Guerra a Gaza: secondo un’esperta dell’ONU ci sono“fondati motivi” per ritenere che Israele abbia commesso un genocidio

Redazione MEE

26 marzo 2024 – Middle East Eye

Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU, ha chiesto un embargo sulle armi a Israele

Lunedì Francesca Albanese, l’esperta di diritti umani delle Nazioni Unite, ha presentato al Consiglio di sicurezza dell’ONU [ in realtà al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU a Ginevra. ndt] un rapporto in cui sostiene che nella sua guerra contro Gaza Israele ha commesso diversi atti di genocidio e che dovrebbe essere sottoposto a un embargo sulle armi.

Albanese, relatrice speciale dell’ONU sui diritti umani nei territori palestinesi, nel suo rapporto ritiene che vi siano “fondati motivi” per stabilire che Israele ha violato tre dei cinque punti elencati nella Convenzione dell’ONU sul genocidio.

Queste violazioni sono: luccisione di palestinesi, il causare loro gravi danni fisici o mentali, e linfliggere deliberatamente condizioni di vita tali da provocare, in tutto o in parte, la distruzione fisica della popolazione, azioni approvate da dichiarazioni di intenti genocidi da parte di funzionari militari e governativi.

La schiacciante natura e portata dellassalto israeliano a Gaza e le condizioni di vita devastanti inflitte rivelano lintento di distruggere fisicamente i palestinesi come popolo, afferma il rapporto.

Inoltre il rapporto accusa Israele di tentare di legittimare le sue azioni genocide etichettando i palestinesi come terroristi”, trasformando così tutto e tutti in un bersaglio o in un danno collaterale, quindi uccidibile o distruttibile”.

“È ovvio che in questo modo a Gaza nessun palestinese è al sicuro”, afferma.

Il rapporto aggiunge che lattuale guerra a Gaza non è iniziata il 7 ottobre ma che si tratta dellultima fase di un lungo processo di cancellazione coloniale da parte dei coloni, che costituisce una Nakba continua”, o catastrofe, riferendosi alla pulizia etnica della Palestina da parte delle milizie sioniste per far posto alla creazione di Israele nel 1948.

Inadempienza

Albanese esorta gli Stati membri a imporre un embargo sulle armi a Israele “poiché è chiaro che non ha rispettato le misure vincolanti imposte dalla Corte Internazionale di Giustizia (CIG)”, riferendosi alle misure provvisorie emesse dalla Corte a gennaio, dopo che il Sud Africa aveva portato Israele davanti al tribunale dellAja con laccusa di genocidio contro i palestinesi.

La Corte ha ordinato a Israele, in attesa di una sua sentenza, di adottare, misure atte a prevenire azioni che rientrino nell’articolo II della Convenzione sul genocidio.

Il rapporto chiede inoltre unindagine approfondita, indipendente e trasparentesu tutte le violazioni del diritto internazionale e un piano per porre fine allo status quo illegale e insostenibile che costituisce la causa principale dellultima escalation”.

Albanese ha aggiunto che lUnrwa, lagenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, dovrebbe essere adeguatamente finanziata per affrontare la galoppante crisi umanitaria a Gaza. L’agenzia ha affermato di essere al “vicina al collasso” in seguito alla sospensione dei finanziamenti dopo che Israele ha affermato che 12 dei suoi dipendenti sarebbero coinvolti negli attacchi guidati da Hamas il 7 ottobre.

Israele ha imposto un divieto di visto ad Albanese dopo la sua affermazione su X che gli attacchi guidati da Hamas al sud di Israele sono stati una “risposta all’aggressione di Israele”.

La missione diplomatica israeliana a Ginevra ha respinto il rapporto, condannando le “accuse oltraggiose” di Albanese come “semplice continuazione di una campagna che cerca di minare la stessa istituzione dello Stato ebraico”.

La guerra di Israele è contro Hamas, non contro i civili palestinesi, ha affermato la missione in una nota.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra a Gaza: come i soldati israeliani hanno aggredito i palestinesi durante il raid all’ospedale di al-Shifa

Mohammed al-Hajjar, Abubaker Abed e Osama Kahlout

25 marzo 2024 Middle East Eye

I sopravvissuti all’attacco nelle vicinanze dell’ospedale raccontano di esecuzioni, torture e abusi da parte dei soldati israeliani durante l’operazione durata una settimana

Una settimana dopo il raid, i sopravvissuti all’attacco israeliano all’ospedale al-Shifa e nei suoi dintorni a Gaza City hanno raccontato le loro esperienze a Middle East Eye.

Da lunedì 18 marzo le forze israeliane hanno continuato ad attaccare e assediare l’ospedale di al-Shifa. Il complesso medico è il più grande della Striscia di Gaza, con circa 30.000 persone che vi cercavano rifugio prima dell’attuale raid.

L’edificio della chirurgia è stato distrutto giovedì e molti sfollati sono stati costretti a lasciare il complesso medico, il più grande della Striscia di Gaza. Nel frattempo, i civili nelle vicinanze dell’ospedale hanno riferito di essere rimasti intrappolati sotto il fuoco israeliano per giorni.

Sabato il gruppo per i diritti umani Euro-Med Human Rights Monitor ha dichiarato di aver documentato la scorsa settimana nell’area dell’ospedale di Gaza City “una serie di crimini sistematicamente commessi dalle forze israeliane”.

Gli abusi, secondo Euro-Med, includono esecuzioni extragiudiziali, interruzioni delle comunicazioni e intensi bombardamenti sulle case circostanti il complesso medico.

Adel AbdRabbouh, 29 anni, è stato testimone oculare dell’attacco israeliano all’ospedale la scorsa settimana, mentre si recava a visitare i cugini.

Lunedì scorso, intorno alle 11, ha visto quadricotteri, carri armati, aerei da guerra e veicoli militari circondare l’ospedale. 

Ha detto che “migliaia di proiettili” sono stati sparati contro l’ospedale, e si è visto costretto a stare fermo perché temeva di essere colpito se fosse fuggito dall’edificio.

Le persone cadevano […] come foglie sotto i proiettili israeliani; i pazienti venivano lasciati dentro soli a gemere per il dolore; le donne chiamavano i loro figli e i bambini gridavano in preda al panico. Questa la scena”, ha detto a Middle East Eye.

Poi, AbdRabbouh ha detto che circa 500 soldati israeliani hanno fatto irruzione nell’ospedale, ordinando a tutti di non muoversi.

Hanno iniziato ad arrestare coloro che potevano camminare e che non presentavano ferite mortali, ha aggiunto. 

Rassicurandoci all’inizio che non ci avrebbero fatto alcun male, hanno proceduto a uccidere almeno 300 civili. Eravamo solo giocattoli nelle loro mani”, ha detto.

Nonostante durante l’attacco avesse riportato gravi fratture e ustioni alla gamba sinistra, AbdRabbouh era tra le persone arrestate nel raid.

Ha detto a MEE anche che più di 500 persone sono state detenute, tra cui donne e bambini.

Gli uomini sono stati spogliati, picchiati, bendati e ammanettati. Siamo stati radunati nel cortile e successivamente sottoposti a interrogatorio”, ha aggiunto.

AbdRabbouh ha detto di essere stato sottoposto a tre cicli di interrogatori da parte dei soldati israeliani, ciascuno della durata di 15 minuti.

I soldati gli hanno chiesto se avesse incontrato combattenti palestinesi. Dopo 45 minuti di interrogatorio ad ognuno, sono stati lasciati nudi fuori dall’ospedale e non hanno ricevuto nulla per l’iftar tranne una bottiglietta d’acqua.

Sono rimasti in quello stato fino al mattino seguente, quando gli è stato ordinato di marciare verso Al-Rasheed Street, vicino all’Istanbul Cafe. Mercoledì mattina sono stati rilasciati e gli è stato ordinato di fuggire a sud.

Nonostante la stanchezza, le ferite e la disidratazione, abbiamo dovuto camminare per sette ore fino a Deir al-Balah. Ci sono arrivato che ero quasi morto“, ha raccontato.

“Fame pazzesca

Il fratello di AbdRabbouh, Abdul Rahman, era tra i detenuti fuggiti a sud. Ha raccontato dei due giorni di calvario dicendo che hanno patito una “fame pazzesca” fino a quando non hanno raggiunto il sud.

“Se qualcuno osava chiedere acqua veniva colpito alle gambe. Abbiamo patito una fame pazzesca per due giorni.”

Ha aggiunto di aver visto un bambino di otto anni a cui un soldato israeliano ha sparato alle gambe perché aveva chiesto di vedere la sua famiglia.

Ha detto che i soldati israeliani li hanno sottoposti ad “abusi, percosse e trattamenti disumanizzanti”.

I soldati israeliani si sono comportati come mostri”, ha detto.

