Nel corso di un’accesa seduta Israele vota di rinnovare il divieto al ricongiungimento per le famiglie palestinesi

Noa Shpigel, Jack Khoury

10 marzo 2022 – Haaretz

La legge è riuscita a ottenere facilmente l’approvazione durante una votazione in extremis prima della pausa parlamentare nonostante l’opposizione della Lista Araba Unita e del Meretz.

Durante la seduta finale di giovedì prima della pausa della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] la coalizione di governo ha approvato una legge che di fatto esclude i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza sposati con cittadini israeliani dall’ottenere la cittadinanza o la residenza [in Israele].

Il progetto di legge è passato con 45 voti a favore e 15 contrari, nonostante l’opposizione di due dei partiti della coalizione, la Lista Araba Unita (LAU) [coalizione di partiti islamisti che rappresentano una parte degli arabo-israeliani e che si è scissa dalla Lista Unita, ndtr.] e il Meretz, [partito  della sinistra sionista, ndtr.].

Il testo, caldeggiato dalla ministra dell’Interno Ayelet Shaked, sancisce con una legge un emendamento temporaneo rinnovato annualmente dal 2003, che però sarebbe scaduto a luglio se la coalizione non fosse riuscita a ottenere i voti per rinnovarlo, un grave ostacolo iniziale per la coalizione.

La Lista Unita, formata da tre partiti a maggioranza araba e che è all’opposizione, ha nuovamente cercato di provocare una crisi della coalizione chiedendo il voto di fiducia.

La Lista Araba Unita ha detto che avrebbe ancora votato contro, ma Ahmed Tibi, deputato della Lista Unita, ha proposto a Mansour Abbas, leader della LAU, di firmare un accordo per sciogliere la Knesset, provocando un diverbio fra i due ex compagni di coalizione. 

Dopo il passaggio della legge Ayelet Shaked ha dichiarato la vittoria dello ” Stato ebraico e democratico” su uno “Stato di tutti i suoi cittadini.”

Mossi Raz del Meretz [al governo, ndtr.] ha invece definito la legge “razzista,” aggiungendo che 16 parlamentari del suo partito, della Lista Unita [all’opposizione, ndtr.], della Lista Araba Unita e del partito laburista [entrambi al governo, ndtr.] hanno proposto un testo alternativo per abrogarla.

Ai sensi dell’emendamento alla Legge sulla Cittadinanza, il permesso temporaneo di residenza verrà concesso per un periodo di due anni, a differenza dell’originario di un anno, e il ministero dell’Interno sarà obbligato a revocarlo nel caso si provi che il destinatario abbia commesso un’azione che riguardi una violazione della fiducia (terrorismo, spionaggio o tradimento) contro lo Stato di Israele.

Nella stesura finale della bozza, la legge sarebbe valida per 12 mesi, sebbene i suoi promotori sperino possa essere applicata per un tempo più lungo.

Inoltre il permesso temporaneo di residenza che potrebbe essere rilasciato in casi specifici durerebbe due anni, invece di uno come stipulato nella bozza originale. Il testo finale permette al ministro dell’Interno di revocarlo se il titolare è condannato per terrorismo, spionaggio o tradimento.

I promotori della proposta di legge la giustificano adducendo motivi di sicurezza e sostenendo che i militanti palestinesi potrebbero usare il matrimonio per entrare in Israele, mentre i suoi critici affermano che essa ha una motivazione razzista ed è uno strumento per preservare la maggioranza demografica [ebraica]. 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Le forze israeliane hanno colpito a morte due adolescenti palestinesi a Gerusalemme est occupata

Agenzie e redazione di Middle East Eye

6 marzo 2022 – Middle East Eye

Una delle vittime era un sedicenne che è stato ucciso a Abu Dis dopo che avrebbe lanciato una bottiglia molotov contro una postazione militare israeliana

Domenica le forze israeliane hanno sparato uccidendoli a due adolescenti palestinesi nel corso di due distinti incidenti a Gerusalemme est occupata.

Secondo funzionari palestinesi un sedicenne è stato colpito ed ucciso ad un posto militare ad Abu Dis, appena fuori dalla Città Santa. Un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che il ragazzo è stato colpito dopo che avrebbe lanciato una bottiglia molotov contro la postazione.

Un altro adolescente è stato ucciso nella serata di domenica dentro le mura della Città Vecchia dopo che avrebbe accoltellato un poliziotto israeliano di guardia ad una delle porte della città.

Un portavoce della polizia israeliana, che ha definito il diciannovenne “un terrorista”, ha detto che altri poliziotti lì accanto hanno aperto il fuoco, provocando la sua morte. La polizia ha affermato che due poliziotti sono stati lievemente feriti, uno dal presunto accoltellamento e un altro durante la sparatoria della polizia.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese Wafa ha riferito che domenica “estremisti israeliani” sono stati arrestati dalle forze israeliane “per motivi razziali e nazionali, dopo che hanno condotto un attacco contro una chiesa a Gerusalemme”, vandalizzando la proprietà. Non è chiaro se l’incidente sia in relazione [con gli altri].

