momento inaccessibile perché il conflitto è ancora in corso,” ha detto ad Al Jazeera subito dopo l’attacco padre Columba Stewart, direttore esecutivo dell’Hill Museum and Manuscript Library (HMML).

Secondo la convenzione dell’Aja del 1954, ratificata sia da palestinesi che da israeliani, si dovrebbero difendere i monumenti dalle devastazioni della guerra. Isber Sabrine, presidente di un’ong internazionale che documenta il patrimonio culturale, ha spiegato che i crimini che riguardano il patrimonio culturale fanno parte “dei danni collaterali del genocidio”.

Le biblioteche fungono da contenitori di cultura e un attacco contro di esse è un attacco contro il patrimonio culturale. Ciò che sta accadendo ora è un crimine di guerra. Contravviene alla prima convenzione dell’Aja,” dice Sabrine. “Israele sta tentando di cancellare il legame del popolo con la propria terra. È molto chiaro e intenzionale. L’eredità di Gaza fa parte del suo popolo, è la sua storia e il suo legame.”

Se il genocidio culturale cancella il patrimonio tangibile come musei, chiese e moschee, quello immateriale include costumi, cultura e manufatti. Anche questi sono stati danneggiati, come [la sede del] sindacato degli artisti palestinesi in Jalaa Street a Gaza City e i famosi vasi di argilla prodotti un tempo nel quartiere di al-Fawakhir.

In una dichiarazione ad Al Jazeera l’UNESCO ha detto: “Se la priorità è giustamente data alla situazione umanitaria, anche la protezione del patrimonio culturale in tutte le sue forme deve essere tenuta in conto. Secondo il suo mandato l’UNESCO fa appello a tutti gli attori coinvolti a rispettare rigorosamente il diritto internazionale. Un bene culturale non dovrebbe essere preso di mira o usato a scopi militari in quanto è considerato una infrastruttura civile.”

Ecco un elenco di alcuni dei siti che sono stati distrutti o danneggiati:

Musei

Ci sono quattro musei a Gaza e due sono stati spianati, come confermato ad Al Jazeera dall’International Council of Museums-Arab (ICOM-Arab).

Il Museo Rafah aveva completato un progetto trentennale di curatela di una collezione di monete antiche, piatti di rame e gioielli che ne faceva il principale museo di Gaza del patrimonio palestinese. È stato una delle prime vittime della guerra, distrutto in un attacco aereo l’undici ottobre.

Il museo Al Qarara (anche noto come il Museo Khan Younis), più ad oriente e una volta situato in cima a una collina, fu aperto nel 2016 dai coniugi Mohamed e Najla Abu Lahia che volevano conservare per le generazioni future la storia del territorio e del patrimonio di Gaza.

La collezione consisteva di circa 3.000 manufatti risalenti ai Cananei, la civiltà dell’età del Bronzo che visse a Gaza e in gran parte del Levante nel secondo secolo a.C.

Ora tutto ciò che resta del museo sono frammenti di ceramica e vetri rotti che sono schizzati fuori dalle vetrine durante un attacco aereo in ottobre.

ICOM-Arab ha detto ad Al Jazeera che a questo museo era stato dato un preavviso dalle forze israeliane di svuotarlo del suo contenuto ed evacuarlo nel sud di Gaza.

Il Mathaf al-Funduq, un piccolo museo aperto nel 2008 e ospitato nel Mathaf Hotel a Gaza nord, è stato danneggiato da bombardamenti il 3 novembre.

A Gaza City Qasr Al-Basha, o Palazzo del Pasha, del XIII secolo, fu trasformato in un museo nel 2010 dal ministero del Turismo palestinese e in mostra c’era una collezione di oggetti di periodi diversi della storia di Gaza. L’undici dicembre è stato colpito da un attacco aereo israeliano che ha danneggiato i muri, il cortile e i giardini.

Come molti degli edifici storici di Gaza, ha cambiato proprietà e funzioni parecchie volte nella sua vita. Il forte a due piani, costruito dal sultano mamelucco Zahir Baybars a metà del XIII secolo, fu un tempo sede del potere, costruito per difendersi dalle armate crociate e mongole. Durante il XVII secolo venne usato dagli Ottomani e ci abitò il comandante dell’armata francese Napoleone Bonaparte nel 1799 quando entrò a Gaza per cercare di prevenire l’incombente invasione ottomana dell’Egitto, dove i francesi avevano il quartier generale.

Prima della Nakba del 1948, quando centinaia di migliaia di palestinesi divennero rifugiati nel corso della creazione di Israele e molti fuggirono a Gaza, il palazzo servì come stazione di polizia per gli inglesi che governavano l’area e poi divenne una scuola femminile palestinese.

Biblioteche

Durante una pausa di una settimana nei bombardamenti israeliani iniziata il 24 novembre, i palestinesi hanno potuto ispezionare velocemente la vastità dei danni alla propria patria. È diventato rapidamente chiaro che molti edifici pubblici erano stati distrutti, incluso il Centro culturale Rashad El Shawa a Gaza City, un tempo sede dei colloqui di pace fra il leader dell’OLP Yasser Arafat e il presidente americano Bill Clinton negli anni ‘90. Anche la libreria comunitaria Samir Mansour, accuratamente restaurata dopo i bombardamenti israeliani del 2021, è stata gravemente danneggiata.

La biblioteca della Grande moschea Omari a Gaza City era un tempo ricolma di manoscritti rari, fra cui antiche copie del Corano, biografie del profeta Maometto e antichi tomi di filosofia, medicina e del misticismo sufi. La biblioteca, fondata dal sultano Zahir Baybars e aperta nel 1277 vantava una volta una collezione di 20.000 libri e manoscritti.

Molti dei libri e manoscritti rari là conservati andarono perduti o distrutti durante le Crociate e la prima guerra mondiale, lasciando solo 62 libri, anche questi ora distrutti in un attacco l’8 dicembre.

Un progetto di digitalizzazione di questi libri è stato completato lo scorso anno dall’Hill Museum and Manuscript Library e dalla British Library e sono ora accessibili online su HMML Reading Room.

Moschee

Il Ministero del Turismo e delle Antichità di Gaza stima che dall’inizio dell’attacco israeliano ben 104 moschee siano state danneggiate o distrutte. Sono incluse la moschea Othman bin Qashqar a Gaza City nel quartiere di Zeitoun, costruita nel 1220 sul sito dove si crede sia sepolto il bisnonno del profeta Maometto. È stata gravemente danneggiata in un attacco aereo il 7 dicembre.

La moschea Sayed al-Hashim, costruita nel XII e ricostruita nel 1850 ‘ stata danneggiata in un attacco aereo in ottobre. Questo edificio costruito di solido calcare nella città vecchia di Gaza è di grande importanza per i musulmani perché si dice che ospiti la tomba di un altro bisnonno del profeta Maometto, Hashim bin Abd Manaf. Secondo tradizioni locali sarebbe stato un mercante che si ammalò e morì nel viaggio di ritorno in Siria dalla Mecca e sia quindi sepolto in quello che ora è il sobborgo di Daraj.

La Moschea Hashim bin Abd Manaf. Foto: Abdelhakim Abu Riash/Al Jazeera

Alla costruzione della moschea fece seguito un breve intervallo di dominio crociato prima che si insediassero al potere i Mamelucchi che la ricostruirono. Fu in seguito restaurata nel 1850 sotto la guida del sultano ottomano Abdul Majide e di nuovo dopo i danni nel 1917 durante la prima guerra mondiale.

Agli inizi del presente conflitto la moschea ha preso fuoco durante un attacco aereo israeliano che ne ha danneggiato i muri e i soffitti.

La Grande moschea Omari è stata luogo di venerazione religiosa in forme diverse per circa due millenni.

Conosciuta in arabo come Al-Masjid al-Omari al-Kabir, si pensa sia stata la prima moschea costruita nella Striscia di Gaza 1.400 anni fa. L’otto dicembre è stata distrutta da un attacco aereo israeliano.

Costruita di arenaria locale per accogliere 5.000 fedeli per momenti di preghiera collettiva, tutto quello che ne rimane è il minareto dell’era mamelucca, spezzato e danneggiato.

Per la comunità era più di una moschea,” dice Sabrine. “Un signore mi ha detto che si sentiva più addolorato per la distruzione della moschea che della propria casa.”

Chiamata così dal secondo califfo islamico, Omar bin Khattab, fu costruita nel VII secolo sopra le rovine di una chiesa antica costruita nel 406, essa stessa sorta sulle fondamenta di un tempio pagano del dio cananaico della fertilità, Dagon.

Come molti siti storici che sopravvivono ai popoli che li costruirono, nasconde storie diverse. Secondo una versione Sansone, un guerriero israelita citato nell’Antico Testamento, noto perché la sua forza risiedeva nei capelli, finì sepolto fra le rovine della struttura che cadde su di lui dopo che aveva abbattuto i muri del tempio pagano. Altri dicono che il tempio cadde dopo che i Bizantini diedero alle fiamme tutti i siti pagani quando presero il potere a Gaza dal 390.

Il conquistatore ayyubita Salah al-Din riportò l’edificio al ruolo di moschea dopo che i Crociati l’avevano convertito nella cattedrale di San Giovanni Battista.

La moschea è stata usata come luogo di preghiera dalla comunità musulmana locale fin dal 1291 ed è stata il punto focale di riunioni e attività culturali.

