Israele: la coalizione di governo perde la maggioranza dopo le sorprendenti dimissioni di una parlamentare

Redazione di MEE e agenzie

6 aprile 2022 – Middle East Eye

Idit Silman rinuncia dopo un diverbio riguardo a una sentenza della Corte Suprema che elimina il divieto del pane lievitato durante le festività di Pesach.

Mercoledì la coalizione di governo di Israele ha perso la maggioranza dopo che una deputata del partito del primo ministro Naftali Bennett “Yamina” ha detto che aveva deciso di andarsene.

Le dimissioni di Idit Silman, presidentessa della coalizione di governo, ha lasciato l’alleanza di Bennett con 60 voti, lo stesso numero dell’opposizione.

Non c’è un pericolo immediato che il governo cada, in quanto l’opposizione non è unita. Nella sua dichiarazione Silman ha auspicato la creazione di un governo di destra “anche con l’attuale Knesset” – un invito alla coalizione di Bennett a farlo cadere prima delle prossime elezioni, che sono previste nel 2025.

“Ho cercato il cammino dell’unità. Ho lavorato molto per questa coalizione”, ha detto nella dichiarazione Silman, una conservatrice religiosa [in realtà dell’estrema destra nazional-religiosa, ndt.].

“Mi spiace ma non posso contribuire a danneggiare l’identità ebraica di Israele,” ha aggiunto.

Lunedì Silman si era scagliata contro il ministro della Sanità Nitzan Horowitz dopo che questi aveva dato indicazione agli ospedali di consentire [l’introduzione di] prodotti da forno lievitati nelle loro strutture durante le prossime festività di Pesach [la Pasqua ebraica, ndt.] in linea con una recente sentenza della Corte Suprema che ha annullato anni di divieti.

In base alla tradizione ebraica durante Pesach nei luoghi pubblici il pane lievitato è proibito. La presa di posizione di Silman ha messo in crisi i tentativi di Bennett di tenere insieme una fragile alleanza di partiti che vanno dalla destra al centro sinistra fino a un partito palestinese.

Secondo il quotidiano Haaretz era previsto che Bennett, che al momento non ha fatto alcuna dichiarazione, incontrasse Silman martedì prima che lei annullasse la riunione all’ultimo minuto.

Il ministro degli Affari Religiosi Matan Kahane, del partito di Bennett, ha detto che l’annuncio di Silman è stato una sorpresa.

“Spero che possa essere modificato,” ha detto Kahane alla radio dell’esercito. “Questo governo sta facendo cose buone per la Nazione.”

Netanyahu ha accolto positivamente le dimissioni 

Dopo l’annuncio Silman è stata calorosamente accolta dagli stessi politici di destra che l’avevano attaccata senza sosta da quando Bennett si è rimangiato le promesse elettorali e lo scorso anno ha formato con lei una coalizione di governo.

“Idit, sei la prova che quello che ti guida è la preoccupazione per l’identità ebraica di Israele, per la terra di Israele, e ti do il benvenuto di nuovo a casa nel campo nazionale [coalizione informale di partiti nazionalisti di destra e religiosi, attualmente all’opposizione, ndt.],” ha detto in una registrazione video il capo dell’opposizione e segretario del [partito] Likud Benjamin Netanyahu.

“Chiedo a chiunque sia stato eletto con i voti del campo nazionale di unirsi a Idit e a tornare a casa, sarete ricevuti con i dovuti onori e a braccia aperte,” ha affermato l’ex-primo ministro di destra.

Secondo Haaretz Silman si è accordata con persone vicine a Netanyahu per entrare nelle liste del Likud alle prossime elezioni.

Il giornale ha informato che un importante membro della coalizione ha affermato che le è stato promesso il ruolo di ministra della Salute in qualunque governo guidato dal Likud.

Per formare una sua coalizione senza nuove elezioni Netanyahu avrebbe bisogno dell’appoggio di almeno 61 parlamentari, di cui attualmente non dispone.

Il politico di estrema destra Bezalel Smotrich, del partito Sionismo Religioso, un tempo alleato di Bennett, ha espresso il proprio apprezzamento nei confronti di Silman per il suo “coraggio di fare un passo difficile” e ha previsto che la coalizione di governo non sopravviverà al cambiamento.

“Questo è l’inizio della fine de governo di sinistra e non sionista di Bennett e del Movimento Islamico [partito degli arabo-israeliani che fa parte dell’attuale coalizione di governo, ndt.],” ha scritto su Twitter.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Perché un parlamentare israeliano dell’estrema destra ha fatto irruzione nella moschea Al-Aqsa?

Nabil Al-Sahli

5 aprile 2022 – Middle East Monitor 

Giovedì scorso un parlamentare israeliano dell’estrema destra ha fatto irruzione nei cortili della moschea Al-Aqsa. Durante l’azione l’estremista Itamar Ben-Gvir è stato protetto da una massiccia presenza della polizia. La sua incursione rientra nel contesto dell’obiettivo israeliano politico-strategico a lungo termine di ebraizzare la Gerusalemme occupata e i suoi monumenti religiosi, il più importante dei quali è il Nobile Santuario di Al-Aqsa.

È evidente che con le sue mosse aggressive il governo di occupazione cerchi l’escalation a Gerusalemme in generale e nella moschea Al-Aqsa in particolare. Già sostiene la divisione temporale e spaziale fra i nativi gerosolimitani palestinesi e i coloni ebrei con lo scopo ultimo di imporre l’ebraizzazione come fatto compiuto.

Il ritmo delle irruzioni nella moschea Al-Aqsa da parte di figure politiche e religiose sioniste è aumentato, come sono cresciute anche le richieste di dividere la moschea fra musulmani ed ebrei, e a ciò è stato dedicato molto tempo nel dibattito fra vari partiti israeliani.