Secondo l’ufficio dell’ONU di Coordinamento per le Questioni Umanitarie (OCHA), tra l’8 e il 21 febbraio le forze israeliane in tre distinti incidenti in Cisgiordania hanno colpito e ucciso cinque palestinesi, compreso un bambino. Nello stesso periodo sono stati feriti in totale 544 palestinesi, compresi 54 minori. L’OCHA ha riferito che nello stesso arco di tempo nessun israeliano è stato ucciso e cinque sono stati feriti in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Israele ha occupato Gerusalemme est, compresa la Città Vecchia, durante la guerra in Medioriente del 1967 e l’ha annessa con una iniziativa non riconosciuta a livello internazionale.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Organizzazioni israeliane chiedono agli USA di non sottoporre a sanzioni il miliardario russo Roman Abramovich

3 Marzo 2022 – Middle East Monitor

Alcune importanti istituzioni e cittadini israeliani si sono appellati agli Stati Uniti perchè non sottopongano a sanzioni il miliardario russo-israeliano Roman Abramovich.

In una lettera inviata all’ambasciatore statunitense Tom Nides, Yad Vashem – il memoriale ufficiale israeliano dell’Olocausto – David Lau, il rabbino capo aschkenazita di Israele, e Yitshak Kreiss, il direttore del centro medico Sheba, hanno chiesto a Washington di non sanzionare Abramovich, che è uno dei maggiori donatori della causa sionista.

Abramovich, che ha preso la cittadinanza istraeliana nel 2018 dopo non essere riuscito a prolungare il suo visto nel Regno Unito, ha donato quasi 102 milioni di dollari ad una organizzazione di coloni israeliani di estrema destra che espelle famiglie palestinesi da Gerusalemme Est occupata. Tuttavia il totale delle sue donazioni per la causa israeliana sarebbe di oltre 500 milioni di dollari. L’oligarca ha anche acquistato almeno tre proprietà, di cui una da 64,5 milioni [di dollari].

Nella lettera si afferma che sanzionare Abramovich danneggerebbe le istituzioni israeliane che fanno affidamento sulle sue donazioni. Dani Dayan [esponente dei coloni e di Nuova Speranza, un partito di destra, ndtr.], il presidente di Yad Vashem, ha aggiunto che Abramovich è il secondo più importante donatore del museo, dopo il defunto Sheldon Adelson e la sua vedova, Miriam.

Il mese scorso il museo del memoriale dell’Olocausto Yad Vashem ha annunciato che Abramovich ha fatto una donazione di molti milioni di dollari allo stesso e l’ha definita “un nuovo partenariato strategico di lunga durata”.

Dayan ha affermato che “siamo profondamente grati a Roman Abramovich per il suo generoso contributo che rafforzerà significativamente la missione dello Yad Vashem”.

In un articolo apparso sul quotidiano Haaretz, la scrittrice israeliana Noa Landau ha descritto la lettera come “imbarazzante”. Landau ha anche criticato lo Yad Vashem per aver facilitato ciò che lei chiama “Shoah-washing” [ripulitura dell’immagine attraverso la Shoah, ndtr.] invitando soggetti come il leader di destra ungherese, Viktor Orban, a visitare il museo come parte della offensiva politica israeliana contro i palestinesi e gli iraniani, nonostante l’accusa di antisemitismo nei confronti di Orban.

Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina Abramovich ha camminato sul filo del rasoio diplomatico. L’Occidente ha risposto imponendo sanzioni contro il presidente russo Vladimin Putin, i membri della sua cerchia ristretta e gli oligarchi russi vicini a lui.

Inoltre la decisione delle istituzioni israeliane di intervenire in aiuto di Abramovich sottolinea l’equilibrismo diplomatico dello Stato occupante. Sebbene politici israeliani abbiano criticato l’invasione russa dell’Ucraina, essi hanno rifiutato molteplici richieste di aiuto da parte del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, incluso il trasferimento di equipaggiamento militare.

L’ambasciatore ucraino a Tel Aviv, Yevgeny Kornichuk, ha affermato di essere “deluso” che Israele non abbia accettato tuttti i profughi dalla guerra nella sua Nazione. Anche le pratiche razziste dello Stato di Israele sono diventate una fonte di rabbia e frustrazione per i dirigenti ucraini. Mentre lo Stato occupante ha aperto le sue porte agli ebrei ucraini, non è altrettanto accogliente con i non ebrei che fuggono dalla guerra.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Secondo un ministero palestinese vari palestinesi sono stati uccisi da forze israeliane

1 Marzo 2022 – Al Jazeera

Il ministero palestinese della Sanità ha affermato che una persona è stata uccisa a Beit Fajar e altre due a Jenin, nella Cisgiordania occupata.

Il ministero palestinese della Sanità ha affermato che tre palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane in due differenti incidenti nella Cisgiordania occupata.

Martedì il ministero ha affermato che Ammar Shafiq Abu Afifa è stato ucciso dalle “forze israeliane di occupazione che gli hanno sparato vicino alla città di Beit Fajar”.

Quando l’agenzia di notizie AFP ne ha chiesto conto, sul momento l’esercito israeliano non ha commentato.

Wafa, l’agenzia di notizie palestinese ufficiale, ha riferito che Afifa era un abitante del campo per rifugiati Al-Aroub a nord di Hebron, nella Cisgiordania occupata.

Secondo la polizia di frontiera israeliana e le autorità sanitarie palestinesi, martedì prima dell’alba in un’altra circostanza, dopo essere finite sotto il fuoco durante un arresto nel nord della Cisgiordania, le forze israeliane hanno ucciso due palestinesi.