L’anno scorso, in collaborazione con il programma per gli archivi a rischio della British Library Endangered Archives, HMML ha digitalizzato una selezione di copie uniche antiche della biblioteca della moschea che non sono disponibili “in nessun altro posto al mondo”, come ha detto ad Al Jazeera un consulente di HMML. Le opere includono un libro di poesia sufi del XIV secolo di Ibn-Zokaa e tomi di famosi giuristi gazawi, come Sheikh Skaike.

L’attacco di dicembre non è stato il primo subito dalla moschea, che era stata colpita anche il 19 ottobre e danneggiata durante la Prima Guerra Mondiale e di nuovo nell’attacco israeliano contro Gaza nel 2014.

Chiese

Il pavimento della chiesa bizantina di Jabalia, costruita nel 444, era un tempo decorato con mosaici colorati rappresentanti animali, scene di caccia e palme. I suoi muri erano adornati da 16 testi religiosi scritti in greco antico datati all’era dell’imperatore Teodosio II, che governò Bisanzio dal 408 al 450.

Il ministero per il Turismo e le Antichità palestinesi riaprì la chiesa agli inizi del 2022 dopo un restauro durato tre anni in collaborazione con l’ente francese Premiere Urgence Internationale e il British Council.

All’epoca il ministro Nariman Khella disse: “La chiesa fu scoperta nel pavimentare Salah al-Din Street e la prima cosa rinvenuta furono due tombe, una di una persona anziana e l’altra di un bambino piccolo.” Quello stesso anno un contadino scoprì nelle vicinanze una serie di mosaici con motivi intricati. Le condizioni delle tombe e dei mosaici restano incerte.

Per quanto riguarda l’antica chiesa stessa, è stata distrutta in un attacco aereo israeliano in ottobre.

Il monastero di Sant’Ilarione a Tell Umm Amer nel villaggio di Nuseirat, sulla costa, data circa al 340, durante il dominio romano della regione. Un “tell” è una collinetta dalla sommità piatta che spesso segna la posizione di una città antica.

Per ritirarsi dalla vita mondana e immergersi nella ricerca spirituale Sant’Ilarione, un cristiano che si dice sia stato il fondatore del monachesimo, costruì per sé una stanza piccola e semplice in quello che pensava fosse un angolo remoto dell’odierna città di Deir el-Balah, nella zona centrale della Striscia di Gaza. Nonostante il suo desiderio di solitudine, i pellegrini lo cercavano per la cura di malattie e come guida spirituale. Nel corso degli anni gli edifici intorno alla sua semplice stanza si espansero per poi diventare il più grande monastero del Medio Oriente.

Sui 10 ettari del santuario sorsero cinque chiese, un cimitero, una fonte battesimale e terme antiche. Mosaici e lastre in calcare decoravano i pavimenti e i muri ad accogliere i pellegrini che viaggiavano lungo la Via Maris dall’Egitto a Damasco.

Danneggiato dal terremoto del 614, il sito rimase abbandonato fino a che gli archeologi palestinesi iniziarono gli scavi alla fine degli anni ‘90. Il sito, che nel 2012 l’UNESCO ha aggiunto alla sua lista propositiva dei candidati al Patrimonio Mondiale, è stato danneggiato dai bombardamenti israeliani.

La chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, rimasta in piedi a Zeitoun per 16 secoli, è stata colpita e danneggiata il 19 ottobre.

Considerata la terza chiesa più antica al mondo, San Porfirio fu costruita nel 425 sulle fondamenta di un antico sito pagano e chiamata con il nome del santo bizantino, che rese sua la missione di chiudere i templi pagani. Si pensa che egli sia stato seppellito all’interno della chiesa.

Come altri siti significativi, questa chiesa fu trasformata in moschea nel Settimo secolo, per poi tornare ad essere chiesa negli anni ’50 del XII con i crociati. Restaurata nel 1856, è rimasta un luogo di preghiera per la comunità cristiana di Gaza e per cercare riparo in tempo di guerra.

Nei bombardamenti israeliani del 19 ottobre 17 persone sono rimaste uccise nel crollo del tetto della chiesa. Il Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme ha detto che prendere di mira la chiesa “costituisce un crimine di guerra”. La vicina moschea in stile ottomano di Katib al-Wilaya, costruita nel XV secolo, è stata danneggiata nello stesso attacco.

La chiesa della Sacra Famiglla, costruita nel 1974, è l’unica chiesa cattolica romana a Gaza e un rifugio per la comunità locale. È stata colpita in un raid aereo il 4 novembre. Una scuola all’interno del complesso ecclesiale è stata parzialmente distrutta.

Il Patriarca Latino di Gerusalemme conferma che schegge di proiettili degli attacchi dell’esercito israeliano contro gli edifici accanto alla chiesa della Sacra Famiglia hanno distrutto cisterne dell’acqua e pannelli solari sul suo tetto.

Altri siti antichi

Ard-al-Moharbeen, la necropoli romana, è stata riportata alla luce l’anno scorso da archeologi palestinesi e francesi dopo il ritrovamento di tombe nel corso della costruzione di nuove case.

Almeno 134 tombe romane datate tra il 200 a.C. e il 200 d.C. con scheletri ancora intatti sono state trovate in quella che si pensa sia una necropoli romana.

Sono stati scoperti due sarcofagi di piombo con decorazioni intricate, uno con motivi di vendemmia e l’altro con delfini.

Fadel Alatel, un archeologo di Gaza e parte della rete Heritage for Peace, ha lavorato in questo scavo prima del 7 ottobre. Ha detto ad Al Jazeera di aver paura di quello che potrebbe essere successo a queste rare tombe.

Sono in un’area in cui sono state lanciate bombe al fosforo bianco. I danni al sito non sono noti,” dice. “Inoltre a causa dei rigori dell’inverno e delle intense piogge questi rari ritrovamenti potrebbero andare distrutti.”

Alatel ha lavorato per conservare il patrimonio e l’archeologia di Gaza durante innumerevoli raid aerei israeliani, ma ha detto che questa volta la situazione è molto peggiore e non ha potuto ritornare al sito per prendere visione dell’entità del danno.

Forensic Architecture (FA), un’agenzia di giornalismo investigativo con sede presso la Goldsmiths University di Londra, ha documentato la distruzione al patrimonio culturale di Gaza nella sua indagine “Living Archaeology”. L’otto ottobre, il giorno dopo l’attacco di Hamas contro Israele che ha dato inizio alla guerra, i ricercatori dell’agenzia, usando tecnologia satellitare, hanno trovato la prova di 3 ampi crateri nel sito archeologico provocati dai missili israeliani.

In una relazione FA dichiara: “Questo disprezzo per il patrimonio culturale palestinese e la sua distruzione sminuiscono le rivendicazioni palestinesi a uno Stato e negano ai palestinesi il diritto fondamentale all’accesso e alla conservazione del proprio retaggio.”

Il destino di un altro sito antico, un porto, è noto. È stato distrutto.

Situato nella zona nord occidentale di Gaza, il primo porto marittimo conosciuto dell’enclave, Anthedon, noto anche come Balakhiyah o Tida, fu abitato dall’800 a.C. al 1100 d.C. o dall’era micenea agli inizi dell’epoca bizantina. Diventò una città indipendente durante il periodo ellenistico.

Dopo la scoperta delle rovine di un tempio romano e mosaici pavimentali sui 2 ettari del sito archeologico, nel 2012 fu posto dall’UNESCO nella lista propositiva dei candidati al Patrimonio Mondiale.

Altri resti datano alla fine dell’età del Ferro e ai periodi persiano, ellenistico, romano e bizantino.

L’hammam al-Sammara, o bagno turco dei samaritani, è stato distrutto l’8 dicembre. Precedente all’Islam, venne probabilmente costruito dai samaritani, una setta religiosa di etnia ebraica che visse nella zona di Zeitoun, anche noto come il quartiere ebraico. L’area aveva una fiorente comunità ebraica fino al dominio crociato nel XII secolo. L’ultima famiglia ebrea palestinese visse nel quartiere fino agli anni ‘60.

L’unica altra reliquia della storia ebraica a Gaza era il mosaico del re Davide che data al 508. Fu scoperto presso i resti di una sinagoga del VI e rappresenta il re Davide che suona un’arpa. Fu trasferito all’Israel Museum a Gerusalemme dopo la conquista israeliana di Gaza durante la guerra dei Sei Giorni nel 1967.

C’è stato un periodo in cui a Gaza City c’erano 38 bagni turchi. Molti andarono perduti durante guerre e occupazioni perché non c’erano le risorse per conservarli.

L’Hammam al-Sammara .Foto: Ahmed Jadallah/Reuters

L’hammam al-Sammara era l’ultimo rimasto. Una volta un cartello all’ingresso diceva che era stato restaurato nel 1320 dal governatore mamelucco Sangar ibn Abdullah.

Era un luogo d’incontro popolare dei gazawi per socializzare e curarsi sotto gli storici soffitti a volta. Dai pavimenti in lastre di marmo con intarsi intricati l’hammam era ancora riscaldato con le tradizionali stufe a legna e condutture.

Situata a nord est di Nuseirat, la città fortifcata di Tell el-Ajjul, o Collina dei vitelli, si trova tra il mar Mediterraneo e Wadi Gaza. Fondata tra il 2000 e il 1800 a.C., è stata danneggiata dai bombardamenti israeliani.

