Un gruppo di pressione democratico filo-israeliano si attribuisce i meriti del ritiro di Sanders e della raccolta fondi per mantenere la piattaforma democratica favorevole a Israele

Michael Arria 

9 aprile, 2020 – Mondoweiss

Il gruppo di pressione Democratic Majority for Israel [Maggioranza Democratica Per Israele] (DMFI) stamattina ha inviato un’email in cui festeggia il ritiro di Bernie Sanders dalla corsa per le presidenziali e prepara i propri sostenitori alla battaglia per mantenere la piattaforma dei Democratici su posizioni pro-israeliane.

L’email, scritta da Mark Mellman, il presidente DMFI, si attribuisce in parte il merito per il ritiro di Sanders. “Bernie Sanders ha sospeso la sua campagna per la presidenza” ha scritto Mellman. “Questa è una grande vittoria a cui voi avete contribuito.”

Prima del caucus in Iowa a gennaio, il DMFI aveva condotto nello Stato una campagna pubblicitaria anti-Sanders, ma il senatore del Vermont aveva comunque vinto nel voto popolare. Il gruppo aveva speso più di 800.000 dollari in annunci pubblicitari e con ciò aveva aiutato Sanders a raccogliere 1,3 milioni di dollari in un solo giorno.

Mellman dichiara che la prossima battaglia della lobby riguarderà le linee programmatiche dei Democratici. “Gruppi estremisti allineati con Sanders, così come alcuni dei suoi principali surrogati, comprese le congressiste Rashida Tlaib e Ilhan Omar, hanno dichiarato pubblicamente il loro tentativo di spostare la piattaforma su posizioni anti-Israele” scrive. Mellman fa notare che, mentre alcuni sminuiscono l’importanza delle linee programmatiche di partito, il GOP (Grand Old Party = partito repubblicano) è diventato effettivamente un partito anti-aborto dopo la modifica della sua piattaforma nel 1976. “Da politico di carriera vi dico che se quest’anno i Democratici adottano una piattaforma anti-israeliana, il vocabolario, i punti di vista e i voti dei politici si sposteranno drammaticamente contro di noi” scrive Mellman. “Semplicemente non possiamo permetterci di perdere questa battaglia.”

Nel 2016, i membri della campagna a favore di Sanders hanno insistito perché si menzionasse la richiesta di porre fine all’occupazione e all’espansione degli insediamenti. Tale tentativo venne alla fine respinto dal comitato incaricato di redigere la piattaforma con un voto di 8 a 5. Comunque, la piattaforma ha incluso espressioni relative allo Stato palestinese.

Il DMFI è stato fondato nel 2019 con donazioni di Democratici e insider per contrastare una crescente simpatia dentro il partito verso i palestinesi. Il luglio scorso hanno mandato una lista di punti di discussione a favore di Israele per i candidati Democratici da usare se, durante le tappe della campagna, avessero dovuto affrontare attivisti anti-occupazione. Il gruppo ha più volte affermato che senatori come Sanders e Omar sono estranei alle opinioni più diffuse sull’argomento, ma ci sono molti sondaggi che indicano che i votanti democratici sono più a sinistra del proprio partito sul tema Israele/Palestina. Infatti un recente sondaggio dell’Università del Maryland mostra che quasi la metà dei votanti democratici a conoscenza del movimento del BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele] lo sostiene.

Michael Arria

Michael Arria è il corrispondente di Mondoweiss dagli Stati Uniti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele trasforma in propaganda il plauso dell’ONU

Tamara Nassar

2 aprile 2020 – Electronic Intifada

Alcuni funzionari dell’ONU stanno elogiando Israele nonostante il modo in cui tiene i palestinesi in condizioni di scarsità di servizi sanitari basilari mentre affrontano la pandemia di COVID 19. António Guterres, segretario generale dell’ONU, si è persino rallegrato della cooperazione tra l’occupazione israeliana e l’Autorità Nazionale Palestinese nell’arginare la minaccia del nuovo coronavirus.

Come prevedibile, Il suo elogio è stato sfruttato per scopi propagandistici dal ministero degli Esteri israeliano.

Nikolay Mladenov, l’inviato ONU per il Medio Oriente, ha descritto il coordinamento come “eccellente”.

Il coordinatore per gli aiuti umanitari dell’ONU Jamie McGoldrick ha fatto eco alle lodi del suo collega.

Foglia di fico

Non solo l’ONU plaude al cosiddetto coordinamento per la sicurezza tra l’esercito israeliano e l’ANP, ma fornisce anche una foglia di fico a Israele per nascondere i suoi continui attacchi contro il diritto alla salute dei palestinesi.

Israele ha il dovere giuridico di garantire questo diritto. In quanto potenza occupante, in base al diritto internazionale Israele è obbligato a garantire ai palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza le infrastrutture necessarie.

