Forze israeliane uccidono un adolescente durante scontri in Cisigordania

Maureen Clare Murphy

14 dicembre 2018, Electronic Intifada

Forze israeliane hanno sparato uccidendo un adolescente nel campo di rifugiati di Jalazone mentre l’esercito ha usato il pugno di ferro nella zona di Ramallah nella Cisgiordania occupata dopo 24 ore di violenza in cui due soldati e quattro palestinesi sono rimasti uccisi.

L’adolescente ucciso è stato identificato come Mahmoud Yousif Nakhla. Il ministero della Sanità della Cisgiordania ha detto che aveva 16 anni, ma secondo alcuni mezzi di informazione ne aveva 18.

L’agenzia di notizie palestinese Ma’an News ha affermato che l’adolescente è stato colpito da una distanza inferiore ai 10 metri e che alcuni soldati hanno cercato di nascondere il suo corpo. Secondo Ma’an paramedici palestinesi sono riusciti a recuperare il corpo di Nakhla solo dopo aver discusso con i soldati per più di 30 minuti.

Alcuni filmati della scena montati insieme mostrano soldati che trascinano e poi trasportano Nakhla, dopo di che fanno la guardia intorno a lui. Il video non sembra mostrare soldati che prestino le prime cure all’adolescente.

Nell’ultimo filmato del montaggio delle immagini Nakhla appare ancora vivo quando i medici palestinesi lo mettono su una barella e lo caricano su un’ambulanza. I media informano che Nakhla era in condizioni critiche quando è arrivato all’ospedale, dove è stato infine dichiarato morto.

Il campo profughi di Jalazone

Il campo profughi di Jalazone, nella parte centrale della Cisgiordania, si trova a soli 200 metri dalla colonia di Beit El, costruita da Israele in violazione delle leggi internazionali, che vietano a una potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile nei territori che occupa.

I soldati di guardia alla colonia, finanziata da David Friedman, l’ambasciatore USA in Israele, vessano costantemente i minori del campo.

Negli ultimi anni le forze israeliane che sorvegliano Beit El hanno ucciso e ferito gravemente parecchi ragazzini palestinesi del campo di Jalazone.

Lo scorso anno soldati di una torre di guardia nei pressi di Beit El hanno ferito a morte Jassim Nakhla, 15 anni, e Muhammad Khattab, 17 anni, sparando contro una macchina che trasportava quattro minori ed era ferma sulla strada. Al momento della pubblicazione di questo articolo non è chiaro se Jassim Nakhla fosse un parente diretto di Mahmoud Nakhla.

Venerdì ci sarebbero stati altri due feriti da proiettili veri durante scontri tra le forze israeliane e i palestinesi nei pressi di Ramallah.

Secondo alcune notizie, venerdì pomeriggio un ragazzo palestinese di 17 anni sarebbe stato ferito in modo non grave dopo essere stato colpito al volto da un proiettile d’acciaio ricoperto di gomma durante scontri nel nord della Cisgiordania.

Venerdì le forze israeliane hanno anche aperto il fuoco contro un’ambulanza palestinese ad al-Bireh, nei pressi di Ramallah, la sede dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania.

L’agenzia di notizie Ma’an ha informato che il soccorso medico stava portando un paziente all’ospedale quando i soldati israeliani del checkpoint di Beit El hanno aperto il fuoco contro l’ambulanza.

Sempre venerdì un soldato israeliano sarebbe stato gravemente ferito nell’avamposto militare nei pressi di Beit El dopo essere stato attaccato con una pietra e un coltello da un palestinese che poi è fuggito.

Secondo il “Palestine Prisoners Club” [Associazione dei Prigionieri della Palestina] anche gli uomini armati che hanno ucciso due soldati e ne hanno feriti altri due giovedì sono in fuga mentre l’esercito li ha cercati per il secondo giorno, e giovedì e nelle prime ore di venerdì ha arrestato più di 100 palestinesi in Cisgiordania.

La città di Ramallah è stata chiusa dall’esercito il giorno prima e lo è rimasta anche venerdì.

Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese venerdì 25 palestinesi sono rimasti feriti durante scontri con le forze israeliane ad al-Bireh, vicino a Ramallah.

Violenza dell’Autorità Nazionale Palestinese

Nel contempo venerdì, che ha segnato il 31mo anniversario della fondazione del partito avversario, Hamas, le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese hanno aggredito dimostranti che protestavano contro i crimini israeliani e ne avrebbero feriti 5 e arrestati 15.

Il “coordinamento per la sicurezza” tra Israele e le forze dell’ANP gioca un ruolo fondamentale nel reprimere la resistenza palestinese contro l’occupazione militare israeliana.

Le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese si sono anche schierate per disperdere con la forza proteste seguite all’uccisione di Mahmoud Nakhla.

Le forze di sicurezza dell’ANP avrebbero anche arrestato il giornalista Abd al-Karim Museitaf mentre stava informando sulle proteste a Ramallah.

I coloni israeliani hanno continuato ad attaccare palestinesi sulle strade della Cisgiordania, compreso un padre che ha reagito con rabbia e frustrazione dopo che il veicolo su cui stava viaggiando con i suoi figli piccoli è stato colpito da una pietra.

L’uomo ha espresso il suo sdegno per il fatto che i suoi figli non hanno un futuro sotto l’occupazione e potrebbero essere uccisi in qualunque momento dagli israeliani.

Una madre palestinese è stata ferita a morte all’inizio di quest’anno in un attacco simile.

Giovedì notte un autista di autobus palestinese ha avuto il bulbo oculare rotto dopo essere stato picchiato da coloni che hanno usato tirapugni mentre stava lavorando nei pressi di Gerusalemme. Il fratello dell’uomo ha detto ai mezzi di comunicazione che l’autista, che lavora per una compagnia israeliana, “è stato aggredito in un incidente simile lo scorso anno, ma ha continuato a lavorare per mantenere la sua famiglia.”

Nel contempo venerdì almeno 60 manifestanti sono rimasti feriti da proiettili veri in quanto Israele ha continuato a utilizzare mezzi letali contro le dimostrazioni della Grande Marcia del Ritorno lungo il confine orientale di Gaza. Sette paramedici e un giornalista sarebbero rimasti feriti durante le proteste.

Finora quest’anno circa 300 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane.

Secondo il gruppo per i diritti umani “Al Mezan”, a Gaza, durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno, 175 palestinesi sono stati uccisi dal loro inizio il 30 marzo, “compresi 34 minori, una donna, due giornalisti, tre paramedici e sei disabili, tra cui un minore.”

Circa altri 13.000 sono stati feriti durante le proteste, di cui più di 7.200 da proiettili veri.

Quest’anno sono stati uccisi dai palestinesi quindici israeliani.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Calo senza precedenti del numero di ebrei americani nei viaggi del “Diritto al ritorno” in Israele

12 dicembre 2018, Middle East Monitor

Questo inverno si è registrato un evidente calo del numero di ebrei americani partecipanti ai viaggi del “Diritto al ritorno” in Israele. Lo ha riferito Haaretz, definendo “senza precedenti” “una riduzione di questa ampiezza, non correlata alle condizioni di sicurezza”.

Dalla sua istituzione nel 1999, l’Organizzazione del Diritto al ritorno ha portato 500.000 giovani ebrei da tutto il mondo in viaggi gratuiti in Israele.

Secondo il giornale, che cita alcuni operatori che gestiscono il viaggio-tipo del Diritto al ritorno, la riduzione varia dal 20 al 50% – a seconda dell’operatore- rispetto alla stagione invernale (che va da dicembre a marzo).