L’egittologo inglese William Matthew Flinders Petrie scoprì il sito negli anni ’30 dopo essersi trasferito ad oriente in Palestina dopo gli scavi della grande piramide di Giza. Qui scoprì gioielli in oro e antiche monete usate da hyksos, romani e bizantini.

Molte delle sue scoperte fatte tra il 1930 e il 1934, quando Gaza era sotto il Mandato britannico, ora si trovano a Londra nell’Istituto di Archeologia del British Museum. Altri ritrovamenti includono ceramiche importate da Cipro, bottiglie e scarabei, con molti pezzi risalenti all’età del Bronzo, circa 3.600 anni fa. i manufatti suggeriscono anche che Tell el-Ajjul fosse un tempo un polo commerciale.

Condizioni sconosciute

Le condizioni di molti altri siti storici di Gaza restano sconosciute. Secondo Alatel è difficile restare aggiornati sulla situazione sul terreno perché essa “cambia ogni cinque minuti”. A causa della pericolosità della situazione i fotografi locali non sono riusciti a ritornare in molti siti per valutare i danni.

Ecco alcuni dei siti di cui non si conoscono ancora le condizioni

Risalente al XIV secolo, il caravanserraglio Khan Younis fu costruito per soddisfare le necessità dei viaggiatori lungo la Via Maris.

Prendendo il suo nome dal suo fondatore mamelucco, Younis al-Nuruzi, il khanato, o khan, era un tipo di albergo popolare nella regione circa dal X secolo, dove i viaggiatori potevano riposare e fare una pausa durante i viaggi. Questo, costruito nel 1387, ha una moschea, un ufficio postale e magazzini.

Durante gli scavi archeologici dal 1972 al 1982 presso il cimitero di Deir el-Balah fu scoperta una collezione di bare di argilla antropomorfe uniche, datate alla tarda età del Bronzo (1550-1200 a.C.).

Situata nel quartiere Daraj, la moschea sufi di Ahmadiyyah Zawiya fu fondata nel 1336 dai seguaci dello sceicco Ahmad al-Badawi, un famoso studioso sufi del XII secolo che viveva a Gaza.

Fedeli sufi si riunivano qui per la preghiera comune i lunedì e giovedì. Ci sono state sparatorie nell’area, dice Alatel, ma non si sa ancora cosa sia successo al luogo sacro.

Tutti i nostri siti storici sono contrassegnati chiaramente, eppure gli attacchi dell’esercito israeliano con carri armati e bulldozer continuano,” dice l’archeologo. “Ma ho fiducia che tutto questo finirà. Anche se cercano di distruggere il nostro passato noi ricostruiremo il futuro di Gaza.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




I rabbini americani interrompono la riunione delle Nazioni Unite e chiedono a Biden di smettere di bloccare la pace a Gaza

Ephrem Kossaify

10 gennaio 2024, Arabnews

La riunione dell’Assemblea Generale fa seguito al recente veto degli Stati Uniti sull’emendamento alla risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza. L’inviato palestinese chiede al mondo di porre fine alla “schizofrenia” di opporsi alle atrocità della guerra e allo stesso tempo mettere un veto alla pace.

NEW YORK: Martedì decine di rabbini americani hanno interrotto una riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York per chiedere che Washington smetta di impedire al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di intraprendere azioni urgenti a sostegno di un cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza.

Durante la loro protesta – guidata dall’organizzazione Rabbis 4 Ceasefire e co-organizzata da Jewish for Racial and Economic Justice, Jewish Voice for Peace e IfNotNow – i 36 rabbini, provenienti da diversi Stati, hanno cantato, pregato e recitato brani tratti dalla Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite, e organizzato una cerimonia commemorativa. Portavano striscioni con la scritta “Biden: il mondo dice: Cessate il fuoco” invitando il presidente degli Stati Uniti a “smettere di porre il veto alla pace”.

Dopo essere stati scortati fuori dai locali dal personale di sicurezza, hanno indetto una conferenza stampa davanti all’ONU. La rabbina Alissa Wise, fondatrice di Rabbis 4 Ceasefire, ha riferito come avessero assistito con orrore al governo degli Stati Uniti che “da solo ha bloccato gli sforzi per fermare i bombardamenti e la morte per fame a Gaza per mano di Israele”.

Ha aggiunto: “Sappiamo che non esiste una soluzione militare a questa violenza. Siamo qui a pregare perché l’ONU è dove può avere luogo un’azione diplomatica significativa per fermare la violenza, e perché la preghiera è il modo in cui noi, come rabbini, possiamo esprimere le nostre paure, sogni, speranze e disperazione”.

La rabbina Abby Stein, appartenente a Jewish For Racial and Economic Justice, ha affermato che l’ONU è stata creata all’indomani della Seconda Guerra Mondiale e dell’Olocausto nazista che prese di mira il popolo ebraico con l’intento di garantire che tale atrocità non si ripetessero mai più.

“Sono qui come ebrea, come rabbina ordinata, come nipote di tre sopravvissuti all’Olocausto, per sollecitare le Nazioni Unite a portare avanti questa nobile missione”, ha detto. “‘Mai più’ significa mai più per nessuno.”

Il rabbino Elliot Kukla ha dichiarato: “Gli Stati Uniti stanno difendendo l’indifendibile in un’Assemblea Generale, usando il loro potere di veto per impedire da soli alle Nazioni Unite di intraprendere azioni significative per un cessate il fuoco. Sono qui come rabbino perché la tradizione ebraica richiede che facciamo tutto ciò che è in nostro potere per salvare vite umane, il che significa fornire assistenza umanitaria ai palestinesi che sono sfollati, muoiono di fame e non hanno un posto sicuro dove rifugiarsi mentre piovono bombe. Il nostro governo si rifiuta di rappresentare questa richiesta di una vasta maggioranza popolare; siamo venuti qui per rappresentare direttamente noi stessi e i nostri valori ebraici”.

L’incontro di martedì è avvenuto dopo che gli Stati Uniti hanno posto il veto alla proposta della Russia di modificare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per includere un appello per il cessate il fuoco a Gaza.

Il 22 dicembre il Consiglio aveva adottato una risoluzione, redatta dagli Emirati Arabi Uniti, che chiedeva maggiori aiuti alla Striscia di Gaza, comprese misure urgenti tra cui un accesso umanitario sicuro, senza ostacoli e ampio, al territorio. Gli Stati Uniti si sono astenuti dal voto dei 15 membri del Consiglio ma non hanno usato il loro potere di veto e così la risoluzione è stata adottata.

La Russia aveva proposto un emendamento alla risoluzione chiedendo “una cessazione urgente e sostenibile delle ostilità”. Gli Stati Uniti hanno posto il veto a questa proposta di cambiamento.

Una risoluzione dell’Assemblea Generale stabilisce che ogni volta che un membro del Consiglio di Sicurezza usa il suo potere di veto, si indica una riunione e un dibattito in assemblea per esaminare e discutere la scelta.

Robert Wood, il vice rappresentante permanente degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, ha affermato che, sebbene gli Stati Uniti si siano astenuti dal voto, hanno comunque lavorato “in buona fede” per contribuire a forgiare una risoluzione forte.

Questo lavoro sostiene la diplomazia diretta in cui gli Stati Uniti sono impegnati per portare maggiori aiuti umanitari a Gaza e aiutare a far uscire gli ostaggi da Gaza”, ha aggiunto.

Alludendo all’emendamento russo, Wood ha accusato Mosca di avanzare proposte “scollegate dalla situazione sul campo”.

Ha detto che è “profondamente preoccupante che così tanti Stati membri sembrino aver smesso di considerare la difficile situazione degli oltre 100 ostaggi tenuti da Hamas e altri gruppi. Gli Stati Uniti restano impegnati a riportare a casa tutti gli ostaggi. Ognuno di loro.”

Ha aggiunto: “È anche sorprendente che, anche se sentiamo molti Paesi sollecitare la fine di questo conflitto, cosa che tutti vorremmo vedere, sentiamo pochissime richieste all’iniziatore di questo conflitto – Hamas – perché smetta di nascondersi dietro i civili, deponga le armi e si arrenda.

Tutto sarebbe finito se i leader di Hamas lo avessero fatto. Sarebbe positivo se ci fosse una forte voce internazionale che spinga i leader di Hamas a fare ciò che è necessario per porre fine al conflitto che hanno iniziato il 7 ottobre”.

Riyad Mansour, osservatore permanente dello Stato di Palestina presso le Nazioni Unite, ha affermato di trovarsi davanti all’Assemblea Generale “in rappresentanza di un popolo massacrato, con famiglie integralmente uccise, uomini e donne fucilati per le strade, migliaia di persone rapite, torturate e umiliate, bambini uccisi, amputati, orfani – segnati per tutta la vita”.

È incomprensibile, ha aggiunto, che al Consiglio di Sicurezza venga ancora impedito di chiedere un cessate il fuoco umanitario immediato anche se è proprio ciò che avevano chiesto 153 Stati membri dell’Assemblea Generale e il Segretario generale delle Nazioni Unite.

La “guerra delle atrocità” di Israele non ha precedenti nella storia moderna, ha detto Mansour. “Non si tratta della sicurezza israeliana, si tratta della distruzione della Palestina”, ha continuato. “Gli interessi e gli obiettivi di questo governo estremista israeliano sono chiari e incompatibili con gli interessi e gli obiettivi di qualsiasi Paese che sostenga il diritto internazionale e la pace”.
E ha chiesto: “Come si può conciliare l’opposizione alle atrocità con il veto alla richiesta di porre fine alla guerra che porta alla loro esecuzione?”

