L’orrendo nuovo divieto di ingresso di Israele dice al mondo: state lontani se non siete d’accordo con noi

Allison Kaplan Sommer – 8 marzo 2017, Haaretz

La nuova legge contro il BDS segna un drastico cambiamento nelle relazioni di Israele con il resto del mondo, inviando il messaggio che molti di quelli che sono in profondo disaccordo con l’occupazione non sono più ospiti graditi.

A prima vista il radicale divieto di ingresso in Israele approvato lunedì notte dalla Knesset non cambia essenzialmente niente. Le autorità israeliane sui confini o negli aeroporti hanno già una totale discrezionalità nel tenere fuori chiunque e molti potenziali visitatori sono stati messi su una lista nera e rimandati indietro perché ritenuti ostili ad Israele.

Non c’era bisogno di questa legge, che definisce l’appoggio al boicottaggio di qualunque istituzione israeliana o di qualunque area sotto il suo controllo come criterio per impedire l’ingresso come visitatori.

Ma in realtà cambia tutto. La dichiarazione che fa e il messaggio che manda – che quelli che sono talmente contrari all’occupazione da scegliere di non comprare prodotti delle colonie non sono più visitatori graditi per vedere e conoscere il Paese – segnano un drastico cambiamento nei rapporti di Israele con il resto del mondo.

Storicamente quelli che credono nell’importanza di Israele per il mondo, nonostante i conflitti ed i problemi, hanno sempre sostenuto “vedere per credere”.

Mi includo in quel gruppo. Quando ho incontrato chiunque nel mondo che volesse discutere delle politiche di Israele, persino quelli che facevano obiezioni sulla stessa esistenza dello Stato come risultato dell’occupazione, la mia risposta è sempre stata la stessa: una sfida e un invito.

“Beh, sei stato in Israele?” chiedo loro nel momento opportuno di una conversazione, che la mia controparte sia di destra o di sinistra, appassionatamente a favore delle colonie o contro l’occupazione.

Il più delle volte la risposta è “no”: la persona in questione non è mai stata né in Israele né in Palestina e basa la sua posizione politica su quello che è stato visto da altri o gli è stato raccontato. Allora gli dico: “Bene, vieni e guarda con i tuoi occhi. Poi decidi.”

La mia convinzione è che finché uno non è stato qui, non ha visto e provato quello che succede in questa nazione disperatamente complessa e non arriva alle sue conclusioni in base a quello ha visto con i propri occhi e ascoltato da israeliani e palestinesi reali nel loro contesto domestico, il valore della sua opinione è limitato.

In più, il solo fatto che spenda tempo e denaro per fare il viaggio mi convince che gli importi veramente. In fin dei conti il contrario dell’amore non è l’odio – ma sono la presa di distanza e l’indifferenza.

Finora il governo israeliano e quelli che lo appoggiano hanno condiviso questo approccio. Il governo israeliano e le organizzazioni non governative che lo appoggiano hanno investito milioni – probabilmente miliardi – con l’assunto che il Paese ed i suoi cittadini raccontano la loro storia al meglio e quelli che vogliono convincere devono essere portati qui.

E’ la convinzione che sottolinea “Birthright Israel” [“Eredità Israele”, organizzazione no profit che propone 10 giorni gratis in Israele a giovani di origine ebraica] ed è la ragione per cui il governo finanzia viaggi per opinionisti, celebrità dello spettacolo e dello sport in visita.

Questa è la ragione per cui le organizzazioni di ebrei americani dell’AIPAC, le federazioni ebraiche e J Street [organizzazione di ebrei statunitensi moderatamente critica verso il governo israeliano. Ndtr.] portano mediatori politici da Washington per visitare il Paese e parlare con la gente, invitandoli a testimoniare e a partecipare ai liberi, aperti e dinamici dibattiti nella società israeliana.

Tutti questi programmi si basano sull’assunto che quello che sta succedendo sul terreno è molto più ricco di sfumature degli slogan urlati nelle manifestazioni nei campus americani o nelle riunioni delle organizzazioni.

Mentre la nuova legge colpisce tutti – ebrei e non ebrei – i suoi effetti sulla nuova generazione nella relazione Israele-Diaspora saranno di certo particolarmente profondi.

Riconoscendo che molti nella loro comunità sono in contrasto con le politiche del governo israeliano, molte delle principali organizzazioni ebraiche americane hanno spostato il proprio discorso dalla “difesa di Israele” all’ “impegno per Israele”, nel tentativo di avvicinare le persone di ogni tendenza ideologica al Paese.

Pochi anni fa, durante una sessione sull’ “Impegno per Israele” in una conferenza di un’organizzazione ebraica, ho parlato di questo con Akiva Tor, capo dell’ufficio di questioni ebraiche mondiali al ministero degli Esteri.

Mi ha detto che, anche se “impegnarsi” non è sempre un’esperienza armoniosa e piacevole, lui pensava che molti israeliani preferissero questo piuttosto che la distanza e la disaffezione.

“Ci è del tutto chiaro che questo è il significato della parola “relazione”. Non sempre è facile:”

Ora per la prima volta Israele sta rifiutando gli ebrei della Diaspora che sono impegnati, che hanno un rapporto con Israele, che si preoccupano del suo destino in modo così profondo che stanno cercando di fare qualcosa in proposito, nella forma della scelta attiva di non appoggiare le colonie.

Con questa nuova legge il messaggio ai giovani ebrei ed al resto del mondo non è più: “Venite, guardate con i vostri occhi, discutiamone – anche con una discussione in cui io cerco di cambiare il vostro punto di vista. Sappiamo che è complicato, ma non interrompiamo la nostra relazione.”

Invece è: “Statevene lontani. Se non siete d’accordo con noi, qui non c’è posto per voi.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Divieto di ingresso in Israele: come il bando contro chi boicotta le colonie mi sta portando nelle braccia del BDS

Mira Sucharov – 7 marzo 2017,Haaretz

Il divieto di ingresso in Israele per chi boicotta le colonie ha lasciato me, come molti altri ebrei della diaspora contrari all’occupazione con forti legami con lo Stato ebraico, disorientata, frustrata e senza certezze.

Ora che Israele ha approvato una legge che vieta l’ingresso persino a quelli che chiedono un boicottaggio dei prodotti delle colonie, mi sto chiedendo se, dopo tutto questo, schierarmi a favore del BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) vero e proprio. Spingermi nelle braccia del BDS non è probabilmente quello che i redattori della legge avevano in mente, ma una norma mal concepita spesso ha conseguenze inattese.

Nel 2012 ho scritto su Haaretz che “boicottare le colonie può permettere a quelli come noi che si oppongono all’occupazione una nuova e ben studiata espressione della nostra identità ebraica.” E’ un argomento che ho ripetuto qui sei mesi dopo.

E lo scorso autunno mi sono unita a oltre 300 altre persone firmando un boicottaggio delle colonie promosso da “Partner per un Israele progressista” [associazione statunitense legata al sionismo di sinistra. Ndtr.]. Curiosamente l’opposizione più rumorosa che ho sentito a proposito di questa petizione non è stata da parte dei sostenitori di Israele, ma da quelli del BDS.

In una lettera alla New York Review of Books [prestigiosa rivista culturale statunitense di sinistra. Ndtr.], in cui la petizione originale era stata pubblicata, cento attivisti BDS, compresi Alice Walker [famosa filosofa e teorica gender di origine ebraica. Ndtr.] e Roger Waters [leader del gruppo rock Pink Floyd. Ndtr.], hanno criticato l’appello.

Hanno scritto: “Sfidando il senso comune, la dichiarazione chiede il boicottaggio delle colonie mentre non tocca Israele, lo Stato che ha costruito e mantenuto illegalmente queste colonie per decenni.”

Ci sono legittime ragioni politiche e di strategia politica a favore di un boicottaggio solo delle colonie piuttosto che di un BDS totale. Ciò riapre il dibattito sulla Linea Verde [il confine tra Israele e la Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967. Ndtr.] e quindi ricorda all’opinione pubblica l’importanza di una soluzione dei due Stati.

Solleva l’illegittimità dell’occupazione. In breve, per alcuni il boicottaggio delle colonie è stata la classica espressione del sionismo progressista, il che ha portato Peter Beinart [noto giornalista progressista statunitense. Ndtr.] a definire un boicottaggio delle colonie una forma di “BDS sionista”, quando per primo ha delineato la sua visione di questo tipo di iniziativa.

E ci sono ragioni di principio corrette per opporsi a un BDS totale – in parte a causa del fatto che potrebbe limitare l’importante lavoro da persona a persona necessario per cambiare menti e cuori degli israeliani, e in parte perché ci sono alcune componenti dell’appello al BDS, in particolare il boicottaggio accademico, che pongono una sfida ad altri principi cruciali, in particolare la libertà accademica.

Ma, poiché la prospettiva di una soluzione dei due Stati si allontana rapidamente e la promessa del sionismo progressista perde il suo smalto ad ogni iniziativa per rafforzare ulteriormente l’occupazione, e se quelli di noi che vogliono mantenere i propri legami con il tipo di lavoro verso le persone, che ritenevamo fondamentale, non potranno più avervi accesso perché saremo in ogni caso bloccati, l’appello per il BDS sembra più giustificato.

E se uno accoglie l’affermazione secondo cui il boicottaggio accademico intende colpire le istituzioni e non gli individui (un’affermazione a cui non credo totalmente, ma che potrebbe essere portata avanti, come io stessa recentemente mi sono trovata a fare intervenendo in qualche modo in questo dibattito), e se l’idea di uno Stato ebraico ora sembra sempre più problematica alla luce della democrazia messa a dura prova in Israele e delle misure che prende per escludere, e se l’idea di chiedere un ritorno dei rifugiati [palestinesi] non sembra tanto sconvolgente per le nostre sensibilità culturali quanto poteva essere una volta, potrebbe essere tempo di un appello più convinto per la giustizia, utilizzando tutti i mezzi non violenti a disposizione.

Quando si tratta di BDS comprendo che ci ho girato faticosamente attorno e l’ho tenuto accuratamente a distanza in parte per rimanere negli elenchi (sufficientemente) buoni degli agenti della dogana israeliana all’aeroporto Ben Gurion.

Continuare ad entrare in Israele ha messo in ombra ogni mia azione di attivista. Ci sono state petizioni che non ho firmato per paura di vedermi negare l’ingresso. Ma ora che la Knesset non ha fatto nessuna distinzione tra il boicottaggio mirato e il BDS integrale, forse non ci sono ragioni perché ci asteniamo da entrambi.

Sto immaginando cosa proverò se nella mia prossima visita mi verrà davvero negato l’ingresso, mentre insisterò perché il mio interrogatorio si svolga in ebraico – la mia lingua preferita al mondo. Probabilmente proverò un misto di rabbia, frustrazione e vergogna. Proverò una grande delusione per non poter visitare la gente -familiari e amici – e i luoghi – urbani e rurali – che amo.

Probabilmente rimpiangerò di non aver richiesto la cittadinanza durante uno dei tre anni che ho vissuto nel Paese quando ero ventenne. Sentirò probabilmente un senso di dissonanza cognitiva per il fatto che il Paese a cui sono rimasta legata e con cui sono ancora così sdegnata per la sua precoce cecità riguardo all’ingiustizia e per il suo continuo scivolare verso la mancanza di libertà abbia ora utilizzato la stessa mentalità da assedio che una volta ho studiato e su cui ho fatto ricerca spassionatamente – per escludermi dai suoi muri da fortezza. In breve, mi sentirò disorientata, scossa e senza certezze.

Ma so che alla fine ho il mio Paese che mi garantisce libertà di espressione, di movimento e dalla violenza di Stato. Ciò è incommensurabilmente più di quanto abbiano i palestinesi che vivono sotto occupazione.

Mira Sucharov è professore associato di scienze politiche all’università Carleton di Ottawa.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Netanyahu ha offerto al leader dell’opposizione di insistere insieme per un’iniziativa di pace regionale – e poi ha fatto marcia indietro

Barak Ravid – 5 marzo 2017 Haaretz

Netanyahu ed Herzog avevano raggiunto una sensazionale intesa sei mesi fa; una dichiarazione congiunta al Cairo, compresa la disponibilità per un compromesso territoriale e una riduzione della costruzione di colonie, era pronta ad essere seguita dall’annuncio di un governo di unità. Ma la crisi di Amona ha interrotto le trattative.

Sei mesi fa il primo ministro Benjamin Netanyahu ha inviato al leader dell’opposizione Isaac Herzog un documento contenente una dichiarazione congiunta per sollecitare un’iniziativa di pace regionale e stringere un governo israeliano di unità – prima di fare marcia indietro qualche settimana dopo.