L’intenzione delle ripetute incursioni nella moschea da parte dello Stato israeliano d’apartheid è di permettere agli ebrei di svolgervi le preghiere talmudiche cosa che “giustificherebbe” l’abietta richiesta di dividere Al-Aqsa, così come in passato la falsa giustificazione fu usata per dividere la moschea di Abramo [tomba dei Patriarchi per gli ebrei, ndtr.] a Hebron. Vale la pena di far notare che Israele non si fermerà a questo obiettivo di breve termine. È ben noto che i leader israeliani e i coloni ebrei estremisti vogliono distruggere tutti i luoghi di preghiera musulmani nel Nobile Santuario e costruire al loro posto un tempio.

Richieste di dividere e occupare la moschea di Al-Aqsa per costruire un tempio non sono nulla di nuovo, sono state fatte con veemenza dal 1967, quando Israele occupò e successivamente annesse la parte orientale di Gerusalemme, un’annessione che rimane illegale ai sensi del diritto internazionale. Fra chi ha avanzato queste richieste ci sono leader politici, militari, religiosi ed esponenti dei diritti umani dello Stato di occupazione. Sono spesso molto visibili durante le campagne elettorali israeliane, quando i candidati rivaleggiano fra loro per attrarre il crescente voto dei coloni.

Una delle irruzioni più gravi fu quella dell’11 luglio 1971 da parte di un gruppo di dodici giovani del movimento Betar [del sionismo revisionista di destra, ndt.]. Cercarono di pregare nella moschea Al-Aqsa quando agli ebrei era proibito dalle stesse autorità religiose [ebraiche] di entrare nel complesso. Undici giorni dopo un altro gruppo di ebrei dello stesso movimento riuscì a pregare nella moschea.

L’irruzione più pericolosa nel Nobile Santuario Al-Aqsa avvenne il 28 settembre 2000 da parte dell’allora leader del partito di destra Likud Ariel Sharon, protetto da decine di soldati e coloni. Quella “visita provocatoria” scatenò l’Intifada (Insurrezione) di Aqsa, durante la quale furono uccisi e feriti migliaia di palestinesi.

Nel 2009 ci fu il record di irruzioni israeliane nella moschea Al-Aqsa. Nel settembre di quell’anno membri di un’unità della polizia di occupazione conosciuta come gli “esperti di esplosivi” si aggirarono nel santuario e nella moschea. Nello stesso mese gli scontri fra fedeli musulmani, polizia israeliana e gruppi di ebrei dentro la moschea Al-Aqsa e ai suoi ingressi si conclusero con 16 palestinesi feriti e numerosi arresti.

Negli ultimi anni le incursioni contro Al-Aqsa e i suoi cortili sono aumentate. L’anno scorso in maggio durante il mese del Ramadan coloni estremisti protetti dalla polizia e dall’esercito di occupazione sono entrati nel santuario, una mossa che ha causato una sollevazione che ha coinvolto palestinesi nei territori occupati, inclusi quelli occupati nel 1948 [cioè in Israele, ndt.] come anche più in generale nella diaspora. L’unità nazionale è stata stabilita in modo chiaro ed evidente.

L’irruzione dentro Al-Aqsa da parte di Itamar Ben-Gvir non è la prima e non sarà l’ultima da parte di un israeliano, politico, giudice o membro dei vari servizi di sicurezza. Gruppi di coloni ebrei estremisti protetti da polizia ed esercito di occupazione israeliani entrano frequentemente dentro Al-Aqsa.

Quello che è certo in tutto ciò è che Israele ha cominciato ad accelerare i suoi piani di ebraizzare Gerusalemme e passare alla fase in cui riusciranno a costruire un tempio a spese della moschea benedetta di Al-Aqsa.

Alcuni analisti credono che l’incursione di Ben-Gvir suggerisca che Israele intende avvantaggiarsi dell’intrinseca tendenziosità filoisraeliana riguardo all’occupazione dell’amministrazione Biden e di altri alleati occidentali. Facendo ciò spera anche di avvantaggiarsi della scandalosa e continua divisione politica palestinese per rafforzare la sua morsa su Gerusalemme ed ebraizzarne tutti gli aspetti della vita.

Incursioni nel Nobile Santuario di Al-Aqsa e la sua profanazione da parte di coloni ebrei illegali e altri colonizzatori sionisti, indipendentemente dalla loro affiliazione politica, riflette le decisioni prese dai vari governi israeliani che si sono succeduti per controllare la moschea e imporvi un’assoluta sovranità israeliana ebraica. L’idea della divisione temporale e spaziale della moschea non è più solo uno slogan, sta già accadendo come preludio all’ebraizzazione della città occupata di Gerusalemme, il cui primo obiettivo è la benedetta moschea di Al-Aqsa, il terzo luogo di culto più sacro dell’Islam.

Ciò richiede una risposta da parte del mondo arabo e islamico per far pressione sulla comunità internazionale per una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, vincolante per tutti gli Stati membri, incluso Israele, al fine di prevenire la divisione della moschea Al-Aqsa e che condanni tutte le misure israeliane volte a cambiare il carattere della città di Gerusalemme in generale e della moschea in particolare. Ciò darà anche maggiore rilievo alla dimensione araba e islamica del problema di Gerusalemme e al rischio a cui è esposta Al-Aqsa. La richiesta che l’Onu metta in pratica le sue risoluzioni emesse dal 1967 e relative alla città di Gerusalemme, alla moschea di Al-Aqsa e a tutte le altre zone sacre può quindi essere posta con maggiore serietà. Tali risoluzioni richiedono la cessazione dell’espansione delle colonie, il loro smantellamento e l’annullamento dei cambiamenti forzati imposti dall’occupante Stato di Israele.

Essendo cominciato da pochi giorni il mese del Ramadan del 2022, resta la domanda se vedremo o no un’altra sollevazione palestinese contro le continue politiche israeliane di ebraizzazione come le incursioni di coloni nel Nobile Santuario della moschea di Al-Aqsa.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La polizia israeliana ferisce e arresta decine di palestinesi a Gerusalemme dopo la settimana di attentati letali in Israele e Cisgiordania

Yumna Patel

4 aprile 2022 – Mondoweiss

Lo scorso anno la violenza della polizia israeliana contro i palestinesi a Gerusalemme durante il Ramadan è stata il principale innesco delle proteste palestinesi che sono sfociate nella rivolta di maggio 2021.