Ha chiesto che “questa schizofrenia” finisca e ha aggiunto: “Non invocate la pace mentre aprite il fuoco. Se volete la pace, iniziate con un cessate il fuoco. Ora.”

L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha condannato la richiesta di cessate il fuoco mentre gli ostaggi israeliani sono ancora tenuti prigionieri.

“Quanto è ormai moralmente in bancarotta questa istituzione?” ha chiesto, dicendo che “Nonostante il marciume morale delle Nazioni Unite” i cittadini di Israele sono resilienti, con la fede, la speranza e l’incrollabile determinazione a difendersi.

Ha accusato l’ONU di ignorare le vittime israeliane del conflitto, di preoccuparsi solo dei gazawi e di farsi “complice dei terroristi”, e ha affermato che l’organizzazione ha perso la sua ragione di esistenza.

L’ONU “è ossessionata solo dal benessere della gente di Gaza” che ha messo Hamas al potere e sostenuto le atrocità del gruppo, ha detto Erdan aggiungendo: “Voi ignorate tutte le vittime israeliane”.

La vice rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, Anna Evstigneeva, ha affermato che quando il 22 dicembre Washington ha usato il suo veto al Consiglio di Sicurezza, si è resa colpevole di giocare un “ruolo senza scrupoli” nel tentativo di proteggere Israele dalle sue azioni a Gaza.

Ha detto che attraverso l’uso del ricatto e del braccio di ferro gli Stati Uniti hanno dato a Israele la licenza di continuare a uccidere i palestinesi e la benedizione alla “continuazione dello sterminio degli abitanti di Gaza”, motivo per cui Mosca ha proposto il suo emendamento.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




100 avvocati cileni presentano denuncia alla CPI contro Netanyahu per crimini di guerra a Gaza

Redazione di Palestine Chronicle

9 gennaio 2024, Palestine Chronicle

I ricorrenti, in maggioranza di ascendenza palestinese, chiedono che sia emesso un mandato di arresto contro Netanyahu.

Circa 100 avvocati cileni hanno sporto denuncia presso la Corte Penale Internazionale (CPI) contro il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, accusandolo di commettere crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra a Gaza.

Il Middle East Monitor, citando la Quds Press, ha riferito che la denuncia, presentata all’Aja il 22 dicembre, è stata diretta dall’ex ambasciatore Nelson Hadad.

I querelanti, per la maggior parte di ascendenza palestinese, chiedono che sia spiccato un mandato di arresto contro Netanyahu ed altre persone responsabili di questi presunti crimini, riferisce MEMO.

Hanno evidenziato i bombardamenti indiscriminati di Gaza dal 7 ottobre e la distruzione di interi quartieri residenziali senza far distinzione tra civili e combattenti.

Tutti i Paesi devono denunciare i criminali di guerra, assicurando che vengano ritenuti responsabili, assumano le proprie responsabilità, affrontino la punizione conformemente alle sanzioni dello Statuto di Roma e offrano riparazioni alle vittime”, avrebbe affermato Hadad.

L’obbiettivo dell’istanza è provare che a Gaza si stanno perpetrando genocidio, espulsione forzata, crimini di guerra e violazioni del diritto umanitario internazionale, conclude il rapporto.

A dicembre il Sudafrica ha presentato alla CIG tutta la documentazione necessaria, formulando accuse di crimini di guerra contro Israele per la sua guerra genocida a Gaza.

Come Sudafrica, insieme a molti altri Paesi del mondo, abbiamo concordemente ritenuto opportuno deferire questa azione dell’intero governo israeliano davanti alla CIG. Abbiamo promosso il deferimento perché riteniamo che là si stiano commettendo crimini di guerra”, ha detto il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa.

Ramaphosa ha definito “totalmente inaccettabile” che Israele “si sia fatto giustizia da solo”.

Secondo il Ministero della Sanità di Gaza sono stati uccisi 23.210 palestinesi e feriti 59.167 nel corso del perdurante genocidio israeliano a Gaza iniziato il 7 ottobre.

Stime palestinesi e internazionali dicono che la maggioranza delle vittime e dei feriti sono donne e bambini.

(PC, MEMO) (Palestine Chronicle, Middle East Monitor)

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Chi era Saleh al-Arouri, il dirigente di Hamas ucciso a Beirut?

Redazione di Al Jazeera

3 gennaio 2024 – Al Jazeera

L’uccisione del vice-capo dell’ufficio politico di Hamas potrebbe scatenare una rappresaglia da parte di Hamas ed Hezbollah.

Martedì un attacco con un drone nel quartiere periferico di Dahiyeh, roccaforte di Hezbollah a Beirut sud, ha ucciso l’importante politico di Hamas Saleh al-Arouri.

L’agenzia statale di notizie libanese ha informato che il drone ha colpito un ufficio di Hamas uccidendo sei persone.

Hamas ha confermato la morte di Al-Arouri e l’ha definita un “vigliacco assassinio” da parte di Israele, aggiungendo che gli attacchi contro i palestinesi “dentro e fuori dalla Palestina non riusciranno a spezzare la volontà e la tenacia del nostro popolo o a impedire la continuazione della nostra coraggiosa resistenza.”

“Ciò dimostra ancora una volta il totale fallimento del nostro nemico nel raggiungere i suoi scopi aggressivi nella Striscia di Gaza,” ha affermato l’organizzazione.

In seguito alla notizia della morte di al-Arouri le moschee di Arura, la città a nord di Ramallah nella Cisgiordania occupata, hanno pianto la sua morte ed è stato dichiarato uno sciopero generale per mercoledì.

Ecco quello che c’è da sapere del dirigente di Hamas morto in Libano.

Chi era Saleh al-Arouri?

Al-Arouri, 57 anni, era il vice-capo dell’ufficio politico di Hamas e uno dei fondatori dell’ala militare del gruppo, le brigate Qassam.

Dopo aver passato 15 anni in una prigione israeliana viveva in esilio in Libano. Prima che il 7 ottobre iniziasse la guerra, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’aveva minacciato di morte.

Nelle ultime settimane al-Arouri aveva assunto il ruolo di portavoce dell’organizzazione e lo scorso mese aveva detto ad Al Jazeera che Hamas non avrebbe discusso un accordo per lo scambio degli ostaggi detenuti dal gruppo prima della fine della guerra a Gaza.

Nel 2015 gli Stati Uniti avevano etichettato al-Arouri un “terrorista globale” e promesso una taglia di 5 milioni di dollari per ogni informazione su di lui.

Cosa ha detto Israele della morte di al-Arouri?

Mentre non ci sono state reazioni ufficiali di Israele sulla morte del politico di Hamas, Mark Regev, consigliere di Netanyahu, ha detto al sito di notizie statunitense MSNBC che Israele non si assume la responsabilità dell’attacco. Ma, ha aggiunto, “chiunque lo abbia fatto, deve essere chiaro che non si è trattato di un attacco contro lo Stato libanese.”

“Chiunque lo abbia fatto ha compiuto un attacco chirurgico contro la dirigenza di Hamas,” ha affermato.

Tuttavia Danny Danon, ex- ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, ha esaltato l’attacco e si è congratulato con l’esercito israeliano, lo Shin Bet, il servizio di sicurezza, e il Mossad, il servizio di intelligence, per l’uccisione di al-Arouri.

“Chiunque sia convolto nel massacro del 7 ottobre dovrebbe sapere che lo troveremo e faremo i conti con lui,” ha scritto su X in ebraico, in riferimento all’attacco del 7 ottobre di Hamas nel sud di Israele che ha ucciso circa 1.200 persone.

I continui bombardamenti e colpi di artiglieria israeliani contro Gaza hanno ucciso da allora più di 22.000 palestinesi, tra cui più di 8.000 minori.

Secondo i media israeliani, dopo il tweet di Danon il governo ha ordinato ai ministri di non rilasciare interviste riguardo alla morte di al-Arouri.

Quale è stata la risposta dal Libano?

Il primo ministro libanese ad interim Najib Mikati ha condannato l’attacco contro il quartiere di Beirut ed ha affermato che si è trattato di un “nuovo crimine israeliano” e di un tentativo di spingere il Libano in guerra.

Mikati ha anche messo in guardia verso “gli alti dirigenti politici israeliani che ricorrono all’esportazione del fallimento a Gaza sul confine meridionale [del Libano] per imporre nuovi fatti sul terreno e cambiare le regole d’ingaggio.”

Hezbollah ha affermato che l’attacco contro la capitale del Libano “non passerà impunito.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra tra Israele e Palestina: alcuni sopravvissuti all’attacco del 7 ottobre contro il rave fanno causa alle forze di sicurezza israeliane

Redazione di MEE

2 gennaio 2023 – Middle East Eye

Alcuni spettatori del festival musicale Supernova intentano una causa per 56 milioni di dollari contro le autorità israeliane accusandole di “negligenza ed errori madornali”

Un gruppo di feriti sopravvissuti all’attacco guidato da Hamas il 7 ottobre nel sud di Israele contro il festival musicale hanno denunciato le forze di sicurezza israeliane per presunta negligenza.