Netanyahu ha mandato il documento ad Herzog sette mesi dopo un incontro di pace segreto ad Aqaba, Giordania, riportato due settimane fa da Haaretz.

Il documento rifletteva la volontà di Netanyahu di arrivare ad un compromesso territoriale in una soluzione dei due Stati con i palestinesi e un freno alla costruzione delle colonie.

Tre settimane dopo aver inviato la proposta e dopo aver concluso un accordo di massima, Netanyahu ha iniziato a tirarsi indietro durante la crisi politica in merito all’avamposto non autorizzato di Amona, in Cisgiordania. In ottobre i contatti tra le due parti si sono interrotti e alla fine sono falliti.

Il documento, consegnato da Netanyahu a Herzog il 13 settembre dopo due giorni di colloqui, era una bozza che avrebbero dovuto sottoporre ad un summit al Cairo o a Sharm el-Sheikh insieme al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e forse al re di Giordania Abdullah II. Quell’incontro avrebbe dovuto aver luogo all’inizio di ottobre.

Era previsto che il summit avrebbe lanciato l’iniziativa di pace regionale e poco dopo che Netanyahu ed Herzog fossero tornati in Israele, avrebbero dovuto annunciare l’inizio di una maratona negoziale per un governo di unità.

Una serie di leader internazionali sarebbero stati coinvolti nel processo; figure di spicco in Giordania e in Egitto, così come l’ex primo ministro britannico Tony Blair – che era direttamente coinvolto nei contatti – e l’ex- segretario di Stato USA John Kerry ed alcuni dei suoi consiglieri, sarebbero state informate del documento.

Ben Caspit, del quotidiano “Maariv”, ha riportato qualche mese fa alcuni dettagli della proposta, ma questa è la prima volta che il documento viene interamente pubblicato.

In risposta a questo articolo, l’ufficio del primo ministro ha affermato: “La descrizione relativa ad un possibile processo regionale che non è stato realizzato è totalmente falsa. L’argomento non ha niente a che fare con Amona. Il primo ministro Netanyahu è interessato a procedere in un’iniziativa regionale. Chiunque le abbia fornito questa informazione non è a conoscenza dei dettagli, o li sta falsificando.”

L’ufficio di Herzog ha rifiutato di commentare il documento, che viene riportato integralmente qui di seguito:

“Desideriamo ringraziare il presidente al-Sisi per la sua volontà di svolgere un ruolo attivo per far progredire la pace la sicurezza nella regione e rilanciare il processo di pace.

“Riaffermiamo il nostro impegno per la soluzione dei due Stati per due popoli e il nostro desiderio di perseguire questa soluzione.

“Israele desidera la fine del conflitto e di ogni rivendicazione, il riconoscimento mutuo tra due Stati nazionali, il rafforzamento della sicurezza e una soluzione territoriale condivisa che, tra le altre cose, riconosca i centri abitati esistenti.

“Nella ricerca della pace, Israele tende la mano ai palestinesi per iniziare negoziati diretti e bilaterali senza condizioni.

“Israele vede in modo positivo lo spirito generale dell’ iniziativa di pace araba e gli elementi positivi in essa contenuti. Israele apprezza il dialogo con gli Stati arabi riguardo a questa iniziativa, in modo da riflettere sui drammatici cambiamenti degli ultimi anni nella regione e lavorare insieme per procedere verso la soluzione dei due Stati e una pace più complessiva nella regione.

“Nel contesto dei rinnovati tentativi di pace, le attività di colonizzazione di Israele in Giudea e Samaria (la Cisgiordania) saranno messe in atto in modo da facilitare il dialogo per la pace e l’obiettivo dei due Stati per due popoli.

“Israele lavorerà con l’Autorità Nazionale Palestinese per migliorare in modo significativo le condizioni economiche e la cooperazione economica, anche nell’Area C [sotto totale controllo di Israele in base agli accordi di Oslo. Ndtr.] e per potenziare il coordinamento per la sicurezza.

“Israele auspica una stabilità a lungo termine a Gaza, compresa la ricostruzione umanitaria e concreti accordi per la sicurezza.”

Kerry, Sisi e [il re della Giordania] Abdullah nel febbraio 2016 sono stati presenti al summit di Aqaba, che è stato la base dei contatti tra Netanyahu ed Herzog per formare un governo di unità tra marzo e maggio. I loro contatti sono naufragati alla fine di agosto prima di essere ripresi.

Netanyahu e Kerry si sono incontrati il 26 giugno per una cena di sei ore nel ristorante “Pierluigi” di Roma. Hanno mangiato e bevuto, e si dice che Netanyahu abbia fumato in continuazione sigari cubani. Un ex-funzionario di alto livello USA, parlando in incognito, ha fornito qualche dettaglio della conversazione.

“Qual è il tuo piano per i palestinesi, cosa vuoi che succeda ora?” ha riferito che Kerry ha chiesto a Netanyahu.

Il primo ministro ha detto di auspicare di procedere insieme ai Paesi arabi con un’iniziativa regionale, basata sul piano in cinque punti che aveva presentato ad Aqaba quattro mesi prima.

Kerry ha detto a Netanyahu che i passi che egli aveva intenzione di intraprendere non erano sufficienti per far unire al piano di pace regionale Paesi arabi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

“Una dichiarazione positiva ma vaga sull’iniziativa di pace araba e passi simbolici sul terreno non ti aiuteranno a portare gli arabi al tavolo delle trattative. Lo so perché gliel’ho chiesto,” ha detto Kerry secondo quanto citato dal funzionario USA. “Non hai un percorso per tornare a colloqui diretti con i palestinesi o un canale di dialogo con i Paesi arabi. Sei arrivato al limite. Qual è il tuo piano?”

Kerry ha presentato a Netanyahu una versione aggiornata dell’iniziativa regionale che ha presentato ad Aqaba. All’inizio di giugno, trenta ministri degli Esteri si sono incontrati a Parigi per partecipare all’iniziativa di pace francese, ma Netanyahu ha snobbato la mossa francese. Kerry ha detto a Netanyahu che il piano aggiornato che suggeriva avrebbe sostituito l’iniziativa francese e incluso l’elemento regionale a cui il primo ministro teneva tanto.

La proposta di Kerry includeva una conferenza di pace regionale comprendente Israele, i palestinesi, i Paesi arabi sunniti come Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, con cui Israele non ha relazioni diplomatiche, la Russia, la Cina e l’Unione Europea. Kerry ha suggerito che la conferenza fosse tenuta sulla base degli stessi sei principi di accordo permanente che aveva presentato al summit di Aqaba e che includevano il riconoscimento di Israele come Stato ebraico.

Kerry ha detto a Netanyahu che Israele ed i palestinesi non avrebbero dovuto adottare i principi e avrebbero anche potuto esprimere pubblicamente riserve su di essi. Ma il summit avrebbe rilanciato i colloqui diretti [tra Israele ed i palestinesi. Ndtr.] e stabilito un canale di negoziato con i Paesi arabi. Ciò avrebbe incluso discussioni su un accordo di sicurezza regionale che Israele desidera e il riconoscimento da parte degli arabi e di molti Paesi occidentali di Israele come Stato ebraico.

Visita a sorpresa di un ministro egiziano

Un ex- funzionario di alto livello americano ha notato che Netanyahu non ha accettato né rifiutato la proposta di Kerry; ha semplicemente detto che ci avrebbe pensato. Ma due giorni dopo l’incontro con Netanyahu a Roma, Kerry ha chiamato Herzog e l’altra leader dell’alleanza “Unione Sionista”, Tzipi Livni. Kerry li ha informati delle sue conversazioni con Netanyahu e dell’iniziativa che aveva proposto, e ha chiesto loro con discrezione se per loro fosse possibile unirsi alla coalizione di governo.

L’iniziativa francese, insieme alla revisione di Kerry della sua proposta, ha intensificato la pressione su Netanyahu e lo ha portato a riprendere i suoi contatti con Sisi e Blair. Ancora una volta egli ha anche proposto un processo di pace regionale che aggirasse l’amministrazione Obama e non richiedesse ad Israele di impegnarsi sui sei principi di Kerry.

Il 10 luglio, due settimane dopo l’incontro con Kerry a Roma, il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry si è recato a sorpresa in visita a Gerusalemme. E’ stata la prima visita in Israele di un ministro degli Esteri egiziano in un decennio, ed è stata preceduta da visite al Cairo dell’inviato di Netanyahu per il processo di pace, Isaac Molho. Durante la visita Shoukri ha incontrato Herzog così come Netanyahu.

Un importante funzionario israeliano informato dei contatti ha affermato che Shoukry è arrivato per verificare se Netanyahu avrebbe confermato quello che aveva detto a Sisi dopo il loro colloquio di metà maggio – che voleva che l’Egitto cercasse di instaurare un dialogo tra Israele ed i palestinesi, con l’appoggio degli Stati arabi. Shoukry ha detto a Netanyahu che l’Egitto voleva sapere quali passi il primo ministro avesse intenzione di compiere per far progredire l’iniziativa di pace, sottolineando che Sisi pensava ancora che portare l’Unione Sionista nella coalizione avrebbe dimostrato la serietà di Netanyahu. Shoukry ha esposto lo stesso messaggio a Herzog.

I contatti internazionali si sono ridotti d’intensità nelle settimane seguenti, nel mezzo dell’estate. Ma Kerry ha continuato a tenere conversazioni settimanali con Netanyahu e con molti altri leader regionali. Un ex alto funzionario diplomatico USA ha detto che Kerry si è rifiutato di arrendersi, nonostante i suoi consiglieri e la Casa Bianca gli dicessero che Netanyahu non era serio e che Kerry stava facendo un errore.

“La Casa Bianca ha detto a Kerry che il presidente Obama voleva lasciare Netanyahu e (il presidente Mahmoud) Abbas cuocere nel loro brodo, ma Kerry ha insistito perché la questione era molto importante per lui,” ha detto l’ ex alto funzionario diplomatico USA.

Il 21 agosto Kerry ha chiamato Herzog e Livni ancora una volta. Ha detto loro che intendeva visitare Egitto e Arabia Saudita entro poche settimane in un ultimo tentativo di fare pressione per una conferenza di pace regionale basata sui principi che aveva presentato a Netanyahu ad Aqaba e a Roma. I principi sarebbero stati sottoposti alla conferenza a nome di tutti i partecipanti, ma Israele ed i palestinesi avrebbero potuto sollevare obiezioni.

Secondo l’ex alto funzionario diplomatico USA e una fonte israeliana al corrente dei contatti, Kerry ha detto ad Herzog e Livni di credere di poter portare Netanyahu, Abbas e gli Stati arabi, compresa l’Arabia Saudita, a una simile conferenza, che avrebbe segnato un cambiamento storico per la regione.

Allora Kerry è arrivato al punto principale della sua telefonata: “Non voglio interferire nella politica israeliana,” ha detto. “Ma alla luce di queste circostanze, prendereste in considerazione la possibilità di unirvi alla coalizione [di governo in Israele. Ndtr.]? Anche questo sarebbe un cambiamento molto importante.”

L’ ex alto funzionario diplomatico USA e la fonte israeliana hanno rilevato che Livni non ha rifiutato le notazioni di Kerry, ma è sembrata molto scettica sulle intenzioni di Netanyahu. Anche Herzog, che era rimasto scottato da Netanyahu pochi mesi prima, era molto scettico, ma ha espresso la volontà di esaminare la proposta se avesse ricevuto da Paesi della regione indicazioni che la conferenza sarebbe stata un’iniziativa seria.

Quella settimana Herzog ha parlato con importanti funzionari di Egitto, Giordania e Stati arabi che non hanno rapporti diplomatici con Israele, in un tentativo di stabilire se un processo di pace regionale avesse una possibilità. In alcune conversazioni ha sentito che i leader arabi avevano intenzione di cooperare con l’iniziativa di Kerry, ma in altre l’approccio era piuttosto “sì, ma..”

Herzog si è reso conto che c’erano fondamentalmente due percorsi in competizione: quello di Kerry, che includeva principi per raggiungere un accordo permanente e tenere una conferenza importante, e un secondo guidato da Blair e dall’Egitto, che riguardava misure più limitate e un summit più ridotto e modesto.