Mi considero fortunato ad aver ritrovato mio fratello e di essere fuggito con lui a sud. Non sapere se saremmo stati giustiziati o risparmiati è stata la cosa più dolorosa del nostro calvario. Avrò bisogno di molti anni per riprendermi da questa traumatica esperienza “, ha aggiunto trattenendo le lacrime.

Un altro sopravvissuto, Mohammed, che ha dato solo il nome, si trovava nella sua casa vicino ad al-Shifa quando è avvenuto il raid, nelle prime ore del 18 marzo.

Ha detto che lui e i suoi figli dormivano quando è iniziato l’attacco.

“Abbiamo provato a uscire di casa ma abbiamo trovato un carro armato subito fuori dalla porta e un bulldozer militare stava radendo al suolo la casa del nostro vicino”, ha detto a MEE.

Erano tutti seduti in una stanza in mezzo al il frastuono dei bombardamenti dell’artiglieria e degli attacchi aerei. Il muro di una delle stanze è poi crollato a causa dei bombardamenti, hanno quindi dovuto nascondersi in un’altra stanza.

I miei figli erano molto spaventati e non sapevo cosa fare. Sono strisciato in cucina per prendere loro del cibo. Sono riuscito a prendere delle pagnotte e noi che eravamo in nove a casa ce le siamo divise. Continuavo a cercare di rassicurare i miei figli affinché tornassero a dormire ogni volta che si svegliavano per i bombardamenti”.

Al mattino, i soldati israeliani hanno sfondato la porta e fatto irruzione in casa. 

Hanno spogliato me e mio fratello fino alle mutande e hanno spostato mia moglie e i miei figli al piano di sotto dopo averle portato via il telefono. I miei figli imploravano i soldati di lasciarmi con loro ma loro hanno rifiutato. Hanno spinto mia figlia a terra e le hanno detto di andare con sua madre”.

Dopo che sua moglie e i figli se ne furono andati, Mohammed e suo fratello sono stati bendati, i loro polsi legati con fascette di plastica e poi sono stati lasciati in strada al freddo. “Quando ho chiesto qualcosa per coprirmi, mi hanno picchiato. Continuavano a picchiarci e ad insultarci verbalmente”.

Poi i soldati hanno portato i due fratelli insieme ad altri uomini all’ospedale di al-Shifa.

Mohammed ha detto che per tutto il tempo non potevano vedere nulla, ma potevano sentire i soldati che picchiavano altri uomini.

Hanno portato alcuni uomini in un’altra stanza e poi abbiamo sentito degli spari. I soldati sono tornati da quella stanza senza gli uomini che avevano portato con sé”.

“Ci siamo resi conto che li avevano giustiziati, quindi ci siamo seduti lì aspettando solo il nostro turno.”

Siamo rimasti così per due giorni. Niente acqua, cibo o coperte. Dopo due giorni ci hanno scansionato i volti e finalmente ci hanno detto che potevamo andare. Abbiamo camminato tra carri armati e spari per metterci in salvo”.

Cocci di vetro

Mohammed Mershed e suo fratello sono stati trattenuti vicino ad al-Shifa lontano dalla loro casa dopo che era stata bombardata.

Lunedì all’Ospedale dei Martiri al-Aqsa di Deir el-Balah ha detto a MEE: “Chiedevamo aiuto. I soldati ci hanno portato via da casa nostra e ci hanno ammanettati sulla schiena. Ci hanno costretto a sdraiarci su cocci di vetro“.

Siamo stati lasciati lì per tre giorni al freddo. Il primo giorno mia madre, le mie sorelle e i miei figli sono rimasti con noi. Poi li hanno portati via”.

Non hanno chiesto i nostri documenti d’identità né effettuato alcun interrogatorio mentre eravamo detenuti. Stavano solo giocando.”

Ho assistito alle esecuzioni sul campo. È stato orribile, è troppo doloroso da ricordare.

L’esercito israeliano ha annunciato di aver ucciso e arrestato decine di palestinesi nel corso del raid. Ha dichiarato che le persone uccise erano combattenti e che gli arrestati erano sospetti membri di Hamas. L’esercito, tuttavia, non ha fornito alcuna prova a sostegno di tali affermazioni.

Secondo il Ministero della Sanità palestinese, Al-Shifa e i suoi dintorni sono stati attaccati almeno quattro volte dall’inizio della guerra il 7 ottobre.

Israele ha ripetutamente accusato Hamas di operare all’interno degli ospedali, un’accusa che il gruppo palestinese ha costantemente negato.

Hamas ha affermato in un comunicato della scorsa settimana: “La continua aggressione israeliana contro l’ospedale al-Shifa è un tentativo di nascondere il fallimento nel raggiungere i suoi obiettivi militari”.

Secondo il Ministero della Sanità, l’assalto israeliano a Gaza ha finora ucciso più di 32.000 palestinesi. Più di 70.000 palestinesi sono rimasti feriti durante le ostilità iniziate il 7 ottobre.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)

 




Guerra a Gaza: in seguito all’astensione degli USA, l’ONU approva una risoluzione che richiede il cessate il fuoco.

Redazione di MEE

25 marzo 2024 – Middle East Eye

Per la prima volta in cinque mesi di guerra il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha votato per un cessate il fuoco a Gaza dopo che gli USA si sono astenuti anziché porre il veto

Lunedì il Consiglio di Sicurezza ONU ha approvato una risoluzione che chiede un “cessate il fuoco immediato” a Gaza per il restante mese sacro musulmano del Ramadan, dopo che gli Stati Uniti si sono astenuti dal voto rinunciando a porre il veto.

La risoluzione, appoggiata da 14 nazioni tranne gli USA, chiede anche il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza e “l’urgente necessità di aumentare il flusso” degli aiuti nell’enclave assediata.

Amar Bendjama, ambasciatore dell’Algeria all’ONU e uno dei promotori della risoluzione, si è felicitato per la svolta ed ha affermato che il Consiglio di Sicurezza “si è finalmente assunto le sue responsabilità in quanto organo principale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali”.

Questo bagno di sangue è continuato per troppo tempo”, ha detto.

Il voto di lunedì è avvenuto mentre i leader israeliani continuavano a ribadire l’intenzione di proseguire con l’offensiva sul terreno su vasta scala a Rafah, la città al confine meridionale dove attualmente sono rifugiati un milione e mezzo di palestinesi.

Dall’attacco del 7 ottobre più del 90% dei 2.300.000 abitanti di Gaza è stato sfollato e almeno 32.000 palestinesi sono stati uccisi, in maggioranza donne e bambini.

Nonostante i crescenti allarmi da parte delle agenzie umanitarie e della comunità internazionale secondo cui un assalto a Rafah sarebbe una catastrofe, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sostenuto che Israele non può raggiungere il suo obbiettivo di una “vittoria totale” contro Hamas senza aggredire la città di confine.

In seguito al voto Netanyahu ha annullato per protesta la prevista visita di una delegazione di alto livello a Washington ed ha accusato gli USA di ritrattare quella che ha detto essere stata una “posizione di principio”.

Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale israeliano Tzachi Hanegbi e il Ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer, un importante uomo di fiducia di Netanyahu, avrebbero dovuto recarsi a Washington per ascoltare le contro-proposte americane riguardo all’offensiva su Rafah.

Subito dopo il voto il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca John Kirby ha detto ai giornalisti che l’astensione non rappresenta un “cambio nella politica” dell’amministrazione.

Non c’è ragione perché questo sia considerato una forma di escalation”, ha detto. “Nulla è cambiato nella nostra politica. Vogliamo ancora vedere un cessate il fuoco. Vogliamo ancora liberare tutti gli ostaggi. E vogliamo ancora vedere più assistenza umanitaria verso la popolazione di Gaza.”

La decisione di Washington di astenersi attesta settimane di critiche reciproche tra Israele e l’amministrazione Biden.

Da dicembre Biden e altri alti dirigenti USA hanno contestato Israele rispetto alla sua condotta nella guerra, ma il voto di lunedì segna il punto di critica più formale degli USA.

Gli USA hanno posto tre volte il veto rispetto alle richieste di cessate il fuoco. Inoltre Washington aveva bloccato anche un emendamento che chiedeva un cessate il fuoco che la Russia aveva cercato di includere in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza a dicembre.

La settimana scorsa gli USA avevano annunciato ufficialmente di essere pronti a limitare il proprio supporto a Israele, presentando una risoluzione per riconoscere “la necessità” di un “immediato e prolungato cessate il fuoco”.

Tuttavia quel testo era stato bloccato da Russia e Cina, che insieme agli Stati arabi lo hanno criticato per non aver chiesto esplicitamente che Israele fermasse la campagna contro Gaza.

Discussioni sulla risoluzione

Gli Stati Uniti hanno ipotizzato una risoluzione di cessate il fuoco fin da febbraio come strumento di pressione su Israele, essendo Washington sempre più frustrata da ciò che Biden ha definito “bombardamento indiscriminato” di Israele su Gaza e dalla mancata predisposizione di un piano post-guerra per l’enclave assediata, che l’ONU ha avvertito essere sull’orlo della carestia.