Lunedì quarantadue parti lese che avevano partecipato al rave Supernova, nei pressi della Striscia di Gaza assediata, hanno avviato una causa civile per 56 milioni di dollari presso un tribunale di Tel Aviv contro l’esercito, la polizia, il Ministero della Difesa e il servizio di sicurezza Shin Bet israeliani.

Tre mesi fa il festival è stato tra i vari luoghi attaccati dai combattenti palestinesi in un assalto che ha ucciso circa 1.140 persone, in grande maggioranza civili. Circa altre 240 sono state portate come ostaggi a Gaza.

“Hamas ha ucciso 364 partecipanti alla festa e ne ha portati a Gaza come ostaggi 40, alcuni dei quali sono stati rilasciati e altri sono scomparsi. Molti sono rimasti feriti fisicamente o mentalmente, compresi i denuncianti” si legge nell’azione civile.

“Una semplice telefonata da parte di ufficiali delle IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] al comandante responsabile della festa perché venisse immediatamente sospesa alla luce del prevedibile pericolo avrebbe salvato vite ed evitato ferite fisiche e mentali a centinaia di partecipanti, tra cui le parti lese,” continua la denuncia.

“La negligenza e gli errori madornali sono andati oltre ogni immaginazione.”

La denuncia include richieste per mancati guadagni attuali e futuri, dolore e sofferenza e spese mediche.

Cita resoconti secondo cui importanti funzionari israeliani avevano manifestato preoccupazione riguardo all’evento, e qualcuno si era persino opposto alla sua realizzazione.

Nella notte tra il 6 e il 7 ottobre si sono tenute almeno due perizie dell’IDF a causa di incidenti inconsueti sul confine della Striscia di Gaza, una verso mezzanotte e un altro controllo verso le 3 del mattino, parecchie ore prima dell’attacco di Hamas,” sostiene la denuncia.

Aggiunge che le parti lese sono state scioccate dal fatto che, nonostante timori tra i funzionari della sicurezza che combattenti palestinesi potessero effettuare un attacco, non ci siano stati ordini di annullare l’evento.

Ridottissima presenza della polizia

In più la denuncia aggiunge che la sicurezza dell’esercito israeliano per l’evento è stata inadeguata a causa della festa religiosa di Simchat Torah [Gioia per la Torah]. Afferma che solo 27 agenti di polizia erano stati distaccati alla festa.

“L’evento si è tenuto a poca distanza dal confine con la Striscia. Il rumore della festa è stato sentito dagli abitanti di Gaza e i partecipanti sono stati un facile bersaglio dell’attacco terroristico,” ha affermato Shimon Buchbut, un comandante dell’aviazione in congedo citato nella denuncia.

Il mese scorso il New York Times aveva informato che oltre un anno prima che avvenisse ufficiali israeliani avevano ottenuto un piano dell’attacco del 7 ottobre, ma lo avevano ignorato in quanto troppo ambizioso.

Gli ufficiali avevano ricevuto un documento di 40 pagine, denominato da Israele “Mura di Gerico”, che tracciava con dettagli precisi i piani dell’attacco.

Il piano non stabiliva una data per l’aggressione, ma includeva “dettagli sulla localizzazione e le dimensioni delle forze militari israeliane, sui centri di comunicazione e altre informazioni sensibili.”

Specificava poi l’uso di attacchi con i razzi per distrarre i soldati israeliani, di droni per disattivare le misure di sicurezza e invadere la base militare israeliana nel kibbutz di Re’im, vicino a dove si teneva il rave party.

Il rapporto affermava che a luglio un’analista dell’Unità 8200 israeliana [specializzata nello spionaggio informatico, ndt.] aveva avvertito che Hamas stava effettuando un’esercitazione durata un giorno intero simile ai piani delineati in “Mura di Gerico”.

L’analista affermava che ciò includeva una simulazione dell’abbattimento di un velivolo israeliano e dell’occupazione di un kibbutz e di una base per l’addestramento militare e l’uccisione di tutte le reclute presenti.

Un ufficiale dell’esercito nella divisione israeliana responsabile di contrastare le minacce da Gaza si sarebbe congratulato con l’analista ma l’avrebbe definito uno scenario “totalmente fantasioso”.

Circa 22.000 palestinesi di Gaza, in grande maggioranza donne e minori, sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani dall’inizio della guerra circa tre mesi fa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra contro Gaza: il Sudafrica avvia una denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia accusando Israele di genocidio

Redazione di MEE

29 dicembre 2023 – Middle East Eye

Città del Capo chiede alla Corte di fermare la campagna militare di Israele a Gaza, definendola una misura necessaria per proteggere i diritti del popolo palestinese

Il Sudafrica ha avviato una procedura affinché La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dichiari che Israele, nella sua campagna militare a Gaza, sta commettendo un genocidio contro i palestinesi.

La richiesta avviata da Città del Capo, che afferma che Israele viola i suoi obblighi in base alla Convenzione sul Genocidio, invoca la fine delle operazioni militari di Israele nell’enclave assediata. Sostiene che tale ingiunzione è “necessaria in questo caso per proteggere contro ulteriori, gravi e irreparabili danni ai diritti del popolo palestinese.”

“Israele è impegnato, si sta impegnando e rischia di impegnarsi ulteriormente in azioni genocidarie contro il popolo palestinese a Gaza,” afferma la denuncia del Sudafrica.

Sostiene di aver chiesto che la CIG dichiari “urgentemente che Israele sta violando i suoi doveri in base alla Convenzione sul Genocidio e dovrebbe interrompere immediatamente ogni azione e misura che contravvenga a questi obblighi e prendere una serie di azioni correlate.”

La presentazione della richiesta è l’ultima iniziativa del Sudafrica per fare pressione affinché Israele ponga fine alla sua guerra contro Gaza. Lo scorso mese i parlamentari del Paese hanno approvato la chiusura dell’ambasciata israeliana a Pretoria e l’interruzione dei rapporti diplomatici con Israele finché non verrà concordato un cessate il fuoco.

Israele ha violentemente respinto l’annuncio di venerdì da parte del Sudafrica, definendo il procedimento “infondato”, per poi continuare ad accusare Hamas delle sofferenze e delle morti della popolazione palestinese a Gaza.

“Israele ha chiarito che gli abitanti della Striscia di Gaza non sono il nemico e sta facendo ogni sforzo per limitare i danni per chi non è coinvolto [negli scontri] e per consentire l’ingresso nella Striscia di Gaza di aiuti umanitari,” ha affermato in un comunicato il ministero degli Esteri israeliano.

La CIG è uno dei sei principali organismi delle Nazioni Unite ed non è legata alla Corte Penale Internazionale (CPI), che processa singoli individui per crimini di guerra e contro l’umanità. Mentre la Corte giudica conflitti tra Paesi, non ha il potere di far rispettare le sue decisioni, nonostante esse siano legalmente vincolanti.

Alcuni analisti avevano in precedenza detto a MEE che, mentre le decisioni della CIG sono difficili da applicare, esse possono contribuire a cambiare la narrazione nel resto del mondo. E la valutazione riguardo a se Israele sta commettendo un genocidio potrebbe provocare gravi danni alla reputazione internazionale di Israele.

La guerra è scoppiata in Israele e a Gaza il 7 ottobre, quando Hamas e gruppi armati palestinesi hanno lanciato un attacco contro Israele che, secondo il bilancio del governo [israeliano], ha ucciso 1.200 israeliani e cittadini di altri Paesi.

Nel contempo secondo il ministero della Sanità palestinese durante la sua campagna di bombardamenti aerei e l’attacco via terra Israele ha ucciso più di 21.000 palestinesi, la maggioranza dei quali donne e minorenni.

Le forze militari israeliane hanno preso di mira infrastrutture civili di vario genere, tra cui ospedali, quartieri residenziali, ambulanze e moschee. Interi quartieri dell’enclave assediata sono stati completamente distrutti.

La convenzione dell’ONU sul Genocidio e lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale definiscono come genocidio azioni “commesse con l’intenzione di distruggere, totalmente o parzialmente, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.”

Esperti di diritto, funzionari dell’ONU e più di 800 studiosi hanno già segnalato che Israele sta tendenzialmente commettendo un genocidio contro i palestinesi.

Da molto tempo il Sudafrica appoggia la costituzione di uno Stato palestinese ed ha anche equiparato la situazione critica dei palestinesi a quella della maggioranza nera nel suo stesso Paese durante il periodo dell’apartheid. Israele nega recisamente di praticare l’apartheid. Tuttavia parecchie importanti associazioni per i diritti umani hanno affermato che, per come tratta i palestinesi, Israele sta mettendo in atto pratiche di apartheid.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘Ottantunesimo giorno dell’operazione “Inondazione Al-Aqsa”: l’OMS afferma che il sistema sanitario di Gaza è stato “decimato” dai bombardamenti israeliani

Mustafa Abu Sneineh  

 26 dicembre 2023 – Mondoweiss

Vittime

  • Oltre 20.674 uccisi* e almeno 54.536 feriti nella Striscia di Gaza.

  • 305 palestinesi uccisi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est.

  • Israele ha rivisto al ribasso da 1.400 a 1.147 la stima del numero di morti del 7 ottobre.

  • 491 soldati israeliani uccisi e almeno 1.952 feriti dal 7 ottobre.