Durante il weekend le forze israeliane hanno ferito e arrestato decine di palestinesi nella Gerusalemme est occupata, quando i musulmani davano inizio al mese sacro del Ramadan.

Secondo fonti di informazione palestinesi, domenica le forze israeliane hanno arrestato almeno 13 palestinesi e ne hanno ferito una ventina fuori dalla Porta di Damasco della Città Vecchia a Gerusalemme est. 

La polizia israeliana ha disperso con la forza assembramenti di palestinesi nell’area, colpendo parecchie persone con bastoni e facendo uso di proiettili d’acciaio ricoperti di gomma e granate assordanti contro i manifestanti.


La Mezzaluna Rossa palestinese ha riferito che sono stati feriti 19 palestinesi, quattro dei quali sono stati ricoverati in ospedale.

Sui social media sono circolati dei video di poliziotti israeliani, sia in uniforme che in borghese, che picchiano violentemente ed arrestano giovani palestinesi. Pare che un video mostrasse la polizia che aggrediva un vecchio palestinese mentre si opponeva all’arresto del figlio.

Alcune ore prima che scoppiassero i disordini il Ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha fatto il giro della Città Vecchia accompagnato da una nutrita scorta di poliziotti, cosa che le fazioni palestinesi hanno denunciato come una “visita provocatoria”.

Middle East Eye ha riferito che sabato le forze israeliane hanno arrestato almeno altri quattro palestinesi con l’accusa di “sommossa e aggressione a poliziotti.”

E’ probabile che le tensioni dentro e attorno alla Città Vecchia continuino a salire nelle prossime settimane, mentre ci si aspetta che gruppi di coloni israeliani conducano visite con la scorta della polizia alla spianata della Moschea di Al-Aqsa in occasione delle imminenti festività ebraiche.

La Porta di Damasco è l’ingresso principale al quartiere musulmano della Città Vecchia ed è un luogo consueto di raduno per i palestinesi della città, soprattutto durante il mese del Ramadan. La zona è spesso teatro di violenze della polizia israeliana contro i palestinesi, in quanto le forze israeliane hanno una postazione di sicurezza permanente vicino alla Porta.

L’anno scorso le violenze della polizia contro i palestinesi alla Porta di Damasco durante il Ramadan e i successivi attacchi alla spianata di Al-Aqsa hanno costituito il principale innesco delle proteste palestinesi che sono sfociate nei disordini del maggio 2021.

L’offensiva del weekend giunge al culmine di una settimana di violente tensioni in Israele e nella Cisgiordania occupata.

Sabato prima dell’alba le forze israeliane hanno sparato, uccidendoli, a tre palestinesi nel corso di quella che gli abitanti del luogo hanno definito un’ “imboscata” nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania. Alcuni giorni prima, giovedì, le forze israeliane hanno sparato ed ucciso due palestinesi, compreso un adolescente, e ne hanno ferito altri 14 durante un’incursione nel campo profughi di Jenin.

I recenti raid letali hanno fatto seguito a diversi attacchi in Israele, nel corso dei quali sono rimasti uccisi 11 israeliani e quattro palestinesi.

Il 29 marzo un giovane palestinese della Cisgiordania è stato ucciso dopo aver aperto il fuoco nella città israeliana di Bnei Brak, uccidendo cinque israeliani. Nello stesso giorno un altro palestinese è stato ucciso su un autobus in Cisgiordania, dopo aver presumibilmente accoltellato e ferito un colono israeliano, secondo il quotidiano Haaretz.

Il 27 marzo due palestinesi sono stati uccisi dopo aver aperto il fuoco ed ucciso due poliziotti israeliani nella città israeliana di Hadera. Un altro palestinese è stato colpito a morte il 22 marzo dopo aver ferito a coltellate quattro persone nella città di Beer al-Sabe (Be’er Sheba) nella regione del Naqab (Negev) nel sud di Israele.

(Traduzione dall’inglese di CristianaCavagna)




Il Consiglio per i Diritti Umani adotta la prima risoluzione a favore della Palestina

31 marzo 2022 – Middle East Monitor

Martedì il Consiglio per i Diritti Umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ha approvato [quasi, n.d.t.] all’unanimità una risoluzione per accertare le responsabilità e per il conseguimento della giustizia in Palestina.

37 Paesi hanno votato a favore della risoluzione, 7 si sono astenuti e 3 hanno votato contro.

Il ministero palestinese per gli Affari Esteri e per gli Emigrati ha accolto positivamente la risoluzione dell’UNHRC, ringraziando gli Stati membri che hanno votato a favore della bozza di risoluzione presentata dallo Stato di Palestina.

In una dichiarazione il ministero ha affermato che il voto unanime riflette “la salda posizione degli Stati membri sull’importanza della responsabilità del regime coloniale e di apartheid israeliano”.

Secondo il comunicato, 37 Nazioni hanno votato a favore della risoluzione, tra cui Paesi arabi ed europei, la Cina e importanti Nazioni in Africa e in Asia, mentre sette si sono astenute, cioè Ucraina, Regno Unito, Camerun, Isole Marshall, India, Nepal e Honduras. Malawi, Brasile e Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione.

Il ministero ha affermato che “il consenso internazionale e il voto in favore della risoluzione sulla Palestina è una forma di protezione per il popolo palestinese e per preservare i suoi diritti, il che condurrebbe in ultima istanza allo smantellamento del regime israeliano di apartheid,” aggiungendo che il voto è una prova “dell’impegno di queste Nazioni nel garantire che sia chiesto conto a coloro che si sono macchiati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità a danno del popolo palestinese.