Invece per più di un decennio Israele ha ripetutamente compromesso e danneggiato il sistema sanitario di Gaza, riducendo sistematicamente la fornitura di cibo, carburante, medicinali e materiale da costruzione alla Striscia al punto da calcolare persino il numero minimo di calorie che ogni persona potrebbe consumare per non morire di fame.

Oltre ad imporre un assedio devastante, Israele ha scatenato tre gravi attacchi, spianando interi quartieri e uccidendo migliaia di palestinesi. Dopo ogni invasione ha gravemente intralciato la ricostruzione.

“Le restrizioni al movimento e all’accesso, e ora uno stato d’emergenza imposto a livello mondiale dalla pandemia, sono stati la situazione quotidiana per i palestinesi di Gaza da circa 13 anni,” ha affermato questa settimana Al Mezan, un’associazione per i diritti umani di Gaza.

In Cisgiordania Israele ha continuato ad aggredire le comunità palestinesi, ha sequestrato attrezzature per la costruzione di ospedali da campo, ha confiscato pacchi di alimenti per famiglie in quarantena, ha fatto incursioni in casa nel cuore della notte ed ha continuato con gli arresti arbitrari di minorenni.

Tutte queste attività espongono le comunità palestinesi a un maggior rischio di contrarre il virus.

Hanan Ashrawi, membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha commentato uno di questi raid nella città della Cisgiordania occupata di Ramallah, sede dell’Autorità Nazionale Palestinese, paragonando le forze israeliane ad “alieni ostili senza alcun rapporto con l’umanità.”

Tuttavia Ashrawi non ha fatto alcuna menzione a come normalmente l’Autorità Nazionale Palestinese collabora con l’occupazione militare israeliana.

L’apparato statale di polizia dell’ANP gioca un ruolo molto importante nel reprimere il dissenso palestinese per conto dell’esercito israeliano, arrestando frequentemente attivisti e condividendo informazioni con gli investigatori israeliani.

Ora Israele si congratula con se stesso in quanto si è guadagnato le lodi delle Nazioni Unite per aver fornito il minimo indispensabile alle persone che sottopone all’occupazione e all’assedio.

La propaganda dell’occupazione

Il COGAT, l’organo burocratico dell’occupazione militare israeliana che sovrintende alla punizione collettiva dei due milioni di abitanti di Gaza, spesso usa Twitter per vantarsi di aver inviato alla Striscia kit di analisi ed altre apparecchiature. Questi invii vengono presentati come gesti di buona volontà.

Tuttavia consentire a qualche prodotto di arrivare ai palestinesi non è molto, dato che il COGAT controlla tutto il movimento dei beni dentro e fuori la Striscia di Gaza.

Anche l’OCHA, agenzia di monitoraggio dell’ONU, ha rilevato la “stretta collaborazione senza precedenti” tra le autorità palestinesi ed israeliana dall’inizio dell’attuale crisi sanitaria.

L’organizzazione ha riconsociuto ad Israele di aver agevolato l’Autorità Nazionale Palestinese nell’ importazione di 10.000 kit di analisi e di aver tenuto una formazione per equipe mediche nell’ospedale al-Makassed della Gerusalemme est occupata.

Questi presunti esempi di generosità hanno fornito materiale bell’e pronto al COGAT da sfruttare a fini di propaganda.

Il COGAT ha anche limitato gli spostamenti di milioni di palestinesi nella Cisgiordania occupata con posti di controllo militari.

I checkpoint provocano quotidiane sofferenze ai palestinesi. Eppure il COGAT ha esaltato come il loro incremento “migliorerà la qualità di vita della popolazione della regione.”

Nel contempo un rapporto stilato da associazioni per i diritti umani ha evidenziato l’“impunità cronica” di Israele riguardo all’uccisione e alla mutilazione di personale medico palestinese.

Il rapporto è stato firmato da Al Mezan di Gaza e dalle associazioni benefiche con sede nel Regno Unito “Medical Aid for Palestinians” [Soccorso Medico per i Palestinesi] e “Lawyers for Palestinian Human Rights” [Avvocati per i Diritti Umani dei Palestinesi].

Vi si afferma che l’impunità cronica “rende più probabile che ciò si ripeta.”

Israele ha anche metodicamente negato o ritardato la concessione di permessi di viaggio per i palestinesi che necessitano di cure mediche fuori da Gaza.

Quindi perché le Nazioni Unite stanno lodando Israele perché fa il minimo possibile per la popolazione che aggredisce ed opprime?