Una spiegazione di questo calo suggerita dagli operatori turistici è che i numeri “potrebbero riflettere il fatto ben documentato che i giovani ebrei americani stanno diventando sempre più indifferenti nei confronti di Israele e sempre meno interessati a visitare il Paese, nonostante i viaggi siano gratuiti. Haaretz ha osservato come “recenti studi hanno mostrato che gli ebrei nati negli anni 2000, che sono in massima parte progressisti, si sentano meno legati a Israele dei loro genitori e dei loro nonni perché percepiscono le politiche del Paese come antitetiche ai loro valori”.

In particolare -ha aggiunto il giornale- essi citano il trattamento, da parte di Israele, dei Palestinesi e dei richiedenti asilo.

Proprio la settimana scorsa, una petizione “firmata da 1500 studenti ebrei – che chiede che Diritto al ritorno includa nel suo itinerario relatori palestinesi in grado di affrontare la realtà dell’occupazione- è stata consegnata ai direttori della Hillel [organizzazione internazionale che si rivolge agli studenti universitari ebrei, ndtr.] in più di 30 campus in tutti gli Stati Uniti.”

L’esclusione di voci di Palestinesi e di cittadini palestinesi di Israele dal Diritto al ritorno contrasta con i nostri valori fondamentali.” ha detto la petizione.

In un viaggio in Israele, noi dovremmo sperimentare la storia e la cultura del Paese, ma dovremmo anche sapere dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e ascoltare le voci di palestinesi che vivono sotto l’occupazione.”

(traduzione di Laura Forcella )




Spari mortali a Tulkarem: soldati israeliani feriscono mortalmente con un colpo alla testa da 80 metri di distanza Muhammad Habali (22 anni)

B’Tselem

11 dicembre

Martedì 4 dicembre 2018 verso mezzanotte circa 100 soldati israeliani hanno invaso la città di Tulkarem, in Cisgiordania. Alcuni di loro sono entrati in quattro case in zone diverse della città ed hanno fatto una breve perquisizione. Pochi giovani palestinesi si sono recati dove c’erano i soldati e gli hanno lanciato pietre. Le truppe hanno risposto con proiettili ricoperti di gomma e lacrimogeni.

A un certo punto durante la notte circa 30 soldati sono arrivati nella zona di via a-Nuzha, una strada che va da est a ovest nella parte occidentale di Tulkarem. Alcuni di loro si sono distribuiti lungo la strada a gruppi di tre o quattro. Gli altri sono entrati nel vicolo che si trova di fronte alla scuola superiore maschile “al-Fadiliyah” e hanno fatto irruzione in una casa. Più in là lungo la via, a circa 50 metri dai soldati, alcuni abitanti stavano fermi all’ingresso del ristorante a-Sabah e sulla strada adiacente. Uno di loro era Muhammad Habali, un ventiduenne del campo di rifugiati di Tulkarem con problemi mentali. Habali camminava avanti e indietro attraversando da un lato all’altro la strada.

Le riprese di quattro videocamere di sicurezza sistemate su tre diversi edifici lungo la strada mostrano che quella zona era assolutamente tranquilla e che non erano in corso scontri con i soldati.

https://www.btselem.org/video/20181211_killing_of_muhammad_habali_in_tulkarm#full

Presi insieme l’inchiesta di B’Tselem e questi video indicano che alle 2.25 del mattino un ufficiale e due soldati si sono diretti verso il ristorante a-Sabah e si sono fermati a circa 80 metri di distanza. Pochi secondi dopo i soldati hanno sparato quattro o cinque colpi verso i giovani che si trovavano davanti al ristorante e questi sono scappati. Habali, che nel video si vede mentre impugna un lungo bastone di legno – che aveva raccolto pochi minuti prima degli spari –, è stato l’ultimo ad andarsene. Dopo che aveva fatto alcuni passi, è stato colpito alla nuca da una distanza di circa 80 metri. Un altro proiettile ha colpito a una gamba M.H., di Tulkarem. Circa un minuto dopo gli spari, si vedono i tre soldati che si riuniscono agli altri nella zona e se ne vanno, senza fornire ad Habali o a M.H. una qualunque assistenza medica. Poi si sentono altri spari. Habali è stato portato all’ospedale a Tulkarem, dove è arrivato in stato di incoscienza, senza respirare e senza pulsazioni. I tentativi di rianimarlo sono falliti e poco dopo è stato dichiarato morto. M.H. è stato portato in ospedale su un’altra macchina e la radiografia ha mostrato un proiettile nella sua gamba sinistra.

K.A. (25 anni), un abitante di Tulkarem, si trovava nel vicolo di fronte al ristorante a-Sabah e stava guardando la scena. In una testimonianza rilasciata il 9 dicembre 2018 ha raccontato:

Stavo lì in piedi con altri ragazzi, compreso Muhammad Habali. Lo conoscevo. Aveva un bastone di legno in mano. Sapevamo che c’erano soldati nella zona. Poi, verso le 2.20, abbiamo visto tre soldati venire verso di noi. Abbiamo chiesto a Muhammad, che tutti chiamavano Za’atar, di tornare indietro perché avevamo paura per lui, di quello che sarebbe potuto succedere con i soldati lì. Ha fatto quello che gli abbiamo chiesto e ha cominciato ad andarsene. Improvvisamente abbiamo sentito uno sparo. I soldati che stavano venendo verso di noi avevano sparato.

Quando gli spari sono iniziati, ero all’inizio del vicolo di fronte al ristorante a-Sabah. Ci sono stati quattro o cinque spari, e uno di questi ha colpito Muhammad Habali. L’ho visto cadere in avanti e allora sono corso nel vicolo insieme ad altre persone. Poi i colpi sono cessati.

Sono corso fuori sulla strada ed ho gridato agli altri ragazzi di andare a prendere una macchina per poter portare via Habali. Sono stato il primo ad arrivare da lui. La sua testa stava sanguinando molto. L’ho preso per le spalle e l’ho trascinato per tre o quattro metri nel vicolo – facendo in modo che la sua testa non strisciasse per terra – perché avevo paura che i soldati gli sparassero di nuovo.

Dopo i colpi che hanno colpito Habali, ho sentito che sparavano in aria, ma non ho visto i soldati che hanno sparato.”

M.H., colpito a una gamba, ha ricordato in una testimonianza che ha concesso al ricercatore sul campo di B’Tselem Abulkarim Sadi il 4 dicembre:

Circa alle 2.30 ho visto tre soldati dirigersi a est dall’ingresso della scuola ‘al-Fadiliyah’ verso il posto in cui stavo con alcuni ragazzi. Hanno aperto il fuoco ed io ed altri ragazzi che stavano nei pressi dei caffè e del ristorante a-Sabah abbiamo cercato di scappare verso est.

Ho corso per circa 10 o 15 metri e improvvisamente ho sentito che qualcosa aveva colpito la mia gamba sinistra. Ho cominciato a sanguinare e ad avere una sensazione di formicolio. Ho cercato di nascondermi in una traversa per non essere colpito di nuovo. Ho chiamato alcuni ragazzi che erano lì vicino e uno di loro è arrivato e mi ha aiutato ad andare fino a una piazza vicina. Un uomo che stava passando con la sua macchina mi ha preso e portato al pronto soccorso dell’ospedale Thabet Thabet. Mi hanno fatto una radiografia alla gamba ed hanno trovato un foro d’entrata di un proiettile, ma non quello d’uscita, sotto il mio ginocchio sinistro. Ora sto aspettando in ospedale che mi tolgano la pallottola.

H.F., abitante di Tulkarem, è arrivato al ristorante per mangiare un boccone attorno alle 2.15. In una testimonianza rilasciata al ricercatore di B’Tselem Abdulkarim Sadi il 6 dicembre 2018 ha ricordato quello che è avvenuto dopo:

Stavo fuori sulla strada insieme ad altre persone a guardare i soldati. A un certo punto sono entrato al ristorante per ordinare del cibo. L’ho fatto andando fino all’ingresso quando ho sentito colpi di arma da fuoco. Mi sono girato e ho visto Muhammad Habali, noto come Za’atar, steso con la faccia a terra. Doveva essere stato colpito alla testa da un proiettile. L’ho filmato con il mio cellulare ed ho iniziato a chiamare gli altri ragazzi perché mi aiutassero a toglierlo dalla strada e a portarlo nel vicolo di fronte al ristorante, perché avevo paura che gli spari continuassero o che un’auto di passaggio potesse investirlo.