Frank Lowenstein, ex inviato speciale per i negoziati israelo-palestinesi nell’amministrazione Obama, aveva in precedenza detto a MEE che le crescenti critiche degli USA alle Nazioni Unite hanno rappresentato “un avvertimento a Bibi (il primo ministro Benjamin Netanyahu)”, aggiungendo che “gli israeliani sono molto sensibili riguardo all’ONU. Lo considerano un organismo ostile e confidano sugli USA perché li proteggano in quella sede.”

La risoluzione è dovuta al lavoro dei membri non permanenti del Consiglio, che hanno negoziato con gli Stati Uniti durante il weekend per evitare un ulteriore veto, secondo fonti diplomatiche che hanno espresso un certo ottimismo sulla sua approvazione.

Diversamente dal testo di venerdì, la richiesta di cessate il fuoco nella nuova risoluzione non è collegata ai colloqui in corso, condotti dal Qatar con il sostegno di Stati Uniti ed Egitto, per fermare il conflitto in cambio del rilascio degli ostaggi da parte di Hamas.

Il nuovo testo inoltre deplora “tutti gli attacchi contro civili e obbiettivi civili come anche ogni violenza e ostilità contro civili e tutti gli atti di terrorismo”.

Israele ha criticato il Consiglio di Sicurezza per le precedenti risoluzioni che non hanno specificamente condannato Hamas.

Gli attacchi compiuti da Hamas nel sud di Israele hanno ucciso 1.200 persone ed hanno portato alla cattura di 250 ostaggi condotti a Gaza.

In risposta Israele ha lanciato una sanguinosa offensiva sull’enclave assediata che ha ridotto in macerie la maggior parte della striscia costiera mediterranea.

Un recente rapporto dell’ONU ha avvertito che la carestia è imminente nel nord di Gaza, una crisi di cui molti hanno accusato Israele per aver usato la fame come arma di guerra.

 

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Gli USA minacciano di tagliare i fondi all’Autorità Palestinese se ottiene il riconoscimento da parte dell’ONU e se appoggia la causa contro Israele presso la CPI

Redazione di Middle East Monitor

25 marzo 2024 – Middle East Monitor

Il governo degli Stati Uniti ha approvato una legge che minaccia di limitare il finanziamento all’ Autorità Nazionale Palestinese (ANP) se ottiene il riconoscimento come Stato presso le Nazioni Unite e se cerca di agire contro Israele alla Corte Penale Internazionale (CPI), insieme ad una miriade di altre restrizioni su aiuti e finanziamenti ai palestinesi sotto occupazione.

Nella risoluzione votata sabato dal Senato statunitense e firmato dal presidente Joe Biden, si afferma che “nessuno dei fondi stanziato sotto la voce ‘Fondo di supporto economico’ in questa legge può essere disponibile per assistenza all’Autorità Nazionale Palestinese se dopo la data di adozione di questa legge …i palestinesi otterranno lo stesso riconoscimento degli Stati membri oppure la piena affiliazione come Stato presso le Nazioni Unite o ogni singola agenzia [ONU] fuori da un accordo negoziato tra Israele ed i palestinesi.”

Un’altra ragione per tagliare il supporto economico per l’ANP sarebbe se “i palestinesi iniziassero un’indagine autorizzata per via giudiziaria presso la Corte Penale Internazionale (CPI), o la supportassero attivamente, che sottoponga cittadini israeliani ad una inchiesta per presunti crimini contro i palestinesi.”

Nel documento si afferma comunque che “il Segretario di Stato” degli Stati Uniti “può revocare la restrizione” riguardo al riconoscimento ONU della sovranità palestinese “se il segretario certifica alle Commissioni sugli Stanziamenti [del parlamento USA] che farlo è nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti.” Lo stessa autorizzazione per una revoca a quanto pare non si applica alla seconda restrizione sui procedimenti legali contro Israele presso la CPI.

Un’altra parte rilevante della legge di finanziamento da 1.200 miliardi di dollari – che è rivolta a prevenire il blocco del governo statunitense e chiudere il bilancio annuale – è la prosecuzione del divieto di finanziamento per il United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees [Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ndt.] (UNRWA) fino al 2025, nonostante il fatto che sia la principale agenzia sul terreno nella Striscia di Gaza nel pieno della crescente carestia e la crisi umanitaria laggiù.

Allo stesso tempo, la legge alloca 3,8 miliardi di dollari aggiuntivi per aiuti militari ad Israele dal budget di 886 miliardi di dollari per il Dipartimento della Difesa statunitense, consentendo all’occupazione [isreliana] di continuare la sua offensiva contro il territorio palestinese assediato e di commettere crimini di guerra contro la popolazione, di cui sono già state uccise oltre 32.000 persone.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




A 5 mesi dall’inizio della guerra gli abitanti sia della Cisgiordania che di Gaza giustificano l’attacco di Hamas

Amira Hass

24 marzo 2024 – Haaretz

Un sondaggio palestinese mostra un forte aumento del sostegno agli attacchi tra i gazawi, al 71% rispetto al 57% di tre mesi fa.

Secondo un nuovo sondaggio, più di cinque mesi dopo l’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, accompagnata da pesanti restrizioni negli spostamenti e da arresti di massa in Cisgiordania, il sostegno dei palestinesi agli attacchi del 7 ottobre rimane alto e tra gli abitanti di Gaza è persino aumentato.

Il sondaggio, realizzato all’inizio di questo mese dal Centro Palestinese per la Ricerca di Politica e Sondaggi, ha anche rilevato che la maggioranza dei palestinesi non crede ancora che Hamas abbia perpetrato atrocità durante l’attacco.

Molti affermano anche di non aver visto immagini dell’attacco. A quanto pare, contrariamente alle aspettative israeliane, non vedono in Hamas il responsabile delle loro sofferenze e non lo puniscono riducendo il loro appoggio.

Ben il 71% degli intervistati gazawi sostiene che la decisione di Hamas di attuare l’attacco del 7 ottobre è stata corretta. Ciò rispetto al 57% del sondaggio precedente, condotto a dicembre. Solo il 23% ritiene sbagliata la decisione.

Un identico 71% degli abitanti della Cisgiordania la definisce corretta, anche se in calo rispetto all’82% di dicembre. Solo il 16% di chi ha risposto in Cisgiordania la ritiene sbagliata.

I ricercatori hanno intervistato 1.580 abitanti della Cisgiordania (compresa Gerusalemme est) e di Gaza tra il 5 e il 10 marzo. Per garantire la sicurezza dei ricercatori il sondaggio a Gaza è stato realizzato solo nelle aree in cui non erano in corso combattimenti, ossia Rafah, la parte centrale di Gaza e alcune zone di Khan Younis. Nessuna intervista è stata realizzata nel nord di Gaza doppiamente assediato.

Il dottor Khalil Shikaki, direttore del centro di ricerca e che ha supervisionato il sondaggio, ha affermato che il continuo appoggio all’attacco di Hamas in parte deriva dall’opinione che la guerra abbia rinnovato l’interesse internazionale per la causa palestinese. Tre quarti di chi ha risposto al sondaggio ha detto che ciò “potrebbe portare a un maggior riconoscimento del diritto a uno Stato palestinese.”

Ben il 62% dei gazawi che hanno risposto ha manifestato appoggio per la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele, quasi il doppio del 35% che ha detto lo stesso in dicembre. Invece in Cisgiordania l’appoggio a questa soluzione del conflitto è rimasto praticamente lo stesso, al 34%. L’approvazione per l’idea di uno Stato unico per entrambi i popoli è stata del 24%, in lieve calo rispetto al 29% di dicembre.

Una netta maggioranza di chi ha risposto ha manifestato gradimento dall’inizio della guerra nei confronti sia di Hamas che del suo leader a Gaza, Yahya Sinwar. Ma la percentuale è più alta in Cisgiordania, rispettivamente al 75% e al 68%, che a Gaza, dove sono del 62% e del 52%.

Al contrario pochi palestinesi sono soddisfatti del comportamento del presidente palestinese Mahmoud Abbas e del suo partito, Fatah. In Cisgiordania solo il 24% è contento di Fatah e solo l’8% di Abbas. A Gaza le percentuali sono rispettivamente del 32% e del 22%.

La stragrande maggioranza, il 93% in Cisgiordania e il 71 % a Gaza, vuole le dimissioni di Abbas. Inoltre circa i due terzi degli intervistati in Cisgiordania e metà di quelli di Gaza hanno affermato che dopo la fine della guerra vorrebbero vedere il ritorno del controllo di Hamas su Gaza. Questi superano di gran lunga lo scarso 10% che vorrebbe che l’Autorità Nazionale Palestinese (con o senza Abbas) controlli Gaza.