La polizia di frontiera israeliana ha affermato che agenti e polizia sotto copertura sono entrati nel campo profughi di Jenin per arrestare un sospetto “ricercato per attività terroristica”.

La polizia ha affermato che “dopo l’arresto del sospetto, non appena le forze hanno lasciato la casa, è stato aperto un intenso fuoco da molteplici direzioni e le forze sotto copertura operanti sulla scena hanno risposto con una fitta sparatoria”.

La polizia ha affermato che, quando gli agenti hanno raggiunto i loro veicoli, un altro assalitore ha sparato alle forze dell’ordine “che hanno risposto con fuoco preciso”.

Il ministero palestinese della Sanità ha affermato che due uomini sono stati uccisi nel combattimento. Wafa li ha identificati come Abdullah al-Hosari, di 22 anni e 3, di 18.

Wafa ha riferito che le truppe hanno arrestato Imad Jamal Abu al-Heija, un prigioniero che era stato liberato.

L’agenzia di notizie ha affermato che l’uccisione dei due palestinesi ha provocato a Jenin una “manifestazione imponente ed irata”.

Forza eccessiva

Le uccisioni sono avvenute a poco più di una settimana di distanza da quando un ragazzo quattordicenne, Mohammed Shehadeh, è stato ucciso dalle forze di sicurezza israeliane nella città di Al-Khader in Cisgiordania.

Organizzazioni per i diritti umani palestinesi e internazionali hanno a lungo condannato ciò che sostengono sia un uso eccessivo della forza da parte delle forze israeliane.

B’Tselem, una organizzazione israeliana per i diritti umani, ha affermato che lo scorso anno ha registrato 77 morti palestinesi per mano delle forze israeliane. Più della metà degli uccisi non erano implicati in nessun attacco, ha aggiunto.

Il mese scorso, Amnesty International in un nuovo rapporto ha sostenuto che Israele sta mettendo in atto “il crimine di apartheid contro i palestinesi” e che deve essere ritenuto responsabile perché li tratta come un “gruppo razziale inferiore”.

Israele ha occupato la Cisgiordania e Gerusalemme Est dopo la guerra del 1967 in Medioriente.

Le colonie israeliane costruite nel terrritorio palestinese sono considerate illegali dal diritto internazionale. Oggi tra 600.000 e 750.000 coloni israeliani vivono in almeno 250 colonie nella Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




La Corte suprema si pronuncia contro la restituzione di terra palestinese a Hebron a causa di problemi di sicurezza

Agar Shezaf

2 marzo 2022 – Haaretz

L’Alta Corte di giustizia israeliana ha confermato l’uso da parte dei militari di un complesso di proprietà palestinese a Hebron, sostenendo che “restituire la terra … danneggerebbe in modo significativo la sicurezza della popolazione israeliana nell’area”

Lunedì l’Alta Corte di giustizia israeliana ha respinto una petizione presentata dai palestinesi per impedire alle forze di difesa israeliane [IDF] di continuare a utilizzare un edificio a Hebron. costruito per la maggior parte su terreni palestinesi di proprietà privata, affermando che gli insediamenti fanno parte della “dottrina della sicurezza” dell’esercito israeliano.

L’esercito israeliano negli anni ’80 costruì una postazione militare su un terreno dove in precedenza era situata la stazione centrale degli autobus della città cisgiordana. A seguito di una risoluzione del governo del 2018, parte della terra è stata esclusa dall’ordine di requisizione militare originale in modo che su di essa potesse essere costruito un nuovo quartiere ebraico.

I firmatari hanno sostenuto che la destinazione di una parte della proprietà a edilizia residenziale dimostra che gli ordini di requisizione non sono stati emessi a fini di sicurezza, quindi devono essere annullati. Nel respingere la petizione, la corte ha stabilito che la presenza ebraica fa parte della dottrina della sicurezza regionale dell’esercito israeliano e che consentire agli ebrei di vivere lì non invalida la giustificazione per la confisca dell’appezzamento. L’opinione di maggioranza è stata redatta dal giudice Alex Stein.

L’ex stazione degli autobus appartiene in parte alla città di Hebron, che aveva preso in concessione il sito dal supervisore per le proprietà governative e abbandonate poste sotto l’Autorità Territoriale israeliana di Giudea e Samaria come affittuario protetto.

Nel 1983 fu emesso un ordine militare di requisizione della proprietà per costruire una postazione militare. Da allora l’ordinanza è stata impugnata più volte in tribunale. Ogni volta, l’esercito israeliano ha sostenuto che l’esproprio era basato esclusivamente su esigenze di sicurezza e le petizioni sono state respinte.

Trentacinque anni dopo, il governo decise che per costruire un nuovo quartiere – il quartiere Hizkiya, con 31 unità abitative – l’ordine di requisizione doveva essere ridotto e l’area di proprietà dell’Autorità Territoriale doveva esserne esclusa. Tale manovra amministrativa alla fine permise alla comunità ebraica di Hebron di presentare un piano edilizio per il nuovo quartiere che sarebbe sorto su terreni posti sotto l’egida dell’Autorità. Successivamente, l’ordine di requisizione militare è stato rinnovato per il resto dell’edificio di proprietà privata palestinese, su cui sono attualmente previsti edifici militari permanenti.