Quando ho osato fare un passo fuori, ho guardato verso i soldati che erano di fronte alla scuola “al-Fadiliyah” e li ho visti retrocedere verso piazza Khaduri. Ho sentito una serie di spari in aria. Dopo che i ragazzi si sono assicurati che i soldati se n’erano andati, hanno messo Muhammad Habali su una macchina. Sono andato in ospedale con lui, e in pochi minuti abbiamo raggiunto il pronto soccorso. I medici hanno cercato di dargli i primi soccorsi e di rianimarlo, ma era morto.

Dal posto in cui mi trovavo non ho visto nessun lancio di pietre prima che iniziassero a sparare. La gente stava solo lì in piedi a guardare i soldati che erano nei pressi della scuola “al-Fadiliyah”. Non so cosa stesse succedendo in altre parti della strada. Per quanto ne so là dei giovani potrebbero aver lanciato pietre o gridato contro i soldati.

Quando l’incidente è stato reso pubblico, l’esercito ha risposto sostenendo che nella zona “si erano determinati violenti disordini”, che “decine di palestinesi stavano lanciando pietre” e che i soldati “hanno risposto con mezzi per il controllo della folla e poi con proiettili veri.” Le riprese e le testimonianze dirette raccolte da B’Tselem da parte di persone che si trovavano nei pressi di Habali non mostrano assolutamente nessun indizio di una qualche manifestazione violenta, del lancio di pietre o dell’uso di mezzi per controllare la folla. Al contrario: si vedono i soldati camminare senza fretta, i palestinesi che parlano tra loro e poi i soldati che colpiscono a morte Habali alla testa da una distanza considerevole. Il colpo mortale non è stato preceduto da avvertimenti, non era giustificato e costituisce una violazione della legge.

I mezzi di comunicazione hanno anche informato che l’esercito ha iniziato un’inchiesta dell’Unità Investigativa della Polizia Militare (MPIU) riguardo a quanto avvenuto. Però, nonostante il suo nome, il “sistema di applicazione delle leggi militari” non fa indagini su avvenimenti in cui i soldati abbiano ucciso palestinesi, con l’obiettivo di nascondere la verità. Non lavora in modo da chiedere conto alla catena di comando responsabile delle uccisioni o per evitare che questi casi si ripetano. Il sistema intende principalmente salvare le apparenze e far tacere le critiche, in modo che i soldati possano continuare ad usare una forza letale senza pagare nessun prezzo per le loro azioni.

(traduzione di Amedeo Rossi)




I neo-nazisti sostengono all’UE la falsa definizione israeliana di antisemitismo

Asa Winstanley

7 dicembre 2018, Electronic Intifada

Una nuova dichiarazione dell’Unione Europea potrebbe rendere più difficile criticare Israele come Stato razzista senza essere definiti antisemiti.

Giovedì a Bruxelles i politici hanno approvato il documento.

La mozione chiede a tutti i governi dell’UE di “approvare la definizione operativa non legalmente vincolante di antisemitismo utilizzata dall’International Holocaust Remembrance Alliance [organismo intergovernativo europeo che intende promuovere l’educazione sull’Olocausto, ndtr.].

La proposta, approvata dai ministri degli Interni degli Stati membri dell’UE, è già stata condannata da molti accademici israeliani e francesi.

La dichiarazione è stata promossa dall’Austria, il cui governo di coalizione comprende ministri membri di un partito neonazista.

L’assemblea dell’UE che giovedì ha formalmente adottato la dichiarazione includeva molti ministri di diversi partiti di destra, che istigano al fanatismo anti-ebraico.

Il Ministro degli Interni austriaco Herbert Kickl è uno di loro.

È del Partito della libertà, un’organizzazione anti-musulmana guidata dal neo-nazista Heinz-Christian Strache (ora vice-cancelliere dell’Austria).

Kickl è stato accusato per il suo linguaggio nazista a gennaio, quando ha chiesto alle autorità “di concentrare i richiedenti asilo in un unico posto”.

Il suo linguaggio sembrava deliberatamente calcolato per evocare l’Olocausto – sebbene questa volta prendesse di mira principalmente i richiedenti asilo musulmani.

Definizione falsa

Come da tempo riferisce The Electronic Intifada, la “definizione operativa” dell’IHRA è stata concepita come potente mezzo, spalleggiato da Israele, per soffocare le critiche nei confronti dello Stato e dei suoi crimini contro i palestinesi.

Israele e i suoi gruppi lobbysti hanno esercitato un’enorme pressione in tutta Europa negli ultimi due anni affinché fosse adottata.

La “definizione operativa” è stata condannata da numerosi sindacati palestinesi e da altri gruppi della società civile, nonché dalla Palestine Solidarity Campaign nel Regno Unito e dai sindacati di tutta Europa.

Come ha riferito la scorsa settimana il sito web EUobserver, le ambasciate israeliane di solito “fanno riferimento alla definizione dell’IHRA” quando presentano proteste diplomatiche formali contro le critiche dell’UE ai crimini di guerra israeliani in Palestina. Tali critiche sono inefficaci, considerando che l’UE spesso consente i crimini di Israele.

Nel Regno Unito, gruppi lobbysti israeliani hanno fatto pressione con successo sul partito laburista all’opposizione perché la “definizione operativa” fosse adottata.

Ma anche questo non è stato sufficiente, e un grande polverone mediatico è stato sollevato sull’iniziale riluttanza del partito ad adottare tutti gli “esempi” allegati che il documento dell’IHRA afferma essere antisemiti.

Molti di questi 11 “esempi” menzionano Israele.

Si giunge persino a definire il semplice atto di affermare il fatto che Israele è uno Stato istituzionalmente razzista – ” un’impresa razzista” nel linguaggio IHRA – come un esempio di “antisemitismo”.

L’Austria ha già approvato la “definizione operativa” e, come riportato da EUobserver, il governo di coalizione ha spinto per l’appoggio alla dichiarazione.

Neo-nazisti austriaci

L’Austria, che attualmente detiene la presidenza di turno dell’UE, il mese scorso ha invitato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a prendere parte a una conferenza a Vienna.

La dichiarazione approvata dall’UE è stata redatta durante quella conferenza, dedicata all’antisionismo. Netanyahu aveva accettato di partecipare alla conferenza ma poi ha cancellato la propria partecipazione a causa dell’instabilità del suo governo di coalizione.

L’Austria voleva una versione ancora più radicale, e una delle prime bozze invitava gli Stati dell’UE ad adottare la definizione “includendo esempi illustrativi”. Questo è stato recepito nella dichiarazione finale, che descrive la definizione come “non legalmente vincolante”.

Questa frase ipocrita compare nello stesso documento IHRA. In realtà però, la definizione viene costantemente utilizzata per vigilare sui discorsi critici nei confronti di Israele.

Gli eventi di quest’anno all’interno del Partito laburista britannico lo illustrano perfettamente.

Come parte della “crisi” sul presunto antisemitismo, costruita da anni ad arte dai critici del leader laburista Jeremy Corbyn, i gruppi di pressione israeliani hanno chiesto al partito di adottare anche gli 11 “esempi” di antisemitismo dell’IHRA.

A settembre l’esecutivo nazionale del partito laburista si è arreso alle pressioni. Ma ciò ha solo rafforzato i cacciatori di streghe, che continuano a cercare di punire i politici eletti che si mostrino critici nei confronti di Israele.