Ma quando gli viene chiesto del loro sostegno ai partiti politici e come voterebbero nelle prossime elezioni, il quadro è più complesso. Sia a Gaza che in Cisgiordania poco più di un terzo (il 35%) afferma di appoggiare Hamas, con un calo di circa 10 punti percentuali rispetto a dicembre. Più o meno un quarto dei gazawi e il 12% in Cisgiordania ha affermato di appoggiare Fatah.

Inoltre la percentuale di intervistati che voterebbero effettivamente per Hamas è scesa. In Cisgiordania è al 26%, in calo rispetto al 31% di dicembre, mentre a Gaza è al 35%, contro il precedente 41%. Un altro 20% di abitanti di Gaza e 9% della Cisgiordania ha affermato che voterebbe per Fatah.

Tuttavia la scelta più popolare per rimpiazzare Abbas come presidente rimane Marwan Barghouti, l’importante dirigente di Fatah che attualmente sta scontando molteplici condanne all’ergastolo in Israele per omicidio. (Nel 2003 Barghouti ha ricusato l’autorità giuridica del tribunale israeliano su di lui e non ha collaborato durante il processo).

Un totale del 40% di intervistati ha affermato che preferirebbe vederlo come presidente rispetto al 19% che preferirebbe il capo dell’ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh e il 10% che preferirebbe Sinwar.

L’appoggio al ritorno al potere di Hamas a Gaza può essere interpretato come una risposta politica e persino emotiva alle dichiarazioni israeliane riguardo all’eliminazione del suo dominio lì, soprattutto mentre la guerra prosegue. Eppure, come mostrano i risultati del sondaggio, se le elezioni si tenessero oggi e Hamas e i suoi principali dirigenti si presentassero non è chiaro se vincerebbero.

Le opinioni sui loro vicini

Circa metà degli intervistati in Cisgiordania prevede che se l’esercito israeliano lancerà un’operazione di terra a Rafah gli abitanti della città e gli sfollati che vi si ammassano cercheranno di fuggire in Egitto. Per contro la pensa così solo il 24% degli intervistati di Gaza. Questa differenza riflette la percezione dei gazawi di essere assediati senza vie di fuga, il che è difficile da capire per persone che vivono fuori dal territorio.

Questa disperazione è stata espressa anche in risposte alla domanda riguardo alle possibilità di un cessate il fuoco. Circa metà degli intervistati in Cisgiordania ha affermato di essere ottimista che un accordo di cessate il fuoco verrà firmato presto, rispetto a poco più di un quarto di gazawi, meno del 38% degli abitanti di Gaza, che si aspetta che la guerra continuerà.

In totale il 60% degli intervistati gazawi ha affermato che un membro della propria famiglia è stato ucciso durante la guerra, mentre il 68% ha detto che un familiare è rimasto ferito. Questa domanda non riflette il fatto che la grande maggioranza di queste famiglie ha avuto più di un parente ucciso o ferito.

Agli intervistati di Gaza è stato chiesto se cercherebbero rifugio sul lato egiziano della frontiera nel vedere gente che cercasse di attraversarla e la barriera divisoria crollata. Circa il 69% ha risposto negativamente e un quarto positivamente.

Il dottor Shikaki presume che questa bassa percentuale sia relativa al fatto che il 68% degli intervistati a Gaza si aspetta che l’esercito e la polizia egiziani aprirebbero il fuoco contro i palestinesi che tentassero di sfondare la linea di confine. Anche molte persone in Cisgiordania, il 55% degli intervistati, pensa che le forze di sicurezza egiziane lo farebbero. Il fatto che il 61% di chi ha risposto ritenga in entrambe le aree che le forze di sicurezza di un Paese arabo aprirebbero il fuoco contro altri civili arabi che fuggono da un’invasione di terra israeliana corrisponde all’atteggiamento amaro nei confronti dell’Egitto.

Questa amarezza si nota anche in altre risposte. Quando viene chiesto di quantificare il gradimento nei confronti di altri Paesi della regione, l’Egitto ottiene il punteggio più basso: solo il 12% degli intervistati ha affermato si essere contento delle iniziative del Paese, in netto calo rispetto al 23% del precedente sondaggio, a dicembre.

Anche qui spicca la differenza tra le due zone. Comunque il 23% degli abitanti di Gaza ha affermato di essere soddisfatto delle azioni dell’Egitto rispetto al 5% di quelli della Cisgiordania. L’Egitto è visto come un complice di Israele e un alleato nell’assedio imposto a Gaza, non come una parte che sta contribuendo a impedire a Israele di realizzare la sua ambizione di destra di espellere i palestinesi da Gaza.

La consapevolezza del fatto che l’Egitto consente la partenza di migliaia di persone in cambio di cospicue bustarelle pagate a persone legate all’apparato di sicurezza egiziano non cessa di scioccare l’opinione pubblica palestinese.

Lo Yemen ottiene il gradimento maggiore, l’88% tra gli intervistati della Cisgiordania e il 75% tra quelli di Gaza. Non è difficile immaginare che ciò sia legato al fatto che gli houthi si sono uniti agli “sforzi bellici” lanciando missili contro navi nel sud del Mar Rosso.

Al secondo posto, anche se molto dietro lo Yemen, c’è il Qatar: il 49% degli intervistati della Cisgiordania e il 67% a Gaza sono soddisfatti. È seguito da Hezbollah, Iran e Giordania. Cosa interessante, anche qui sono gli intervistati di Gaza ad essere più soddisfatti di questi due Paesi.

La Russia guida la lista degli Stati non arabi che conquistano il gradimento dei palestinesi, ma di meno di un quarto: il 17% in Cisgiordania e il 28% a Gaza. L’11% dei gazawi e il 7% degli abitanti della Cisgiordania hanno espresso il proprio gradimento nei confronti dell’ONU. Come c’era da aspettarsi, solo l’1% esprime un’opinione simile riguardo agli USA.

Benché il testo della domanda sul gradimento non ne citi le ragioni, sembra che l’appoggio o meno degli attori regionali e internazionali ad Hamas possa spiegare l’atteggiamento palestinese nei loro confronti.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il leader palestinese imprigionato Marwan Barghouti è stato picchiato dalle guardie

Redazione di Middle East Monitor

19 marzo 2024 – Middle East Monitor

Il famoso prigioniero politico palestinese Marwan Barghouti è stato aggredito con manganelli dalle guardie carcerarie israeliane e ha subito una emorragia a un occhio, hanno affermato la Commissione palestinese per gli affari dei detenuti e gli ex prigionieri e la famiglia di Barghouti, come riferito da Al-Arabi Al-Jadeed.

Barghouti, sessantaquattrenne, che è membro del comitato centrale di Fatah [storico partito politico palestinese che governa l’Autorità Palestinese, ndt.] è soggetto ad isolamento, torture ed umiliazioni, ha affermato sua moglie Fadwa Barghouti.

Fadwa ha spiegato che la vita di suo marito e di altri noti prigionieri sono in grave pericolo, aggiungendo che l’amministrazione carceraria israeliana “li brutalizza deliberatamente al fine di fiaccare il loro morale.”

Marwan è soggetto a continui attacchi, di cui abbiamo saputo [attraverso gli avvocati] il 6 e il 12 marzo e che gli hanno causato una emorragia in un occhio, mentre le forze repressive della prigione lo hanno costantemente minacciato,” ha aggiunto lei, spiegando che Marwan è stato spostato cinque volte durante gli ultimi tre mesi, ed ogni volta è stato aggredito e le sue condizioni carcerarie sono state rese più difficili.

In quattro prigioni è stato messo in isolamento, ha affermato, avvertendo che è stata scatenata una “vera e propria guerra” contro i prigionieri palestinesi e i loro leader, cosa che danneggia il loro morale.

Da parte sua, la campagna “Marwan Barghouti e tutti i prigionieri politici palestinesi liberi” ha affermato in una dichiarazione che i legali che hanno visitato la prigione di Megiddo hanno appreso del brutale attacco a Barghouti e ad altri importanti prigionieri da parte delle unità speciali di repressione della prigione, aggiungendo che molti di loro sono stati messi in isolamento.

La campagna ha affermato che è stata contattata da molte figure internazionali, inclusi diplomatici, parlamentari e istituzioni per i diritti umani, ed anche dai leader del movimento Fatah e delle fazioni Azione Nazionale e Islamica, che chiedono di fornire protezione al popolo palestinese, inclusi i prigionieri politici nelle carceri israeliane.

Barghouti è stato arrestato nel 2002 e in seguito è stato condannato a cinque ergastoli per le accuse di “uccisione e ferimento di israeliani.”

In parallelo con il massacro contro la Striscia di Gaza che ha ucciso più di 31.000 palestinesi, Israele ha incrementato le incursioni e gli arresti nella Cisgiordania occupata, arrestando più di 7.000 persone, contemporaneamente alla campagna di persecuzione dei prigionieri nelle carceri israeliane che dal 7 ottobre 2023 ha provocato la morte di almeno 13 prigionieri.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




100.000 lavoratori si sono appena impegnati con il BDS a boicottare una compagnia petrolifera statunitense complice del genocidio di Israele

Redazione The Canary

19 marzo 2024 –The Canary

Chevron sotto tiro

Un sindacato dei lavoratori basati su app che rappresenta oltre 100.000 conducenti Uber e altri conducenti basati su app in 20 paesi si sono uniti per boicottare le stazioni di servizio a marchio Chevron, tra cui Texaco e Caltex, in linea con la campagna del Comitato nazionale palestinese (BNC) del BDS e l’appello per la solidarietà da parte dei sindacati palestinesi.