I firmatari della petizione, i proprietari delle terre e la città di Hebron hanno affermato che fare un’eccezione per una parte del terreno per costruire un nuovo quartiere ebraico ha rivelato il vero motivo degli ordini militari di confisca: il desiderio di espandere gli insediamenti.

Restituire la terra ai proprietari palestinesi, tuttavia, “danneggerebbe in modo significativo la sicurezza della popolazione israeliana nell’area e del reparto militare lì stanziato” ha affermato lo Stato israeliano. Il governo ha anche affermato di aver valutato la costruzione di strutture permanenti per la postazione militare sul terreno demaniale – dove oggi è previsto il nuovo quartiere – ma che è tecnicamente impossibile.

Per quanto riguarda le affermazioni dei firmatari secondo cui [il progetto, ndt.] di un quartiere ebraico sul sito è la prova che le necessità militari non sussistono, Stein ha scritto nella decisione del tribunale: “La presenza civile ebraica fa parte della dottrina della sicurezza regionale dell’ esercito israeliano nell’area. Questo perché la presenza di cittadini che detengono i beni confiscati contribuisce notevolmente al mantenimento della sicurezza in quella stessa area e facilita lo svolgimento della loro missione da parte dei militari”.

Stein ha citato due sentenze della fine degli anni ’70 che sono considerate centrali nel dibattito sulle colonie: le sentenze Beit El ed Elon Moreh. Entrambi questi casi riguardavano l’istituzione di comunità ebraiche su terreni palestinesi di proprietà privata sulla base di ordini militari.

La sentenza del 1978 ha consentito all’insediamento di Beit El, adiacente a Ramallah, di rimanere perché una presenza civile aiuta l’apparato di sicurezza dello Stato. La sentenza Elon Moreh, emessa pochi mesi dopo, ha riscontrato il contrario: la comunità ebraica dovrebbe essere rimossa dalle terre dei firmatari. Ciò era in parte dovuto al fatto che l’allora ministro della Difesa Ezer Weizman aveva votato contro l’istituzione di Elon Moreh. Questa sentenza ha dato vita a quella che viene chiamata la regola Elon Moreh, secondo la quale un ordine militare di confisca non può essere emesso per terreni palestinesi di proprietà privata per costruirvi una comunità ebraica.

In un’opinione dissenziente il giudice George Karra ha scritto che nel momento in cui parte della terra è stata esentata dall’ordine di confisca militare a causa della decisione del governo di costruirvi un quartiere civile, il comando militare non è più guidato da considerazioni esclusivamente di sicurezza. Pertanto, ha affermato, il tribunale avrebbe dovuto emettere un’ordinanza di motivazione – primo passo verso l’accoglimento del ricorso – che richiedesse allo Stato di spiegare il suo rifiuto di annullare l’ordine di confisca.

In un’opinione concorrente con Stein, il giudice Isaac Amit ha scritto che la vera domanda che sorge dalla petizione è perché le strutture militari permanenti vengono costruite sulla terra palestinese di proprietà privata piuttosto che sulla sezione in cui sarà costruito il nuovo quartiere ebraico. Ha ammesso di essere angosciato per questa questione, ma alla fine ha deciso di accettare la posizione dello Stato secondo cui quest’ultima sezione era stata giudicata strutturalmente inadatta per gli edifici militari progettati.

In ogni caso ha aggiunto che, anche se gli edifici militari fossero stati costruiti sul terreno previsto per il quartiere ebraico, l’esercito non avrebbe restituito l’altra parte ai palestinesi, poiché l’assunto è che consentire l’edificazione di case palestinesi vicino a edifici militari metterebbe in pericolo i soldati.

Samir Shihadia, l’avvocato che rappresenta il comune di Hebron nella causa, ha affermato che i firmatari “hanno dimostrato in tribunale che la presunta necessità militare per il cui la terra è stata confiscata da anni in realtà non è strettamente militare, ma è mescolato a considerazioni diverse, soprattutto se si tiene conto che parte di questa terra è stata destinata alla costruzione di una colonia. Quello che sta succedendo qui è il furto delle terre palestinesi”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La “ragazzina ucraina che affronta un soldato russo” è in realtà la palestinese Ahed Tamimi

Nur Ayoubi

28 febbraio 2022 – Middle East Eye

In rete molti hanno condannato questo scambio di persona, affermando che il video dell’attivista palestinese ha provocato simpatia e si è pensato che provenisse dall’Ucraina perché lei può “sembrare bianca”.

Un vecchio video di Ahed Tamimi, attivista palestinese arrestata nel 2017 da Israele, è stato ampiamente diffuso in rete con la falsa affermazione che fosse una ragazzina ucraina che teneva testa a un soldato russo.

Immagini di un incidente del 2012 mostrano Tamimi, all’epoca undicenne, che affronta un soldato israeliano e sembra volergli dare un pugno.

Tuttavia su Twitter molti hanno condiviso il filmato con la falsa informazione che venisse dall’Ucraina.

Sulla piattaforma di video brevi TikTok, in un filmato dello stesso scontro tra Tamimi e il soldato si chiede a chi lo vede di pregare per l’Ucraina. Finora il video è stato visto oltre 12 milioni di volte e ha accumulato più di 800.000 like.

Spesso si è fatto riferimento a Tamimi come a un’icona della resistenza palestinese. Nel 2017, quando venne arrestata in seguito a uno scontro con soldati israeliani che si erano rifiutati da andarsene dalla sua casa a Nabih Saleh, un villaggio della Cisgiordania occupata, conquistò l’attenzione di molti mezzi di comunicazione.