Il ministero ha sollecitato la comunità internazionale a “chiedere conto allo Stato di Israele e ai criminali di guerra israeliani” e ha sottolineato che “la politica dei doppi standard e del carattere selettivo nell’implementazione delle leggi del diritto internazionale rischia di indebolire l’ordine internazionale basato sul diritto.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Forze israeliane hanno ucciso tre palestinesi in un’imboscata a Jenin

Shatha Hammad

2 aprile 2022 – Middle East Eye

Testimoni oculari hanno raccontato a Middle East Eye che forze speciali israeliane su un autobus hanno bloccato un veicolo che trasportava i tre uomini ed hanno aperto il fuoco

Jenin, Palestina occupata –Prima dell’alba di sabato soldati israeliani hanno ucciso tre palestinesi durante un’imboscata nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata.

Un testimone oculare ha detto a Middle East Eye che alle 2 del mattino ora locale nei pressi dell’incrocio con il villaggio di Arraba, a sud ovest di Jenin e del checkpoint israeliano di Dotan, un autobus bianco ha bloccato un veicolo che trasportava i tre uomini.

Poi forze speciali israeliane sono scese dall’autobus ed hanno aperto il fuoco contro i tre uomini, ha affermato il testimone, che preferisce rimanere anonimo.

Si trattava di Saeb Abahra, 30 anni, Khalil Tawalbeh, 24, e Saif Abu Libda, 25.

Tutti e tre erano membri delle Brigate di al-Quds (Saraya al-Quds), l’ala militare del movimento palestinese Jihad Islamica.

Dopo l’operazione, durata circa un’ora, i loro corpi sono stati trattenuti dall’esercito.

Le forze di sicurezza israeliane hanno sostenuto che quando hanno cercato di arrestarli i palestinesi hanno aperto il fuoco contro di loro, provocando una sparatoria.

Quattro soldati israeliani, di cui uno in condizioni critiche, sono rimasti feriti.

Secondo il testimone subito dopo l’inizio della sparatoria è arrivato sul posto un gran numero di rinforzi dell’esercito israeliano.

Ha aggiunto di aver visto molto sangue sul parabrezza e nell’auto, che è stata sequestrata dall’esercito.

Inoltre egli ha sostenuto che i soldati israeliani non hanno fornito assistenza medica ai tre uomini.

Anche la Mezzaluna Rossa palestinese ha affermato che l’esercito ha impedito alle sue ambulanze di avvicinarsi al luogo dello scontro.

Un secondo testimone del vicino villaggio di Araba ha detto a MEE di aver sentito un’intensa sparatoria nella zona, per cui lui e un gruppo di abitanti del villaggio si sono recati sul posto e vi hanno trovato decine di soldati israeliani con veicoli civili.

Ha aggiunto che i militari non hanno consentito loro di avanzare, hanno sparato contro gli abitanti e li hanno presi di mira con i laser per impedire che si avvicinassero.

Khader Adnan, un dirigente della Jihad Islamica di Jenin, ha denunciato l’operazione come un’ostentazione di forza da parte dell’esercito israeliano che, ha affermato, ha commesso due crimini: prima ha assassinato i tre palestinesi, poi ha impedito che venissero curati.

Dov’è la Croce Rossa internazionale e dove sono le organizzazioni internazionali per i diritti umani che lavorano in Palestina sui crimini commessi dall’esercito di occupazione contro di noi?” ha detto Adnan a MEE.

I dirigenti politici israeliani pagheranno il prezzo del sangue dei martiri palestinesi,” ha aggiunto. In un comunicato le Brigate di al-Quds hanno affermato: “Piangiamo la morte dei nostri tre eroici combattenti,” aggiungendo che due di loro erano di Jenin e uno di Tulkarem.

Venerdì notte combattenti palestinesi avevano fatto una sfilata militare nel campo profughi di Jenin per commemorare il ventesimo anniversario dell’operazione dell’esercito israeliano nel campo durante la Seconda Intifada, diventato un importante simbolo dell’oppressione israeliana e della resistenza palestinese.

Dallo scorso anno Jenin ha assistito al rinascere della resistenza armata. Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) hanno cercato per mesi di arrestare i 25 -30 sospetti a loro noti. Giovedì truppe israeliane avevano fatto un’irruzione a Jenin nel tentativo di operare alcuni arresti, ma erano state respinte dai miliziani palestinesi.

Due civili palestinesi che protestavano contro il raid erano stati colpiti a morte dalle truppe israeliane.

Le uccisioni di sabato sono avvenute mentre, in seguito a tre recenti attacchi che hanno portato alla morte di 11 israeliani, Israele ha alzato il livello di allerta al massimo dal maggio dello scorso anno.

Sono anche accadute nel primo giorno del Ramadan, un mese in cui molti temono si assisterà a ulteriori tensioni, con i piani dei coloni israeliani di fare irruzione nella moschea di al-Aqsa a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Le truppe israeliane uccidono due palestinesi in un’incursione armata a Jenin

Shatha Hammad

31 marzo 2022 – Middle East Eye

Un terzo palestinese è stato colpito e ucciso a Betlemme da un civile israeliano armato dopo che avrebbe accoltellato un altro israeliano su un autobus

Il ministero palestinese della Sanità e i media locali hanno affermato che tre palestinesi sono stati uccisi giovedì mattina dalle forze israeliane in diversi incidenti nella Cisgiordania occupata.

Durante una incursione mattutina nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania, i soldati israeliani hanno ucciso due palestinesi identificati come Sanad Abu Atiyeh di 17 anni e Yazid Saadi di 23.

Nella citta di Betlemme, nel sud della Cisgiordania, un terzo palestinese è stato ucciso, a quanto si dice dopo un tentativo di accoltellare un israeliano.

Il ministero della Sanità ha affermato che Atiyeh e Saadi sono morti a causa delle ferite da arma da fuoco dopo essere arrivati all’ospedale Ibn Sina di Jenin con serie lesioni. Circa 15 persone sono state ferite dalle pallottole durante l’incursione israeliana. Almeno tre sono in condizioni critiche.

L’incursione dell’esercito ha provocato scontri tra civili e soldati ed anche uno scontro armato con i combattenti palestinesi nel campo profughi di Jenin.