Come scrisse il famoso scrittore palestinese Ghassan Kanafani: “Ci rubano il pane, ce ne danno una briciola, poi ci chiedono di ringraziarli della loro generosità…Che sfacciataggine!”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Nel pieno dell’epidemia da coronavirus i soldati israeliani gettano immondizia e sputano sui veicoli palestinesi in Cisgiordania

6 aprile 2020 – Palestine Chronicle

Secondo l’agenzia di stampa palestinese WAFA, mentre i palestinesi cercano di combattere la diffusione della letale pandemia da coronavirus, oggi nella città della Cisgiordania meridionale di Beit Ummar soldati israeliani hanno scaricato rifiuti contaminati ed hanno sputato sulle portiere di veicoli e sulle porte delle case.

L’attivista locale Muhammad Awad ha detto alla WAFA che un folto gruppo di soldati israeliani ha fatto irruzione in una zona di Beit Ummar – situata vicino al blocco di colonie illegali di Gush Etzion – ed ha gettato in mezzo alle case del villaggio vetri contaminati con una sostanza sconosciuta, nonché rifiuti, siringhe e guanti usati.

I soldati israeliani hanno anche sputato sulle macchine e sulle porte delle case ed insultato gli abitanti con termini razzisti, ha detto Awad, sollevando il sospetto che i soldati vogliano intenzionalmente diffondere il coronavirus tra i civili palestinesi di quella zona.

Dopo che i soldati se ne sono andati dalla città, i volontari locali del Comitato di Emergenza di Beit Ummar hanno sterilizzato le due zone e distrutto e bruciato tutto ciò che i soldati avevano gettato.

Il 31 marzo l’Euro-Med Monitor [organizzazione indipendente per la protezione dei diritti umani, ndtr.] con sede a Ginevra ha chiesto alla comunità internazionale di proteggere i palestinesi e costringere i soldati israeliani a porre fine alle incursioni nelle città e cittadine, che mettono a rischio le misure preventive messe in atto dall’Autorità Nazionale Palestinese per controllare l’epidemia da coronavirus.

Ha chiesto inoltre di indagare sul comportamento sospetto di molti soldati e coloni israeliani, che sembra essere un tentativo di diffondere il contagio, e di far sì che quanti ne sono stati responsabili rispondano dei loro atti.

Secondo il Ministero della Sanità palestinese stamattina sono stati confermati 15 nuovi casi di coronavirus in Cisgiordania, che hanno portato il totale in Palestina a 252.

(Palestine Chronicle, WAFA, reti sociali)




In Cisgiordania i coloni approfittano del confinamento dovuto al coronavirus per annettere terre palestinesi

Akram Al-WaaraBetlemme, Cisgiordania occupata

1 aprile 2020Middle East Eye

Mentre gli attacchi dei coloni sono moneta corrente, è stato constatato un netto aumento delle violenze dopo la proclamazione dello stato d’emergenza sanitaria.

Nella Cisgiordania occupata i coloni sfruttano l’isolamento imposto allo scopo di rallentare la propagazione del nuovo coronavirus per annettere terre palestinesi e condurre attacchi contro i civili e le loro case.

Negli ultimi giorni sono stati riferiti almeno tre episodi durante i quali dei coloni israeliani hanno spianato dei terreni palestinesi e pavimentato delle strade nei distretti di Nablus, Gerusalemme e Betlemme.

È stato anche osservato un picco di aggressioni contro i palestinesi e i loro beni. Middle East Eye ha documentato violenze nei villaggi di Madama, Burqa e Burin.

Normalmente subiamo attacchi da parte di coloni diverse volte al mese,” spiega a MEE Ghassan al-Najjar, un attivista di Burin, villaggio situato a 5 km. a sud di Nablus.

Ma dopo che siamo stati posti in isolamento a causa del coronavirus essi sono decuplicati”, dice il trentenne, aggiungendo che i coloni, sotto la protezione dei soldati israeliani, ormai fanno quotidianamente delle incursioni nel villaggio.

Aggiunge che degli abitanti della colonia di Har Brakha hanno cercato di impadronirsi di terre palestinesi nella periferia del villaggio.

I coloni sanno che le persone restano in casa per via del coronavirus, quindi cercano di approfittarne per attaccarci e prendere ancor più terre”, lamenta l’attivista.

Un netto aumento delle aggressioni

Mentre gli attacchi di coloni in Cisgiordania sono moneta corrente, alcuni attivisti di tutto il territorio occupato hanno segnalato un netto incremento di violenze dopo la proclamazione dello stato d’emergenza sanitaria a causa della pandemia di coronavirus all’inizio di marzo.

A sud della Cisgiordania, nel distretto di Betlemme, centro dell’epidemia del coronavirus in Palestina, l’attivista quarantottenne Mahmoud Zawahreh riferisce a MEE che in questi ultimi giorni i coloni hanno adottato tattiche simili nel comune di Khallet al-Nahleh.

I coloni cercano di impadronirsi di una collina di questo villaggio fin dal 2013. Nel corso degli anni, racconta Zawahreh, i coloni della vicina mega-colonia di Efrat hanno tentato di ricostruire l’“avamposto” che vi si trovava, dopo il suo smantellamento da parte delle forze israeliane.