Tamimi, che all’epoca aveva 16 anni, venne condannata a otto mesi di prigione in Israele in quanto minorenne, finendo sulle prime pagine dei giornali in tutto il mondo.

Quando venne rilasciata, Tamimi rese omaggio alle donne incarcerate nelle prigioni israeliane e affermò di aver intenzione di diventare avvocatessa per contribuire ulteriormente alla causa palestinese.

La falsa informazione diffusa insieme al filmato di Tamimi ha fatto arrabbiare molti utenti delle reti sociali che hanno visto un doppio standard nel modo in cui il video è stato generalmente accolto.

“Forse i ragazzini palestinesi sono eroici solo quando vengono presi per europei?” ha chiesto un utente di Twitter.

Un altro utente di Twitter ha chiesto di “smettere di utilizzare i palestinesi come arredi di scena.”

Il modo in cui i mezzi di informazione occidentali hanno informato sull’invasione russa è stato denunciato in rete da molti per l’uso di luoghi comuni razzisti, che spesso manifestano dolore per gli europei “civilizzati” e fanno un paragone tra loro e i rifugiati dal Medio Oriente.

Molti in rete hanno affermato che il video di Tamimi è diventato ancora una volta virale in questo nuovo, anche se falso, contesto perché lei “sembra bianca”.

All’inizio di questa settimana David Sakvarelidze, ex vice procuratore generale dell’Ucraina, ha provocato indignazione quando ha detto alla BBC riguardo all’invasione russa: “È veramente commovente per me perché vedo persone europee con occhi azzurri e capelli biondi che vengono uccise.”

Non è la prima volta dall’inizio del conflitto che immagini fuori contesto vengono confuse con l’invasione russa.

Molti video fuorvianti legati alla crisi tra Russia e Ucraina sono arrivati dal Medio Oriente. Vari filmati e immagini da Siria, Libano, Libia e Palestina sono stati erroneamente attribuiti all’invasione russa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Dopo che Gerusalemme ha appoggiato l’Ucraina, la Russia condanna l’“occupazione” israeliana delle Alture del Golan

Jonathan Lis

24 febbraio 2022 – Haaretz

Ore prima degli attacchi russi contro l’Ucraina, il rappresentante della Russia all’ONU ha espresso “preoccupazione” riguardo ai progetti israeliani di espansione nel nord, affermando che la Russia non riconosce la sua sovranità sulla regione.

Mercoledì la Russia ha condannato l’occupazione israeliana delle Alture del Golan ed ha affermato di non riconoscere la sovranità israeliana sulla regione.

“Siamo preoccupati per gli annunciati progetti di Tel Aviv di estendere le attività di colonizzazione nelle Alture del Golan occupate, che contrastano direttamente con le disposizioni della Convenzione di Ginevra del 1949,” ha affermato il rappresentante della Russia alle Nazioni Unite Dmitry Polyanskiy qualche ora prima che giovedì il presidente russo Vladimir Putin lanciasse attacchi su vasta scala in tutta l’Ucraina.

Parlando alla riunione mensile del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul Medio Oriente egli ha sottolineato “l’immutata posizione della Russia, in base alla quale non riconosciamo la sovranità israeliana sulle Alture del Golan, che sono parte inalienabile della Siria.”

Mercoledì pomeriggio il ministero degli Esteri israeliano aveva reso pubblico il primo comunicato di appoggio all’Ucraina dall’inizio del conflitto. Riflettendo la complicata posizione in cui si è trovato Israele riguardo alla crisi, nella dichiarazione, in cui si afferma il sostegno all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina, Israele evita deliberatamente di menzionare la Russia o il presidente Putin.

Israele ha tutto l’interesse a mantenere una posizione neutrale per evitare un conflitto che renderebbe difficile continuare gli attacchi in Siria, dove la Russia ha una presenza militare.

Il comunicato, che è stato approvato dal primo ministro Naftali Bennett, dal ministro degli Esteri Yair Lapid e dal ministro della Difesa Benny Gantz, esprime anche la disponibilità di Israele a trasferire immediatamente assistenza umanitaria all’Ucraina e afferma che Israele è impegnato nel dialogo con i suoi partner per riprendere il percorso diplomatico.

Mentre in via ufficiale gli ucraini si sono rifiutati di commentare la dichiarazione di mercoledì, una fonte diplomatica che ha chiesto di rimanere anonima in quanto non autorizzata a trattare pubblicamente dell’argomento, ha affermato che non è tale da essere accolta positivamente dal suo governo.

“È meglio di niente, ma non è la dichiarazione che ci attendevamo,” ha detto la fonte ad Haaretz. Parlando per telefono mercoledì dalla città ucraina occidentale di Lviv, l’ambasciatore israeliano in Ucraina Michael Brodsky ha detto ad Haaretz che, mentre il comunicato non costituisce un’esplicita condanna della Russia, esso è “molto più duro della nostra posizione usuale.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Soldati israeliani uccidono un palestinese di 14 anni nella Cisgiordania occupata

Redazione

22 febbraio 2022 – Redazione Middle East Eye

Il padre di Mohammed Shehadeh racconta a Middle East Eye che i soldati israeliani gli hanno impedito di vedere suo figlio pochi istanti prima che morisse per un colpo di arma da fuoco al petto.