* Questo dato è stato confermato dal ministero della Sanità di Gaza il 25 dicembre. A causa delle interruzioni della rete di comunicazione all’interno della Striscia di Gaza da metà novembre il ministero della Sanità di Gaza non è in grado di aggiornare regolarmente e in modo accurato i propri dati. Tenendo conto dei dispersi, alcune associazioni per i diritti umani portano la stima del numero di morti a circa 28.000.

Avvenimenti principali

  • Il leader di Hamas Yahya Sinwar afferma che i combattenti hanno inflitto perdite e danni alle forze israeliane colpendo dal 7 ottobre non meno di 5.000 soldati e attaccando 750 veicoli militari.L’esercito israeliano sostiene che l’aviazione ha lanciato più di 100 attacchi in 24 ore contro Gaza.

  • La Mezzaluna Rossa palestinese afferma che i suoi uffici di Khan Younis sono stati bombardati dall’artiglieria israeliana, che ha distrutto il piano superiore e ha ferito parecchi palestinesi che vi si erano rifugiati.

  • Il personale dell’OMS ha sentito racconti strazianti di sopravvissuti palestinesi del bombardamento israeliano contro il campo profughi di Al-Maghazi, che ha ucciso 70 persone.

  • Le forze israeliane hanno pesantemente bombardato quartieri di Khan Younis e i dintorni dell’ospedale Nasser, cercando di conquistare un avamposto nel sud di Gaza.

  • Forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

  • Dopo aver fatto irruzione nella sua casa a Ramallah, le forze israeliane hanno arrestato la nota attivista politica Khalida Jarrar,.

  • Forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Nur Shams a Tulkarem per circa otto ore, hanno fatto saltare in aria tre proprietà e arrestato parecchi palestinesi.

Il leader di Hamas loda la tenacia dei palestinesi contro l’aggressione israeliana

In una lettera pubblicata dal sito in arabo di Al-Jazeera, nel suo primo messaggio pubblico dal 7 ottobre il leader di Hamas Yahya Sinwar ha affermato che le brigate Izz al-Din Al-Qassam stanno conducendo una feroce battaglia senza precedenti contro le forze dell’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza.

La lettera di Sinwar era indirizzata ai membri dell’ufficio politico di Hamas durante il dialogo per i tentativi di mediazione egiziani e qatarini per raggiungere un accordo di cessate il fuoco e uno scambio di ostaggi con Israele. Tuttavia più tardi, lunedì, Al-Jazeera ha tolto dal sito la lettera.

Sinwar ha affermato che i combattenti della resistenza hanno inflitto perdite significative alle forze israeliane, colpendo almeno 5.000 soldati e uccidendone un terzo. Il leader di Hamas ha aggiunto che i combattenti della resistenza hanno attaccato un totale di 750 veicoli militari, determinandone a quanto ha affermato la distruzione totale o parziale.

Ha aggiunto che i palestinesi della Striscia di Gaza “hanno fornito un esempio di sacrificio, eroismo, lealtà, solidarietà e interdipendenza senza precedenti” durante la guerra, in cui le forze israeliane hanno ucciso più di 20.000 palestinesi e ne hanno feriti circa 55.000.

I dati ufficiali israeliani indicano che fino a lunedì nei combattimenti sono stati uccisi 156 soldati israeliani. Tuttavia questi numeri potrebbero essere più alti, in quanto in base a fonti indipendenti l’esercito israeliano avrebbe imposto un ordine di riservatezza che impedisce ai media israeliani di dare informazioni sulle vittime israeliane nella Striscia di Gaza.

Forze israeliane bombardano gli uffici della Mezzaluna Rossa palestinese a Gaza

Martedì mattina l’esercito israeliano ha affermato che nelle ultime 24 ore l’aviazione ha lanciato nella Striscia di Gaza più di 100 attacchi.

Martedì la Mezzaluna Rossa palestinese (PRCS) ha detto che i suoi uffici a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, sono stati attaccati da un bombardamento dell’artiglieria israeliana che ha distrutto il piano superiore. Vari sfollati palestinesi che vi si erano rifugiati sono rimasti feriti.

La PRCS ha affermato che l’equipaggio di un’ambulanza è sopravvissuto “miracolosamente” al bombardamento israeliano di lunedì mentre stava trasportando i corpi di palestinesi uccisi nel quartiere di Al-Katiba a Khan Younis. Forze israeliane la scorsa settimana hanno anche arrestato parecchi dipendenti della PRCS nel centro ambulanze di Jabalia, nel nord di Gaza, dopo avervi fatto irruzione.

Dal 7 ottobre la PRCS, che nella Striscia di Gaza gestisce vari ambulatori medici e ospedali convenzionati, opera in condizioni durissime e con carenza di rifornimenti sufficienti di medicine e carburante. Dal 7 ottobre sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani almeno 284 membri del personale, molti dei quali mentre stavano fornendo interventi di pronto soccorso e assistenza medica.

Lunedì pomeriggio il ministero della Sanità di Gaza ha detto che da ottobre 20.674 persone sono state uccise come martiri e 54.536 ferite nei bombardamenti israeliani.

Il personale dell’OMS ha sentito storie orribili dai sopravvissuti palestinesi del massacro di Al-Maghazi

Domenica notte almeno 70 palestinesi sono stati uccisi nel bombardamento israeliano di case nel campo profughi di Al-Maghazi, nella zona centrale di Gaza. Il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Tedros Adhanom Ghebreyesus ha scritto su X che nell’ospedale Al-Aqsa il personale dell’OMS ha sentito “storie terribili” da vittime del brutale bombardamento di Al-Maghazi.

“Il personale dell’OMS ha ascoltato resoconti strazianti, che sono condivisi sia da lavoratori sanitari che dalle vittime, delle sofferenze causate dalle esplosioni. Un bambino ha perso tutta la sua famiglia nell’attacco contro il campo. Un infermiere dell’ospedale ha sofferto la stessa perdita, in quanto tutta la sua famiglia è stata uccisa,” ha scritto Ghebreyesus.

Ha aggiunto che il personale sanitario dell’ospedale Al-Aqsa ha cercato di salvare la vita di Ahmad, un bambino di 9 anni, che aveva subito una ferita alla testa dovuta a schegge e detriti provocati da un’esplosione israeliana mentre stava attraversando una strada ad Al-Maghazi.

“I medici ci hanno detto che le sue ferite erano talmente serie che non sarebbe sopravvissuto,” ha scritto lunedì.

“L’ospedale (Al-Aqsa) sta assistendo molti più pazienti di quanti la sua capienza e il suo personale possano gestire. Molti non sopravviveranno all’attesa. Al momento l’ospedale ha in funzione cinque sale operatorie e altre due sono gestite da (Medici senza Frontiere), ma non è ancora sufficiente,” ha aggiunto.

Ghebreyesus ha chiesto un cessate il fuoco e ha affermato che il personale dell’OMS sta assistendo alla distruzione del sistema sanitario di Gaza, che è stato “messo in ginocchio” dalla prosecuzione dei bombardamenti israeliani.

Gemma Connell, dell’agenzia umanitaria dell’ONU (OCHA), martedì ha detto alla BBC che lunedì le condizioni dell’ospedale Al-Aqsa erano “una totale carneficina”.

Connell ha affermato che durante la sua visita all’ospedale “ci sono stati nuovi attacchi aerei che hanno colpito aree limitrofe all’ospedale nella zona centrale [della Striscia] e vi venivano portate nuove vittime.”

“Tragicamente ho visto spirare un bambino di nove anni con una terribile ferita alla testa,” ha aggiunto. “Quando dico che ci sono stati di nuovo attacchi oggi e che sono arrivate vittime, alcuni di questi attacchi sono avvenuti in zone in cui era stato detto alla gente di spostarsi, il che, penso, riprende ancora una volta il ritornello che sono così stanca di dire: a Gaza non ci sono posti sicuri.”

Le forze israeliane concentrano la potenza di fuoco contro Khan Younis, nel tentativo di conquistare un avamposto nel sud di Gaza

Nelle ultime 24 ore le forze israeliane hanno intensificato la campagna di bombardamenti nella Striscia di Gaza concentrando la loro potenza di fuoco contro Khan Younis e nelle zone meridionali [della Striscia di Gaza], mentre le forze di terra cercano di conquistare un avamposto nella seconda città più grande dell’enclave costiera.

Almeno dieci palestinesi sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano nella città di Khan Younis. L’agenzia di stampa Wafa informa che le forze israeliane hanno bombardato anche i dintorni dell’ospedale Nasser, le case della famiglia Al-Najjar a sud dell’area di Kaizan Al-Najjar a Khan Younis e della famiglia Abu Rizqa nel quartiere olandese della città.

Lunedì pomeriggio gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso cinque palestinesi nel quartiere di Al-Amal di Khan Younis. Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che da domenica pomeriggio le forze israeliane hanno commesso 25 massacri, uccidendo almeno 250 palestinesi e ferendone altri 500.

Ad est e a nord di Khan Younis le forze israeliane hanno colpito con bombardamenti di artiglieria e attacchi aerei le cittadine di Bani Suheila, Al-Bureij e i campi profughi di Al-Maghazi.

Anche Juhr Al-Dik, una zona a sud-est di Gaza City, è stata bombardata. Juhr Al-Dik è diventata il luogo di molti attacchi dei combattenti palestinesi contro le forze israeliane schierate nella zona da fine ottobre.