Una sentenza ha stabilito che le terre appartengono a palestinesi e le tende dei coloni sono state smantellate”, ricorda Zawahreh. “Fino a poco tempo fa non avevano tentato di tornare qui.”

Negli ultimi giorni in effetti i coloni sono tornati, questa volta con più tende, serbatoi d’acqua e generatori elettrici. Lunedì scorso hanno iniziato a tracciare una strada sterrata per creare un più facile accesso all’avamposto.

La crisi del coronavirus limita gli spostamenti dei palestinesi, soprattutto intorno a Betlemme, a causa della quarantena e del coprifuoco imposti dal governo”, spiega Mahmoud Zawahreh.

I coloni lo sanno e ne approfittano. Sanno che le persone avranno troppa paura di venire in gran numero e protestare contro questi tentativi, come si faceva prima. Quindi è una situazione ideale per prendere il controllo del territorio”.

«Tra il martello dell’occupazione e l’incudine del coronavirus »

Mentre la pandemia non mostra alcun segnale di rallentamento, i palestinesi dicono di essere costretti a scegliere tra proteggere la loro salute e proteggere le loro terre.

A causa dei coloni e dell’occupazione noi non possiamo seguire le direttive fissate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità o dal nostro governo per proteggerci dal coronavirus”, afferma Ghassan al-Najjar.

Se restiamo a casa ci proteggiamo dal virus, ma finiamo per perdere le nostre terre”.

Cercando di difendere il villaggio riducendo al minimo l’esposizione degli abitanti tra di loro e coi coloni, l’attivista e altri giovani della regione di Burin hanno creato un piccolo gruppo incaricato di proteggere le terre durante l’isolamento.

Normalmente tutto il villaggio viene a difendere le terre, ma ora lavoriamo in piccoli gruppi e facciamo dei turni per ridurre al minimo l’esposizione potenziale”, spiega. “È quello che possiamo fare per il momento.”

Da Khallet al-Nahleh, Mahmoud Zawahreh esorta la comunità internazionale a fare pressione sul governo israeliano perché metta fine ai “crimini dei coloni” in Cisgiordania.

È triste e frustrante per noi palestinesi vedere che durante questa epidemia l’umanità dovunque si unisce per difendersi e proteggersi reciprocamente da questo virus, mentre qui i coloni fanno il contrario. Sfruttano il virus a loro vantaggio, per nuocere all’umanità degli altri e rubare la terra altrui”, denuncia.

In Palestina siamo schiacciati tra il martello dell’occupazione e l’incudine del coronavirus”

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




‘Una grandissima e tempestiva vittoria per il BDS: Microsoft disinveste da AnyVision, l’azienda israeliana di riconoscimento facciale

Michael Arria 

30 marzo 2020  Mondoweiss

Microsoft ha annunciato che sta disinvestendo la propria quota in AnyVision, la società israeliana di riconoscimento facciale. La decisione fa seguito a un controllo imposto da una campagna del BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, ndtr.] che l‘aveva presa di mira. Gli attivisti dicono che la tecnologia di riconoscimento facciale di AnyVisionè usata per sorvegliare i palestinesi in Cisgiordania.

Dopo che il giugno scorso Microsoft aveva investito nell’azienda, NBC News [canale televisivo USA di notizie, ndtr.] aveva riferito che AnyVision “gestiva un progetto segreto di sorveglianza militare” in Palestina. “Il riconoscimento facciale è probabilmente il mezzo migliore per un completo controllo governativo degli spazi pubblici e quindi dobbiamo trattarlo con estrema cautela” aveva detto all’epoca Shankar Narayan di ACLU [American Civil Liberties Union, Ong per la difesa dei diritti civili e delle libertà individuali negli Stati Uniti, ndtr.]. Quando NBC ha contattato Eylon Etshtein, l’AD di AnyVision, per il servizio, ha negato di essere a conoscenza del progetto, sottolineando che la Cisgiordania non è occupata e insinuando che il reportage fosse finanziato da un gruppo di attivisti palestinesi.

Durante l’estate del 2019, Jewish Voice for Peace [Voce Ebraica per la Pace, associazione ebraica USA contraria antisionista, ndtr.] ha lanciato la campagna #DropAnyVision, chiedendo a Microsoft di abbandonare l’azienda. Quest’anno si sono uniti i gruppi MPower Change [organizzazione in rete di musulmani statunitensi, ndtr.] e SumofUs [Ong USA che promuove campagne di sensibilizzazione e responsabilizzazione su vari temi, ndtr.] per lanciare una petizione. Oltre 75.000 persone l’hanno firmata ed è stata consegnata nella sede dell’azienda da militanti e dipendenti della Microsoft.