L’isteria dei media sulla “crisi” ha portato a una caccia alle streghe che ha preso di mira attivisti laburisti di sinistra e filo-palestinesi.

L’isteria si è estesa dal partito laburista alla società nel suo complesso.

La “definizione operativa” viene ora utilizzata per licenziare le persone.

Sospeso per aver definito razzista Israele

Paul Jonson, impiegato del consiglio comunale di Dudley, vicino a Birmingham, è stato sospeso dal suo lavoro in ottobre per aver contribuito ad organizzare una protesta contro Ian Austin, parlamentare eletto in quel comune – esplicito promotore della propaganda israeliana.

Qual è stato il “crimine” di Jonson? Pubblicare su Facebook la frase “Stiamo con la Palestina, Israele è un’impresa razzista” nella sua promozione della protesta.

Attivista nei locali gruppi di solidarietà con i palestinesi, Jonson ha dichiarato a The Electronic Intifada che i capi del consiglio comunale hanno citato la “definizione operativa” dell’IHRA – che l’autorità locale ha adottato – come giustificazione per la sua sospensione.

In ottobre l’amministratore delegato del consiglio comunale ha detto ad un giornale locale che Jonson era sotto inchiesta.

Jonson ha dichiarato a The Electronic Intifada di aver saputo della sua “sospensione” solo dal titolo del giornale.

Fino ad allora i dirigenti gli avevano assicurato che non era sospeso, che stavano solo facendo dei colloqui preliminari in merito ad un reclamo ricevuto da Campagna Contro l’Antisemitismo – un gruppo di propaganda antipalestinese dal nome ingannevole.

Riferisce che fino ad allora gli era stato detto solo di “astenersi dal lavoro fino a nuovo avviso”.

Ma lo stesso giorno in cui la notizia è trapelata alla stampa, i manager lo hanno invitato a un altro incontro e lo hanno sospeso.

Jonson sospetta che ci sia Ian Austin dietro la protesta. Il parlamentare è patrono del gruppo che ha presentato il reclamo.

I sindacalisti locali hanno chiesto il reintegro di Jonson, come ha fatto il gruppo di sinistra Jewish Voice for Labour [Voce Ebraica del partito laburista, gruppo di membri ebrei del partito che si oppongono alla campagna di diffamazione orchestrata dai laburisti filo-israeliani, ndtr.].

Una petizione che chiede il suo reintegro ha già raccolto oltre 600 firme.

(traduzione di Luciana Galliano)




I palestinesi lottano contro lo sfratto dalle case di Silwan, Gerusalemme est

Mersiha Gadzo

7 dicembre 2018 Al Jazeera

L’occupazione di Batan al-Hawa a Gerusalemme Est da parte dei coloni è “il più esteso processo di espulsione” degli ultimi anni

Batan al-Hawa, Gerusalemme est occupata – Nel corso degli anni, i coloni israeliani hanno continuato ad offrire milioni di dollari a Zuheir Rajabi e ai suoi vicini per le loro modeste case accatastate sul pendio di Silwan a Batan al-Hawa, un quartiere nella Gerusalemme Est occupata.

Le case si trovano in quello che è noto come il Bacino Storico della Città Vecchia, in prossimità della sacra Moschea di Al-Aqsa, ciò che le rende possedimenti preziosi.

Un colono ebreo una volta offrì a Rajabi un assegno in bianco per la sua casa, chiedendogli di scrivere qualsiasi cifra volesse, da 3 a 30 milioni di shekel (da 800.000 a 8 milioni di dollari).

Ma per Rajabi e gli 700 altri residenti del quartiere – ora minacciati di sfratto – nessuna somma di denaro basterebbe a farli lasciare le loro case.

“Pensavano che in 30 giorni le persone avrebbero abbandonato le loro case”, ha detto Rajabi, dal terrazzo sul tetto del Centro di Comunità del quartiere, che domina la valle.

“La gente qui è molto semplice; hanno una cosa sola, l’onore. Non ci importa di vivere in povertà o in un ambiente malsano, non possiamo sopportare di perdere il nostro onore”, ha detto Rajabi, che è anche il portavoce del comitato Batan al-Hawa.

Gran parte dei residenti di Batan al-Hawa vi abita da oltre 70 anni, molti dopo essere stati espulsi dalle loro ataviche case quando si stava costituendo Israele.

I residenti ora affrontano un’altra espulsione, da parte dell’associazione di coloni ebrei Ateret Cohanim, che sta cercando di lanciare quella che Ir Amim, una ONG israeliana, definisce come la più grande occupazione di quartieri palestinesi a Gerusalemme Est da quando Israele l’ha occupata nella guerra arabo-israeliana del 1967.

La giudaizzazione di Gerusalemme Est

Ateret Cohanim, che ha come obiettivo la giudaizzazione di Gerusalemme est, sostiene che le case di Batan al-Hawa furono costruite su un terreno di proprietà del ‘Jewish Benvenisti Trust’ [cartello religioso ebraico, ndtr.] nel XIX secolo, che lo adibiva all’insediamento in zona degli ebrei yemeniti.

Nel 2002, il Ministero della Giustizia israeliano ha emesso un atto di proprietà del terreno, circa 5,5 dunams (1,4 acri), a favore del Benvenisti Trust, senza informarne i residenti. A quel punto, Ateret Cohanim ha assunto il controllo del Trust.

L’atto è stato utilizzato come fondamento per gli avvisi di sfratto ai residenti, come quello ricevuto dalla famiglia Rajabi nel 2015, che disponeva che le sette famiglie che abitano in quella casa se ne andassero.

Nel giugno di quest’anno, oltre un centinaio di residenti palestinesi in lotta contro gli sfratti ha presentato una petizione, sostenendo che il Trust Benvenisti possedeva solo gli edifici e non il terreno su cui si trovavano.

Dal momento che da allora gli edifici originali erano stati distrutti e ricostruiti, il Trust non poteva rivendicare la terra, sostenevano i residenti.

Lo stesso mese, il governo israeliano ha ammesso che il Ministero della Giustizia non aveva indagato sul Trust prima di emettere l’atto di proprietà.

Tuttavia, il mese scorso l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto l’appello dei residenti di annullare la decisione del 2002, consentendo in effetti ad Ateret Cohanim di proseguire con l’occupazione di Batan al-Hawa.

L’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha detto che la sentenza della Corte ha spianato la via alla pulizia etnica dei palestinesi di Silwan.

“La sentenza dimostra, ancora una volta, che l’Alta Corte israeliana dà il suo beneplacito a quasi tutte le violazioni dei diritti dei palestinesi da parte delle autorità israeliane”.

La “piovra” di Gerusalemme est

Ad oggi, Ateret Cohanim ha sfrattato 17 famiglie e possiede sei edifici nell’area.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, il 45% di tutte le famiglie palestinesi minacciate di sfratto a Gerusalemme Est vive a Batan al-Hawa.

B’Tselem lo ha definito “il più esteso processo di espulsione” in città degli ultimi anni.

Rajabi ha detto che suo padre ha comprato il loro appezzamento di terra nel 1966 dopo che erano stati espulsi dai quartieri ebraici della Città Vecchia, senza alcun risarcimento.

“Sono nato qui, sono cresciuto qui, mi sono sposato qui, ho vissuto qui tutta la mia vita”, ha detto.

Amareggiato dalla sentenza della Corte, ha detto che la società israeliana si sta spostando verso la “estrema destra”.

Rajabi paragona Ateret Cohanim a una piovra i cui tentacoli stanno attanagliando la Città Vecchia e Silwan.

“Ateret Cohanim è un’organizzazione potente, non solo politicamente. Ha anche soldi”, ha detto Rajabi.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, l’organizzazione usa diverse tattiche per costringere i palestinesi a vendere le loro proprietà, tra cui minacce a carattere sessuale e ricatti di vario tipo – come minacciare di rendere pubblica una vendita concordata in segreto così che il venditore, temendo per la propria vita, sarebbe costretto ad abbassare significativamente il prezzo per evitare l’ira della propria comunità.