Delle vittime palestinesi, solo una ha subito ferite nella sparatoria. Le altre, incluse le due uccise, sono state colpite mentre tiravano pietre e tentavano di fermare i soldati che avanzavano dentro il campo.

Secondo Haaretz, un soldato israeliano della unità sotto copertura Duvdevan [composta da militari vestiti come i palestinesi e che parlano in arabo, n.d.t.] durante l’operazione ha riportato una ferita alla spalla.

Dallo scorso anno il campo di Jenin ha visto un incremento delle incursioni violente da parte dell’esercito israeliano che spesso provocano degli scontri a fuoco con i combattenti armati nel campo fortificato.

A Betlemme un palestinese avrebbe tentato di accoltellare un israeliano su un autobus vicino la colonia illegale di Efrat. Haaretz ha riferito che un trentenne israeliano è rimasto gravemente ferito.

Il palestinese, identificato come Nidal Ja’afrah di Bethlehem, è stato colpito a morte da un passeggero israeliano armato che si trovava sull’autobus.

La settimana scorsa 11 israeliani sono stati uccisi in tre differenti attacchi da palestinesi in alcune città israeliane.

A seguito delle violenze la polizia israeliana e le forze armate hanno alzato il livello di allarme al più alto da maggio dello scorso anno.

In seguito agli attacchi mercoledì il primo ministro israeliano Naftali Bennet ha invitato chi possiede armi a portarle anche in luoghi pubblici.

Incursione di ‘ritorsione’

Atta Abu Rumaila, il segretario del movimento Fatah a Jenin, ha affermato che l’incursione di mercoledì a Jenin è stata effettuata come “vendetta” per la sparatoria nel sobborgo di Bnei Brak a Tel Aviv, in cui un palestinese della città di Yabad, vicino a Jenin, ha ucciso cinque israeliani.

Abu Rumaila ha detto: “L’occupazione vuole sollevare il morale della sua società con ulteriori uccisioni e crimini contro di noi”.

Ha aggiunto che l’esercito israeliano ha inviato numerose forze nel campo di Jenin, ma che lo hanno lasciato senza arrestare nessuno dei giovani che intendevano arrestare.

Due degli uomini arrestati sono stati identificati come Barakat Shreim e Kamal Lahluh, il padre di Baraa Lahluh, l’uomo ricercato dall’esercito israeliano.

Nella vicina Yabad, la città natale di Diya Hamarshah, autore della sparatoria a Bnei Brak, per due giorni di seguito le truppe israeliane hanno preso d’assalto la casa di suoi parenti e l’hanno perquisita.

Le suppellettili sono state distrutte e i membri della famiglia sono stati sottoposti a interrogatori sul posto. Fotografie di Diya e bandiere palestinesi sono state strappate. I soldati hanno anche arrestato Islam Ba’jawi, un amico di Hamarshah.

L’intensificato clima di violenza nello Stato di Israele e in Palestina giunge alla vigilia del mese sacro mussulmano del Ramadan e del primo anniversario della sollevazione dello scorso maggio.

In precedenza le autorità israeliane avevano affermato che permetteranno ai coloni protetti dalla polizia di entrare in massa nella moschea di Al-Aqsa durante la festività della pasqua ebraica, che cade durante il Ramadan.

I palestinesi vedono le incursioni israeliane nella moschea come altamente provocatorie, specialmente durante il Ramadan, quando al-Aqsa è piena di fedeli. Molti hanno avvertito che tali incursioni aumenteranno le tensioni.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




50 membri del Congresso [USA] si oppongono ai piani israeliani di demolire 38 case palestinesi.

Philip Weiss

28 marzo 2022 – Mondoweiss

Con un atto di insolita opposizione all’infinita occupazione israeliana, 50 membri del Congresso hanno firmato una lettera al Segretario di Stato Antony Blinken esortandolo a cercare di fermare la demolizione israeliana di 38 case palestinesi ad al-Walaja, un villaggio nella Cisgiordania occupata perché le demolizioni minano la “dignità palestinese” e “a lungo termine, la sicurezza israeliana”.

Come parte dei piani per la grande Gerusalemme, Israele prevede di mettere sulla strada 360 palestinesi per fare spazio agli insediamenti ebraici.

La Corte Suprema israeliana deciderà su un appello dei palestinesi il 30 marzo. (I palestinesi hanno costruito le case senza permessi; ma Israele nega comunque quasi tutte le richieste di costruzione nell’Area C dell’occupazione. [l’area sotto diretto controllo di Israele, ndt])

Alla domanda specifica su al-Walaja, un alto assistente del Dipartimento di Stato ha suggerito la scorsa settimana che Blinken avrebbe sconsigliato le demolizioni in quanto “passi unilaterali” che minano la cosiddetta soluzione dei due Stati.

Tra i firmatari della lettera del Congresso su al-Walaja figurano molti [democratici] progressisti, come Betty McCollum, Marie Newman, Ilhan Omar e Jamaal Bowman, così come i deputati liberal di J Street [una organizzazione ebraica statunitense favorevole alla soluzione dei “due Stati”, ndt], Jared Huffman, Jennifer Wexton e Andy Levin. E diversi ebrei, tra cui Jan Schakowsky, Jamie Raskin, Steve Cohen, John Yarmuth e Levin.

contro le demolizioni di al-Walaja. Americans for Peace Now le definisce “moralmente sbagliate”, nonché un ostacolo alla possibilità che i palestinesi ottengano mai una capitale per uno Stato palestinese a Gerusalemme. Ameinu [Ameinu, che in ebraico significa “il nostro popolo”, è una comunità di ebrei progressisti in Canada, Stati Uniti, Australia e Brasile, ndt] ha descritto la secolare coltivazione di ulivi, frutta e verdura sui terrazzamenti del villaggio di cui gli insediamenti ebraici illegali desiderano impadronirsi. J Street ha postato contro le demolizioni antecedenti.