Nell’ultima settimana di agosto, quando i contatti internazionali erano al loro massimo, Herzog ha ricevuto una telefonata da Netanyahu. Il primo ministro ha detto di voler cercare ancora una volta di progredire in un processo regionale con Sisi, e di voler sapere se Herzog avrebbe ancora una volta preso in considerazione di partecipare a un governo di coalizione. Herzog, molto scettico e prudente, ha fatto due richieste: sentire direttamente Egitto e Giordania sull’argomento e ricevere le proposte di pace di Netanyahu per iscritto.

Nei giorni seguenti entrambe le richieste di Herzog sono state esaudite. Primo, un inviato egiziano che si è recato in Israele gli ha detto che Sisi era davvero interessato a un processo di pace regionale e importanti funzionari giordani gli hanno inviato lo stesso messaggio per telefono. Secondo, il 13 settembre Netanyahu ha spedito ad Herzog il documento dell’iniziativa di pace, con una bozza della dichiarazione congiunta.

Nelle due settimane successive Netanyahu ed Herzog hanno tenuto intensi contatti, segnati da frequenti discussioni. Secondo un collega di Herzog, il leader dell’opposizione ha chiesto una serie di modifiche del documento. Primo, Herzog ha rifiutato la richiesta di Netanyahu che il termine “costruzione governativa” fosse utilizzato nella dichiarazione in riferimento alle colonie e ha chiesto che ogni riferimento includesse ogni tipo di costruzioni.

In più, Herzog ha chiesto che la sospensione delle costruzioni nelle colonie isolate al di fuori dei blocchi delle colonie non dipendesse dal fatto che ci fossero in corso colloqui con i palestinesi. Piuttosto le politiche a questo proposito sarebbero state stabilite da lui e da Netanyahu come politiche del governo, anche se questo non è stato detto apertamente. Netanyahu ha accettato tutti i punti, e la dichiarazione è stata riscritta per riflettere questo accordo.

Il secondo punto riguardava un significativo cambiamento nella politica israeliana rispetto al territorio della Cisgiordania classificato come Area C in base agli accordi di Oslo, in cui Israele detiene il controllo esclusivo, sia militare che civile, per consentire un maggiore sviluppo edilizio ed economico palestinese. Netanyahu ha accettato di chiarire questa questione nella dichiarazione.

Inoltre Herzog ha chiesto l’aggiunta al documento della dizione “Stato palestinese con continuità territoriale.” Netanyahu non era d’accordo, e le parti hanno continuato i negoziati sulla questione.

Progetti per una conferenza stampa sensazionale

Poco prima che Netanyahu lasciasse il Paese per andare all’assemblea generale dell’ONU alla fine di settembre, era stato raggiunto un accordo quasi totale sul linguaggio della dichiarazione. Per Molho l’obiettivo era di andare al Cairo per siglare l’accordo con l’Egitto appena Netanyahu fosse tornato da New York.

Al contempo Netanyahu ed Herzog si sarebbero recati segretamente all’inizio di ottobre al Cairo, dove si sarebbe tenuta una conferenza stampa sensazionale con Sisi e possibilmente anche con re Abdullah. Avrebbero letto la dichiarazione congiunta che avrebbe stabilito un’iniziativa di pace regionale guidata da Egitto e Giordania, con la partecipazione di altri Stati arabi.

Secondo il piano, subito dopo il loro ritorno dal Cairo, Netanyahu ed Herzog avrebbero tenuto una conferenza stampa all’aeroporto Ben Gurion a cui sarebbero stati presenti il Ministro della Difesa Avigdor Lieberman [del partito di estrema destra “Israele casa nostra”. Ndtr.] e il Ministro delle Finanze Moshe Kahlon [del partito di centro Kulanu. Ndtr.]. Sarebbe stato annunciato un governo di unità, e la presenza di Kahlon e Lieberman avrebbe dimostrato il loro appoggio alla dichiarazione del Cairo.

Il 20 settembre Netanyahu è arrivato a New York per l’assemblea generale dell’ONU. Nel suo discorso ha accennato all’iniziativa di pace regionale che era stata discussa dietro le quinte.

“Non ho rinunciato alla pace. Rimango impegnato in una visione di pace basata sui due Stati per due popoli. Credo come mai prima d’ora che i cambiamenti che stanno avendo luogo adesso nel mondo arabo offrano un’opportunità unica per promuovere questa pace,” ha affermato Netanyahu.

“Mi congratulo con il Presidente egiziano al-Sisi per i suoi tentativi di far progredire la pace e la stabilità nella nostra regione. Israele accoglie favorevolmente lo spirito dell’iniziativa di pace araba e un dialogo con gli Stati arabi per raggiungere una pace complessiva. Credo che, affinché questa pace complessiva sia pienamente raggiunta, i palestinesi ne debbano fare parte. Sono pronto ad iniziare negoziati per ottenerla oggi – non domani, non la prossima settimana, oggi.”

Due giorni dopo Netanyahu si è incontrato con Kerry a New York. Kerry lo ha informato dell’incontro dei Ministri degli Esteri del Quartetto [composto da ONU, UE, Russia, USA e Regno Unito. ndtr.] di pochi giorni prima, a cui aveva partecipato anche il Ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir. Secondo un ex diplomatico di alto livello USA, Kerry ha detto a Netanyahu che Jubeir aveva chiarito che, se israeliani e palestinesi si fossero accordati sui principi dei negoziati e fossero stati fatti progressi, l’Arabia Saudita e altri Stati arabi sunniti avrebbero iniziato a fare passi per normalizzare i rapporti con Israele.

“Jubeir ha chiarito che i sauditi non lo avrebbero fatto solo in cambio di qualche permesso di lavoro israeliano concesso ai palestinesi,” come avrebbe detto Kerry, citato dall’ex diplomatico USA, a Netanyahu. Kerry ha nuovamente sollecitato Netanyahu ad accettare la sua proposta di una conferenza internazionale per raggiungere un accordo permanente e ha detto che i sauditi vi avrebbero partecipato.

“Abbiamo spostato il consenso internazionale nella tua direzione,” ha detto Kerry. “Perché non sei disposto ad accettare la mia proposta?”

Un ex diplomatico USA di alto livello ha affermato che Netanyahu ha detto a Kerry che era più propenso al processo con l’Egitto e con Herzog. “Sarebbe più facile per me andare avanti con Herzog all’interno della coalizione,” ha detto Netanyahu.

L’ex-diplomatico ha detto che Kerry a quel punto era disperato. “Capisco quello che stai facendo,” avrebbe detto Kerry a Netanyahu. “Stai cercando di prendere tempo fino a quando sarà insediata la nuova amministrazione.”

Netanyahu non lo ha negato. Il diplomatico ha detto che Netanyahu ha preferito il canale separato che stava gestendo con Herzog e l’Egitto.

“Netanyahu voleva controllare il processo,” ha affermato il diplomatico. “Voleva allargare la coalizione, voleva una piccola conferenza senza un eccessivo coinvolgimento internazionale, e, cosa più importante, non voleva i principi stabiliti da Kerry per un accordo finale. Quindi ha annacquato la proposta in tutti i modi possibili.”

Netanyahu ha telefonato ad Herzog alcune volte da New York e si sono accordati per incontrarsi subito dopo il ritorno di Netanyahu per stendere una dichiarazione congiunta e i dettagli per la costituzione di un governo di unità. Pochi minuti prima della partenza da New York i collaboratori di Netanyahu hanno contattato quelli di Herzog. Netanyahu è in genere cauto con le sue conversazioni telefoniche, teme intercettazioni, ma sembra che in questo caso volesse e persino sperasse che gli americani lo ascoltassero.

I consiglieri del primo ministro hanno chiarito ai collaboratori di Herzog che volevano mandare Molho al Cairo, e hanno chiesto un accordo finale sulla formulazione della dichiarazione. Benché rimanessero alcuni punti critici, Herzog ha ritenuto che quei problemi non fossero fondamentali e ha detto a Netanyahu che non avrebbero bloccato un accordo. Netanyahu è partito per Israele e la sensazione era che entro pochi giorni lui ed Herzog sarebbero andati al Cairo e avrebbero pronunciato una dichiarazione sensazionale.

Ma 12 ore dopo, una volta che Netanyahu è atterrato, non ha dato istruzioni a Molho di andare al Cairo.

Due giorni dopo l’ex-presidente Shimon Peres è morto, e per parecchi giorni non ci sono stati contatti tra Netanyahu ed Herzog sulla questione. Dopo Rosh Hashanah [il capodanno ebraico. Ndtr.] sono stati ripresi i contatti ma da parte di Netanyahu si è iniziato a cambiare approccio.

Molho, il capo di gabinetto di Netanyahu e Netanyahu hanno detto ad Herzog di voler aspettare di fare il passo fino alla soluzione della crisi di Amona, la cui evacuazione all’epoca era prevista per la fine di dicembre.

Da allora è risultato chiaro ad Herzog e ai suoi consiglieri che Netanyahu aveva cambiato idea e che l’occasione per un’iniziativa regionale e un governo di unità stava sfumando.

“Netanyahu ha iniziato a ritirarsi progressivamente dalla sua dichiarazione politica,” ha detto una fonte del partito Laburista coinvolta nei colloqui. “Un po’ alla volta ha cercato di fare marcia indietro da quello che era già stato concordato e ha cercato di posticiparlo a causa di Amona e delle pressioni di ” Habayit Hayehudi” [“Casa Ebraica”, partito di estrema destra dei coloni. Ndtr.]- suo alleato di destra nella coalizione.

I colloqui sono continuati per qualche giorno, compreso un difficile incontro fallito tra Netanyahu ed Herzog la mattina prima dello Yom Kippur [festività ebraica. Ndtr.]. Passata l’urgenza, non è restato altro ad entrambe le parti che dichiarare finiti i negoziati.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Oltre 12.000 palestinesi vivono in un limbo, 15 anni dopo l’introduzione della legge “temporanea”

Nir Hasson – 3 marzo 2017 Haaretz

Un’ordinanza d’emergenza impedisce ai palestinesi sposati con cittadini israeliani o residenti permanenti di ottenere permessi per entrare in Israele, benché persino i dati ufficiali dello Shin Bet suggeriscano che l’allentamento delle restrizioni rappresenterebbe un pericolo molto ridotto.

Il figlio di un anno di Taysir al-Asmar, che vive nella città vecchia di Gerusalemme, è nato con seri problemi cerebrali. E’ ricoverato nell’ospedale Herzog di Gerusalemme, all’estremità ovest della città, ma Asmar non ha il permesso di viaggiare fin là per visitarlo. In effetti Asmar non può avere la patente di guida e, se prende l’autobus, potrebbe essere arrestato dalla polizia.

Asmar è solo una delle oltre 12.000 persone che vivono con la paura e l’incertezza dovute alla legge che vieta il ricongiungimento familiare quando i membri della famiglia in questione sono palestinesi.

Il mese prossimo segnerà 15 anni dalla decisione iniziale del governo (poi sostituita da un’ “ordinanza d’emergenza”, la legge “Della cittadinanza e dell’ingresso in Israele”, rinnovata annualmente) che ha eretto una quasi impenetrabile barriera burocratica tra i palestinesi di Gerusalemme est e di Israele in generale e i palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

La legge è stata giustificata sul piano giuridico per ragioni di sicurezza, ma sono stati citati anche obiettivi demografici – in altre parole limitare la popolazione araba in Israele.

Migliaia di persone che vivono nei territori [palestinesi occupati. Ndtr.] sposate con cittadini israeliani o residenti permanenti [status giuridico dei palestinesi di Gerusalemme est. Ndtr.], ed i loro figli, si sono trovati intrappolati da questa legge in un insostenibile limbo burocratico, senza prospettive di cambiamento.

La scorsa settimana sia la Knesset che l’Alta Corte di Giustizia hanno tenuto audizioni sulla legge. Come previsto, è stata mantenuta in vigore. La Knesset ne ridiscuterà tra sei mesi, mentre la presidentessa della Corte Suprema Miriam Naor ha suggerito ai richiedenti di ritirare la loro richiesta all’Alta Corte.

Delle 12.500 persone che hanno avviato la procedura di ricongiungimento, 10.000 sono attualmente prive di uno status giuridico. Ciò significa, tra le altre cose, che non possono andare a scuola o lavorare; solo fino a pochi anni fa, non potevano neppure ottenere l’assicurazione sanitaria.

Occasionalmente, grazie all’intervento dell’Alta Corte, la legge è stata messa da parte per ragioni umanitarie. Per esempio, residenti nei territori che non sono considerati un rischio per la sicurezza ed hanno almeno 25 anni (per le donne; 35 per i maschi) e sono sposati ad israeliani possono ora ricevere un permesso di residenza temporanea (come quelli concessi ai lavoratori palestinesi).