A novembre 2019, Microsoft aveva assunto Eric Holder, l’ex Procuratore Generale degli Stati Uniti (e il suo team dello studio legale internazionale Covington & Burling) per condurre un’indagine indipendente sulla AnyVision per determinare se le pratiche della ditta fossero in linea con i principi etici di Microsoft. Si era concluso che la tecnologia era usata nei posti di blocco dei varchi di frontiera, ma che la compagnia “al momento non gestiva quel programma di sorveglianza di massa in Cisgiordania di cui si parlava nei reportage dei media.”

Ciononostante, Microsoft ha deciso di separarsi da AnyVision. “Dopo un’attenta analisi, Microsoft e AnyVision hanno deciso che è nell’interesse di entrambe che Microsoft disinvesta la propria quota in AnyVision”, ha affermato in un comunicato. “L’audit ha confermato la difficoltà per Microsoft di essere un investitore di minoranza in una ditta che vende tecnologia sensibile, dato che tali investimenti generalmente non permettono il livello di supervisione o controllo che Microsoft esercita sull’uso delle proprie tecnologie.”

La decisione di Microsoft di lasciare AnyVision è un bruttissimo colpo per questa startup israeliana profondamente implicata [nella repressione israeliana] e un successo per la grandiosa campagna del BDS guidata da Jewish Voice for Peace” ha detto in un comunicato Omar Barghouti, il co-fondatore di BDS. “Grazie alla complicità di molte corporazioni come AnyVision e nonostante la minaccia del coronavirus, i crimini di guerra di Israele contro i palestinesi continuano e quindi non possono che continuare anche la nostra resistenza e la nostra lotta per libertà, giustizia e uguaglianza.”

La decisione di Microsoft di accogliere la richiesta della campagna e abbandonare AnyVision, l’azienda israeliana di sorveglianza, è una grandissima e tempestiva vittoria per il BDS” ha twittato l’account ufficiale del Comitato Nazionale del BDS palestinese (BNC).

La decisione di Microsoft di disinvestire da AnyVision è una vittoria importante dei militanti per la giustizia tecnologica e per la comunità internazionale solidale con i palestinesi.”, ha detto Lau Barrios, manager della campagna MPower Change. Questa decisione di Microsoft, leader globale del settore del software, rafforza la nostra convinzione che non ci si possa fidare di governo, polizia e forze armate e del loro uso della sorveglianza tecnologica come quella del riconoscimento facciale che è sempre di più utilizzata negli USA e in tutto il mondo per monitorare, sorvegliare e criminalizzare ulteriormente neri, immigrati, palestinesi e comunità musulmane.”

Michael Arria

Michael Arria è il corrispondente di Mondoweiss dagli Stati Uniti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




B’Tselem: “Durante la crisi del coronavirus Israele confisca tende destinate a una clinica nel nord della Cisigordania

27 marzo 2020 – International Middle East Media Center

Il Centro Israeliano di Informazione per i Diritti Umani nei Territori Occupati (B’Tselem): Comunità che devono affrontare l’espulsione. Giovedì 26 marzo verso le 7,30 funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana in Cisgiordania sono arrivati con la scorta di una jeep militare, un bulldozer e due autocarri a pianale con gru nella comunità palestinese di Khirbet Ibziq, nel nord della Valle del Giordano.

Hanno confiscato pali e teli che destinati all’installazione di otto tende, due per un ospedale da campo, quattro per abitazioni d’emergenza per abitanti evacuati dalle loro case e due come moschee di fortuna.

La polizia ha anche confiscato una baracca di lamiera che si trovava sul posto da più di due anni, così come un generatore e sacchi di sabbia e di cemento. Sono stati portati via quattro bancali di mattoni di cemento per pavimentare le tende e altri quattro sono stati demoliti.

Mentre tutto il mondo lotta contro una crisi senza precedenti che paralizza il sistema sanitario, l’esercito israeliano dedica tempo e risorse ad angariare le comunità palestinesi più vulnerabili in Cisgiordania, che per decenni Israele ha cercato di cacciare dalla zona.

Impedire un’iniziativa comunitaria di primo soccorso durante una crisi sanitaria è un esempio particolarmente crudele dei costanti soprusi inflitti a queste comunità, e va contro principi umani e umanitari basilari durante un’emergenza. A differenza delle politiche di Israele, questa pandemia non discrimina in base alla nazionalità, all’etnia o alla religione.

È giunto il momento che il governo e l’esercito riconoscano che ora più che mai Israele è responsabile della salute e del benessere dei cinque milioni di palestinesi che vivono sotto il suo controllo nei Territori Occupati.