Nella città meridionale di Rafah molti palestinesi feriti dagli attacchi israeliani sono stati ricoverati nell’ospedale Kuwaitiano. Forze israeliane hanno bombardato la casa della famiglia Al-Amsi in piazza Al-Najmeh a Rafah e un’altra casa nel campo profughi di Al-Shaboura. Lunedì pomeriggio forze israeliane hanno bombardato anche la città di Deir Al-Balah.

Forze israeliane hanno assaltato il campo profughi di Nour Shams, uccidendo due palestinesi a Hebron

Martedì mattina forze israeliane hanno ucciso due palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Il ministero della Sanità ha affermato che Ibrahim Majid Abdel Majeed al-Titi, 31 anni, e Ahmad Muhammad Yousef Yaghi, 17, sono stati uccisi da fuoco israeliano nel campo profughi di Al-Fawwar a Hebron, nel sud della Cisgiordania.

Martedì mattina forze israeliane hanno attaccato Al-Fawwar e hanno sparato proiettili veri contro palestinesi, uccidendo Yaghi e al-Titi. Il numero totale di palestinesi uccisi dalle forze israeliane e dai coloni nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme dal 7 ottobre è salito a 305.

La Wafa ha informato che durante la notte forze israeliane hanno arrestato 55 palestinesi. Gli arrestati più famosi sono l’attivista politica Khalida Jarrar, 60 anni, e Rashad Karaja, capo del consiglio comunale del villaggio di Safa, nei pressi di Ramallah. Sia Jarrar che Karaja sono importanti attivisti di sinistra.

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di Jarrar nella città di al-Bireh, nei pressi di Ramallah, ed hanno perquisito i suoi effetti personali. Jarrar è stata arrestata molte volte nel corso degli anni ed ha scontato varie sentenze consecutive di detenzione amministrativa, l’ultima nel 2021, dopo di che è stata rilasciata dalla prigione israeliana. La figlia minore di Jarrar, Suha, è morta durante l’ultimo periodo di detenzione di sua madre, e Jarrar, nonostante fosse in prigione senza accuse né processo, non ha potuto partecipare al funerale della figlia.

A Hebron forze israeliane hanno arrestato anche 17 palestinesi delle famiglie Abu Hadid e Al-Atrash, mentre al check point militare di Barta’a, a sud della città di Jenin, sono stati arrestati anche altri 17 operai e commercianti prima di essere trasferiti nei centri di detenzione di Salem e Huwwara.

La Wafa ha informato che durante la notte a Betlemme sono stati arrestati 15 palestinesi, tra cui due donne e un giornalista.

Secondo il Club dei Prigionieri Palestinesi da ottobre le forze israeliane hanno arrestato un totale di 4.785 palestinesi dalle loro case o ai posti di controllo militari. Dopo un’incursione di circa otto ore nel campo profughi di Nour Shams, a est della città di Tulkarem, martedì mattina le forze israeliane si sono ritirate dalla zona.

Forze israeliane hanno fatto saltare in aria tre case a Nour Shams, tra cui quella di Odeh Khalil Arif Hassan, 38 anni, nel quartiere di Al-Maslakh. Hassan era stato arrestato durante l’incursione.

La Wafa ha informato che l’esplosione ha provocato danni alle case vicine, tra cui quella di Abdul Hadi Arif e Muhammad Al-Azab.

La seconda casa che le forze israeliane hanno fatto saltare in aria è stata quella di Yousef al-Zindeeq, situata all’ingresso di Nour Shams. Il secondo piano della casa di Musa Al-Azb è stato in seguito fatto esplodere, provocando un incendio.

La Wafa ha riportato che durante il raid forze israeliane hanno vandalizzato case palestinesi e hanno requisito telefonini, arrestando Abdel Karim Omar Nasrallah, 27 anni, e Ahmad Muhammad Abu Zahra, 26.

Bulldozer israeliani hanno sfasciato vari veicoli palestinesi, distrutto muri e danneggiato strade a Nour Shams. Un edificio in costruzione nella zona di Aktaba è stato colpito con bombe anticarro Energa.

Secondo la Wafa forze israeliane hanno fatto irruzione anche nella città di Tulkarem, e Nour Shams è diventato una “zona militare” chiusa, il che impedisce l’ingresso e l’uscita di palestinesi del campo, mentre un aereo da ricognizione israeliano ha sorvolato a bassa quota la zona.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Sei morti nel corso di un attacco israeliano contro un campo profughi nella Cisgiordania occupata

Redazione di Al Jazeera

27 dicembre 2023 – Al Jazeera

Le ambulanze sarebbero state bloccate dall’esercito israeliano dopo l’attacco contro il campo profughi di Nur Shams, vicino a Tulkarem.

Almeno sei palestinesi sono stati uccisi da un drone israeliano durante un raid contro un campo profughi nel nord della Cisgiordania occupata mentre le forze israeliane hanno esteso le loro operazioni sul territorio.

La Mezzaluna Rossa palestinese (PRCS) e funzionari sanitari hanno riferito che mercoledì notte un drone ha colpito un gruppo di palestinesi nel campo profughi di Nur Shams, vicino a Tulkarem.

Secondo il Ministero palestinese della Salute sei corpi sono stati portati in un ospedale locale, oltre a varie persone ferite nel corso dell’attacco.

Secondo quello che ha riferito Imran Khan di Al Jazeera nel suo reportage di mercoledì da Nur Shams, le sei vittime sarebbero giovani fra i 16 e i 29 anni che stavano assistendo al raid.

Il drone è sceso dall’alto, chiaramente gli uomini non hanno avuto scampo. È stato un attacco mortale intenzionale,” ha detto.

L’incursione è stata il “secondo più massiccio raid” sul campo profughi in 24 ore, ha precisato Alan Fisher di Al Jazeera, che si trova nella Gerusalemme Est occupata ha riferito dei continui scontri a Tulkarem e Nur Shams durati fino alle 7 di mercoledì mattina.

Ci hanno avvertiti che c’erano cecchini sul tetto, che gli israeliani erano entrati a Nur Shams per cercare di arrestare persone che dicevano essere ‘ricercate’.”

La seconda notte consecutiva di raid contro il campo hanno fatto preoccupare la gente ancora di più per quello che sarebbe potuto succedere più tardi quella sera, ha aggiunto Fisher.

Ambulanze ‘bloccate’

opo l’attacco a Nur Shams, la PRCS ha detto che l’esercito israeliano ha impedito alle ambulanze di trasportare i morti e i feriti.

La gente ha cercato di aiutare [le vittime], ma per almeno un’ora e mezza gli israeliani non hanno permesso l’accesso alle ambulanze,” ha detto Khan di Al Jazeera. “Alla fine hanno dovuto prelevare i corpi e portarli giù dove stavano le ambulanze. Ovviamente a quel punto era troppo tardi. Erano morti.”

Al Jazeera ha parlato con fonti presso l’ospedale locale, secondo cui un soldato israeliano è entrato in un’ambulanza e ha pugnalato al collo un uomo ora ricoverato in un’unità di terapia intensiva.

L’esercito israeliano ha anche condotto raid notturni contro le città di Betlemme, Jenin, Hebron e Tubas. Secondo quanto riferito dalla palestinese agenzia di stampa Wafa, tre persone sono state ferite nel campo profughi di Dheisheh a Betlemme.

Stando a quanto dichiarato dalla Commissione degli Affari dei detenuti ed ex-detenuti e del Club dei Prigionieri palestinesi, almeno 12 persone sono state incarcerate dall’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata in raid notturni.

La violenza in Cisgiordania è esplosa con l’inizio della guerra israeliana contro la Striscia di Gaza il 7 ottobre. In questo periodo durante i raid oltre 300 persone sono state uccise e 4.700 palestinesi sono stati arrestati.

Nella Striscia di Gaza almeno 20.915 persone sono state uccise e 54.918 ferite nel corso degli attacchi israeliani dal 7 ottobre. Il bilancio aggiornato delle vittime dell’incursione di Hamas in Israele è di 1.139.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che il suo esercito non diminuirà l’intensità dei combattimenti, anzi “espanderà le operazioni a sud di Gaza”, mentre Herzi Halevi, il capo di stato maggiore israeliano, ha precisato che la guerra a Gaza continuerà per “molti mesi”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




ESCLUSIVA: LA CENSURA MILITARE ISRAELIANA VIETA DI RIFERIRE SU QUESTI OTTO ARGOMENTI

Ken Klippenstein, Daniel Boguslaw

23 dicembre 2023, The Intercept

Un insolito ordine in lingua inglese sulla guerra di Gaza rompe la segretezza e l’informalità con cui normalmente funziona la censura dell’Esercito israeliano.

Armi usate dalle forze di difesa israeliane, fughe di notizie dal gabinetto di sicurezza, storie di persone tenute in ostaggio da Hamas… sono alcuni degli otto argomenti di cui, secondo un documento ottenuto da The Intercept, in Israele ai media è vietato parlare.

Il documento, un ordine di censura indirizzato ai media dall’esercito israeliano come parte della guerra contro Hamas, non era stato segnalato in precedenza. Il promemoria, scritto in inglese, è stata una mossa insolita per la censura dell’IDF che fa parte dell’esercito israeliano da più di settant’anni.