La Chevron sente la forza del BDS

L’Alleanza internazionale dei lavoratori dei trasporti basati su app (IAATW) è una federazione globale che rappresenta oltre 100.000 autisti e corrieri in 20 paesi e sei continenti, tra cui Sud Africa, Nigeria, Ghana, Messico, Panama, Cile, Costa Rica, Uruguay, Argentina, Stati Uniti, Canada, Sri Lanka, India, Bangladesh, Indonesia, Malesia, Cambogia, Francia, Australia e Regno Unito.

Alla conferenza internazionale biennale tenutasi a Colombo, Sri Lanka, i delegati della IAATW hanno approvato all’unanimità mozioni che dimostrano il loro inequivocabile sostegno alla Palestina e l’impegno ad azioni in linea con il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) e l’appello senza precedenti di oltre 30 Sindacati palestinesi.

Il BNC ha affermato:

Il movimento BDS ribadisce il suo appello ai sostenitori dei diritti dei palestinesi e della giustizia climatica, in particolare ai lavoratori e ai sindacati, affinché intensifichino le campagne di disinvestimento e di boicottaggio contro Chevron (e tutte le sue stazioni di servizio

Questa mozione ha ribadito la dichiarazione della IAATW dell’ottobre 2023 e si è impegnata ad azioni concrete adottando l’appello del BDS contro le compagnie petrolifere complici dell’occupazione israeliana.

Apartheid e genocidio

Nell’ambito di questi sforzi di solidarietà, gli autisti della IAATW si sono impegnati a boicottare le stazioni di servizio a marchio Chevron, tra cui Texaco e Caltex, che operano in tutti i Paesi dei membri della IAATW. Il sindacato ritiene che il rifiuto di sostenere entità complici nel perpetuare le ingiustizie contro i palestinesi sia un passo fondamentale verso la giustizia e l’attribuzione delle responsabilità.

La Chevron ha generato miliardi di dollari di entrate per l’Israele dell’apartheid in quanto principale “attore internazionale che estrae il gas rivendicato da Israele nel Mediterraneo orientale” – contribuendo a finanziare il genocidio in corso contro 2,3 milioni di palestinesi a Gaza.

La Chevron è direttamente coinvolta nella politica e nella pratica israeliana di privare il popolo palestinese del diritto alla sovranità sulle proprie risorse naturali.

La complicità della Chevron

La IAATW afferma:

Ispirati dall’embargo petrolifero del 1987 contro Shell per il suo ruolo nell’apartheid sudafricano, noi, il settore del trasporto passeggeri basato su app per aziende come Uber, Deliveroo, JustEat, Free Now, Glovo, Lyft, Grab, DoorDash, Grubhub, Amazon, Ola, Gojek, Didi, Bolt, Careems, ribadiscono gli appelli all’azione da parte dei palestinesi e si impegnano a boicottare le migliaia di distributori di gas e benzina Chevron, Texaco e Caltex in tutto il mondo.

Per costruire questa campagna all’interno della IAATW e oltre i delegati si sono anche impegnati a contattare e collaborare con altri sindacati dei trasporti basati su app per incoraggiarli a rispondere a queste richieste e organizzare una giornata informativa internazionale.

La IAATW ha osservato:

Infine la IAATW si impegna a indagare e ad agire contro le società di app che utilizzano tecnologia israeliana in quanto complici del genocidio perpetrato contro i palestinesi.

La IAATW è solidale con il popolo palestinese e il movimento operaio palestinese e la loro lotta per la liberazione nazionale; ribadiamo le richieste per un cessate il fuoco immediato e la fine dell’apartheid israeliano e dell’occupazione militare e invitiamo gli altri sindacati a fare lo stesso

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Appello del movimento BDS per il boicottaggio delle stazioni di servizio dei marchi Chevron

30 gennaio 2024-Comitato nazionale palestinese del BDS (BNC)

Il Comitato Nazionale Palestinese BDS (BNC), la più AMPIA coalizione palestinese che guida il movimento globale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, chiede di intensificare la campagna contro il gigante dei combustibili fossili Chevron impegnandosi nel boicottaggio dei consumatori delle stazioni di servizio Chevron, Texaco e Caltex.

Chevron è stato il principale attore internazionale nell’estrazione del gas fossile rivendicato da Israele nel Mediterraneo orientale da quando ha acquisito Noble Energy nel 2020. Con le sue attività di estrazione Chevron è coinvolta nella politica e nella pratica israeliana di privare il popolo palestinese del diritto alla sovranità sulle proprie risorse naturali. Le attività estrattive della Chevron generano miliardi di dollari di entrate per l’Israele dell’apartheid e i suoi finanziamenti per la guerra contribuendo a finanziare il genocidio in corso contro 2,3 milioni di palestinesi a Gaza, così come il suo regime di colonialismo, apartheid e occupazione militare. La Chevron alimenta l’apartheid e la devastazione ambientale.

Nel 2022 il movimento BDS ha lanciato un appello a boicottare sia Siemens che Chevron con la campagna contro la Chevron precedentemente focalizzata sul disinvestimento. Ora chiediamo ai sostenitori dei diritti dei palestinesi e della giustizia climatica di aumentare la pressione sulla Chevron boicottando le stazioni di servizio della Chevron e le stazioni di servizio di proprietà della Chevron, comprese Texaco e Caltex. Ci sono migliaia di distributori di benzina Chevron, Texaco e Caltex in tutto il mondo.

Durante la lotta contro l’apartheid in Sud Africa un movimento per boicottare i combustibili Shell per la sua complicità nell’apartheid ha guadagnato slancio in tutto il mondo, con sostenitori che hanno preso parte a picchetti alle stazioni di servizio e ad importanti campagne di disinvestimento nei confronti della compagnia di combustibili fossili. Ispirato dalla lotta di liberazione del Sud Africa, il movimento BDS guidato dai palestinesi mira a esercitare pressioni sulla Chevron fino a quando non cesserà più di condurre affari che violano gravemente i nostri diritti umani e avvantaggiano il regime genocida dell’apartheid israeliano.

Ribadiamo il nostro appello ai sostenitori dei diritti dei palestinesi in tutto il mondo affinché costruiscano e rafforzino partenariati intersezionali #BoycottChevron con il movimento per la giustizia climatica e le numerose comunità e popolazioni indigene di tutto il mondo che stanno denunciando e resistendo alla violenza coloniale dell’estrattivismo della Chevron, alla distruzione ambientale e alle gravi violazioni dei diritti umani.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




L’aiuto umanitario è uno strumento genocida nelle mani di Israele e degli USA

Ramona Wadi

12 marzo 2024 – Middle East Monitor

Israele non ha alcuna intenzione di consentire che una quantità significativa di aiuti umanitari arrivi a Gaza. Anche la società dei coloni ha affermato che a Gaza i palestinesi non meritano aiuto finché non saranno rilasciati tutti gli ostaggi israeliani, nonostante il fatto che non c’è alcun rapporto tra l’imposizione di una carestia genocida e una garanzia del ritorno degli ostaggi nello Stato occupante. A parte, cioè, il fatto che se Gaza muore di fame, lo stesso faranno gli ostaggi.

Fare del genocidio uno spettacolo in nome dell’aiuto umanitario è una cosa in cui la comunità internazionale eccelle. Israele ha distrutto camion che portavano aiuti e ucciso palestinesi che vi si arrampicavano per una misera quantità di cibo. La Giordania e gli USA hanno tentato lanci umanitari dal cielo, alcuni dei quali sono caduti in mare. Un altro bancale di cibo lanciato dal cielo ha ucciso dei palestinesi perché il paracadute non si è aperto. Non solo è stato un aiuto sprecato, ma il cibo era sufficiente per qualche migliaio di palestinesi, mentre tutta Gaza muore di fame.

Si sta per costruire un molo galleggiante sulle coste di Gaza che sarà utilizzato per trasferire aiuti dalle navi all’enclave. Lo costruiranno soldati USA. Sembra che militarizzare l’aiuto umanitario non sia mai stato così facile, e dal punto di vista umanitario mai così tirato per le lunghe. Costruire il molo potrebbe richiedere fino a 60 giorni, e il generale Frank S. Besson, di USAV [Ufficio federale della sicurezza alimentare e veterinaria, ndt.], è già salpato con le attrezzature necessarie. Gli USA schiereranno 1.000 soldati per la costruzione del pontile lungo 550 metri e, secondo dichiarazioni del presidente USA Joe Biden, “il governo israeliano ne garantirà la sicurezza.” Non è certo un’idea rassicurante. Al contrario è la garanzia che, 60 giorni dopo, i palestinesi continueranno a morire di fame nel genocidio pianificato da Israele.