Oltre alla sconvolgente distruzione dell’ospedale in costruzione, l’Amministrazione Civile sta continuando la sua solita opera di demolizione. Oggi nel villaggio di ‘Ein a-Duyuk a-Tahta, ad est di Gerico, ha distrutto tre case stagionali di contadini che risiedono a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




I palestinesi di fronte a due nemici: l’occupazione e la pandemia

Tamara Nassar

26 marzo 2020 – Electronic Intifada

Nonostante la pandemia globale, nulla è cambiato riguardo all’occupazione militare israeliana in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Il numero di casi confermati di COVID-19, la malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus, è salito a quasi 2.700 in Israele, a circa 80 nella Cisgiordania occupata e a nove nella Striscia di Gaza assediata.

Finora la malattia ha causato la morte di otto israeliani e di una donna palestinese nella Cisgiordania occupata.

Mentre il coronavirus infetta sempre più persone, i palestinesi affrontano contemporaneamente un nemico più vecchio: l’occupazione militare israeliana.

Gaza, sotto assedio e con un’alta densità di popolazione, è particolarmente esposta al rischio di una diffusa epidemia.

“Israele non potrà scaricare su qualcun altro le sue colpe se questo scenario da incubo dovesse divenire una situazione che ha determinato senza fare alcuno sforzo per evitarla”, ha ammonito questa settimana l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem .

Distanziamento fisico, permanenza a casa e cura dell’igiene sono precauzioni che i palestinesi si sforzano di adottare mentre Israele continua a demolire strutture, a condurre raid notturni, ad arrestare arbitrariamente bambini e ad angariare regolarmente i civili.

Confiscate le strutture per un ospedale da campo

Giovedì mattina le forze israeliane hanno demolito e confiscato strutture destinate a un ospedale da campo e ad alloggi di emergenza a Ibziq, un villaggio nella valle del Giordano settentrionale nella Cisgiordania occupata.

Ciò è stato fatto con la supervisione dell’Amministrazione Civile, il braccio burocratico dell’occupazione militare israeliana.

Le forze israeliane hanno confiscato tende, un generatore e materiali da costruzione.

“Chiudere un’attività di primo soccorso per la comunità durante una crisi sanitaria è un esempio particolarmente crudele dei regolari abusi inflitti a queste comunità”, ha affermato questa settimana l’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem.

Secondo il capo del consiglio del villaggio Abdul Majid Khdeirat, ciò è stato fatto con il pretesto che la costruzione si trovava in una zona militare interdetta.

Israele dichiara abitualmente le terre della Cisgiordania aree di tiro o zone militari e successivamente confisca il territorio a favore delle colonie israeliane illegali.

Le forze israeliane hanno anche demolito le case di tre famiglie palestinesi nel villaggio di al-Duyuk, vicino a Gerico.

Un bulldozer militare israeliano ha distrutto le case di Muayad Abu Obaida, Thaer al-Sharif e Yasir Alayan, perché sarebbero state costruite senza [quei] permessi che Israele non concede quasi mai ai palestinesi. Ciò non lascia loro altra scelta che costruire le case senza il permesso dell’occupante.

Tutti e tre gli agricoltori risiedono a Gerusalemme.

Decine di migliaia in condizioni di isolamento

Nel frattempo Israele sta valutando di isolare diversi quartieri della Gerusalemme est occupata, tagliando fuori decine di migliaia di palestinesi dal resto della città.

Quasi il 70% delle 100.000 persone del campo profughi di Shuafat ha un documento di residenza israeliano che consente loro di entrare a Gerusalemme.

“In caso di blocco questi abitanti saranno completamente isolati rispetto alla loro città, a cui si rivolgono per tutti i servizi di base, e ciò probabilmente porterà panico e disordini diffusi”, avverte Ir Amim, un’organizzazione israeliana impegnata per l’uguaglianza a Gerusalemme.

“Tale misura sarebbe un ulteriore passo avanti nella realizzazione dei piani israeliani di lunga data volti a ridisegnare i confini municipali di Gerusalemme, per separare formalmente quei quartieri da Gerusalemme”.

Israele userebbe il coronavirus come pretesto per tagliar fuori quei quartieri dal resto di Gerusalemme, nonostante in quei quartieri il numero di casi confermati sia considerevolmente più basso rispetto a Israele.

La popolazione più vulnerabile al mondo”

Le organizzazioni per i diritti umani mettono in guardia a proposito di un incombente disastro nel caso di una diffusa epidemia di COVID-19 a Gaza. Spesso definita la più grande prigione a cielo aperto del mondo, l’enclave costiera è sotto assedio israeliano dal 2007. Israele controlla lo spazio aereo e marittimo di Gaza e, insieme all’Egitto, i suoi confini terrestri.

Gaza è ancora sconvolta per le tre pesanti offensive militari israeliane [a partire] dal 2008.

Gli abitanti di Gaza [sono] tra le persone più vulnerabili del mondo alla pandemia globale di COVID-19”, ha dichiarato il gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq.

La crisi idrica e sanitaria causata dal prolungato blocco israeliano di Gaza mina “la capacità dei palestinesi di prevenire e mitigare adeguatamente gli effetti dell’epidemia di COVID-19”, ha aggiunto al-Haq.