Tuttavia rinnovare questi permessi ogni anno o due è una procedura complicata, che richiede la raccolta meticolosa di vari documenti (bollette, certificati scolastici e buste paga, per citarne solo alcuni).

La legge ha un grande impatto sulla società a Gerusalemme est, sui suoi contatti con la Cisgiordania e persino sulla geografia urbana. La legge ha contribuito a creare i quartieri poveri nei pressi del muro di separazione con la Cisgiordania – luoghi che sono diventati “città rifugio” per migliaia di coppie di cui uno dei partner è residente nei territori e l’altro in Israele.

L’ordinanza d’emergenza che impedisce il ricongiungimento familiare fu emanata alla fine del marzo 2002 dall’allora ministro degli Interni Eli Yishai. Quello fu il mese peggiore della seconda intifada – pochi giorni dopo l’attacco contro il Park Hotel di Netanya e l’inizio dell’operazione “Scudo difensivo” in Cisgiordania.

Il giorno dopo l’attacco suicida contro il ristorante Matza di Haifa, in cui vennero uccise 16 persone, Yishai ordinò a tutte le anagrafi di Israele di bloccare i ricongiungimenti familiari. La ragione: l’attentatore di Haifa, Shadi Tobassi, viveva a Jenin ma aveva una carta d’identità israeliana perché sua madre era cittadina israeliana.

La giustificazione demografica della legge emerse 15 anni fa, in una relazione del ministro degli Interni, scoperta da Hamoked – il “Centro per la Difesa degli Individui” – durante una discussione del governo sulla legge. La relazione affermava: “Questa ondata di immigrazione porta con sé un rischio per la sicurezza di Israele – un rischio per la sicurezza, criminale e politico, un peso economico e soprattutto demografico sul futuro di Israele.”

“Suicidio nazionale”

Nel 2012 ha avuto luogo un’udienza davanti ad una commissione, per l’occasione allargata, dell’Alta Corte per ricorsi contro la legge. La sentenza di 232 pagine ha rigettato i ricorsi con un solo voto contrario. L’allora presidente della Corte Suprema Asher Grunis, che ha appoggiato il parere della maggioranza, ha scritto: “I diritti umani non sono una ricetta per il suicidio nazionale.” L’ex giudice Edmond Levy, l’unico di opinione contraria, ha scritto: “La perdita dell’immagine di Israele come democrazia…sarà uno dei maggiori risultati di quelli che desiderano distruggerla.”

I giudici di quella commissione, ed altri da allora, hanno sottolineato che la legge della cittadinanza è un norma temporanea e di emergenza che deve essere riconfermata ogni anno dalla Knesset. I giudici della Corte Suprema hanno ripetutamente dato indicazioni allo Stato perché verifichi la necessità di questa norma.

Circa sei mesi fa, per la prima volta in un decennio, si è tenuta una discussione sull’argomento in una riunione congiunta della commissione Affari Esteri e Difesa della Knesset e della commissione Interni e Ambiente. Un rappresentante del servizio di sicurezza dello Shin Bet, noto solo come G., ha detto che il servizio appoggia il prolungamento della legge, a causa della continua “minaccia da parte di quella stessa popolazione”. Ma ha faticato a sostenere questa affermazione con dei dati. Ha citato 104 casi di sospetti tra la “popolazione (palestinese) che riceve lo status (legale) in Israele in seguito a ricongiungimento familiare.”

Questo dato include tutti i sospetti dal 2002 al 2016. Tuttavia in seguito si è chiarito che molti di quelli “in relazione con il terrorismo” non erano residenti dei territori che sono entrati in Israele in seguito a ricongiungimento familiare, ma loro familiari – sopratutto figli. In effetti solo 17 dei 104 erano in Israele in seguito a ricongiungimento familiare ed erano coinvolti nel terrorismo.

L’avvocatessa Adi Lustigman, che rappresenta le persone senza uno status legale in Israele, ha messo in dubbio il significato del termine “in rapporto con il terrorismo”. Ha affermato che non era chiaro se ciò significava che la persona era stata incriminata, arrestata o era un parente di qualcuno che aveva tirato una pietra. “Questi dati hanno tolto il terreno sotto i piedi alla legge e mostrano che la Knesset ha ignorato la questione,” ha affermato.

Alla fine della riunione della Knesset in cui G. ha testimoniato, il presidente della commissione Avi Dichter (del Likud) ha convocato un’altra riunione dopo sei mesi – riunione che si è tenuta questa settimana. Lo Shin Bet e la polizia non sono stati presenti per fornire dati aggiornati. “Era chiaro fin dall’ultima riunione che non hanno problemi di sicurezza. La domanda è: perché non ridurre il danno, se è possibile?” è stato chiesto al consulente legale dello Shin Bet. Il consulente ha risposto che erano state fatte analisi per gruppi di età e la posizione dello Shin Bet doveva ancora essere formulata. Ha affermato che, quando lo sarà, il servizio informerà la commissione,.

Asmar, 36 anni, è nato a Gerusalemme – nella stessa casa della città vecchia in cui era nato suo padre – e ha vissuto lì tutta la sua vita. Non ha ancora uno status legale in Israele perché dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967 a Gerusalemme si era diffusa la voce che l’esercito israeliano aveva occupato case vuote in Cisgiordania. Il nonno di Asmar aveva costruito una casa nel villaggio di Al Azariya, a est di Gerusalemme. Perciò mandò i suoi tre figli più giovani a vivere lì. In seguito a ciò, quando venne fatto il primo censimento, furono registrati come abitanti di Al Azariya, non di Gerusalemme. E a causa della norma d’emergenza, sono ancora considerati residenti nei territori.

Ciò non è stato realmente molto importante per la maggior parte della loro vita. Ma dalla costruzione della barriera di separazione e dalla legge provvisoria sono diventati residenti illegali nelle loro stesse case. Alcuni dei suoi fratelli sono riusciti ad avere un “permesso” – il documento dell’Amministrazione Civile [il governo militare israeliano nei territori occupati. Ndtr.] che consente loro di entrare in Israele, ma non Asmar.

“Voglio portare i miei bambini a vedere il mare, ma non posso,” dice. “Ma la cosa peggiore è che non posso vedere mio figlio, ” riferendosi al suo bambino nell’ospedale Herzog. “Amo mio figlio e vorrei vederlo, ma non posso.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Manifestanti organizzano un sit in alla scuola di Khan al-Ahmar, che è nella lista delle demolizioni

Ma’an News

Betlemme- 23 febbraio 2017

Giovedì il ministero dell’Educazione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha organizzato un sit in di protesta nella scuola del villaggio beduino di Khan al-Ahmar nella Cisgiordania occupata contro l’ ordine imminente del governo israeliano per la demolizione della scuola e dell’intero villaggio.

I manifestanti hanno condannato l’ordine israeliano di demolizione della scuola di Khan al-Ahmar – che fornisce il servizio a 150 studenti tra maschi e femmine – ed hanno espresso la propria rabbia nei confronti dell’esercito israeliano, che prende di mira una scuola per bambini e “cerca di escluderli dal diritto all’istruzione”.

Il ministro dell’Educazione Sabri Sedim ha fatto appello a tutti i palestinesi “perché resistano e si oppongano ai progetti israeliani e alle violazioni contro l’educazione e contro le comunità beduine che svelano l’orribile volto dell’occupazione,” aggiungendo che il ministero “realizzerà tutti gli sforzi possibili per bloccare le pratiche israeliane e denunciarle sui media e nei tribunali.”

La scorsa settimana le autorità israeliane hanno emesso ordinanze di demolizione di 40 case e della scuola elementare del villaggio, compresi ordini di blocco dei lavori nei confronti di varie strutture del villaggio, che si trova nell’Area C – più del 60% della Cisgiordania sotto totale controllo israeliano e luogo di frequenti demolizioni da parte di Israele.

Al momento abitanti locali hanno detto a Ma’an che forze israeliane hanno imposto la chiusura militare della zona prima di consegnare gli ordini di demolizione, mentre a insegnanti e studenti della scuola è stato impedito l’accesso all’edificio.

Nonostante il fatto che la comunità, e la scuola in particolare, siano state minacciate di demolizione dal governo israeliano da anni, gli abitanti del luogo hanno detto che la consegna di avvisi di demolizione per ogni singola casa rappresenta un colpo senza precedenti.

Mercoledì funzionari dell’ONU hanno visitato la comunità beduina ed hanno definito la situazione “inaccettabile”. ” Khan al-Ahmar è una delle comunità più vulnerabili della Cisgiordania, che lotta per conservare uno standard minimo di vita di fronte alle pesanti pressioni da parte delle autorità israeliane per spostarla in un luogo di ricollocazione stabilito,” ha affermato in un comunicato Robert Piper, il coordinatore per l’aiuto umanitario e per le attività di sviluppo dell’ONU per i territori palestinesi occupati, aggiungendo che “questo è inaccettabile e deve finire.”

Khan al-Ahmar, come altre comunità beduine della regione, è minacciata di trasferimento da Israele in quanto si trova nel conteso “Corridoio E1”, stabilito dal governo israeliano per collegare Gerusalemme est annessa [a Israele] con la grande colonia di Maale Adumim.

Le autorità israeliane pianificano di costruire nell’E1 migliaia di abitazioni per le colonie solo per ebrei, il che dividerebbe in effetti la Cisgiordania e renderebbe la creazione di uno Stato palestinese contiguo – come previsto dalla soluzione dei due Stati per il conflitto israelo-palestinese – praticamente impossibile.

I gruppi per i diritti umani e i membri della comunità beduina hanno fortemente criticato i piani di ricollocazione da parte di Israele per i beduini che risiedono nei pressi delle colonie israeliane illegali di Maale Adumim, sostenendo che lo spostamento rimuoverebbe palestinesi autoctoni con lo scopo di espandere le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, in violazione delle leggi internazionali.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Leggi la trascrizione integrale: la conferenza stampa congiunta di Trump e Netanyahu

Haaretz | 15 febbraio 2017

La prima conferenza stampa congiunta del presidente USA Trump e del primo ministro israeliano Netanyahu.

IL PRESIDENTE TRUMP: Molte grazie. Grazie. Oggi ho l’onore di dare il benvenuto al mio amico, il primo ministro Benjamin Netanyahu, alla Casa Bianca. Con la sua visita, gli Stati Uniti riconfermano ancora una volta il proprio legame indissolubile con il nostro benamato alleato, Israele. La collaborazione tra i nostri due Paesi, basata sui valori da noi condivisi, ha promosso la causa della libertà dell’uomo, della dignità e della pace. Questi sono gli elementi fondamentali della democrazia.

Lo Stato di Israele è un simbolo per il mondo di resistenza di fronte all’oppressione – non posso pensare a nessun altro Stato che abbia passato quello che è toccato a loro – e di sopravvivenza di fronte al genocidio. Non dimenticheremo mai quello che ha sopportato il popolo ebreo.

La vostra perseveranza di fronte all’ostilità, la vostra democrazia aperta di fronte alla violenza e il vostro successo nell’affrontare grandi avversità è veramente fonte d’ispirazione. Le sfide per la sicurezza che Israele ha dovuto affrontare sono enormi, compresa la minaccia delle ambizioni nucleari dell’Iran, di cui io ho parlato parecchio. Uno dei peggiori accordi che abbia mai visto è quello con l’Iran. La mia amministrazione ha appena imposto nuove sanzioni e farò ancora di più per evitare che l’Iran possa mai sviluppare – intendo dire mai – armi nucleari.

La nostra assistenza per la sicurezza nei confronti di Israele è attualmente a un livello record, garantendo che Israele abbia la capacità di difendersi dalle minacce, che purtroppo sono molte. I nostri due Paesi continueranno a crescere. Abbiamo una lunga storia di cooperazione nella lotta contro il terrorismo e contro coloro che non danno valore alla vita umana. America e Israele sono due Nazioni che onorano il valore di ogni vita umana.

Questa è una delle molte ragioni per cui rifiuto azioni scorrette e di parte contro Israele alle Nazioni Unite – che hanno appena trattato Israele, secondo me in modo molto, molto scorretto – o in altri forum internazionali, così come il boicottaggio che prende di mira Israele. La nostra amministrazione è impegnata a lavorare con Israele e con i nostri comuni alleati nella regione verso una maggiore sicurezza e stabilità. Ciò include lavorare per un accordo di pace tra Israele e i palestinesi. Gli Stati Uniti incoraggeranno un accordo di pace, e veramente un grande accordo. Lavoreremo su questo con molto, molto impegno. E’ molto importante anche per me – qualcosa che vogliamo fare. Ma sono le stesse parti in causa che devono negoziare direttamente un accordo. Noi staremo dietro di loro; lavoreremo con loro.