[L’ONG israeliana] Ir Amim dice che il governo israeliano è stato direttamente coinvolto nell’agevolare gli insediamenti privati illegali nella città vecchia e nei quartieri palestinesi circostanti.

“Il governo ha agito tramite il Custode Generale e il Registro dei Trust (entrambi sotto il Ministero della Giustizia) per agevolare il sequestro di Batan al-Hawa, aumentando il budget per la sicurezza del 119 % per il periodo 2009-2016 in modo da garantire la protezione degli estremisti ebrei che si insediano nel cuore dei quartieri palestinesi a Gerusalemme Est”, ha affermato la ONG.

Consolidare il controllo ebraico

Secondo un rapporto di Ir Amim, l’obiettivo politico di gruppi come Ateret Cohanim è consolidare il controllo ebraico a Gerusalemme Est e contrastare la soluzione dei due stati.

Yacoub al-Rajabi, membro del comitato di Batan al-Hawa, ha affermato che i coloni stanno cercando di acquistare la sua casa dal 2003.

Un anno e mezzo fa, Ateret Cohanim gli ha offerto 2 milioni di dollari per vendere la sua casa e abbandonare la causa in tribunale, ma senza risultato.

“Se ci sfrattano dalle nostre case, costruiremo tende vicino alle case, non andremo da nessuna parte, ci rifiutiamo di andare altrove, rifiutiamo di essere trasferiti [per la terza volta]”, ha detto Yacoub.

Ha descritto il quartiere come una prigione dove i residenti si sentono intrappolati e sono regolarmente attaccati da coloni, polizia, esercito e istituzioni governative israeliane per spingerli ad andarsene.

Dice che, ad ogni festa ebraica, i residenti non possono lasciare le loro case e per ordine militare i bambini non possono andare a scuola.

“Non abbiamo altro che la nostra risolutezza. Cercheremo di difendere noi stessi e i nostri diritti … Abbiamo la proprietà di questa terra ed è nostra per legge”, ha detto.

L’ufficio di Rajabi si trova nel Centro della comunità costruito per i bambini – l’unico posto nel quartiere dove i bambini possano giocare in sicurezza. In un angolo del suo ufficio, uno schermo mostra i filmati dalle telecamere a circuito chiuso installate all’esterno.

Dall’altra parte della strada, una decina di telecamere controllano la sua casa. Le ha fatte installare per documentare gli attacchi dei coloni o delle autorità israeliane, dopo che suo padre è morto per l’inalazione di gas lacrimogeni sparati dalla polizia.

Rajabi afferma che le telecamere sono state estremamente utili a smentire le false affermazioni dei coloni e delle autorità israeliane.

Il destino delle loro case è ora presso la Pretura di Gerusalemme, che deve decidere se il Trust Benvenisti possiede solo gli edifici o anche la terra.

Ma Yacoub ha detto che c’è poca speranza che la giustizia possa essere difesa dai tribunali israeliani.

“Persino durante l’udienza la stessa giudice ha detto che ci sono alcuni problemi legali nel verdetto del tribunale”, ha detto Yacoub, aggiungendo che i residenti cercheranno con tutti i mezzi di rimanere nelle loro case, anche portando il caso alla Corte Penale Internazionale.

“Questa [sentenza del tribunale] non ci spezzerà, continueremo a lottare per i nostri diritti, continueremo a lottare per la nostra proprietà sulla terra e sulle nostre case”, ha affermato.

(traduzione di Luciana Galliano)




Secondo il ministero 18 palestinesi sono stati feriti in quanto l’esercito israeliano ha sparato contro i manifestanti di Gaza

MEE e agenzie

venerdì 30 novembre 2018, Middle East Eye

Da marzo circa 6.000 palestinesi sono rimasti feriti a causa dell’uso di proiettili veri da parte dell’esercito israeliano durante le proteste nella Striscia di Gaza

Il ministero della Sanità dell’enclave assediata ha affermato che venerdì almeno 18 palestinesi sono rimasti feriti dopo che l’esercito israeliano ha aperto il fuoco contro le proteste settimanali nella Striscia di Gaza.

Il ministero ha detto che sono stati colpiti da proiettili veri quando qualche migliaio di palestinesi si è radunato in diversi punti lungo la barriera che divide Israele da Gaza, e che nessuno risulterebbe in pericolo di vita.

Ogni settimana dalla fine di marzo i palestinesi di Gaza hanno manifestato come parte della “Grande Marcia del Ritorno”.

I manifestanti chiedono la fine dell’opprimente blocco contro il territorio costiero palestinese e rivendicano il diritto al ritorno ai loro luoghi d’origine in quello che ora è Israele.

Il numero di partecipanti alle proteste è diminuito da quando all’inizio di questo mese è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco tra Israele ed Hamas, che governa Gaza.

Inoltre da marzo almeno 235 palestinesi di Gaza sono stati uccisi, per lo più dal fuoco israeliano, ma anche da attacchi aerei e con i carri armati. Nello stesso periodo sono stati uccisi due soldati israeliani.

Secondo il ministero della Sanità palestinese almeno altri 6.000 palestinesi sono stati feriti dall’uso da parte dell’esercito israeliano di proiettili veri contro le proteste. All’inizio di questa settimana Medici senza Frontiere (MSF) ha affermato che il sistema sanitario di Gaza sta lottando per far fronte alle necessità dei palestinesi che sono stati feriti da proiettili veri durante le manifestazioni.

In seguito a ciò, secondo l’ente di assistenza sanitaria migliaia di abitanti di Gaza stanno soffrendo di ferite che richiedono molto tempo per essere curate e la maggioranza dei pazienti di MSF necessita di ulteriore trattamento medico per guarire adeguatamente dalle ferite o ricevere le cure necessarie per la riabilitazione.

L’assistenza del pronto soccorso si sta svolgendo in modo rallentato a Gaza a causa delle accresciute necessità dei pazienti colpiti dall’esercito israeliano e gravemente feriti durante le proteste,” afferma l’organizzazione.

Questo onere è troppo pesante da sopportare per il sistema sanitario di Gaza nella sua attuale forma, in quanto è indebolito da più di un decennio di blocco.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Il ministro del governo israeliano Erdan invita a boicottare Airbnb

21 novembre 2018, Al Jazeera

La risposta del ministro arriva dopo che Airbnb ha affermato che avrebbe rimosso 200 annunci di appartamenti in colonie israeliane nella Cisgiordania occupata.

Un ministro del governo israeliano ha chiesto il boicottaggio di Airbnb ed ha pubblicizzato uno dei suoi concorrenti, intensificando la risposta del governo contro la decisione dell’impresa per l’affitto di case di togliere dalle offerte colonie israeliane nella Cisgiordania occupata.

Lunedì Airbnb ha affermato che avrebbe eliminato 200 annunci dal suo sito – che consente a proprietari di affittare a persone le proprie stanze, appartamenti e case – provocando una reazione da parte degli israeliani.

Oggi faccio un appello a tutti quelli che appoggiano Israele e si oppongono a boicottaggi discriminatori. Dovrebbero smettere di utilizzare Airbnb e rivolgersi ad altri servizi,” ha detto mercoledì il ministro degli Affari Strategici Gilad Erdan ad una conferenza a Gerusalemme.

Peraltro Booking.com è un ottimo servizio,” ha aggiunto Erdan, il principale responsabile dei tentativi del governo israeliano di combattere il boicottaggio filo-palestinese.

Airbnb ha affermato che l’iniziativa si è fondata su uno schema interno utilizzato per giudicare come gestisce le offerte nei territori occupati nel mondo.