Il problema di questo villaggio è emerso durante un dibattito congressuale per le primarie nel Michigan lo scorso giovedì. Due membri democratici del Congresso competono per un distretto suburbano di Detroit recentemente formato con l’unione di due distretti. Una delle principali tematiche in questa competizione è: quanto ti è permesso criticare Israele. La rappresentante Haley Stevens è stata appoggiata dall’AIPAC [American Israel Public Affairs Committee], la lobby israeliana di destra; lei non critica mai Israele. Il rappresentante Andy Levin fa parte di J Street. Si definisce un “audace progressista” e talvolta critica Israele, ed è stato attaccato come “corrosivo” da un ex leader dell’AIPAC.

Si dice che Levin e Stevens siano vicini nei sondaggi. Le primarie sono il 2 agosto e gli ebrei sono elettori chiave nel distretto.

Nel forum condotto dal gruppo filo-israeliano Jewish Democratic Council of America Levin ha criticato le demolizioni di Walaja definendole “ingiuste”. Ha chiesto condizioni sull’impiego dei 4 miliardi di dollari di aiuti ad Israele, ma non proponendo nessun taglio degli aiuti.

È importante garantire che i nostri aiuti militari a Israele siano utilizzati per legittimi scopi di sicurezza. Questo è qualcosa che facciamo anche con il nostro aiuto a tutte le altre nazioni. Non vogliamo che i nostri aiuti vengano utilizzati per perpetuare o estendere l’occupazione, o per eseguire azioni ingiuste come demolizioni di case, sfollamenti forzati o violenze contro i civili. Incidenti come la potenziale demolizione delle case di 300 persone nel villaggio di al-Walaja che potrebbe accadere proprio ora danneggiano famiglie innocenti e allontanano le prospettive di pace.

Stevens non è d’accordo. E’contraria a qualsiasi vincolo sugli aiuti a Israele, considera lo status di Gaza e della Cisgiordania “di lunga contesa”, considera l’Iran il “vero problema” nella regione e non vuole fare pressione su Israele “perché faccia tutte le concessioni”. Stevens ha sollevato un drappo rosso per gli elettori pro-Israele: la convinzione del direttore di Amnesty International che Israele non dovrebbe essere uno Stato ebraico.

In questo momento ci troviamo in una situazione in cui il capo di Amnesty International ha messo in discussione il diritto di Israele di esistere come Stato ebraico. Trovo ciò del tutto inaccettabile e offensivo per le mie convinzioni e per come penso che dobbiamo fare come paese e come mondo, e non ho paura di denunciarlo.

Levin ha giocato ripetutamente la carta ebraica.

Non vedo un modo per avere un futuro pacifico e sicuro per una patria democratica per il mio popolo a meno che non teniamo conto dei diritti politici e umani dei palestinesi. So che è difficile, so che è controverso. Non mi sono candidato per un lavoro facile. Mi collocherò in questa frattura e lavorerò con israeliani e palestinesi per riunire le parti e lavorare per la soluzione dei due Stati in modo che finalmente potremo avere pace e sicurezza nella regione.

La mozione [presentata al Congresso, ndt] per sostenere la soluzione dei due Stati di Levin è il credo di J Street. (Chiunque sia stato in Palestina sa che due Stati non esisteranno mai e sostenere la fede in questa soluzione senza esercitare alcuna pressione su Israele è una forma di crudeltà verso i palestinesi.)

Ma sarà interessante da osservare questa contesa in quanto mette a confronto una democratica intransigente sostenitrice di Israele con uno più progressista.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




I cittadini palestinesi di Israele temono rappresaglie in seguito agli attacchi omicidi

Lubna Masarwa , Huthifa Fayyad

martedì 29 marzo 2022 – Middle East Eye

In seguito agli attacchi di Hadera e nel Negev il governo israeliano e i gruppi armati dell’estrema destra hanno annunciato varie misure che provocano inquietudini tra la minoranza palestinese del Paese.

Poco dopo l’attacco omicida di domenica ad Hadera le forze israeliane si sono schierate nella vicina città di Umma al-Fahm, mentre una milizia di civili israeliani armati ha cominciato a mobilitarsi.

Alla ricerca di indizi sulla sparatoria, nel corso della quale due poliziotti sono morti e altri dieci sono rimasti feriti, la polizia e le forze speciali hanno effettuato irruzioni nella città a maggioranza palestinese del centro di Israele. Sono stati eretti dei blocchi stradali ed alcuni abitanti sono stati arrestati.

La loro presenza e gli arresti, una quindicina, sono continuati lunedì e martedì. I due aggressori, cittadini palestinesi di Israele originari di Umm al-Fahm, sono stati uccisi da agenti in borghese nel corso di uno scontro a fuoco dopo l’attacco.

Come in tutto Israele, a Umma al-Fahm i cittadini palestinesi, chiamati anche palestinesi del 1948, hanno subito condannato l’attacco nel contesto di accresciuti timori di rappresaglie israeliane contro di loro, sia da parte dello Stato che di milizie ebraiche armate.

“Questi attacchi non rappresentano gli abitanti della città, né la nostra società, né i nostri valori che invitano a una vita dignitosa, alla tolleranza, quelli di una società che ricerca la sicurezza e la pace,” ha dichiarato il Comune di Umm al-Fahm in un breve comunicato pubblicato domenica. Ma secondo Taha Ighbariya, un giornalista che vive in città, oggi a Umm al-Fahm regna una certa tensione.

Il rapido arrivo delle unità di poliziotti e l’incremento degli incitamenti all’odio nei mezzi di comunicazione israeliani provocano i timori e le preoccupazioni dei palestinesi.

“Israele, tanto a sinistra come a destra del quadro politico, utilizza sempre avvenimenti come questi per attizzare l’odio verso i palestinesi del 1948,” afferma il giornalista.

“Ieri sera abbiamo visto il deputato (della Knesset) Itamar Ben-Gvir gridare ‘Morte agli arabi!’ (durante manifestazioni che hanno fatto seguito alla sparatoria).

“Ha persino osato urlare in faccia al ministro della Sicurezza Pubblica (Omer Barlev [del partito laburista]) e incitare all’odio contro di lui e contro gli arabi. Nessuno lo può fermare.”