L’UN Relief and Works Agency for Palestine Refugees [agenzia dell’ONU per il Soccorso e il Lavoro dei Profughi Palestinesi] (UNRWA) ha ammorbidito le sue critiche al piano USA per la consegna di aiuti. “Qualunque tentativo di far entrare aiuti umanitari a Gaza per aiutare persone disperate è assolutamente benvenuto,” ha detto la direttrice della comunicazione Juliette Touma, notando nel contempo che il trasporto di aiuti umanitari sarebbe più efficace via terra. Il comunicato è esplicitamente attento a non irritare Israele e gli USA, e anche paternalistico nei confronti del popolo palestinese. Se le preoccupazioni dell’UNRWA riguardo alla neutralità non fossero state il principale obiettivo nel rilasciare comunicati, il piano degli USA avrebbe incontrato un’obiezione di principio. Cercare di compiacere Israele non ammorbidirà i progetti dello Stato occupante per la chiusura dell’UNRWA, come ha riportato ieri il Times of Israel riguardo al piano dell’esercito israeliano di sostituire l’agenzia con un’alternativa come il Programma Alimentare Mondiale dell’ONU. Il che dimostra ancora una volta che l’ONU non trova alcuna contraddizione riguardo a lavorare con violatori dei diritti umani per salvaguardare i diritti umani. 

Il molo galleggiante per l’aiuto umanitario è una perdita di tempo, non uno sforzo ben accetto.

Rimane da vedere a cosa servirà il pontile, se ci sono in serbo ulteriori motivazioni. Il ministro degli Esteri dello Stato di apartheid Israel Katz ha parlato di costruire un’isola artificiale al largo delle coste di Gaza per facilitare l’espulsione forzata del popolo palestinese dall’enclave. Ogni gesto umanitario da parte degli USA per il quale Israele non ha concrete obiezioni, come nel caso di questo molo, dovrebbe dunque far suonare il campanello d’allarme. Secondo l’esperto giordano di questioni militari e strategiche Hisham Khreisat “il porto galleggiante al largo delle coste di Gaza è una finzione umanitaria che nasconde la migrazione volontaria verso l’Europa.” Fai entrare gli aiuti, fai uscire i palestinesi.

L’aiuto umanitario è uno strumento genocida nelle mani di Israele e degli USA.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




I medici di Gaza hanno riferito alla BBC che le truppe israeliane li hanno picchiati e umiliati dopo i raid in ospedale

Alice Cuddy

12 marzo 2024 BBC

Il personale medico palestinese a Gaza ha detto alla BBC che sono stati bendati, trattenuti, costretti a spogliarsi e ripetutamente picchiati dalle truppe israeliane dopo l’attacco al loro ospedale il mese scorso.

Ahmed Abu Sabha, un medico dell’ospedale Nasser, ha raccontato di essere stato detenuto per una settimana in cui, ha detto, è stato aggredito da cani con la museruola e gli è stata rotta una mano da un soldato israeliano.

Il suo racconto combacia perfettamente con quello di altri due medici che hanno voluto restare anonimi per paura di ritorsioni.

Hanno raccontato alla BBC di essere stati umiliati, picchiati, inzuppati con acqua fredda e costretti a inginocchiarsi in posizioni scomode per ore. Hanno detto di essere stati detenuti per giorni prima di essere rilasciati.

La BBC ha dato i dettagli delle loro accuse alle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Non hanno risposto direttamente alle domande su quei resoconti, né hanno negato specifiche accuse di maltrattamenti. Ma hanno negato che il personale medico sia stato maltrattato durante l’operazione.

Hanno affermato che “qualsiasi abuso sulle persone fermate è contrario agli ordini dell’IDF ed è quindi severamente proibito”.

Il 15 febbraio l‘IDF ha fatto irruzione nell’ospedale di Khan Younis, nel sud di Gaza, uno dei pochi nella Striscia ancora funzionante, affermando che secondo l’intelligence l’ospedale ospitava agenti di Hamas.

Hanno detto anche che vi erano stati trattenuti ostaggi israeliani presi da Hamas il 7 ottobre – e alcuni degli ostaggi hanno pubblicamente confermato di essere stati trattenuti a Nasser. Hamas ha negato che i suoi combattenti operino all’interno di strutture mediche.

Un filmato girato di nascosto in ospedale il 16 febbraio, il giorno in cui i medici sono stati arrestati, è stato condiviso con la BBC.

Mostra una fila di uomini in mutande davanti all’edificio del pronto soccorso dell’ospedale, inginocchiati con le mani dietro la testa. Davanti ad alcuni di loro giacciono camici medici.

“Chiunque abbia provato a muovere la testa o a fare qualsiasi movimento è stato picchiato“, ha detto alla BBC il primario dell’ospedale dottor Atef Al-Hout. “Li hanno lasciati per circa due ore in quella posizione vergognosa.”

L’IDF ha dichiarato alla BBC: “Di norma, durante il processo di arresto, è spesso necessario che i sospetti terroristi consegnino i loro vestiti in modo che possano essere perquisiti e per assicurarsi che non nascondano giubbotti esplosivi o altre armi.

“I vestiti non vengono restituiti immediatamente ai detenuti, per il sospetto che possano nascondere mezzi utilizzabili per scopi ostili (come coltelli). I vestiti vengono restituiti ai detenuti quando è possibile farlo.”

Il personale medico ha detto che sono stati poi portati in un edificio ospedaliero e picchiati, e poi trasportati mezzi nudi in una struttura di detenzione.

Il dottor Abu Sabha, medico 26enne appena qualificato e volontario a Nasser, ha descritto alcuni momenti del suo trattamento durante la detenzione, torture come far stare i detenuti in piedi per ore senza pausa. Ha detto che altre punizioni inflitte ai detenuti erano di metterli a pancia in giù per lunghi periodi e di procrastinare i pasti.

Un esperto di diritti umani ha affermato che il filmato e la testimonianza del personale medico intervistato dalla BBC sono “estremamente preoccupanti”. Ha detto che alcuni dei resoconti forniti alla BBC “rientrano molto chiaramente nella categoria di trattamento crudele e disumano”.

Lawrence Hill-Cawthorne, co-direttore del Centro per il Diritto Internazionale dell’Università di Bristol, ha dichiarato: “Questo va contro ciò che è stata per molto tempo un’idea fondamentale del diritto da applicare nei conflitti armati, ovvero che gli ospedali e il personale medico vanno protetti.”

“Il fatto che curino cittadini dello schieramento nemico non deve in alcun modo minare la loro tutela“, ha affermato.

La BBC ha indagato sulla vicenda dell’ospedale per diverse settimane, parlando con medici, infermieri, farmacisti e sfollati accampati nel cortile. Abbiamo effettuato un controllo incrociato dei dettagli dei racconti.

Ci sono stati forniti i nomi di 49 membri del personale medico di Nasser che si ritiene siano stati detenuti. Di questi, 26 sono stati nominati da più fonti: i medici sul campo, il Ministero della Sanità gestito da Hamas, alcune associazioni internazionali e le famiglie delle persone scomparse.

I tre medici che affermano di essere stati arrestati e successivamente rilasciati non hanno ancora reso pubblico il loro resoconto. Fra loro abbiamo intervistato due volte il dottor Abu Sabha. La sua storia è apparsa coerente e abbiamo verificato i punti chiave del suo resoconto in maniera indipendente.

Le famiglie di altri cinque medici dell’ospedale hanno detto alla BBC che i loro cari sono scomparsi. Inoltre, il Comitato internazionale della Croce Rossa ha confermato alla BBC di aver ricevuto decine di telefonate da persone che affermano che i loro familiari, compresi alcuni medici che erano a Nasser, sono scomparsi.

I medici rimasti a Nasser affermano che l’operazione dell’IDF presso l’ospedale ha reso impossibile prendersi cura dei pazienti. Secondo il primario dottor Hout quando l’IDF ha preso il controllo vi venivano curati quasi 200 pazienti, molti dei quali “costretti a letto”, di cui sei nell’unità di terapia intensiva.

Il personale autorizzato a rimanere ha detto di aver ricevuto l’ordine di spostare pazienti gravemente malati tra gli edifici, di aver dovuto interrompere il proprio lavoro per essere interrogati e di aver ricevuto in carico pazienti che non erano preparati a gestire, il tutto lavorando in condizioni soffocanti e antigeniche.

Numerosi medici hanno affermato che 13 pazienti sono morti nei giorni successivi all’occupazione da parte di Israele.

Hanno detto che molti fra questi pazienti sono morti a causa delle condizioni dell’ospedale, inclusa la mancanza di elettricità, acqua e altri beni essenziali necessari per far funzionare Nasser. Non è possibile verificarlo in modo indipendente. Un medico ha condiviso foto di corpi in sacchi sui letti che, come abbiamo verificato, sono state scattate in un reparto dell’ospedale.