Abbiamo concluso che avremmo dovuto togliere gli annunci nelle colonie israeliane in Cisgiordania, che sono al centro della disputa tra israeliani e palestinesi,” ha affermato un comunicato sul sito web di Airbnb.

L’impresa toglierà offerte nelle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, ma ciò non include Gerusalemme est e le Alture del Golan occupate.

Il direttore di Human Rights Watch [organizzazione per i diritti umani con sede a New York, ndtr.] per Israele e i territori occupati, Omar Shakir, ha detto che la decisione di Airbnb è “un passo positivo”.

Airbnb ha mandato un importante messaggio al resto del mondo degli affari,” ha detto Shakir ad Al Jazeera.

Non è posibile fare affari (nella Cisgiordania occupata) senza contribuire a gravi violazioni delle leggi umanitarie internazionali e dei diritti umani dei palestinesi.

Stava accettando una politica per cui chi ha un documento di identità palestinese non ha il permesso di entrare in insediamenti solo per quello che è – e questo sembra essere l’unico caso al mondo in cui i padroni di casa di Airbnb hanno l’obbligo per legge di discriminare in base all’origine nazionale,” ha aggiunto.

Mercoledì, rivolgendosi ad un’altra conferenza, la ministra della Giustizia Ayelet Shaked ha appoggiato la richiesta di Erdan di boicottare Airbnb ed ha suggerito che anche Israele ricorra alle proprie leggi contro le discriminazioni.

Israele ha affermato che si rivolgerà all’amministrazione Trump e potrebbe appoggiare azioni legali contro Airbnb all’interno di Stati degli USA che hanno leggi contro il boicottaggio a Israele.

In un comunicato spedito ad Al Jazeera il responsabile globale di Airbnb per la politica commerciale e la comunicazione, Chris Lehane, ha affermato: “Israele è un luogo speciale e i nostri oltre 22.000 padroni di casa sono persone speciali che hanno accolto centinaia di migliaia di ospiti in Israele. Comprendiamo che si tratta di un problema difficile e complicato e prendiamo in considerazione la prospettiva di tutti.”

Colonie israeliane

Tutte le colonie israeliane sono illegali in base alle leggi internazionali.

Gli annunci di Airbnb in Cisgiordania sono stati a lungo criticati dalla comunità palestinese e dagli attivisti per i diritti umani.

In un rapporto del 2016 Human Rights Watch ha affermato che imprese che operino all’interno o in coordinamento con le colonie israeliane nei territori palestinesi traggono vantaggio e contribuiscono a un sistema illegale che viola i diritti dei palestinesi.

Secondo Peace Now [ong israeliana contraria all’occupazione dei territori palestinesi, ndtr.] i progetti di colonizzazione in Cisgiordania sono aumentati dall’inizio del 2017, quando il presidente Donald Trump, un alleato fondamentale del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha assunto l’incarico di presidente degli Stati Uniti.

Secondo dati palestinesi, nella Cisgiordania occupata ora vivono più di 700.000 coloni ebrei in 196 insediamenti (costruiti con l’approvazione del governo israeliano) e in più di 200 avamposti di coloni (costruiti senza la sua approvazione).

Le leggi internazionali vedono la Cisgiordania e Gerusalemme est come territori occupati e considerano illegale ogni colonia ebraica sul territorio. Esse sono anche viste come uno dei principali ostacoli ai tentativi di pace, in quanto sono costruite su terre che i palestinesi vogliono destinare al proprio futuro Stato.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Un attivista palestinese imprigionato per essere andato in bicicletta nel suo villaggio

Oren Ziv

14 novembre 2018, +972

Un tribunale militare israeliano ha condannato Abdullah Abu Rahma, un noto difensore dei diritti umani, a 110 giorni di prigione per essere andato in bicicletta durante una protesta contro l’occupazione due anni fa.

Mercoledì un tribunale militare israeliano ha condannato il noto attivista palestinese Abdullah Abu Rahma a quattro mesi di prigione per due accuse relative una corsa in bicicletta per celebrare la giornata della Nakba [la “Catastrofe”, cioè l’espulsione dei palestinesi da quello che sarebbe diventato lo Stato di Israele nel 2048, ndtr.] del 2016.

Abu Rahma, uno dei più noti leader della lotta popolare contro il muro di separazione, è stato condannato alcune settimane fa per aver violato, nel maggio 2016, un ordine di zona militare chiusa e aver intralciato un soldato durante una corsa a Bil’in, il suo villaggio. Centinaia di ciclisti palestinesi e internazionali avevano preso parte alla cosiddetta “corsa del ritorno”, partita da Ramallah e terminata nel villaggio della Cisgiordania.

Comunque le forze di sicurezza israeliane avevano invaso il villaggio ancor prima che la corsa iniziasse. Abu Rahma era stato arrestato mentre cercava di spiegare ai soldati che si trovavano sulla sua terra. Era stato gettato a terra, arrestato e detenuto per 11 giorni.

Quasi tutte le forme di protesta sono illegali per i palestinesi che vivono sotto il governo militare israeliano in Cisgiordania.

Mercoledì il giudice militare israeliano maggiore Haim Baliti ha accettato che Abu Rahma inizi a scontare la pena a metà dicembre, in modo da “corsa del ritorno”,dare il tempo alla difesa di fare appello sia contro la sentenza che contro la condanna.

Baliti ha anche applicato parte di una sentenza sospesa con la condizionale relativa a una precedente condanna per la partecipazione a un’altra protesta un anno prima. La sentenza sospesa è stata rimessa in vigore dall’attuale condanna. Abu Rahma sconterà un totale di 110 giorni in un carcere militare israeliano.

Abdullah è un difensore dei diritti umani”, ha detto dopo il pronunciamento della sentenza Gaby Lasky, la sua avvocatessa. “Si oppone in modo non violento all’occupazione – ecco ciò che fa di lui un obiettivo così importante. Finché si trova in prigione non può essere attivo sul campo.”

Queste punizioni per la resistenza nonviolenta in corso indicano che il tribunale militare non è una corte di giustizia; il suo unico scopo è mantenere l’occupazione e impedire ogni resistenza contro di essa”, ha aggiunto Lasky.

Abu Rahma, che nel 2010 ha avuto il riconoscimento di “difensore dei diritti umani” impegnato nella nonviolenza, è uno dei principali leader nella lotta contro il muro ed ha contribuito a guidare le proteste popolari a Bil’in iniziate nel 2005.

Ha trascorso oltre un anno in carcere per il suo ruolo nelle proteste di Bil’in e ora sta affrontando un’altra serie di accuse perché avrebbe danneggiato il cancello della barriera di separazione nel villaggio dove vive.

Nel 2010, la rivista +972 ha nominato Abu Rahma suo “personaggio dell’anno” per il suo ruolo nel “movimento di opposizione ben organizzato, nonviolento e di base a Bil’in – che riunisce sostenitori palestinesi, israeliani e internazionali in una lotta comune”.

Sono arrabbiato e addolorato per la decisione”, ha detto Abu Rahma alla fine dell’udienza. “Questo non è un vero tribunale – è un tribunale politico. Ne pagherò il prezzo, ma questa punizione mi darà coraggio per continuare a sostenere il popolo dovunque sia – che è il mio dovere come palestinese – finché finirà l’occupazione e otterremo l’indipendenza.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Gaza: sei morti nelle sparatorie fra Israele e Hamas

MEE staff,

12 novembre 2018 (aggiornato 13 novembre), Middle East Eye

Decine di attacchi aerei israeliani sulla Striscia di Gaza uccidono sei palestinesi, i missili di Hamas fanno morire un palestinese in Israele

Quattro palestinesi sono stati uccisi lunedì e altri due martedì, quando l’esercito israeliano ha sferrato decine di attacchi aerei sulla Striscia di Gaza, mentre centinaia di missili venivano lanciati dall’enclave assediata.