Arresti e rinforzi

Dopo la sparatoria di domenica il governo e gruppi armati di estrema destra hanno annunciato varie misure, il che provoca inquietudine da parte dei cittadini palestinesi di Israele, che rappresentano circa un quinto della popolazione.

Lunedì la polizia ha affermato di aver richiamato sei unità di agenti della riserva e che è possibile che altri vengano riconvocati per il servizio attivo.

Questo annuncio è stato fatto qualche ora dopo che l’esercito israeliano ha annunciato l’invio di rinforzi lungo le frontiere del 1967 che separano Israele dalla Cisgiordania occupata.

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha dichiarato che gli arresti amministrativi per gli “agenti terroristi” dovrebbero essere utilizzati “nei casi appropriati quando esiste una base giudiziaria adeguata,” senza fornire ulteriori chiarimenti.

Le detenzioni amministrative sono una controversa prassi che Israele utilizza quasi esclusivamente contro i palestinesi dei territori occupati. Essa consente la detenzione a tempo indefinito di prigionieri senza processo né imputazione.

Le autorità hanno già arrestato cinque abitanti di Umm al Fahm, tra cui il fratello di uno degli aggressori. Lunedì il tribunale penale di Haifa ha prolungato la loro detenzione di dieci giorni dopo che il pubblico ministero ha chiesto di tenerli in arresto per 15 giorni in attesa di un’inchiesta.

Milizie armate

Dopo la sparatoria di domenica in Israele e nei territori occupati sembra essersi intensificato l’incitamento alla violenza da parte dell’estrema destra e dei coloni contro i cittadini palestinesi.

Domenica nella Cisgiordania occupata i palestinesi di Nablus e Ramallah sono stati aggrediti da coloni che hanno incendiato delle auto e danneggiato proprietà.

Nella regione meridionale del Negev (chiamato Naqab dagli arabi), dove martedì scorso un altro palestinese cittadino di Israele ha ucciso quattro persone durante un attacco all’arma bianca e con un’autobomba, una milizia armata ha annunciato di aver organizzato delle squadre in tutta l’area per difenderla da ogni nuovo attacco.

“Dopo l’attacco terroristico abbiamo iniziato a mettere in stato d’allerta delle squadre armate (di volontari). Al momento sono schierate a Omer, Meitar, Lehavim, Dimona, Carmit et Beersheba” ha dichiarato il gruppo in messaggi pubblicati sulla sua pagina Facebook. “Anche una squadra antiterrorismo sarà presente nella zona per affrontare ogni tipo di situazione,” precisa l’organizzazione.

L’“Unità Barel Rangers” è una milizia fondata la settimana scorsa con l’obiettivo di “salvare il Negev dalla problematica assenza di sicurezza personale” in un contesto di maggiori tensioni.

Ancor prima, questo stesso mese era stata annunciata la formazione di un gruppo simile nella città di Lod [Lydda in arabo, ndtr.], nel centro del Paese, epicentro della maggior parte delle violenze che hanno scosso le città israeliane lo scorso maggio.

Domenica mattina la rete pubblica israeliana Kan TV ha informato che un altro gruppo di coloni armati della Cisgiordania prevedeva di fare un’incursione a Sheikh Jarrah durante il mese di Ramadan e di aumentare la sua presenza nel quartiere occupato di Gerusalemme est.

Secondo Taha Ighbariya la formazione di milizie armate, la repressione governativa e gli attacchi dei coloni in Cisgiordania non faranno che accentuare la pressione sui palestinesi e intensificare la risposta. “Alla luce di questa mentalità radicale di Israele, che considera i suoi cittadini palestinesi come individui pericolosi, il sistema continuerà a metterci con le spalle al muro con maggiori restrizioni e arresti. Quando le persone sono alle strette ovviamente vengono cercate dai gruppi violenti,” avverte.

Motivazioni legate allo Stato Islamico?

I due cugini che hanno provocato la sparatoria di Hadera, Ibrahim Ighbariya e Ayman Ighbariya, sono entrambi sospettati di essere stati in rapporto con l’organizzazione Stato Islamico (ISIS).

Ibrahim venne arrestato nel 2016 per aver tentato di unirsi al gruppo in Siria attraverso la Turchia, mentre nel 2017 Ayman fu incarcerato per tre settimane senza imputazioni perché sospettato di aver violato le leggi sulle armi.

Anche Mohammed Abu al-Kiyan, l’aggressore all’origine dell’attacco all’arma bianca della settimana scorsa, avrebbe avuto rapporti con l’ISIS.

Gli apparenti legami con lo Stato Islamico e la vicinanza degli attacchi sollevano domande riguardo alla possibilità di una nuova minaccia per Israele.

Ameer Makhoul, uno scrittore di Haifa che ha passato dieci anni in un carcere israeliano per il suo attivismo, mette invece in discussione gli eventuali rapporti tra questi attacchi e motivazioni legate allo Stato Islamico.

Avendo passato del tempo in prigione con detenuti incarcerati per presunti rapporti con l’ISIS, che non sono più di 87, Ameer Makhoul afferma che queste persone non credono nella causa della liberazione della Palestina e non gli importa di attaccare Israele.

La loro priorità sarebbe uccidere musulmani considerati degli infedeli per creare uno Stato fondato su opinioni religiose estremiste.

Così, aggiunge, la differenza tra la loro ideologia e quella di altri prigionieri di gruppi come Fatah, Hamas e Jihad Islamica era così netta che i comitati dei prigionieri palestinesi si opponevano nettamente alla loro integrazione all’interno delle loro sezioni.

Invece le autorità penitenziarie israeliane facevano pressioni perché venissero integrati con gli altri prigionieri palestinesi e riservavano loro un trattamento di favore, sostiene Ameer Makhoul.

L’ex-detenuto a volte aveva l’impressione che i ragazzi colpevoli di aver lanciato pietre contro i soldati in Cisgiordania fossero puniti più severamente dei detenuti in rapporto con l’ISIS. “I prigionieri legati all’ISIS erano trattati con indulgenza dal potere costituito […] compresi gli apparati di sicurezza, il pubblico ministero e il sistema giudiziario (israeliano),” afferma.