L’IDF ha detto alla BBC di aver “fornito all’ospedale centinaia di razioni di cibo e un generatore alternativo che ha permesso di continuare a funzionare e curare i pazienti ricoverati“.

I “sistemi essenziali” dell’ospedale avrebbero continuato a funzionare durante le operazioni dell’IDF grazie a un sistema continuo di alimentazione elettrica, hanno affermato.

Il 18 febbraio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che l’ospedale era a corto di cibo e forniture mediche di base e aveva cessato di funzionare. I restanti pazienti sono stati inviati in altri ospedali intorno a Gaza e il personale medico che vi lavorava se n’è andato poco dopo.

Un dottore: “Pensavo che mi avrebbero giustiziato”

I detenuti rilasciati e altri medici hanno detto alla BBC che l’edificio della maternità, chiamato Mubarak, è diventato il luogo in cui l’IDF interrogava e picchiava il personale. Il dottor Abu Sabha ha detto che inizialmente era stato scelto perché stesse con i pazienti dopo il raid, ma in seguito è stato portato a Mubarak che secondo lui era diventato “praticamente un luogo di tortura”.

Tutti e tre i detenuti con cui ha parlato la BBC hanno affermato di essere stati stipati con molti altri su veicoli militari e picchiati mentre venivano trasportati. I soldati li hanno picchiati con bastoni, tubi, calci di fucili e pugni, hanno detto.

“Eravamo nudi. Indossavamo solo dei boxer. Ci hanno ammassati uno sopra l’altro. E ci hanno portato fuori da Gaza”, ha detto uno dei medici che ha voluto rimanere anonimo. “Per tutto il percorso siamo stati picchiati, insultati e umiliati. E ci hanno versato addosso acqua fredda”.

Il dottor Abu Sabha ha detto che durante il viaggio i soldati hanno fatto scendere i detenuti dal veicolo. “Ci hanno portato su un pezzo di terreno coperto di ghiaia, ci hanno costretto a inginocchiarci e bendato gli occhi… C’era una fossa nel terreno e pensavamo che ci avrebbero giustiziati e seppelliti qui. Abbiamo iniziato tutti a pregare. “

Ha detto che è stato poi portato in un edificio dove lui e gli altri detenuti sarebbero stati detenuti.

Gli altri due detenuti rilasciati hanno detto che ad un certo punto sono stati sottoposti a controlli medici ma non medicati. Uno ha detto che invece di ricevere cure per una ferita, un soldato dell’IDF lo ha colpito nel punto in cui era ferito.

“Mi hanno messo sopra una sedia ed era come per un’impiccagione“, ha detto. “Ho sentito il rumore delle corde, quindi ho pensato che sarei stato giustiziato.

“Dopo di che hanno rotto una bottiglia e [col vetro] mi hanno fatto dei tagli sulla gamba e hanno lasciato che sanguinasse. Poi hanno iniziato a portare dentro un medico dopo l’altro e hanno iniziato a metterli uno accanto all’altro. Sentivo i loro nomi e le loro voci.”

L’IDF ha detto alla BBC che “non effettua e non ha effettuato finte esecuzioni di detenuti e respinge tali affermazioni”.

Tutti e tre i detenuti con cui ha parlato la BBC hanno affermato di essere stati stipati in massa su veicoli militari e picchiati mentre venivano trasportati. I soldati li hanno picchiati con bastoni, manichette, calci di fucili e pugni, hanno detto.

Il dottor Abu Sabha ha detto alla BBC che i detenuti venivano regolarmente puniti per quelle che erano ritenute infrazioni. “A un certo punto, la benda mi si è abbassata un po’ ma avevo le mani ammanettate sulla schiena e non potevo aggiustarla.

“Mi hanno portato fuori per la punizione… mi hanno lasciato in piedi con le mani alzate sopra la testa e il viso rivolto in basso per tre ore. Poi, lui [un soldato] mi ha chiesto di avvicinarmi. L‘ho fatto, lui ha preso a colpirmi la mano finché non me l’ha rotta.”

Più tardi quello stesso giorno è stato portato in bagno, picchiato e gli hanno aizzato contro cani con la museruola, ha raccontato.

Il giorno dopo, un medico israeliano gli ha fatto un gesso e poi i soldati gli hanno disegnato sopra una stella di David, ha continuato. Quel gesso è stato poi cambiato da un medico di Gaza e Ahmed l’aveva ancora durante la sua intervista con la BBC.

La BBC ha confermato che dopo la sua detenzione il dottor Abu Sabha si è sottoposto a una radiografia e ha dovuto curarsi una mano rotta in un ospedale da campo a Gaza, e che è arrivato lì con un gesso con disegnata una stella di David.

L’IDF non ha risposto alle domande della BBC sull’ingessatura del dottor Abu Sahba.

A nessuno dei tre medici sono state fatte accuse specifiche, ma due hanno affermato che gli interrogatori si sono concentrati sulla presenza di ostaggi o combattenti di Hamas all’interno dell’ospedale.

Hanno detto che è stato loro chiesto anche dove si trovassero il 7 ottobre, quando uomini armati di Hamas hanno fatto irruzione da Gaza in Israele uccidendo circa 1.200 persone, prendendone in ostaggio altre 253. Si ritiene che più di 130 ostaggi siano ancora detenuti da Hamas. Funzionari israeliani hanno detto che almeno 30 di loro sono morti.

Il Ministero della Sanità a Gaza, gestito da Hamas, afferma che più di 31.000 persone sono state uccise dagli attacchi aerei di ritorsione di Israele e dalloffensiva di terra in corso.

Uno dei detenuti rilasciati ha detto che due giorni dopo essere stato interrogato, gli ufficiali dell’IDF gli hanno detto che non c’erano prove e che sarebbe stato rilasciato.

“Gli ho chiesto: ‘Chi mi risarcirà di tutte le percosse e le umiliazioni che ho subito, che mi avete fatto, mentre sapevo che non ero colpevole di nulla?’ Ha cominciato a borbottare: Non ho niente contro di te. Nessuna accusa“.

Il dottor Abu Sabha ha detto alla BBC di non essere mai stato interrogato durante i suoi otto giorni di detenzione.

I tre medici con cui abbiamo parlato dicono di essere stati riportati a Gaza bendati dopo il rilascio.

La BBC ha confermato il resoconto del dottor Abu Sabha secondo cui sarebbe rientrato a Gaza dal valico di Kerem Shalom, controllato da Israele, vicino al punto più meridionale della Striscia dove si incontrano Gaza, Israele ed Egitto.

I resoconti dei medici sono in contrasto con un diverso resoconto fornito alla BBC da un alto funzionario dell’IDF, che afferma non fosse stato effettuato alcun arresto del personale medico a Nasser, “a meno che non sapessimo che fosse possibile ottenere questa o quella informazione di intelligence” da loro.

“Avevamo ragionevoli motivi per ritenere che avessero delle informazioni, quindi li abbiamo presi per interrogarli e porgli delle domande, ma non oltre”, ha detto il funzionario.

“Non c’erano manette, non li abbiamo portati via per interrogatori, né in arresto anticipato, ma allo scopo di interrogarli e cercare di ottenere informazioni sugli ostaggi o sui comandanti di Hamas che erano in ospedale… un interrogatorio molto semplice e questo è quanto.”

Alcuni ostaggi prelevati da Israele il 7 ottobre hanno raccontato di essere stati portati nel complesso ospedaliero di Nasser in ambulanza. Una donna presa in ostaggio e rilasciata ha detto che suo marito, che è ancora a Gaza, era coperto da un lenzuolo per sembrare un cadavere.

Hanno descritto di essere stati tenuti in stanze piccole e costretti a chiamare se avevano bisogno di andare in bagno. Uno ha descritto il periodo trascorso in prigionia come “guerra psicologica”.

L’IDF afferma di aver scoperto che Hamas ha utilizzato l’ospedale Nasser

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) afferma che dal 7 ottobre Israele ha sospeso le visite ai detenuti, il che significa che non ha più potuto visitare alcun detenuto.

Ha detto alla BBC che sono “profondamente preoccupati” per le notizie di arresti e continue detenzioni di medici.

“Ovunque e chiunque essi siano, i detenuti devono essere trattati umanamente e con dignità in ogni momento, in conformità con il diritto internazionale umanitario”, affermano.

“Il CICR ha continuamente richiesto, ed è pronto a riprendere immediatamente, le visite ai detenuti al fine di monitorare il trattamento e le condizioni di detenzione.”

Un rapporto interno delle Nazioni Unite visto dalla BBC descrive diffusi abusi nei confronti dei palestinesi che sono stati catturati e interrogati nei centri israeliani di detenzione improvvisati dall’inizio della guerra, e sono simili ai resoconti forniti dai medici. L’IDF ha precedentemente negato accuse specifiche contenute nel rapporto delle Nazioni Unite, compreso il rifiuto dell’accesso all’acqua, alle cure mediche e alla biancheria da letto.