Meno del 4% dell’acqua del territorio è adatto al consumo umano.

I moderni sistemi sanitari in Paesi come l’Italia e la Spagna stanno collassando sotto la pressione della pandemia.

Un’epidemia del nuovo coronavirus a Gaza, dove le infrastrutture sanitarie sono già sull’orlo del collasso, condurrebbe a “un disastro umanitario, interamente costruito da Israele”, ha affermato B’Tselem.

Israele abitualmente ritarda o nega a molti palestinesi i permessi per ricevere trattamenti sanitari fuori Gaza, concedendoli solo a una piccola parte delle persone che necessitano di cure mediche.”

“Ora non ci sarà più neanche questa minima possibilità”, ha detto B’Tselem.

La dott.ssa Mona El-Farra, responsabile sanitaria della Mezzaluna Rossa palestinese a Gaza, ha dichiarato a The Electronic Intifada che mancano letti, equipaggiamento protettivo e kit per i test.

“Non abbiamo abbastanza kit, finora abbiamo solo circa 200 kit per la diagnosi. Al momento abbiamo 2.500 persone in quarantena. Tutti hanno bisogno di essere testati.”

Il Qatar ha promesso 150 milioni di dollari [136 milioni di euro, ndtr.] nei prossimi sei mesi per aiutare gli sforzi delle Nazioni Unite contro il coronavirus a Gaza.

Sebbene questo possa aiutare a breve termine, solleva anche Israele dalle sue responsabilità di potenza occupante.

Nessun accesso ai servizi di emergenza

Adalah, un’organizzazione che sostiene i diritti dei palestinesi in Israele, afferma che i beduini palestinesi della regione meridionale del Naqab non hanno accesso ai servizi medici di emergenza.

Il Ministero della Salute israeliano impedisce a coloro che soffrono di febbre e sintomi respiratori di lasciare la propria casa. Se la loro salute peggiora, l’MDA, il servizio di ambulanza [corrispettivo israeliano della Croce Rossa, ndtr.], può prescrivere una visita domiciliare o l’invio in ospedale.

Tuttavia quei villaggi non hanno accesso alla MDA.

Domenica l’associazione ha inviato una lettera alle autorità israeliane chiedendo di fornire quei servizi ai 70.000 cittadini palestinesi di Israele che vivono in villaggi non riconosciuti.

“Per anni Israele ha mantenuto una politica di abbandono e discriminazione quando si trattava di fornire i normali servizi sanitari, così come servizi medici di emergenza, ai beduini con cittadinanza israeliana,” ha detto Adalah.

“In presenza della crisi coronavirus questa politica statale comporta ora un pericolo immediato per gli abitanti del posto e per il pubblico in generale.”

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Coronavirus: ai lavoratori palestinesi viene ordinato di lasciare Israele a causa del cattivo trattamento

 

Akram Al-Waara – Betlemme, Cisgiordania occupata

giovedì 26 marzo 2020 – Middle East Eye 

L’Autorità Nazionale Palestinese chiede a tutti i suoi cittadini di rientrare a casa in quanto Israele è accusato di “mettere a rischio la loro salute”

I lavoratori palestinesi lasciano Israele dopo l’indignazione suscitata da diversi casi di operai malati cacciati dai loro datori di lavoro israeliani.

Effettivamente negli ultimi giorni parecchi operai palestinesi che lavoravano in Israele sono stati scaricati ai checkpoint tra Israele e il nord della Cisgiordania dopo aver presentato sintomi di COVID-19.

All’inizio di questa settimana le immagini video di un lavoratore malato e indebolito, steso a terra per ore davanti a un checkpoint della regione di Ramallah dopo esservi stato abbandonato dalle autorità israeliane, sono diventate virali, mettendo in discussione il trattamento riservato da Israele ai lavoratori palestinesi.

Oggi l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ordina a tutti i suoi cittadini che lavorano in Israele di tornare in Cisgiordania e di entrare in quarantena obbligatoria di 14 giorni, a pena di sanzioni non precisate da parte del governo.

Tenuto conto degli sviluppi gravi e continuati in Israele e delle restrizioni previste in materia di spostamenti, chiediamo a tutti i lavoratori palestinesi di rientrare a casa allo scopo di proteggerli e preservare la loro sicurezza”, ha dichiarato martedì il Primo Ministro dell’ANP Mohammad Shtayyeh in un comunicato.

Giovedì scorso Shtayyeh aveva annunciato che i palestinesi erano ormai sottoposti anche al divieto di lavorare nelle colonie israeliane illegali nel territorio occupato.