Il ministero della Sanità di Gaza ha identificato i sei palestinesi uccisi come Mohammed Zakariya al-Tatari, 27 anni, Mohammed Zuhdi Odeh, 22 anni, Hamad Mohammed al-Nahal, 23 anni, Moussa Iyad Abd al-Aal, 22 anni, Khaled Riyadh al-Sultan, 26 anni e Musaab Hoss, 20. Da lunedì pomeriggio sono stati feriti altri 25 palestinesi.

Secondo quanto riferito da Haaretz, un palestinese è stato ucciso da un missile partito da Gaza che ha colpito la sua casa nella città israeliana di Ashkelon. Il razzo avrebbe ferito gravemente anche due donne che si trovavano nella casa.

La morte del quarantenne, un palestinese originario della città di Hebron in Cisgiordania, è la prima morte confermata dovuta alla raffica di razzi lanciati da Gaza iniziata lunedì pomeriggio, a seguito di una micidiale operazione delle forze speciali israeliane nell’enclave.

Secondo quanto riportato dai media israeliani, l’esercito israeliano ha colpito almeno 70 bersagli a Gaza, mentre 300 missili sono stati lanciati dal territorio palestinese verso Israele per tutto il lunedì.

Un attacco israeliano ha ucciso un altro palestinese martedì, ha detto il Ministro della Salute di Gaza, portando così a cinque il bilancio delle vittime nell’enclave in meno di 24 ore.

Un testimone oculare a Gaza ha detto a Middle East Eye che l’esercito israeliano lunedì ha bombardato l’edificio che a Gaza City ospita la stazione televisiva Al-Aqsa, legata a Hamas.

I media locali e internazionali hanno riferito che l’edificio è stato completamente distrutto durante l’attacco, e le strutture vicine danneggiate.

Non ci sono state notizie di vittime, secondo quanto riferito da Reuters.

L’attacco aereo è arrivato dopo che i militari israeliani hanno sparato cinque missili antideflagranti vicino all’edificio, hanno riferito a Reuters funzionari e testimoni palestinesi.

“Proprio come abbiamo affrontato gli attacchi precedenti, stiamo gestendo anche questo”, ha detto Rami Abu Dayya, un cameraman che ha lavorato per Al-Aqsa TV negli ultimi 14 anni durante i quali ha assistito a quattro diversi attacchi israeliani contro l’edificio.

Abu Dayya, 33 anni, ha detto anche di aver personalmente subìto tre diverse ferite durante gli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza negli ultimi anni.

“Israele sta cercando di mettere a tacere i media palestinesi. Tuttavia, pochi minuti dopo che l’edificio di Al-Aqsa è stato preso di mira, siamo stati in grado di riprendere le trasmissioni [da un altro luogo] “, ha detto lunedì a MEE.

Dawoud Shihab, capo dell’ufficio stampa della fazione palestinese Islamic Jihad, ha affermato che la distruzione dell’edificio del canale televisivo Al-Aqsa e di molte altre case è stata “un attacco grave e aggressivo”.

“Ciò provocherà un’escalation nella rappresaglia della resistenza (palestinese)”, ha detto Shihab in una dichiarazione.

Nel contempo, il quotidiano israeliano Haaretz ha riferito che l’esercito israeliano avrebbe colpito 70 bersagli nell’enclave palestinese assediata intorno alle 16 di lunedì.

Il sistema israeliano di difesa missilistica Iron Dome ha intercettato circa 60 dei 300 razzi lanciati da Gaza verso Israele, ha riferito il giornale. La maggior parte dei razzi sono atterrati in zone disabitate, ha detto l’esercito israeliano, ha riferito Haaretz.

Gli attacchi aerei israeliani hanno colpito anche case appartenenti agli attivisti di Hamas a Rafah e Khan Younis, nel sud di Gaza, e un hotel a Gaza utilizzato dal governo di Hamas per gestire la sua agenzia di sicurezza interna.

Saeb Erekat, segretario generale del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha detto che Israele è responsabile degli attacchi a Gaza e del deterioramento della situazione nel territorio.

“Ribadiamo la nostra richiesta di protezione internazionale. Chiediamo alla comunità internazionale di fare tutto il necessario per prevenire un nuovo massacro a Gaza “, ha detto Erekat.

Anche l’Egitto ha invitato Israele a fermare le violenze a Gaza, secondo quanto riferito dalla televisione pubblica/ egiziana, e come riportato da Reuters.

Le fonti dicono che l’Egitto avrebbe comunicato a Israele la necessità di impegnarsi in un processo di allentamento della tensione e ha anche intensificato l’impegno con i palestinesi a tale riguardo.

Abu Obeida, portavoce dell’ala armata di Hamas Brigate al-Qassam, ha twittato “quello che è successo ad Ashkelon è responsabilità del comando nemico”.

A seguito delle violenze, il gabinetto di sicurezza israeliano è stato convocato per martedì mattina.

 

Violenze dopo un fallito raid israeliano

Haaretz ha riferito di un soldato israeliano di 19 anni rimasto gravemente ferito da “un missile anti-carro ” che ha colpito un autobus nel sud del territorio israeliano nel distretto regionale di Shaar HaNegev.

Il servizio sanitario di emergenza israeliano Magen David Adom (MDA), che ha portato l’adolescente al Soroka Medical Center di Beersheba, ha descritto l’incidente come un’esplosione. Altri sei israeliani sono stati leggermente feriti nella città meridionale di Sderot, secondo MDA.

Le sirene hanno suonato nel sud di Israele per tutto il pomeriggio e la sera, e una è risuonata anche vicino al Mar Morto.

Mda ha detto che 50 israeliani sono stati ricoverati all’ospedale Barzilai di Ashkelon, per tutta la giornata di lunedì. Fra di essi, 19 persone sono state ferite da razzi, mentre altre 31 sono state curate per lo shock, secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Ynet.

Il quotidiano ha riferito che il personale del Soroka Medical Center di Beersheba ha curato lunedì altri tre israeliani feriti dal lancio di razzi, e altri 44 sotto shock.

La violenza di lunedì fa seguito al micidiale raid dell’esercito israeliano via terra e via aria su Gaza domenica sera, durante il quale sette palestinesi – tra cui un comandante dell’ala militare di Hamas, le brigate al-Qassam – e un ufficiale israeliano sono stati uccisi.

L’incidente, che costituisce un raro esempio di truppe di terra israeliane penetrate così addentro nella Striscia di Gaza, ha scatenato la paura di un’escalation di violenza nel territorio costiero palestinese.

Lunedì l’inviato del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump per il Medio Oriente, Jason Greenblatt, ha manifestato il suo totale sostegno a Israele, fedele alleato degli Stati Uniti, e ha twittato che “gli attacchi con i razzi e i colpi di mortaio contro le città israeliane devono essere condannati da tutti”.

“Israele è ancora una volta costretto a ricorrere all’azione militare per difendere i suoi cittadini e noi stiamo con Israele che si difende dagli attacchi”, ha detto Greenblatt.

L’incursione israeliana e il successivo scambio di fuoco hanno avuto luogo nonostante gli sforzi egiziani di negoziare un accordo tra Hamas e Israele, in mezzo alle continue proteste di massa a Gaza che mettono sotto pressione Israele affinché ponga fine al blocco della Striscia.

Di recente, Israele ha accettato di consentire al Qatar di donare milioni di dollari in aiuti per contribuire a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici di Gaza e per coprire i costi del carburante necessario ad alleviare una crisi nell’elettricità.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva in precedenza difeso la sua decisione di permettere al Qatar di trasferire denaro a Gaza nonostante le critiche del suo governo, dicendo di voler evitare la guerra, se non fosse stata necessaria.