Il padre di un ragazzo palestinese di 14 anni colpito a morte dalle forze israeliane martedì racconta a Middle East Eye che i soldati israeliani gli hanno impedito di vedere suo figlio prima che morisse.

Nella città occupata di al-Khader, in Cisgiordania, vicino a Betlemme i soldati hanno sparato all’adolescente Mohammed Shehadeh, accusato dall’esercito israeliano di aver lanciato una bottiglia molotov contro le auto di passaggio.

Il padre di Mohammed, Rizk Shehadeh, 48 anni, racconta che suo figlio era con degli amici quando è iniziata la sparatoria. Mohammed è stato colpito al petto, afferma Shehadeh.

Shehadeh racconta a MEE che quando è arrivato sulla scena della sparatoria è stato affrontato dai soldati israeliani. “Ho detto loro: ‘Questo è mio figlio e voglio vederlo.’ Il soldato mi ha detto: ‘Se non te ne vai, ti sparo.’ Poi ho saputo che mio figlio era morto”.

“Gli spari erano mirati ad uccidere”

Ahmed Salah, un attivista locale ad al-Khader, afferma che a Mohammed, che era suo cugino, è stata tesa un’imboscata dall’esercito e che il soldato che gli ha sparato gli ha “sparato addosso – gli spari avevano lo scopo di uccidere”.

L’esercito israeliano in una nota dichiara “Le truppe hanno sparato a uno dei sospetti mentre lanciava una bottiglia molotov e lo hanno colpito”.

La barriera di separazione israeliana attraversa al-Khader, separandola dalla Route 60. Salah, l’ex sindaco della città Adnan Sbeih e molti altri hanno affermato che il quattordicenne Mohammed è stato colpito dagli spari sul lato del muro verso al-Khader.

“La distanza tra il muro e il luogo in cui Mohammed è stato ucciso è di 300 metri”, riporta Salah a MEE. “Ciò significa che Mohammed non rappresentava alcun pericolo significativo per l’esercito o per i coloni, anche se ipotizziamo che Mohammed volesse lanciare pietre da quella distanza. Vista la distanza non poteva far danni”.

“Mohammed non rappresentava un pericolo per nessuno”, ha aggiunto Salah. “Non so come un bambino di 14 anni possa essere pericoloso per un soldato pesantemente armato. L’esercito cerca di uccidere chiunque sia presente in quella zona”.

L’esercito israeliano dichiara che i soldati hanno prestato assistenza medica a Mohammed sul posto, dove in seguito è stato dichiarato morto. Tuttavia Salah e organi di stampa palestinesi affermano che a un’équipe medica della Mezzaluna Rossa è stato impedito di raggiungerlo.

La testata giornalistica palestinese Wafa ha riferito che gli scontri tra le forze israeliane e i palestinesi ad al-Khader sono continuati nella tarda serata di martedì.

L’uccisione di Mohammed Shehadeh arriva una settimana dopo che le forze israeliane hanno sparato e ucciso diversi palestinesi.

Il 15 febbraio, all’ingresso del villaggio di Nabi Saleh, a nord-ovest di Ramallah, Nihad al-Barghouti, 20 anni, è morto per ferite da proiettile intorno al bacino dopo essere stato raggiunto da un colpo di arma da fuoco esploso dai soldati israeliani.

Alcuni giorni prima, Mohammad Akram Abu Salah, 17 anni, è stato colpito alla testa dalle truppe israeliane mentre prendevano d’assalto il villaggio di Silat al-Harithiya, nella tarda serata di domenica, per demolire la casa di un uomo accusato di aver ucciso un colono israeliano.

Il gruppo per i diritti dei minori Defense for Children International – Palestine (DCI) ha affermato martedì che Israele continua a trattenere i corpi di nove minori palestinesi uccisi dalle sue forze armate. Tutti e nove avevano meno di 18 anni al momento della loro morte, avvenuta tra il 2016 e il dicembre 2021, i due più giovani erano quindicenni: Yousef Mohammad Odeh di Jenin e Mohammad Nidal Musa di Nablus.

La DCI ha dichiarato a dicembre che il 2021 è stato l’anno più letale per i minori palestinesi dal 2014: le forze israeliane hanno ucciso 76 palestinesi sotto i 18 anni, 15 dei quali nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est e 61 nella Striscia di Gaza assediata.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




“Alla polizia non importa”: la violenza armata travolge la comunità araba israeliana

Bethan McKernan e Quique Kierszenbaum a Bir al-Maksur

21 febbraio 2022 – The Guardian

Il numero dei palestinesi uccisi cresce di anno in anno mentre le armi rubate all’esercito israeliano proliferano nelle strade

C’è una pausa nella pioggia e il sole splende sugli aranceti di Bir al-Maksur, un tranquillo villaggio beduino vicino a Nazareth, nel nord di Israele.

Ad Ammar, tre anni, sarebbe piaciuto giocare nelle pozzanghere dopo l’acquazzone invernale davanti alla casa della famiglia Hujarat, dice sua zia. Ma due giorni fa il bambino è stato ucciso in un parco giochi da una pallottola vagante sparata durante un inseguimento fra auto e la famiglia in lutto sta cercando di dare un senso al modo in cui la sua vita è finita.