“Non ho mai visto istruzioni come queste inviate dalla censura, a parte avvisi generali che invitavano i media a conformarsi, e anche allora erano inviati solo a determinate persone”, ha detto Michael Omer-Man, ex redattore capo della rivista israeliana +972 Magazine e oggi direttore della ricerca su Israele-Palestina presso Democracy in the Arab World Now, o DAWN, un gruppo di pressione statunitense.

Intitolato “Direttiva del Capo Israeliano della censura ai media per l’Operazione ‘Spade di Ferro’”, l’ordine non è datato ma il suo riferimento all’Operazione Spade di Ferro – il nome dell’attuale operazione militare israeliana a Gaza – chiarisce che è stato emesso qualche tempo dopo l’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre. L’ordine è firmato dal capo censore delle forze di difesa israeliane, Generale di Brigata Kobi Mandelblit. (Il censore militare israeliano non ha risposto a una richiesta di commento sul promemoria.)

Il documento è stato fornito a The Intercept da una fonte che ne ha avuto una copia dall’esercito israeliano. Un documento identico appare sul sito web del governo israeliano.

“Alla luce dell’attuale situazione di sicurezza e dell’intensa copertura mediatica, desideriamo incoraggiarvi a sottoporre alla censura tutto il materiale riguardante le attività delle Forze di difesa israeliane (IDF) e delle forze di sicurezza israeliane prima che sia reso pubblico”, dice l’ordine. “Si prega di informare il proprio staff sul contenuto di questa lettera, con particolare attenzione alla redazione e ai giornalisti sul campo.”

L’ordine elenca otto argomenti di cui è vietato ai media riferire senza previa approvazione da parte della censura militare israeliana. Alcuni degli argomenti toccano questioni politiche scottanti in Israele e a livello internazionale, come rivelazioni potenzialmente imbarazzanti sulle armi usate da Israele o catturate da Hamas, discussioni sulle riunioni del gabinetto di sicurezza e sugli ostaggi israeliani a Gaza – una questione per la cui cattiva gestione il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato ampiamente criticato.

La nota vieta inoltre di riferire su dettagli di operazioni militari, intelligence israeliana, attacchi missilistici che abbiano colpito luoghi sensibili in Israele, attacchi informatici e visite di alti ufficiali militari sul campo di battaglia.

Le preoccupazioni circa una politicizzazione della censura militare non sono meramente ipotetiche. Il mese scorso, secondo quanto riferito, il censore israeliano si è lamentato del fatto che Netanyahu gli stesse facendo pressione affinché reprimesse alcuni media senza una ragione legittima. Netanyahu ha negato l’accusa.

Autocensura e segretezza

La Censura Militare Israeliana è un’unità situata all’interno della Direzione dell’Intelligence Militare dell’IDF. L’unità è comandata dal capo censore, un ufficiale militare nominato dal Ministro della Difesa.

Guy Lurie, ricercatore presso l’Israel Democracy Institute con sede a Gerusalemme, ha detto a The Intercept che da quando è iniziata la guerra di Israele contro Hamas più di 6.500 nuovi articoli sono stati completamente o parzialmente censurati dal governo israeliano.

Per contestualizzare la cifra, Lurie ha affermato che si tratta di circa quattro volte in più rispetto a prima della guerra, citando un articolo del quotidiano israeliano Shakuf sulle richieste di libertà di informazione. Il numero di contributi sottoposti alla censura, tuttavia, è significativamente più alto in questo momento di intenso conflitto, e Lurie ha osservato che le notizie sono sottoposte a un normale livello di censura considerando il totale dei contributi.

Il numero effettivo di nuovi articoli sottoposti a censura, tuttavia, non potrà mai essere quantificato. A causa di un sistema di strette relazioni e di una certa consapevolezza su cosa aspettarsi, i giornalisti israeliani finiscono per autocensurarsi.

“Le persone si autocensurano, non provano nemmeno a riferire le storie che sanno che non passeranno”, ha detto Omer-Man. “E questo è dimostrato proprio adesso da quanto poco i comuni israeliani sappiano dalla stampa ciò che sta accadendo a Gaza ai palestinesi”.

Sono questi modi di censura non ufficiale che danno potere alla censura in Israele, dicono gli esperti.

Nel 2022 un rapporto del Dipartimento di Stato sui diritti umani in Israele e nei territori palestinesi occupati ha affrontato la censura militare, selezionando due giornali in lingua araba nella Gerusalemme est occupata. Pur sottolineando che il censore dell’IDF non controllava gli articoli, il Dipartimento di Stato ha affermato: “I redattori e i giornalisti di quelle pubblicazioni, tuttavia, hanno riferito di essersi autocensurati per paura di ritorsioni da parte delle autorità israeliane”.

Un tempo la censura aveva un Comitato Editoriale composto da tre membri: uno della stampa, uno dell’esercito e un membro eletto pubblicamente che fungeva da presidente. Sebbene il Comitato Editoriale non esista più ufficialmente, un organismo simile, anche se informale, mantiene ancora una certa influenza.

Anche se la legge che istituisce la censura gli conferisce ampi poteri, il censore è rispettato in Israele perché è politicamente indipendente ed agisce con moderazione, soprattutto in confronto a altri paesi della regione.

“Se vedi la legge che governa la censura, è davvero draconiana in termini di autorità formali di cui dispone il censore”, ha detto Lurie a The Intercept. “Ma è mitigata da quell’accordo informale”.

Quasi tutto avviene in segreto: le discussioni del Comitato sono confidenziali, così come la maggior parte dei comunicati tra i media e la censura.

Alla domanda sul perché i procedimenti siano così segreti e perché anche le testate giornalistiche non ne parlino apertamente, un giornalista occidentale con sede in Israele e Palestina, che ha chiesto l’anonimato per evitare ritorsioni, ha dato una valutazione schietta: “Perché è imbarazzante”.

La stampa straniera e la censura

Il fatto che la nota di direttive per l’attuale guerra israeliana a Gaza sia in inglese suggerisce che sia destinato ai media occidentali. I giornalisti stranieri che lavorano in Israele devono ottenere il permesso del governo, inclusa una dichiarazione che rispetteranno la censura.

“Per ottenere un visto come giornalista devi ottenere l’approvazione del GPO (Ufficio stampa del governo) e quindi devi firmare un documento in cui dichiari che rispetterai la censura”, ha detto Omer-Man. “Questo è di per sé probabilmente contrario alle linee guida etiche di molti giornali.”

Nondimeno molti giornalisti firmano il documento. Mentre l’Associated Press, ad esempio, non ha risposto alla domanda di The Intercept sulla sua collaborazione con la censura militare, il News Wire in passato ha parlato della questione, ammettendo anche di attenersi alla direttiva.

“L’Associated Press ha accettato, come altre organizzazioni, di rispettare le regole della censura, che è una condizione per ricevere il permesso di operare come organizzazione di informazione in Israele”, ha scritto l’agenzia in un articolo del 2006. “Ci si aspetta che i giornalisti si censurino e non riportino alcun materiale proibito.”

Alla domanda se rispettasse le linee guida della censura militare israeliana e se la sua ottemperanza fosse cambiata dall’inizio della guerra, Azhar AlFadl Miranda, direttore delle comunicazioni del Washington Post, ha dichiarato a The Intercept in una e-mail: “Non possiamo condividere informazioni”, aggiungendo che “non discutiamo pubblicamente le nostre decisioni editoriali”.

Il New York Times ha dichiarato a The Intercept: “Il New York Times riporta in modo indipendente l’intero spettro di questo complicato conflitto. Non sottoponiamo le nostre corrispondenze alla censura militare israeliana”. (Reuters non ha risposto alle domande di The Intercept.)

La stampa estera che collabora con la censura è soggetta allo stesso sistema: molti articoli non passano attraverso la censura, ma alcuni argomenti prevedono che gli articoli vengano sottoposti.

“Sanno che devono trasmettere alla censura gli articoli su determinati argomenti che vogliono pubblicare “, ha detto Lurie. “Ci sono argomenti per cui i media sanno di dover ottenere l’approvazione della censura.”

Una delle cose che rende insolito l’ordine di censura scritto in lingua inglese, tuttavia, è il riferimento esplicito alla guerra con Hamas. “Non l’ho mai visto per una guerra specifica”, ha detto Lurie.

“Ci sono argomenti per cui i media sanno di dover ottenere l’approvazione della censura.”

Un argomento noto come sensibile in Israele è l’arsenale nucleare segreto del paese. Nel 2004, il giornalista della BBC Simon Wilson aveva intervistato Mordechai Vanunu, un informatore sul programma nucleare che era appena stato rilasciato dal carcere. La censura israeliana richiese copie dell’intervista, ma Wilson non accettò.

A Wilson è stato quindi impedito il rientro e il governo israeliano ha richiesto delle scuse. Inizialmente, la BBC si rifiutò di fornirne, ma alla fine il colosso mondiale dell’informazione cedette.

“[Wilson] Conferma che dopo l’intervista a Vanunu è stato contattato dalla censura e gli è stato chiesto di consegnare loro le cassette. Non lo ha fatto. Si rammarica delle difficoltà che ciò ha causato”, ha affermato la BBC nelle scuse. “Si impegna a rispettare le norme in futuro e comprende che qualsiasi ulteriore violazione comporterà la revoca del suo visto.”

Le scuse, come gran parte del lavoro della censura, sarebbero dovute rimanere segrete secondo un articolo del Guardian del 2005, ma la BBC le pubblicò accidentalmente sul suo sito web prima di rimuoverle rapidamente.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)