Come per ogni negoziato che abbia successo, entrambe le parti dovranno arrivare a compromessi. Lo sa, giusto? (risate)

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Entrambe le parti.

IL PRESIDENTE TRUMP: Voglio che il popolo israeliano sappia che gli Stati Uniti stanno dalla parte di Israele nella lotta contro il terrorismo. Come lei sa, primo ministro, le nostre due Nazioni condanneranno sempre gli atti di terrorismo. La pace richiede che le Nazioni rispettino la dignità della vita umana e siano una voce per tutti coloro che sono in pericolo e dimenticati.

Questi sono gli ideali a cui tutti aspiriamo e sempre aspireremo e per cui siamo impegnati. Questo sarà il primo di molti altri incontri produttivi. E io, di nuovo, primo ministro, la ringrazio molto per essere con noi oggi.

Grazie, primo ministro.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Presidente Trump, la ringrazio per l’ospitalità davvero molto calorosa, che lei e Melania avete dimostrato nei miei confronti, nei confronti di mia moglie Sara e di tutta la nostra delegazione. Per me, per lo Stato di Israele, è stato così chiaramente evidente nelle parole che ha appena detto – che Israele non ha nessun miglior alleato degli Stati Uniti. E voglio assicurarle che gli Stati Uniti non hanno nessun migliore alleato che Israele.

La nostra alleanza è stata particolarmente forte, ma sotto la sua direzione sono convinto che lo diventerà ancora di più. Sono ansioso di lavorare con lei per potenziare notevolmente la nostra alleanza in ogni campo – nella sicurezza, nella tecnologia, nell’informatica e nel commercio, e in molti altri settori. E io sicuramente accolgo con favore la sua sincera richiesta che Israele venga trattato in modo corretto nei contesti internazionali e che le calunnie e il boicottaggio di Israele siano fortemente avversati dal potere e dalla posizione morale degli Stati Uniti d’America.

Come lei ha detto, la nostra alleanza si basa su un legame profondo di valori e interessi comuni. E, sempre più, questi valori ed interessi sono sotto attacco da parte di una forza malvagia: il terrorismo radicale islamico. Signor presidente, lei ha mostrato grande chiarezza e coraggio nell’affrontare la sfida a viso aperto. Lei chiede di affrontare il regime terroristico iraniano, impedendo all’Iran di realizzare questo terribile affare dell’ arsenale nucleare. E lei ha detto che gli Stati Uniti sono impegnati a impedire che l’Iran abbia armi nucleari. Lei invoca la sconfitta dell’ISIS. Credo che, sotto la sua guida, potremo contrastare la crescente marea dell’Islam radicale. E in questo grande compito, come in molti altri, Israele ed io saremo con lei.

Signor presidente, nello sconfiggere l’Islam militante, possiamo cogliere un’opportunità storica – perché, per la prima volta nella mia vita, e per la prima volta nella storia del mio Paese, Paesi arabi della regione non vedono Israele come un nemico, ma sempre più come un alleato. E credo che sotto la sua direzione questo cambiamento nella nostra regione crei un’opportunità senza precedenti per rafforzare la sicurezza e promuovere la pace.

Cogliamo insieme questo momento. Rafforziamo la sicurezza. Chiediamo nuovi orizzonti di pace. Portiamo la straordinaria alleanza tra Israele e gli Stati Uniti a livelli ancora maggiori.

Grazie. Grazie, signor presidente.

IL PRESIDENTE TRUMP: Grazie, grazie ancora.

Risponderemo ad alcune domande. David Brody, Televisione Cristiana [CBN, televisione evangelica di destra. Ndtr.]. David.

D.: Grazie, signor presidente, signor primo ministro. Entrambi avete criticato l’accordo nucleare con l’Iran e talvolta avete anche chiesto di annullarlo. Mi chiedo se non siate preoccupati per quanto riguarda non solo il consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, che da poco non è più qui, ma anche alcuni di quei fatti che si sono verificati in Russia riguardo alle comunicazioni – se questo non stia ostacolando del tutto questo accordo, e se ciò impedirà all’Iran di diventare uno Stato nucleare oppure no.

E in secondo luogo, riguardo alle colonie, siete entrambi sulla stessa lunghezza d’onda? Come definite esattamente quanto riguarda la questione delle colonie? Grazie.

IL PRESIDENTE TRUMP. Michael Flynn, il generale Flynn, è una persona stupenda. Penso che sia stato trattato in modo veramente, veramente scorretto dai media – come li chiamo io, i media bugiardi, in molti casi. E penso che sia stata veramente una cosa triste che sia stato trattato così male. Penso, inoltre, anche da parte dell’intelligence – sono filtrati documenti, sono stati divulgati dei fatti. Sono azioni criminali, e ciò è continuato per molto tempo – prima di me. Ma ora continua, e ci sono persone che stanno cercando di utilizzarle come alibi per la terribile sconfitta dei democratici con Hillary Clinton.

Penso che sia veramente, veramente scorretto quello che è succeso al generale Flynn, il modo in cui è stato trattato, e i documenti che sono stati illegalmente – lo sottolineo – illegalmente divulgati. Molto, molto scorretto.

Il merito alle colonie, vorrei che vi soffermaste un attimo sugli insediamenti. Troveremo una soluzione. Ma vorrei che si facesse un accordo. Penso che si farà un accordo. So che ogni presidente lo avrebbe voluto. La maggior parte di loro non ha iniziato fino a fine [mandato] perché non ha mai pensato che fosse possibile. E non è stato possibile perchè non l’hanno fatto.

Ma Bibi [Netanyahu] ed io ci conosciamo da molto tempo – un uomo abile, grande negoziatore. E penso che stiamo per raggiungere un accordo. Potrebbe essere un accordo più complessivo e migliore di quanto le persone in questa stanza abbiano mai sentito parlare. E’ possibile. Per cui state a vedere quello che faremo.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Proviamoci.

IL PRESIDENTE TRUMP: Non sembra molto ottimista, ma -(Risate) – è un buon negoziatore.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Questa è “l’arte dell’accordo.” (Risate)

IL PRESIDENTE TRUMP: Voglio anche ringraziare – voglio anche ringraziare – Sara, per favore, ti puoi alzare? Su sei così adorabile e sei stata così carina con Melania. Lo apprezzo moltissimo. (Applausi). Grazie. E’ il tuo turno.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Sì, prego, andiamo avanti.

D. Molte grazie. Signor presidente, nella sua visione per la nuova pace in Medio Oriente lei è pronto ad abbandonare la nozione della soluzione dei due Stati che è stata adottata dalla precedente amministrazione? E lei sarà disposto ad ascoltare idee diverse dal primo ministro, come alcuni dei suoi alleati gli stanno chiedendo di fare, per esempio, l’annessione di parti della Cisgiordania e nessuna limitazione per la costruzione delle colonie? E un’altra domanda: sta per concretizzare la sua promessa di spostare l’ambasciata USA in Israele a Gerusalemme? E se è così, quando?

E, signor primo ministro, lei è venuto qui stasera per dire al presidente che sta facendo marcia indietro rispetto alla soluzione dei due Stati?

Grazie.

IL PRESIDENTE TRUMP: Sto guardando ai due Stati e allo Stato unico, e mi piace la soluzione che piace alle due parti. (Risate). Sono molto contento di quello che piace alle due parti. Posso accettare una o l’altra.

Ho pensato per un momento che quella dei due Stati sembrasse la più facile per entrambi. Ma onestamente, se Bibi e i palestinesi – se Israele e i palestinesi sono contenti, sono contento di quella che loro preferiscono.  

Riguardo allo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, mi piacerebbe che succedesse. Ce ne stiamo occupando molto, molto seriamente. Ce ne stiamo occupando con molta attenzione – molta attenzione, credetemi. E staremo a vedere cosa succede. Va bene?

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Grazie. Ieri ho letto che un funzionario americano ha detto che se chiedi a cinque persone a cosa assomiglierebbero due Stati, otterresti otto risposte diverse. Signor presidente, se lei chiede a cinque israeliani, avrà in cambio 12 risposte diverse. (Risate).

Ma piuttosto che occuparmi di etichette, voglio occuparmi di sostanza. E’ ciò che ho sperato di fare per anni in un mondo che è assolutamente ossessionato dalle etichette e non dalla sostanza. Per cui ecco la sostanza: ci sono due prerequisiti che ho esposto due anni fa – parecchi anni fa, e non sono cambiati.

Primo, i palestinesi devono riconoscere lo Stato ebraico. Devono smettere di chiedere la distruzione di Israele. Devono smettere di formare il loro popolo per la distruzione di Israele

Secondo, in qualunque accordo di pace, Israele deve conservare il controllo predominante per la sicurezza sull’intera zona ad ovest del fiume Giordano. Perché se non l’abbiamo, sappiamo quello che succederà – perché altrimenti avremo un altro Stato terroristico radicale islamico nelle zone palestinesi che farà esplodere la pace, farà esplodere il Medio Oriente.

Ora, sfortunatamente, i palestinesi rifiutano categoricamente entrambi i prerequisiti per la pace. Primo, continuano a sostenere la distruzione di Israele – nelle loro scuole, nelle moschee, nel libri di testo. Dovete leggerli per crederci.

Negano persino, signor presidente, il nostro legame storico con la nostra patria. E penso che dovreste chiedervi: perché – perché gli ebrei sono chiamati così? Bene, i cinesi sono chiamati cinesi perchè vengono dalla Cina. I giapponesi sono chiamati giapponesi perchè vengono dal Giappone. Bene, gli ebrei sono chiamati giudei perché vengono dalla Giudea. E’ la nostra terra ancestrale. Gli ebrei non sono colonialisti stranieri in Giudea.

Perciò, sfortunatamente, non solo i palestinesi negano il passato, ma avvelenano anche il presente. Danno il nome di assassini di massa, che hanno ucciso israeliani, a pubbliche piazze, e devo dire che hanno assassinato anche americani. Finanziano – danno sussidi mensili a famiglie di assassini, come la famiglia del terrorista che ha ucciso Taylor Force, un magnifico giovane americano, un laureato di West Point, che è stato accoltellato a morte mentre visitava Israele.

Perciò questa è la fonte del conflitto – il costante rifiuto palestinese di riconoscere lo Stato ebraico all’interno di qualunque confine: questo costante rifiuto. Questa è la ragione per cui non abbiamo la pace. Ora, ciò deve cambiare. Voglio che cambi. Non solo non ho abbandonato questi due prerequisiti per la pace; sono diventati ancora più importanti a causa della crescente ondata di fanatismo che ha travolto il Medio Oriente ed ha anche, sfortunatamente, infettato la società palestinese.

Quindi voglio che questo cambi. Voglio questi due prerequisiti per la pace – sostanza, non etichette – voglio che siano reintrodotti. Ma se qualcuno pensa che io, in quanto primo ministro di Israele, responsabile della sicurezza del mio Paese, voglia ciecamente andare verso uno Stato palestinese terrorista che vuole la distruzione del mio Paese, si sbaglia di grosso.

I due prerequisiti per la pace – riconoscimento dello Stato ebraico e le necessità di sicurezza di Israele a ovest del Giordano- rimangono in vigore. Dobbiamo cercare nuove vie, nuove idee su come ripristinarli e come mandare avanti la pace. E io credo che la grande opportunità per la pace venga da un approccio regionale che coinvolga i nostri nuovi alleati arabi nella ricerca di una pace più complessiva e una pace con i palestinesi.

E io sono ansioso di discuterne nei dettagli con lei, signor presidente, perché penso che se lavoriamo insieme, abbiamo una possibilità.

IL PRESIDENTE TRUMP: E ne abbiamo discusso, ed è una cosa che è molto diversa, che non è mai stata discussa prima. Ed è veramente una faccenda molto più grande, molto più importante, in un certo senso. Coinvolgerà molti, molti Paesi e coprirà un territorio molto ampio. Per cui non sapevo che stesse per parlarne, ma è così e questo è… ora che lo ha fatto, penso che sia una cosa enorme e che abbiamo una collaborazione veramente buona da popoli che in passato non avrebbero mai, non hanno mai neanche pensato di farlo. Per cui vedremo come questo funzionerà.

Katie di Townhall [sito conservatore di notizie. Ndtr.]. Dov’è Katie? Là. Katie.