Alla polizia non importa quello che succede ai palestinesi, così (le gang) sanno che possono uccidere dei bambini che giocano e non succederà niente. Siamo così arrabbiati,” dice Imam, il cugino di Ammar, seduta vicino ad Aisha, la mamma del piccolo. Ancora stordita dallo shock, Aisha incrocia le mani in grembo, gli occhi arrossati dal pianto.

Ammar è la prima vittima del 2022 della violenza armata che sta travolgendo la comunità araba in Israele: l’anno scorso 127 persone, un record, hanno perso la vita e dal 2013 i numeri salgono di anno in anno. Al tempo stesso proliferano le armi illegali nelle strade. Alcuni stimano centinaia di migliaia di armi, quasi tutte rubate da depositi militari israeliani o contrabbandate dalla Giordania.

La violenza delle bande fa sì che i due milioni della minoranza araba in Israele abbiano più probabilità di essere uccisi da connazionali arabi che i palestinesi in Cisgiordania lo siano dalle forze di sicurezza israeliane. A oggi l’assunto prevalente nella polizia, secondo un alto funzionario israeliano, si può riassumere così: “Fino a quando si ammazzano fra di loro, è un problema loro.”

Dei 9 milioni della popolazione israeliana, circa il 20% si identifica come arabo, inclusi beduini, drusi e palestinesi musulmani e cristiani. In teoria a loro sono garantiti gli stessi diritti civili e politici dei cittadini ebrei; in pratica queste comunità subiscono gravi discriminazioni istituzionalizzate.

Nei quartieri arabi ed etnicamente misti del Paese la crisi della violenza armata è una cupa dimostrazione dei problemi che devono affrontare le minoranze che vivono nello Stato ebraico.

Le reti del crimine organizzato sono profondamente radicate nella società araba che si rivolge ai boss mafiosi per dei prestiti quando le banche israeliane respingono le loro richieste. Corruzione ed estorsioni nella politica locale sono diffuse come i racket della protezione.

La comunità non si fida e teme la polizia, il che porta i cittadini palestinesi di Israele a rivolgersi per risolvere dispute ai metodi tradizionali come la sulha, un meccanismo di soluzione dei conflitti, in questo contesto di solito fra clan o famiglie rivali.

Ma con i giovani arabi, i più colpiti dalla crisi della disoccupazione causata dal Covid-19, le strade sono ora piene di manovali ben armati desiderosi di portare a segno attacchi per i loro boss o, per il giusto prezzo, di eseguire vendette su commissione. Il risultato sta lacerando il tessuto sociale che sostiene queste comunità marginalizzate.

Nel mese scorso il Guardian ha incontrato nella centrale Lod [Lydd in arabo] e in altre città nel “triangolo arabo” di Israele più di una decina di persone che hanno perso persone care innocenti a causa del crimine armato.

Nell’agosto del 2020 a Rambla Sharifa, moglie di Mohamed Abu Muamar e amata insegnante del posto, è stata uccisa sotto il fuoco incrociato mentre stava al lavandino in cucina nell’appartamento della famiglia al secondo piano. L’hanno trovata morta dopo che il figlio di due anni della coppia ha cercato di svegliarla. “Non posso lavorare, sono in difficoltà con i bambini. Adesso non riesco neppure a ritornare nell’alloggio,” dice il marito. “È troppo doloroso.”

Altre uccisioni sono atti calcolati di brutalità. Nel maggio scorso il figlio più giovane di Chitam al-Wahwah, Anas, un diciottenne, studente modello e volontario del servizio ambulanze, è stato ucciso nella sua auto mentre lei gli era accanto nel sedile del passeggero. Il caso ha fatto pensare a una rappresaglia per i misfatti di un lontano membro della famiglia.

Talvolta le faide si inaspriscono grazie alla diffusa disponibilità di armi. Lo scorso marzo a Qalansawe, Abier Hatib e Zahya Nasra, vicini di casa, hanno perso i figli adolescenti, grandi amici, quando dei membri di un clan rivale ha aperto il fuoco contro un gruppo di ragazzi in giro durante il weekend. Originariamente lo scontro era iniziato mesi prima per una lite su un parcheggio.

Anche i femminicidi commessi dai partner e da altri uomini della famiglia sono in aumento.

Molti in questa comunità sono stati gravemente colpiti nel 1948 (dopo la guerra legata alla creazione di Israele]. La gente fu cacciata e finì in povertà. Dovettero ricominciare tutto da capo così ovviamente c’è criminalità,” dice Fida Sh’hade, appartenente al consiglio di Lod, una delle molte donne arabe in Israele che aiuta a organizzare le famiglie delle vittime in una nuovo e attiva lobby politica che si chiama ‘Mothers for life’ [Madri per la vita].

Quello che sta succedendo ora è la realtà di ciò che capita quando scuole, lavori, opportunità sono negate a un intero popolo. Circa un decennio fa la polizia colpì la mafia ebraica, mise in prigione i capi delle famiglie. Israele ha la migliore infrastruttura di sicurezza del mondo, ma nel nostro Paese la polizia non riesce a catturare alcuni teenager arabi con pistole? Ma dai! Dimostra esattamente quanto contiamo noi come cittadini.”

L’anno scorso è stato risolto solo circa un quarto dei casi di omicidio di arabi contro circa il 70% degli omicidi di cittadini ebrei, una disparità che, come dichiarato dalla polizia israeliana in un’email, rispecchia il fatto che le indagini degli omicidi sono “dense di ostacoli”, inclusa la “mancanza di cooperazione da parte dei cittadini”.