A Nasser “l’ospedale riusciva a malapena a funzionare”

Nel frattempo nell’ospedale Nasser è stato permesso ad alcuni medici di restare e prendersi cura dei restanti pazienti. Alcuni pazienti erano stati arrestati durante il raid, secondo il primario dottor Hout.

In un video fornitoci da un testimone oculare di Nasser, i soldati dell’IDF trasportano due letti d’ospedale e le mani degli occupanti sono alzate sopra la testa e legate. Abbiamo verificato che fosse autentico.

In un filmato separato pubblicato dall’IDF, si possono vedere persone sdraiate sui letti nell’area dell’ospedale con le mani legate e le braccia sollevate in una posizione simile. Non sappiamo chi siano queste persone o cosa sia successo loro dopo questo filmato.

L’IDF ha affermato: “Sottolineiamo che le mani dei pazienti che non erano sospettati di coinvolgimento nel terrorismo non erano legate”.

I medici rimasti temevano di essere uccisi se avessero sfidato l’ordine di non lasciare l’edificio, ha detto alla BBC il dottor Hatim Rabaa, che lavorava anche lui al Nasser, in una telefonata il 22 febbraio mentre in sottofondo risuonavano le esplosioni. Tuttavia, sono scesi nel cortile per prendere acqua, temendo che i pazienti altrimenti sarebbero morti, ha detto.

“La gente moriva di sete. Sulle spalle portavo 12 litri d’acqua per darla da bere. Cos’altro potevo fare?”

Diversi medici hanno affermato che l’IDF non avrebbe concesso loro il permesso di seppellire o addirittura spostare i corpi dei pazienti morti in seguito all’operazione. I corpi sono rimasti all’interno insieme al personale e ai pazienti e cominciavano a decomporsi, hanno detto i medici.

“L’odore riempiva tutto il reparto“, ha detto il dottor Rabaa. “I pazienti gridavano ‘per favore portateli via da qui’. Io gli dicevo ‘non posso deciderlo io‘.”

Il dottor Rabaa faceva parte di un piccolo gruppo di medici scelti per rimanere con i pazienti. Ha detto che anche lui era stato spogliato fino alla biancheria intima e fatto inginocchiare davanti al pronto soccorso, ma poi è stato portato via nell’edificio dove erano tenuti i pazienti.

Ha detto che non sa cosa sia successo ai suoi colleghi che ha lasciato nel cortile.

La BBC ha posto all’esercito israeliano domande dettagliate sulle accuse.

Nella sua risposta, l’IDF ha detto alla BBC che “sono stati arrestati circa 200 terroristi e sospetti di attività terroristica, compresi alcuni che si sono spacciati per squadre mediche”. Hanno detto che “sono state trovate molte armi, nonché medicinali chiusi destinati agli ostaggi israeliani”.

Hanno affermato di aver operato in “modo preciso e mirato, creando danni minimi all’attività in corso dell’ospedale e senza danneggiare i pazienti o il personale medico”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Successo nell’ostacolare la macchina da guerra israeliana

Huda Ammori

11 Marzo 2024-Declassified UK

Negli ultimi tre mesi Palestine Action ha costretto quattro società britanniche a tagliare i legami con la società di armi israeliana Elbit Systems.

Mentre il genocidio di Gaza infuria molte persone cercano modi concreti per smantellare la macchina da guerra israeliana.

Per molti anni Palestine Action ha intrapreso un’azione diretta e coerente contro Elbit Systems, la più grande azienda di armi israeliana. Un killer un tempo silenzioso che opera in tutta la Gran Bretagna è diventato l’obiettivo più noto del movimento di solidarietà con la Palestina.

Ma prendere di mira Elbit richiede anche comprendere che l’azienda non agisce da sola. Coloro che facilitano le operazioni della Elbit traggono profitto anche dallo spargimento di sangue palestinese e possono essere più suscettibili alle pressioni esterne.

Per mantenere le fabbriche di armi funzionanti, Elbit ha bisogno di appaltare una moltitudine di servizi tra cui fornitori, reclutatori di personale, gestori di strutture e trasporti.

Alcune delle fabbriche non sono di proprietà della Elbit, che quindi richiede ai proprietari e ai gestori immobiliari di ospitare le sue attività criminali. Coloro che lavorano direttamente con Elbit sono considerati obiettivi secondari della campagna di Palestine Action.

Poiché la campagna contro Elbit è cresciuta nel corso degli anni, sono aumentate anche le azioni contro obiettivi secondari. Tra queste: dipingere i loro edifici con vernice rossa per simboleggiare lo spargimento di sangue palestinese, lo smantellamento di infrastrutture, atti vandalici e assalti agli uffici.

Le azioni intraprese hanno dato i loro frutti poiché solo negli ultimi tre mesi quattro società hanno tagliato i legami con Elbit dopo campagne mirate.

Obiettivi secondari

Il 1° dicembre dello scorso anno è stato annunciato che Fisher German, i gestori della proprietà della fabbrica di motori UAV [per droni, n.d.t.] di Elbit a Shenstone, nello Staffordshire, hanno abbandonato ogni collaborazione con Elbit. La notizia è arrivata dopo una campagna di due anni contro l’azienda che prevedeva ripetute verniciature e occupazioni dei loro uffici in tutto il paese.

Dopo una campagna di due mesi i soci di iO, gli unici reclutatori di Elbit nel Regno Unito, hanno concluso la loro collaborazione con il produttore di armi israeliano, che era anche il loro più grande cliente.

La campagna contro di loro è iniziata con l’assalto degli attivisti ai loro nuovissimi uffici di Manchester presso l’edificio Express, a cui è seguita rapidamente la copertura con vernice rossa spruzzata su quattro dei loro uffici in tutto il paese.

Prima che i soci di iO annunciassero di aver rescisso il loro contratto con Elbit, sono stati espulsi dai loro uffici di Manchester a causa di “problemi di sicurezza” nell’edificio Express.

La vittoria successiva ha richiesto solo un’azione! Naked Creativity, il sito web indicizzato che pubblicizza la fabbrica UAV Tactical Systems di Elbit a Leicester, ha smesso di lavorare con Elbit dopo che i loro uffici di Londra sono stati verniciati con lo slogan “Drop UAV”.

Ultima, ma forse la più significativa, una delle maggiori compagnie di navigazione del mondo, Kuehne+Nagel, ha dichiarato di aver smesso di collaborare con Elbit e che si asterrà dal farlo in futuro.

Il colosso della logistica è una delle sole sei società autorizzate alla raccolta, consegna e smaltimento sicuro di armi in Gran Bretagna.

Ridurre il bacino degli appaltatori

Lavorare con Elbit ora comporta il rischio aggiuntivo di Palestine Action. Per la compagnia israeliana di armamenti questo significa l’obbligo di informare ogni nuovo potenziale appaltatore della pressione che dovrà affrontare.

Anche se non lo facessero, una semplice ricerca su Google rivelerà il loro potenziale destino. Ridurre il potenziale bacino di appaltatori significa che Elbit , a differenza di altre società, non sarà in grado di ottenere il miglior prezzo per i servizi esterni, il che può ridurre la loro competitività e i margini di profitto.

La reputazione costruita da Palestine Action per l’instancabile azione diretta ha reso più rapido il raggiungimento delle vittorie.

Per coloro che lavorano con Elbit il dilemma che si pone è: sostenere anni di azione diretta contro di noi o porre fine ai nostri legami con Elbit il prima possibile ed evitare lo scontro?

Sempre più aziende stanno optando per quest’ultima ipotesi.

Per Elbit, la pressione perché cessi le operazioni in Gran Bretagna continua a crescere. Dopotutto, per i trafficanti di armi il denaro è l’aspetto più importante.

Poiché continuano a non essere in grado di mantenere un modello di produzione affidabile a causa della tempistica imprevedibile delle azioni contro di loro e lavorano costantemente per trovare nuovi appaltatori a un prezzo peggiore, a che punto interromperanno e cesseranno le operazioni in questo paese?

Sancire la vittoria

Forse il risultato più significativo dell’azione diretta contro obiettivi secondari è il modo in cui vengono sancite le vittorie.

Invece che evitare di ammettere che la dissociazione da Elbit sia dovuta alle pressioni della campagna ciascuna delle quattro società che hanno recentemente tagliato i legami con Elbit ha dovuto inviare direttamente un’e-mail di conferma a Palestine Action.

Questo è diventato un requisito necessario per cessare la campagna contro un’azienda complice.

Nel mezzo di un genocidio è necessario intraprendere ogni strada per isolare, danneggiare e distruggere la macchina da guerra israeliana.

Concentrare i nostri sforzi su Elbit Systems e su tutti coloro che li facilitano si sta rivelando una strategia di successo, una strategia che molti altri possono seguire per incanalare la nostra rabbia verso risultati.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)