D. Grazie, signor presidente. Nelle sue considerazioni iniziali lei ha detto che entrambe le parti dovranno arrivare a compromessi quando si arriverà a un accordo di pace. Lei ha menzionato un blocco alle colonie. Ci può esporre qualche altro compromesso specifico a cui lei sta pensando, sia per gli israeliani che per i palestinesi?

E, signor primo ministro, che cosa si aspetta dalla nuova amministrazione su come modificare l’accordo nucleare con l’Iran o annullarlo del tutto, e come lavorare complessivamente con la nuova amministrazione per combattere la crescente aggressività dell’Iran, non solo negli ultimi mesi ma anche negli ultimi due anni?

IL PRESIDENTE TRUMP: E’ davvero una domanda interessante. Penso che gli israeliani debbano dimostrare una certa flessibilità, il che è difficile, difficile da fare. Dovranno dimostrare il fatto che vogliono davvero fare un accordo. Penso che il nostro nuovo concetto che abbiamo discusso in effetti per un po’ di tempo è qualcosa che consenta loro di mostrare maggiore flessibilità di quella che hanno avuto in passato perché c’è un canovaccio molto più ampio da recitare. E penso che lo faranno.

Penso che a loro piacerebbe molto arrivare ad un accordo o non sarei contento e non sarei qui e non sarei così ottimista. Io penso davvero che loro – posso dire dal punto di vista di Bibi e di Israele, credo davvero che vogliano fare un accordo e che vogliano vedere un grande accordo.

Penso che i palestinesi debbano liberarsi di parte dell’odio che hanno insegnato loro fin dall’infanzia. Hanno insegnato loro un odio terribile. Ho visto quello che insegnano. E tu puoi parlare anche lì di flessibilità, ma iniziano dalla tenera età e nelle scuole. E devono riconoscere Israele – dovranno cominciare a farlo. Non c’è modo di fare un accordo se non sono disposti a riconoscere un Paese veramente grande e importante. E penso che saranno disponibili anche a questo. Ma ora credo anche, Katie, che avremo altri attori ad un livello molto alto, e penso che ciò renderà più facile sia ai palestinesi che a Israele ottenere qualcosa.

Va bene? Grazie. Domanda molto interessante. Grazie.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Lei ha chiesto dell’Iran. Una cosa è impedire che l’Iran abbia armi nucleari – una cosa che il presidente Trump ed io crediamo di essere molto impegnati a fare. E noi stiamo naturalmente per discutere di questo.

Oltre a questo penso che il presidente Trump abbia guidato un’importante iniziativa nelle ultime settimane, appena ha assunto la presidenza. Ha sottolineato che ci sono violazioni, violazioni iraniane sui test dei missili balistici. Tra l’altro su questi missili balistici c’è scritto in ebraico “Israele deve essere distrutto.” Il palestinese… anzi, il ministro degli Esteri iraniano Zafir ha affermato, bene, i nostri missili balistici non sono pensati contro nessun Paese. No. Scrivono sul missile in ebraico: “Israele deve essere distrutto.”

Per cui sfidare l’Iran sulle sue violazioni in merito ai missili balistici, imporre sanzioni contro Hezbollah [gruppo armato sciita libanese. Ndtr.], impedirglielo, far pagare a loro per il terrorismo che fomentano in tutto il Medio Oriente ed altrove, molto al di là [del Medio Oriente] – credo che sia un cambiamento che è chiaramente evidente da quando il presidente Trump ha assunto la presidenza. Ne sono lieto. Penso che sia – lasciatemelo dire molto esplicitamente: credo che sia molto tardi, e penso che se lavoriamo insieme – e non solo gli Stati Uniti e Israele, ma molti altri nella regione che vedono in faccia le grandi dimensioni e il pericolo della minaccia iraniana, allora ritengo che possiamo respingere l’aggressività iraniana e il pericolo. E si tratta di qualcosa che è importante per Israele, per gli Stati arabi, ma penso che sia di vitale importanza per l’America. Quei tizi stanno sviluppando ICBM [missili balistici intercontinentali]. Stanno sviluppando – vogliono arrivare ad avere un arsenale nucleare, non una bomba, centinaia di bombe. E vogliono avere la capacità di lanciarli ovunque sulla terra, compreso, e soprattutto, un giorno, sugli Stati Uniti.

Quindi è una cosa importante per tutti noi. Mi rallegro del cambiamento, e intendo lavorare con il presidente Trump molto da vicino in modo che possiamo contrastare questo pericolo.

IL PRESIDENTE TRUMP: Ottimo. Avete qualcun altro?

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Moav?

D. Signor presidente, a partire dalla sua campagna elettorale ed anche dopo la sua vittoria, abbiamo assistito ad un’impennata di incidenti antisemiti negli Stati Uniti. E mi chiedo cosa lei dica a quelli, tra la comunità ebraica negli Stati Uniti, e in Israele, e forse in tutto il mondo, che credono e sentono che la sua amministrazione sta giocando con la xenofobia e forse con toni razzisti.

E, signor primo ministro, lei è d’accordo con quello che ha appena detto il presidente in merito alla necessità per Israele di limitare o bloccare l’attività di colonizzazione in Cisgiordania? E una piccola aggiunta alle domande del mio amico – una semplice domanda: ha abbandonato la sua visione per la fine del conflitto della soluzione dei due Stati, come l’ha enunciata nel discorso di Bar-Ilan [università israeliana. Ndtr.], o lei continua ad appoggiarla? Grazie.

IL PRESIDENTE TRUMP: Voglio solo dire che siamo molto onorati dalla vittoria che abbiamo avuto – 306 voti del collegio elettorale. Non pensavamo di superare i 220. Lo sa, vero? Non c’era modo di arrivare a 221, ma allora hanno detto che non si poteva arrivare a 270. E c’è un enorme entusiasmo in giro.

Dirò che stiamo per avere pace in questo Paese. Stiamo per porre fine al crimine in questo Paese. Stiamo per fare ogni cosa in nostro potere per porre fine al razzismo a lungo covato e ad ogni altra cosa che sta succedendo, perché molte cose malvagie sono successe per un lungo periodo di tempo.

Credo che una delle ragioni per cui ho vinto le elezioni è che abbiamo una Nazione molto, molto divisa. Molto divisa. E, auspicabilmente, sarò in grado di fare qualcosa a questo proposito. E, sapete, è stata una cosa molto importante per me.

Riguardo alla gente – gli ebrei- molti amici, una figlia che è appena arrivata qui, un genero e tre bellissimi nipoti. Penso che vedrete degli Stati Uniti molto diversi nei prossimi tre, quattro o otto anni. Penso che avverranno molte cose buone, e state per vedere molto amore. State per vedere molto amore. Va bene? Grazie.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Credo che la questione delle colonie non sia al centro del conflitto, né lo stia davvero guidando. Penso che sia un problema, deve essere risolto nel contesto dei negoziati di pace. E penso che dobbiamo parlare anche di questo, il presidente Trump ed io, in modo da arrivare ad una comprensione, quindi non dobbiamo continuare a scontrarci tutto il tempo su questo problema. E stiamo per discuterne.

Sulla domanda che ha fatto, lei con la sua domanda è proprio tornato sul problema di cui ho parlato. E’ l’etichetta. Cosa intende Abu Mazen per due Stati, va bene? Cosa intende? Uno Stato che non riconosce lo Stato ebraico? Uno Stato che è fondamentalmente disposto ad attacchi contro Israele? Di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando del Costarica, o stiamo parlando di un altro Iran?

Quindi ovviamente ciò significa cose diverse. Vi ho detto quali sono le condizioni che credo siano necessarie per un accordo: sono il riconoscimento dello Stato ebraico e il controllo della sicurezza di Israele- di Israele – nell’intera area. Altrimenti stiamo solo fantasticando. Altrimenti avremo un altro Stato fallito, un’altra dittatura islamista terrorista che non lavorerà per la pace ma per distruggerci, ma anche per distruggere ogni speranza – ogni speranza – per un futuro pacifico per il nostro popolo.

Quindi sono stato molto chiaro in merito a queste condizioni, e non sono cambiate. Non ho cambiato. Se lei legge quello che ho detto otto anni fa, è proprio questo. E l’ho ripetuto ancora e ancora e ancora. Se lei vuole occuparsi di etichette, si occupi di etichette. Io mi occuperò di cose concrete.

E in conclusione, se posso rispondere a qualcosa che conosco per esperienza personale. Conosco da molti anni il presidente Trump, e per accennare a lui e alla sua gente – i suoi collaboratori, alcuni dei quali conosco, anche loro, da molti anni. Posso rivelare, Jared, da quanto ti conosco? (Risate.) Bene, non è mai stato piccolo. E’ sempre stato grande. E’ sempre stato alto.

Ma io conosco il presidente e la sua famiglia e i suoi collaboratori da molto tempo, e non c’è maggior sostenitore del popolo ebraico e dello Stato ebraico del presidente Donald Trump. Penso che dovremmo smetterla con questa storia.

IL PRESIDENTE TRUMP: Molte grazie. Molto gentili. Lo apprezzo molto.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Grazie.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Esponenti israeliani e palestinesi reagiscono all’abbandono della soluzione a due Stati da parte di Trump

16 febbraio 2017, Maannews

Betlemme (Ma’an) – A seguito del controverso incontro avvenuto mercoledì tra il presidente USA Donald Trump e il primo ministro Benjamin Netanyahu, i dirigenti israeliani e palestinesi hanno reagito in modo positivo e negativo riguardo all’evidente mutamento della politica statunitense con l’abbandono del sostegno alla soluzione a due Stati.

Mercoledì durante una conferenza stampa che ha preceduto l’incontro Trump ha risposto a una domanda riguardo alla posizione della sua amministrazione rispetto alla soluzione a due Stati il giorno dopo che un funzionario USA aveva detto che il Paese non era necessariamente legato alla soluzione politica come l’unica in grado di porre termine al conflitto israelo-palestinese

Io considero sia [la soluzione] a due Stati che a un solo Stato e mi piace quella che piace a entrambe le parti” ha detto Trump, provocando una risata di Netanyahu. “Posso vivere con entrambe”.

Mentre esponenti della comunità internazionale hanno riposto la soluzione del conflitto israelo-palestinese sulla soppressione delle colonie illegali israeliane e sulla soluzione a due Stati, un numero crescente di attivisti palestinesi, dato l’attuale contesto politico, criticano questa soluzione come insostenibile e poco inadeguato ad assicurare una pace duratura e propongono invece uno Stato bi-nazionale con uguali diritti per israeliani e palestinesi.

Le reazioni israeliane

Gli esponenti politici israeliani di destra sono stati pronti a manifestare il consenso sull’incontro tra Trump e Netanyahu, con il quotidiano israeliano Haaretz che ha citato il ministro dell’Istruzione dell’estrema destra israeliana Naftali Bennet che ha affermato: “ La bandiera palestinese è stata ammainata dal pennone ed è stata rimpiazzata da quella israeliana. I palestinesi hanno già due Stati – Gaza e la Giordania – Non c’è nessun bisogno di un terzo.”

Il ministro ha anche scritto sui social media: “Una nuova era. Nuove idee. Nessun bisogno di un terzo Stato oltre alla Giordania e a Gaza. Un grande giorno per gli israeliani e per gli arabi ragionevoli.”

In precedenza Bennett aveva manifestato il suo appoggio a Trump dicendo a novembre , in seguito alle elezioni presidenziali negli USA, che una presidenza Trump avrebbe posto fine allo sforzo per realizzare uno Stato palestinese indipendente.

La vittoria di Trump è un’opportunità per Israele per rimangiarsi immediatamente l’idea di Stato palestinese al centro del Paese (Israele) il che potrebbe mettere in discussione la nostra sicurezza e la nostra giusta causa” ha detto allora Bennett. “Questa è la posizione del presidente eletto, che è scritta nel suo programma elettorale e dovrebbe essere la nostra politica, semplice e chiara. L’epoca di uno Stato palestinese è tramontata”.

Nel frattempo il ministro israeliano della pubblica sicurezza , Gilad Erdan del partito Likud è stato citato da Haaretz per aver detto che l’opinione di Trump sul conflitto israelo-palestinese “prova che siamo in una nuova epoca. La presa di posizione del presidente indica che la soluzione a due Stati non è l’unica soluzione per raggiungere la pace e che è venuto il momento di rovesciare l’equazione e di esercitare una pressione sulla parte palestinese”.

I ministri della destra in generale hanno espresso la loro opinione secondo cui Israele stava entrando in “una nuova epoca” non condizionata dalla soluzione a due Stati o da obiettivi di pace da lungo tempo formulati dalla comunità internazionale.