Comunque tutte le famiglie incontrate dal Guardian hanno detto che le loro offerte di aiuto per le indagini o per richieste di informazioni sui progressi nella soluzione dei loro casi sono stati ignorati. Abu Muamar, che ha accettato di testimoniare contro gli assassini di sua moglie, ha ricevuto minacce di morte dalla gang, ma nessun tipo di aiuto dalla polizia, eccetto un posto di controllo a un’estremità della strada in cui abita.

Il nuovo governo di coalizione di Israele, che per la prima volta include un partito arabo, ha fatto della lotta al crimine nella comunità araba una promessa centrale agli elettori, mettendo a bilancio 1 miliardo di shekel (273 milioni di euro) per aumentare le stazioni di polizia nelle città arabe e per creare un’unità speciale dedicata agli affari della comunità araba.

Comunque Omer Barlev, ministro del governo israeliano per la pubblica sicurezza, responsabile della polizia, ha riconosciuto in un’intervista che ci vorrà tempo prima che la gente “si convinca che veramente c’è stato un cambiamento”.

Negli ultimi sei mesi c’è stato un balzo del 30% nel numero di persone arrestate e portate in giudizio,” dice. “Prima le cose non erano mai state fatte con l’intensità con cui le facciamo oggi.”

Per le vittime che stanno organizzandosi e sostenendosi grazie a Mothers For Life, l’associazione di coordinamento che per la prima volta ha portato alla ribalta politica voci di donne, i cambiamenti non stanno avvenendo abbastanza in fretta.

A Bir al-Maksur, il villaggio natio di Ammar Hujarat, la casa della famiglia è piena di vicini, parenti e sconosciuti arrivati da tutte le parti per fare le condoglianze.

In questo momento la solidarietà di tutte queste persone, musulmani, cristiani, ebrei, è la sola cosa che mi dà forza,” dice Aisha, la mamma del piccolo. “Credo nella bontà delle persone. Non mi sarei mai aspettata che una cosa simile succedesse a noi … spero che questa rabbia serva a qualcosa. Gli omicidi devono finire.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




I soldati israeliani uccidono 2 adolescenti palestinesi in 24 ore, 5 palestinesi in una settimana

Yumna Patel

15 febbraio 2022 – Mondoweiss

Martedì pomeriggio le forze israeliane hanno sparato e ucciso ad un adolescente palestinese nel villaggio occupato di Nabi Saleh, in Cisgiordania, portando a cinque il numero totale di palestinesi uccisi da Israele nell’ultima settimana.

Martedì pomeriggio i soldati israeliani hanno sparato e ucciso un adolescente palestinese nel villaggio occupato di Nabi Saleh, a nord di Ramallah, in Cisgiordania, portando a cinque il numero totale di palestinesi uccisi da Israele nell’ultima settimana.

Il giovane, identificato come Nihad Barghouti, residente nella città di Kufr Ein, sarebbe stato colpito all’addome durante gli scontri a Nabi Saleh tra l’esercito israeliano e dei palestinesi.Barghouti è il quinto palestinese, e il secondo adolescente, ucciso dalle forze israeliane in Cisgiordania nel corso di una settimana.

Secondo Defense for Children International – Palestina (DCIP) [organizzazione non governativa indipendente che sostiene e promuove i diritti dei minori, ndtr.] dei cecchini israeliani erano appostati intorno al villaggio. Quando un palestinese armato avrebbe sparato contro jeep militari israeliane, i soldati israeliani hanno aperto violentemente il fuoco verso l’area da cui provenivano i colpi.

Tuttavia, DCIP afferma che, dopo che gli scontri erano cessati, i soldati israeliani “all’improvviso e senza preavviso” hanno iniziato a sparare indiscriminatamente contro la folla di palestinesi ferendo decine di persone.

Tra i feriti, colpito ad un’occhio, c’era Abu Salah, mentre suo cugino è stato colpito alla mano nel tentativo di aiutarlo. DCIP afferma che i due sono stati colpiti da un cecchino posizionato a circa 250 metri (820 piedi) di distanza mentre scappavano.

Martedì 8 febbraio a Nablus, nel corso di un’incursione mirata, i soldati israeliani hanno sparato, uccidendoli, a tre palestinesi in quello che il Ministero della Salute palestinese ha condannato come un “assassinio”.

I tre palestinesi sono stati identificati come Adham Mabrouka, Ashraf Mubaslat e Mohammed al-Dakhil, tutti membri delle Brigate dei Martiri al-Aqsa [ala militante armata del partito al-Fath, ndtr.] di Fatah.

I militari israeliani, che viaggiavano sotto copertura su veicoli con targa palestinese, hanno circondato il veicolo dei tre uomini e hanno aperto il fuoco su di esso in pieno giorno, inondando l’auto di proiettili. Foto e video del veicolo lo mostrano crivellato da decine di fori di proiettile.

Il Ministero degli Affari Esteri palestinese ha condannato Israele per la sua atroce brutalità”, affermando in una nota: Questo crimine fa parte di una serie di criminali esecuzioni sul campo effettuate dalle forze di occupazione secondo le istruzioni e le direttive dei livelli politici e militari.”

Dall’inizio del 2022 i soldati e i coloni israeliani hanno ucciso 11 palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)