L’ideologia dell’ISIS è rifiutata dalla società palestinese nel suo complesso, sostiene Ameer Makhoul, che precisa che ciò non deve sviare l’attenzione dalla situazione che i palestinesi sono costretti ad affrontare dentro e fuori Israele in seguito agli attacchi e all’avvicinarsi del mese sacro del Ramadan, che coinciderà con le feste ebraiche, il che potrebbe provocare tensioni a Gerusalemme e altrove.

Nella misura in cui l’incitamento all’odio e la repressione sembrano intensificarsi, i palestinesi devono essere pronti a dare “una risposta popolare forte”, prosegue Ameer Makhoul.

“Non dobbiamo dimenticare che in Israele sono i membri della società palestinese ad essere vittime dell’incitamento alla violenza, di politiche omicide e di una pulizia etnica.”

(traduzione dal francese di Amedeo Rossi)




Israele: annunciati i funerali per le vittime di accoltellamento di Beersheba

Redazione

23 marzo 2022 – Middle East Eye

Due donne e due uomini sono morti dopo un attacco da parte di un cittadino palestinese di Israele del Naqab, dove è cresciuta la tensione rispetto ai piani di espellere i residenti beduini.

Israele terrà i mercoledì i funerali delle quattro vittime di un accoltellamento e di un attacco con un’auto nella regione meridionale del Naqab (conosciuta in Israele come il Negev).

Le quattro vittime, due donne e due uomini, sono morte martedì dopo una serie di attacchi iniziati fuori da un centro commerciale nella città di Beersheba.

sono stati effettuati da un cittadino palestinese di Israele della vicina città di Hura.

L’uccisione di Doris Yahbas, 49 anni, Menachem Yechezkel, 67 anni, Laura Yitzhak, 43 anni, e del rabbino Moshe Kravitzky, 50 anni, è stato il peggior attacco ai civili israeliani degli ultimi anni.

Il funerale di Yahbas avrebbe dovuto essere celebrato a Gilat, ma, secondo il Jerusalem Post, la famiglia ha chiesto ai media di non riferire sul funerale.

Follia omicida

Il sospettato, identificato come il 34enne Mohammed Abu al-Qian, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da passanti armati dopo otto minuti di una follia omicida che lo ha visto accoltellare e speronare persone in più località.

L’ospedale di Soroka di Beersheba ha riferito che due donne ferite nell’attacco erano entrambe in condizioni stabili.

La tribù beduina di Abu al-Qian – a cui apparteneva l’aggressore – ha “fermamente” condannato l’attacco, dicendo che “non rappresenta i membri della tribù rispettosi della legge che hanno sempre creduto nella convivenza”.

La polizia afferma di aver arrestato, in collaborazione con membri dell’agenzia di sicurezza interna israeliana Shin Bet, due fratelli di Abu al-Qian sospettati di non aver allertato le forze di sicurezza di un attacco imminente. Dovrebbero comparire in tribunale mercoledì.

Organizzazioni ebraiche e palestinesi hanno duramente condannato l’attacco di martedì.

“Questo non è il modo in cui il popolo arabo in generale, e nel Negev in particolare, agisce nella sua giusta lotta contro l’espropriazione e l’oppressione in corso”, ha twittato Aida Touma-Sliman, parlamentare del partito arabo Lista Unita.

“Metto in guardia contro l’istigazione razzista e l’uso di questo crimine per giustificare l’istituzione di milizie razziste che perseguiteranno gli arabi”.

Mercoledì, durante una riunione del Comitato degli interni della Knesset, il politico di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha dovuto essere espulso con la forza dopo aver redarguito con urla il politico palestinese Waleed Taha, accusandolo di “istigazione”.

“Il sangue dei residenti del Negev è sulle tue mani”, ha detto Ben-Gvir a Taha.

“Hai incitato il Negev contro Israele. Non hai legittimità e non tacerò su questo”, ha aggiunto.

Alta tensione

La tensione è aumentata nel Naqab a causa dei piani del governo di espellere i beduini palestinesi dalle loro case per attuare una serie di progetti di sviluppo.

L’attacco di martedì arriva una settimana dopo che la polizia israeliana sotto copertura ha ucciso Sanad Salem al-Harbad, un cittadino palestinese di Israele di Rahat, nel sud di Israele.

Il quotidiano Haaretz la scorsa settimana ha riportato che attivisti di estrema destra, tra tensioni crescenti, hanno istituito un’unità civile armata di ranger per “salvare il Negev dalla problematica assenza di sicurezza personale”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele ha chiesto all’ANP di intercedere sui detenuti perché non inizino lo sciopero della fame in difesa dei loro diritti

Redazione di Middle East Monitor

23 Marzo 2022 – Middle East Monitor

Quds Net News [una delle principali agenzie di stampa palestinesi, ndtr.] ha informato che lo Stato di Israele ha ufficialmente chiesto alla Autorità Nazionale Palestinese [ANP] di convincere i detenuti ad annullare lo sciopero della fame il cui inizio è previsto venerdì. Viene riportato che in risposta l’ANP avrebbe detto a Israele di concedere ai detenuti i diritti che spettano loro.

I detenuti hanno annunciato lo sciopero della fame come protesta contro le nuove restrizioni che le autorità israeliane hanno imposto loro.

Secondo un alto funzionario di Hamas, queste restrizioni includono una riduzione delle ore d’aria e dell’accesso alla mensa. Si afferma inoltre che i detenuti siano privati dei diritti fondamentali che includono l’istruzione e la salute.

Nel frattempo il ministro israeliano per la Sicurezza, Omar Bar-Lev, ha chiesto un incontro con il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas prima dell’inizio del mese sacro del Ramadan, la settimana prossima. Israele e gli Stati Uniti sono preoccupati di possibili rivolte durante il Ramadan, che quest’anno concide con altre festività religiose.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)