Secondo quanto riferito, il ministro israeliano della cultura Miri Regev, anche lui del partito Likud, ha detto che “l’epoca dei congelamenti è finita. È la fine del blocco delle costruzioni in Giudea e Samaria” come Israele definisce la Cisgiordania, aggiungendo che “oggi a Washington è cominciata una nuova era diplomatica”.

Altri ministri della destra hanno manifestato il proprio sollievo per il fatto che il governo israeliano non deve più fare finta di sostenere la soluzione a due Stati che gli sforzi internazionali per la pace hanno individuato per decenni quale percorso per uscire dall’impasse israelo-palestinese.

Finalmente si è posto fine a un’idea sbagliata e pericolosa: istituire uno Stato palestinese terrorista nel cuore della Terra di Israele” ha detto il ministro israeliano della scienza e della tecnologia Ofir Akunis, citato da Haaretz.

Nel frattempo la deputata della Knesset, Shelly Yacimovic, dell’Unione Sionista [coalizione tra il partito Laburista e Kadima. Ndtr.], ritenuto il partito “più a sinistra” nel panorama politico israeliano, avrebbe affermato che le dichiarazioni di Trump mercoledì sera non si allontanano in alcun modo da quelle delle precedenti amministrazioni USA, sottolineando che Trump ha espresso il suo dissenso riguardo all’espansione delle colonie israeliane e che il suo appoggio per trovare una soluzione soddisfacente per entrambe le parti è più articolato.

Le reazioni palestinesi e internazionali

A seguito della conferenza stampa l’ambasciatore palestinese presso le Nazioni Unite Riyad Mansour ha emesso un comunicato in cui afferma che la pace non si potrà realizzare “senza stabilire le basi di un processo di pace” e ha evidenziato il fatto che la maggioranza della comunità internazionale continua a sostenere la soluzione a due Stati nonostante le prese di posizione di Trump e Netanyahu.

Nel frattempo il portavoce di Hamas Hazem Qasim si è appellato all’Autorità Nazionale Palestinese perché abbandoni i negoziati con Israele e la convinzione che gli Stati Uniti siano in grado di svolgere una funzione di mediazione nel processo di pace, aggiungendo che Trump ha chiarito il fatto che l’attuale e le precedenti amministrazioni USA hanno parteggiato per Israele.

Nel suo comunicato Hazem Qaim ha detto che “ gli Stati Uniti non sono mai stati affidabili riguardo a dare al popolo palestinese i suoi diritti” aggiungendo che gli USA hanno solamente “provveduto a coprire Israele perché continuasse l’aggressione contro il popolo palestinese e l’espropriazione delle nostre terre”.

Egli ha anche detto che l‘amministrazione degli Stati Uniti, rimangiandosi la propria già debole posizione sulla soluzione a due Stati, indica un’escalation della tendenza USA a favore dell’occupazione israeliana.

Il dirigente di Fatah Rafaat Elayyan ha anche rilasciato un comunicato di condanna dell’incontro, affermando che Netanyahu e Trump hanno “palesemente affossato il sogno di istituire uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est”. Egli ha anche detto che Trump ha disconosciuto il diritto internazionale e tutti gli accordi precedenti tra palestinesi e israeliani per ottenere la pace nella regione.

Elayyan ha aggiunto: “Siamo di fronte a un’occupazione che rifiuta di creare uno Stato indipendente e mira ad annettere ad Israele la Cisgiordania e Gerusalemme, espandendo le colonie con l’appoggio dell’amministrazione USA.” Continuando ha sollecitato la dirigenza palestinese ad “intraprendere una nuova strategia” fondata su un’unità che possa porre fine al conflitto interno alla Palestina.

Se l’incontro Trump-Netanyahu non è sufficiente per unire il nostro fronte nazionale, allora non saremo mai capaci di confrontarci con questa sfida”, ha aggiunto Elayyan.

Elayyan ha anche detto che i palestinesi fanno affidamento sul vertice arabo che si terrà ad Amman il prossimo mese, in cui gli Stati arabi e islamici dovrebbero emettere un comunicato per appoggiare il popolo palestinese e i suoi diritti “ prima che sia troppo tardi”.

Elayyan ha aggiunto che Trump ha dato “semaforo verde al governo israeliano per continuare nell’attività di colonizzazione e di aggressione nei confronti del popolo palestinese” e ha sottolineato che gli Stati Uniti saranno responsabili di qualunque “situazione esplosiva” nella regione.

Il popolo palestinese continuerà la propria lotta per la libertà e la democrazia” ha detto.

Nel frattempo il responsabile della comunicazione del movimento Fatah, Nasser al-Qudwa, ha detto che “respingere la soluzione a due Stati significa respingere il processo di pace” e ha sottolineato che qualunque alternativa provocherebbe “un confronto doloroso e sanguinoso”.

Egli ha anche detto che l’abbandono della soluzione a due Stati non comporterà la scomparsa o l’indebolimento dell’idea palestinese per uno Stato indipendente e che quella soluzione a uno Stato unico dove tutti i cittadini avrebbero uguali diritti è “ semplicemente senza senso e impossibile”

Al-Qudwa ha aggiunto che la dirigenza palestinese e Fatah hanno una posizione chiara, sottolineando l’importanza di una presenza nazionale palestinese e della formazione di uno Stato palestinese, osservando che i diritti palestinesi sono “ non negoziabili”.

Il raggruppamento di sinistra Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP) ha scritto in un comunicato che l’incontro Trump-Netanyahu ha segnato “un chiaro punto di svolta per porre fine agli obiettivi dei palestinesi” aggiungendo che il cambiamento di politica costituisce una violazione del diritto internazionale.

Il FPLP ha indicato cinque iniziative che ritiene debbano essere prese per rispondere al recente mutamento della politica statunitense-israeliana: dichiarare una presa di posizione unitaria che respinga la politica statunitense-israeliana; ritirare il riconoscimento [dello Stato] di Israele; organizzare urgentemente un incontro tra tutte le forze nazionaliste e islamiche per stabilire una nuova strategia nazionale da contrapporre alle imminenti sfide e difendere i diritti nazionali; cessare immediatamente il conflitto nazionale palestinese e continuare gli sforzi di tenere una sessione del Consiglio nazionale palestinese; cessare da parte dell’Autorità nazionale palestinese “di creare illusioni” a livello internazionale e  ritirarsi dagli accordi di Oslo.

Intanto mercoledì l’Alta Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e per la Politica di Sicurezza Federica Mogherini ha detto che la UE sosterrà sempre la soluzione a due Stati, aggiungendo che “senza dubbio la nostra ambasciata (italiana) rimarrà a Tel Aviv… e noi siamo ancora dell’opinione che la soluzione sia la coesistenza tra i due Stati: Israele e Palestina”.

Mercoledì il segretario generale dell’Organizzazione della Liberazione della Palestina (OLP) Saeb Erekat ha detto che la soluzione a due Stati era già un compromesso raggiunto con molte difficoltà come base per una pacifica risoluzione del conflitto, e che la proposta alternativa israeliana equivarrebbe a una soluzione di apartheid.

Contrariamente al disegno di Netanyahu di un solo Stato con due sistemi, [cioè] l’apartheid, l’unica alternativa a due Stati democratici e sovrani con i confini del 1967 è un solo Stato laico e democratico con uguali diritti per ognuno, cristiani, musulmani ed ebrei su tutta la Palestina storica,” ha detto Erekat.

(traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Il presidente Rivlin: Israele dovrebbe annettere la Cisgiordania e concedere ai palestinesi la piena cittadinanza

di Jonatan Lis – 14 febbraio 2017 Haaretz

Solo la settimana scorsa il presidente aveva detto che l’approvazione della cosiddetta legge del furto delle terre potrebbe provocare il fatto che Israele possa sembrare uno Stato dell’apartheid.

Lunedì il presidente Reuven Rivlin ha detto che Israele dovrebbe annettere la Cisgiordania e concedere piena cittadinanza a chi vive nei territori, cioè ai palestinesi.

Benché non abbia citato esplicitamente i palestinesi o la Cisgiordania, martedì Rivlin ha detto: “Credo che Sion [cioè la Palestina. Ndtr.] sia nostra e che la sovranità israeliana dovrebbe essere (estesa) ad ogni luogo.

“La sovranità su un determinato territorio garantisce la cittadinanza a tutti quelli che vi risiedono. Non ci sono scuse. Non ci può essere una legge per gli israeliani e un’altra per i non-israeliani, ” ha detto durante una conferenza tenuta a Gerusalemme dal giornale Besheva [settimanale dei sionisti religiosi, il terzo più venduto in Israele. Ndtr.].

Gli alleati di estrema destra nella coalizione del primo ministro Netanyahu hanno chiesto di approfittare di quella che è percepita come l’amministrazione più filo israeliana, guidata da Donald Trump, per avanzare nell’annessione di parti della Cisgiordania, una richiesta a cui Netanyahu si è opposto.

Come presidente, Rivlin, un ex membro del Likud [partito di destra di Netanyahu. Ndtr.] e da molto tempo favorevole all’annessione della Cisgiordania e alla concessione ai palestinesi di tutti i diritti civili, ricopre un incarico soprattutto simbolico.

Pochi giorni fa Rivlin ha detto di essere assolutamente contrario alla legge, approvata dalla Knesset la scorsa settimana, che consente di espropriare la terra di proprietà privata palestinese per legalizzare retroattivamente alcune colonie. Ha affermato che l’approvazione della cosiddetta “Legge per la Regolarizzazione” potrebbe provocare il fatto che Israele possa sembrare uno Stato dell’apartheid.

“Israele ha adottato leggi internazionali. Queste non consentono a un Paese di agire in base ad esse per applicare e imporre le sue leggi su territori che non sono sotto la sua sovranità. Se lo fa, si tratta di una dissonanza legale. Ciò provocherà il fatto che Israele sia visto come uno Stato dell’apartheid, cosa che non è,” ha detto.

“Non c’è alcun dubbio. Il governo di Israele semplicemente non può applicare le leggi della Knesset su territori che non sono sotto la sovranità dello Stato,” ha aggiunto Rivlin.

La legge approvata la scorsa settimana consente ad Israele di espropriare la terra palestinese di proprietari privati in Cisgiordania su cui sono state costruite colonie ed avamposti israeliani. Benché ciò non conceda ai coloni la proprietà della terra, permette loro di rimanervi e nega ai proprietari palestinesi il diritto di reclamare la terra “finché non ci sia una soluzione diplomatica sullo status dei territori.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




‘Un assassinio’: i palestinesi chiedono di agire contro la legge israeliana del furto di terre

di Sheren Khalel, 7 febbraio 2017,Middle East Eye

Le autorità affermano che lo scopo della legge che consente ad Israele di espropriare le proprietà palestinesi è l’annessione della maggior parte della Cisgiordania, e chiedono sanzioni internazionali.

BETLEMME, Cisgiordania occupata – Martedì la Knesset (parlamento) israeliana è stata accusata di “assassinare” le prospettive di un accordo di pace per due Stati, dal momento che i palestinesi, la comunità internazionale e le associazioni israeliane per i diritti umani hanno condannato l’approvazione del disegno di legge volto a legalizzare l’esproprio di terre di proprietà privata palestinese nella Cisgiordania e a Gerusalemme est, illegalmente occupate.

Il voto, che è passato con 60 a favore contro 52, è stato portato in aula pochi giorni dopo che le forze israeliane avevano evacuato l’avamposto israeliano di Amona, in seguito a una sentenza della Corte Suprema israeliana.

La decisione è stata applaudita da membri della destra israeliana, come Shuli Moalem-Refaeli – capo del partito Casa Ebraica (di estrema destra, ndtr.) ed uno dei co-promotori del disegno di legge – che, come riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, ha detto che la legge significa che gli israeliani residenti nelle colonie ‘non saranno più un obbiettivo delle organizzazioni estremiste di sinistra che intendono distruggere e danneggiare le colonie’.

Ma Mustafa Barghouti, leader del movimento ” Iniziativa Nazionale Palestinese”, ha detto a Middle East Eye che la legge ha rappresentato un punto di svolta nei rapporti tra palestinesi e israeliani.

Questa legge è un assassinio della soluzione dei due Stati”, ha detto Barghouti. “E’ un atto che mira all’annessione della maggior parte della terra in Cisgiordania.”