Israele ha ucciso più di 200 palestinesi e ne ha feriti circa 20.000 dall’inizio più di sette mesi fa delle proteste della Grande Marcia del Ritorno.

I partecipanti alle marce settimanali hanno chiesto la fine del paralizzante assedio di Gaza, in essere da 11 anni, e il permesso per i profughi palestinesi di tornare alle case dei loro antenati.

Aggiornamenti di Mohammed Asad e Maha Hussaini a Gaza

Questo articolo è disponibile in francese sull’edizione francese di Middle East Eye.

(traduzione di Luciana Galliano)




Striscia di Gaza. Commando israeliano compie azione terrorista

Patrizia Cecconi

La situazione a Gaza precipita. Israele ha ripreso a bombardare da molte ore e la resistenza gazawa in accordo con tutte le formazioni politiche presenti nella Striscia, nessuna esclusa, ha deciso di rispondere. 
Sono stati lanciati, che si sappia, cento missili di cui circa 70 intercettati e gli altri no. Un autobus è stato colpito e ci sono degli israeliani feriti. 
La domanda è “perché? perché Israele ha voluto questo?” 
Di seguito un articolo con gli ultimi aggiornamenti.
12 novembre 2018, Pressenza

“Cessate il fuoco” sembra un ritornello amaramente beffardo da queste parti.  Ancora ieri sera, 11 novembre, Israele ha mostrato che non è sua intenzione stare ai patti nonostante la mediazione egiziana e i compromessi accomodanti col Qatar.

Come confermato anche dal portavoce dell’IDF (l’esercito di occupazione israeliano), un’auto civile con un commando di soldati e ufficiali in abiti borghesi è entrato nella Striscia assediata per compiere un’azione di stampo terroristico definita dall’IDF “attività operativa” finalizzata all’immediata uccisione del vice comandante delle brigate Ezz al Din al Qassam, Nur Barake.

Ma gli israeliani del commando, alcuni pare vestissero abiti femminili palestinesi per portare a compimento la loro missione di morte, hanno incontrato la resistenza di militanti di Hamas i quali, nonostante la sorpresa, hanno reagito e nello scontro a fuoco che ne è scaturito è stato ucciso un tenente colonnello israeliano facente parte del commando, un altro israeliano è stato ferito e altri tre palestinesi sono stati uccisi prima che l’aviazione israeliana entrasse in azione lanciando circa 40 missili sulle postazioni palestinesi e portando a sette il numero complessivo dei morti di cui quattro militari che non stavano esercitando alcun ufficio militare durante l’aggressione e tre civili.

All’azione, che ha innescato ovvie reazioni da parte gazawa – reazioni misurabili in 17 missili qassam alcuni dei quali intercettati dall’iron dome e gli altri capaci di provocare grande paura e fughe nei bunker della zona in cui sono caduti – la reazione pubblica da parte israeliana è quanto meno sconcertante. Ignorando totalmente la causa, ovvero l’azione oggettivamente di stampo terroristico del commando israeliano, il presidente Rivlin ha dichiarato di essere “stordito e addolorato per la perdita dell’ufficiale dell’IDF ucciso stasera.” Ed ha aggiunto “ Prego, insieme a tutti i cittadini israeliani, per la salute dell’ufficiale ferito“.

Dal canto loro Lieberman e Bennet, i falchi di estrema destra che non perdono occasione per invitare alla “soluzione finale” della causa palestinese, hanno fatto a gara nel tessere lodi all’assassino a sua volta ucciso dal fuoco palestinese arrivando a dichiarare (Bennett) che “grazie a eroi come questi, possiamo tutti vivere qui sani e salvi“.

Il primo ministro Netanyahu, solo poche ore prima, durante il forum sulla pace a Parigi aveva dichiarato che “per Gaza non ci sono opzioni politiche” paragonando inoltre, assurdamente, Gaza all’Isis e anticipando in tal modo il suo consenso all’azione terroristica o, per usare la formula di cortesia che la Tv italiana riserva a Israele, la “missione dell’intelligence”.

Avvertito di quanto successo, il premier israeliano ha lasciato Parigi per mostrarsi vicino al suo popolo e al suo esercito, cioè quello che ha organizzato – certo non autonomamente – la sanguinosa spedizione costata la vita ad almeno sette palestinesi e un israeliano.

Lo stesso Netanyahu, che a Parigi aveva escluso opzioni politiche, pochi giorni prima aveva dichiarato di voler evitare una nuova aggressione massiccia e di auspicare un cessate il fuoco durevole. Come si conciliano quindi queste due posizioni contraddittorie? Cosa c’è dietro quest’azione che, seppur fosse andata come previsto dall’intelligence  israeliana non avrebbe certo lasciato la resistenza gazawa immobile a piangere le sue vittime?

E’ lecito pensare che l’accoglienza inaspettatamente negativa fatta all’ambasciatore del Qatar, dopo che Israele aveva graziosamente consentito l’entrata di denaro per ammorbidire  la resistenza gazawa possa aver avuto il suo peso nella decisione di quest’azione terroristica di cui non si vedeva la necessità politica. O forse, come ipotizza qualche osservatore locale, Netanyahu ha bisogno di distrarre l’opinione pubblica israeliana dai suoi capi di imputazione per corruzione e frode e Gaza è il miglior espediente per richiamare lo spirito nazionalista a far quadrato mettendo all’angolo i guai giudiziari che potrebbero farlo affondare.

Intanto oggi la calma sembra essere tornata, i palestinesi contano i danni delle case distrutte e piangono i loro morti, mentre gli israeliani si stringono intorno al premier e alla destra estrema che onora come eroe nazionale il tenente colonnello che, mascheratosi da palestinese, è andato per uccidere ed è rimasto ucciso. Ma Fawzi Barhoum, portavoce di Hamas, ha dichiarato che la “vigliacca aggressione israeliana” avrà la sua risposta e che “la resistenza palestinese è pronta a svolgere il suo dovere” e il portavoce della Jihad ha ribadito lo stesso concetto.

Mentre scriviamo arriva notizia di un attacco di artiglieria israeliano sulla striscia settentrionale di Gaza, vicino a una postazione di Hamas. Chiariamo ai nostri lettori che anche gli uffici ministeriali sono considerati postazioni di Hamas.

A questo punto sembra chiaro che si stia provocando la risposta promessa da Hamas e dalla Jihad, e la domanda alla quale non abbiamo ancora risposta certa si riaffaccia: perché proprio ora, mentre si cercava di raggiungere un cessate il fuoco duraturo? A favore, o forse a danno di chi questa ripresa delle ostilità?

A questo punto a poco serve la mediazione egiziana, tornata in gioco intensificando i suoi sforzi per un cessate il fuoco che, ormai è ampiamente prevedibile, durerà fino a che Israele non avrà bisogno di interromperlo ripetendo un gioco chiamato sicurezza che si ripeterà tristemente all’infinito a meno che l’ONU non entri davvero in campo e i paesi complici di questa mattanza, accompagnata da assoluta illegalità, non diano a Israele un segnale di stop. Al momento segnali di questo tipo non se ne vedono.

Arriva in questo esatto momento la notizia che la resistenza gazawa ha risposto al bombardamento israeliano di poco fa. Un enorme lancio di razzi lanciato su Israele da Gaza. E’ stato colpito un autobus e ferito gravemente un giovane israeliano.

Forse Israele vuole davvero la guerra e da Gaza rispondono come sanno e come possono.

Se una nuova aggressione massiccia come Margine protettivo o Piombo fuso ci sarà, Gaza pagherà il prezzo più alto ma questa scelta non farà bene neanche agli israeliani.

Chiudiamo al momento ricordando le parole del ministro di orientamento fascista Naftali Bennett, che sembrano in questo momento ancora più assurde di poco fa “grazie a eroi come questi, possiamo tutti vivere qui sani e salvi“.

Per il momento dalla Palestina è tutto.