Mentre le autorità israeliane avevano già la possibilità di confiscare terre palestinesi sotto il pretesto della sicurezza, come anche della dichiarazione di utilizzo come terra dello Stato, adesso la nuova legge significa che la terra di proprietà privata palestinese può essere confiscata esclusivamente per la costruzione di colonie, il che è giudicato illegale dal diritto internazionale.

Sono certo che il prossimo passo di Israele sarà l’annessione della colonia di Maale Adumim”, ha detto Barghouti, riferendosi ad una colonia israeliana illegale situata nella zona E1 (a nord est di Gerusalemme, ndtr.) della Cisgiordania occupata.

In altri termini, Israele sta legalizzando le colonie con l’intenzione di annetterle a Israele, che è ciò che avverrà adesso.”

Le previsioni di Barghouti sono in linea con (quanto affermato dal) deputato israeliano Bezalel Smotrich, un altro co-promotore della legge, che l’ha definita “un passo storico verso il completamento di un processo che intendiamo avviare; l’applicazione della piena sovranità israeliana su tutte le città e le comunità in Giudea e Samaria [il termine usato dal governo di Israele per indicare la Cisgiordania].”

L’approvazione della legge segna la prima volta che la Knesset approva una legge che esercita giurisdizione sulla Cisgiordania.

Motivo di sanzioni’

Questa legge è senza dubbio motivo di sanzioni da parte della comunità internazionale”, ha detto Barghouti.

E adesso non vi sono giustificazioni per l’Autorità Nazionale Palestinese per rimandare un deferimento alla Corte Penale Internazionale – davanti a cui Israele dovrebbe comparire –; ogni mancanza di azioni punitive contro Israele dovrebbe ora essere ritenuta un’accettazione delle sue azioni.”

Husam Zumlot, il consigliere per le questioni strategiche del Presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha affermato che la prossima mossa a livello politico deve provenire dalla comunità internazionale.

La soluzione dei due Stati è stata sempre un progetto della comunità internazionale che noi abbiamo seguito, ma adesso è necessario che queste questioni, relative a ciò che dovrebbe accadere ora, vengano demandate alla comunità internazionale”, ha detto Zumlot.

La comunità internazionale deve decidere che cosa fare rispetto a questo progetto, perché questa legge è una risposta di Netanyahu alla recente risoluzione delle Nazioni Unite contro le colonie, all’iniziativa della Francia e alla comunità internazionale in generale.”

Zumlot ha aggiunto che l’ Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ha in programma di “riunirsi immediatamente” per discutere il da farsi.

Quando si riuniranno prenderanno le iniziative necessarie a salvaguardare gli interessi nazionali del popolo”, ha detto.

Abbas, che era a Parigi per colloqui col presidente francese Francois Hollande, ha definito la legge “un attacco contro il nostro popolo”, che va contro gli auspici della comunità internazionale.

Martedì Hanan Ashrawi, membro del comitato esecutivo dell’OLP, ha espresso opinioni analoghe, chiedendo sanzioni ed azioni punitive.

Pulizia etnica’

E’ indispensabile che la comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti e l’Unione Europea, assuma le proprie responsabilità morali, umane e giuridiche e metta fine all’illegalità di Israele ed al suo sistema di apartheid e di pulizia etnica”, ha detto.

L’assunzione di responsabilità dovrebbe includere misure punitive e sanzioni, prima che sia troppo tardi.”

Issa Amro, attivista palestinese e fondatore di “Giovani Contro gli Insediamenti”, ha detto a MEE che l’Autorità Nazionale Palestinese dovrebbe intraprendere ogni strada possibile per ottenere appoggio per azioni punitive contro Israele da parte della comunità internazionale, dalla Corte Penale Internazionale alle Nazioni Unite, ed azioni bilaterali degli Stati.

Ha aggiunto che l’ANP dovrebbe anche incoraggiare i palestinesi a manifestare contro la legge nelle strade.

Abbiamo bisogno di praticare la disubbidienza civile”, ha detto Amro. “L’ANP dovrebbe incoraggiare la disubbidienza civile per dimostrare la nostra opposizione alle azioni di Israele.”

L’associazione israeliana per i diritti “B’Tselem” ha definito la legge una “disgrazia per lo Stato e la sua autorità legislativa.”

L’associazione ha dichiarato: “La legge approvata oggi dalla Knesset prova una volta di più che Israele non intende porre fine al suo controllo sui palestinesi o al furto della loro terra”

Approvare la legge poche settimane dopo la risoluzione 2334del Consiglio di Sicurezza [in cui il Consiglio ha condannato l’attività di colonizzazione israeliana come ‘flagrante violazione’ del diritto internazionale] è uno schiaffo in faccia alla comunità internazionale. Se inserire l’esproprio in una legge costituisce uno sviluppo nuovo, in pratica è un altro aspetto del massiccio furto di terra portato avanti sfacciatamente per decenni dichiarandola ‘terra dello Stato’ ”.

Intanto Omar Shakir, direttore per Israele e Palestina di Human Rights Watch, ha affermato che la legge “annulla anni di consolidata legislazione israeliana.”

Intervenendo solo alcune settimane dopo l’unanime approvazione della risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza sull’illegalità delle colonie, la legge rispecchia il palese disconoscimento del diritto internazionale”, ha detto Shakir.

La legge consolida ulteriormente l’attuale realtà di permanente occupazione de facto in Cisgiordania, in cui i coloni israeliani ed i palestinesi che vivono sulla stessa terra sono soggetti a sistemi giuridici, norme e servizi ‘separati ed ineguali.’ ”

Shakir ha concluso la sua dichiarazione con una frecciata alla nascente relazione del presidente USA Donald Trump con Israele, affermando che “i dirigenti israeliani che guidano la politica di colonizzazione dovrebbero sapere che l’amministrazione Trump non può proteggerli dal controllo della Corte Penale Internazionale, dove il procuratore continua ad esaminare l’illegale attività di colonizzazione di Israele.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Quando i ‘giornalisti’ israeliani trasmettono [l’argomento] coloni

di Amira Hass, 6 febbraio 2017 Haaretz

Il sindaco di Silwad, un villaggio palestinese la cui terra è stata rubata a favore della colonia di Amona, ha detto che i coloni espulsi dall’insediamento dovrebbero tornare in Europa. La radio israeliana ha riportato queste considerazioni – ma non ha spiegato il contesto.

Mentre il ‘circo equestre’ di Amona veniva raccontato da ogni prospettiva, e con accondiscendenti accenti di comprensione per i ladri di terra, Reshet Bet, di radio Israele, si è presa il disturbo di raccontarci anche il punto di vista dei palestinesi. Indirettamente.

Il presidente del consiglio comunale di Silwad, uno dei villaggi la cui terra è stata rubata a favore della colonia, è stato intervistato da un canale televisivo collegato ad Hamas e ha detto che la soluzione per le persone evacuate (da Amona, ndtr.) è di ritornare in Europa, il luogo da cui sono venuti. La trasmissione faceva notare che il sindaco, Abd al-Rahman Abu Salh, era uno dei firmatari della petizione all’Alta Corte di Giustizia che si opponeva al trasferimento dell’avamposto in appezzamenti di terreno nei pressi della stessa collina.

Le considerazioni del sindaco mostrano una certa familiarità con il contesto etnico dei ladri di Amona e la loro difesa danzante (alcuni dei coloni di Amona si sono messi a ballare per protesta durante l’evacuazione, ndtr.); a ragione non ha detto che dovrebbero tornare in Marocco o in Iraq. Ma torniamo all’intervista: non era certo inopportuno trasmetterla. Anche nelle conversazioni quotidiane con i palestinesi simili opinioni vengono a volte espresse, e non solo relativamente ai residenti di uno specifico insediamento. Non si tratta solo di un punto di vista: ho sentito dei palestinesi che sono convinti che gli ebrei stiano lasciando Israele in gran numero. Vuoi a causa della minacciosa forza militare di Hamas, con Allah dalla sua parte, vuoi alla ricerca di una vita più facile, o perché gli ebrei comprendono che non appartengono a questo luogo. C’è anche chi cita il preciso versetto del Corano che profetizza la partenza degli ebrei.

Però c’è anche chi parla diversamente: per esempio A., sessantenne di Gaza, devoto musulmano, che è spaventato da Hamas. “In quanto credente musulmano, ha detto una volta, non posso immaginare questa terra senza ebrei.” L. ha detto esattamente la stessa cosa. E’ un’atea proveniente da una famiglia cristiana in Galilea. “Dopotutto, voi siete parte di questo luogo”, ha detto. E ci sono dei rifugiati che citano sempre i loro genitori e nonni che dicevano: “Abbiamo vissuto da buoni vicini con gli ebrei.”

Ogni considerazione è fatta in un certo contesto e loro non possiedono una sola verità assoluta. Tranne la seguente: i palestinesi sono soggetti al regime israeliano di sadismo organizzato.

Se 20 anni fa hanno pensato che sarebbe presto finito, oggi è chiaro che Israele vuole solo proseguirlo e incrementarlo, rendendolo più efficiente e permanente. L’intifada del popolo ha fallito. I negoziati di pace si sono rivelati un inganno. La diplomazia è stata sconfitta. La lotta armata è un’arma a doppio taglio. Per ogni battaglia vinta contro il furto di terra, ve ne sono dozzine in cui alla fine la terra resta in mano ai coloni. Gli ebrei hanno provato a chiunque non lo sapesse o non fosse d’accordo, che l’entità che hanno creato è colonialista. In altre parole, aspira a sostituire un popolo con un altro, a deportare un popolo in nome dei prescelti da dio.

Israele agisce e i palestinesi in risposta dicono cose al limite della disperazione o cose che possano dare la speranza che sia possibile un cambiamento in meglio. Il confine che separa il delirio dalla speranza, la speranza dalla disperazione, è molto sottile ed è tracciato dalle politiche israeliane.

La notizia è stata trasmessa dalla radio israeliana con voce solenne, con il sottinteso che “quelli che conoscono la faccenda capiranno”. E noi abbiamo capito che il vero problema è che quei contadini sono semplicemente antisemiti. Non solo non hanno offerto pane e sale ai ladri della loro terra, ma gli hanno addirittura fatto causa ed hanno rubato il loro tempo prezioso, che altrimenti sarebbe stato dedicato alle devote preghiere al “Dio degli Ospiti” (una delle definizioni bibliche di dio, ndtr).

La trasmissione della radio israeliana dava l’impressione che la dichiarazione del sindaco di Silwad fosse essenzialmente estemporanea (negando i diritti degli ebrei) e priva di qualsiasi contesto. O che il contesto del sistematico, brutale e cinico furto non fosse importante. E tra l’altro, la colonia di Ofra è anch’essa costruita sulle terre di Silwad.

Ogni articolo di giornale è inserito in un contesto. Lo stesso vale per tutti gli articoli che nessuno si dà la pena di pubblicare: anch’essi hanno un contesto. Sulla radio israeliana possiamo ascoltare informazioni dalle forze di sicurezza palestinesi sulla cattura di aggressori armati di coltelli, come anche le voci dei politici palestinesi. Ma non possiamo trovarvi le notizie quotidiane sulle sistematiche demolizioni di strutture palestinesi in Cisgiordania, sul trasferimento di comunità di agricoltori e pastori per far posto a zone di addestramento dell’esercito israeliano, sui sistematici divieti di costruzione per i palestinesi, sulle limitazioni di movimento e le incursioni nelle case.

Reshet Bet non fa esattamente l’impossibile nemmeno per indagare sulle circostanze delle uccisioni da parte dell’esercito israeliano di donne e giovani palestinesi che non mettevano in pericolo la vita dei soldati. E tra l’altro non c’è bisogno di svolgere indagini indipendenti. Si può citare il lavoro sul campo di B’Tselem, trasmettere la risposta del portavoce dell’esercito e, in nome della santa imparzialità, intervistare qualcuno di Regavim o Kahana Chai (gruppi israeliani estremisti di estrema destra, ndtr.). Agli ascoltatori di Reshet Bet è stato evitato tutto questo, di proposito.

Il contesto delle vicende che vengono pubblicate e che non vengono pubblicate è lo stesso: mobilizzazione in nome dell’impresa coloniale, mentre si impedisce l’informazione che potrebbe sollevare dubbi sulle intenzioni di Israele e sulla logica delle sue politiche. Naturale diffidenza, impegno, curiosità e volontà di descrivere una grande varietà di fenomeni – tutto questo è assente nelle trasmissioni pubbliche quando si tratta delle vita dei palestinesi sotto il regime israeliano. In questo caso siamo anzitutto israeliani e coloni, o coloni potenziali. Mai giornalisti.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)