Questa decisione è intervenuta solo qualche giorno dopo che migliaia di lavoratori si erano precipitati in Israele in seguito alla promessa che si sarebbe dato loro un adeguato alloggio da parte dei loro datori di lavoro israeliani e sarebbero stati autorizzati a rimanere anche di notte in Israele, in modo da evitare la propagazione del virus in Cisgiordania – un’opportunità per innumerevoli lavoratori di provvedere alle necessità della propria famiglia in un contesto di incremento della disoccupazione durante la pandemia.

Sistema inquietante

Negli ultimi giorni sono stati registrati almeno quattro incidenti che hanno coinvolto operai palestinesi abbandonati ai posti di controllo dalle forze israeliane.

Lunedì Ibrahim Abu Safiya, del villaggio di Beit Sira, nella regione di Ramallah, ha raccontato a Middle East Eye di aver visto un operaio palestinese, in seguito identificato come Malek Jayousi, steso a terra davanti al locale checkpoint con febbre alta e difficoltà respiratorie.

Abu Safiya ha detto che la sera prima anche un altro operaio, del campo profughi di Jalazone nel governatorato di Ramallah, si era presentato al posto di controllo di Beit Sira con febbre alta, dopo che il suo datore di lavoro gli aveva tolto il lavoro in Israele.

L’uomo, che si sarebbe visto rifiutare le cure mediche in Israele, è arrivato da solo al checkpoint in taxi, prima di essere trasferito a Ramallah in ambulanza.

Martedì sera i media palestinesi hanno riferito che tre operai erano stati abbandonati dalle autorità israeliane ad un posto di controllo vicino a Tulkarem ed un altro davanti al posto di controllo di Jbara, vicino a Hizma, nella Cisgiordania centrale.

Le informazioni precisano che parecchi degli operai erano sintomatici, con febbre alta, a volte più di 40 gradi. Tutti i lavoratori sarebbero stati sottoposti a test per coronavirus da parte di medici locali e posti in isolamento.

Il portavoce dell’ANP, Ibrahim Melhem, ha condannato il trattamento israeliano “razzista e disumano” dei lavoratori palestinesi.

Se dovete lavorare per guadagnarvi da vivere, allora che sia con dignità e non in questo modo degradante”, ha affermato in un comunicato rivolto alle migliaia di operai palestinesi che lavorano in Israele.

Ribal Kurdi, un attivista di Betlemme di 29 anni, ha dichiarato a MEE di essere rimasto sconvolto e indignato vedendo come i lavoratori che presentavano sintomi della malattia venivano trattati dalle autorità e dai datori di lavoro israeliani.

Israele voleva che i lavoratori venissero nel Paese a lavorare”, ricorda Kurdi. “Ma (gli israeliani) non vogliono più farsene carico quando i lavoratori si ammalano”.

L’occupazione israeliana dovrebbe essere responsabile della vita dei lavoratori palestinesi”, sostiene.

I datori di lavoro non ci hanno dato niente” 

Secondo le associazioni di difesa dei diritti umani, la decisione presa la scorsa settimana di autorizzare i lavoratori a rimanere in Israele anche di notte – contrariamente alla usuale politica di Israele in materia di permessi di lavoro – per un periodo prolungato, allo scopo di evitare una nuova diffusione del COVID-19, era viziata fin dall’inizio.

Kav LaOved, un’associazione israeliana di difesa dei diritti dei lavoratori, ha dichiarato in un comunicato pubblicato su Facebook il 18 marzo che “purtroppo la maggioranza degli interlocutori israeliani non ha rispettato gli impegni presi riguardo all’offerta di una sistemazione adeguata e sicura ai lavoratori”.

Insieme a fotografie di centinaia di operai bloccati a un checkpoint non identificato, l’associazione ha anche affermato che non era stata presa alcuna misura per “assicurare una protezione sanitaria nel caso in cui un lavoratore fosse esposto” al coronavirus.

Secondo Kav LaOved circa 60.000 palestinesi lavorano in Israele, soprattutto nell’edilizia e in agricoltura. Si stima che altri 30.000 lavorino nelle colonie israeliane in Cisgiordania.

Kav LaOved, l’Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI) e Medici per i Diritti Umani hanno preteso che il governo israeliano – in particolare il Ministro della Difesa Naftali Bennett, che aveva approvato l’ingresso dei lavoratori – tuteli i diritti dei lavoratori palestinesi durante la pandemia.

Abbiamo contattato i Ministeri del Lavoro, della Sicurezza e della Sanità per esigere che il governo verifichi il lavoro di questi lavoratori ed il loro soggiorno qui, e protegga i loro diritti. Abbiamo chiesto specificamente alloggi accettabili e assistenza sanitaria”, ha dichiarato un portavoce dell’ACRI a MEE.

Ma finora gli sforzi di queste ONG sono stati vani.

A., un lavoratore che ha trascorso parecchie notti in Israele, ha confidato a MEE in forma anonima che lui ed i suoi colleghi sono stati costretti a dormire su dei cartoni nel cantiere edile dove lavoravano e non hanno ricevuto nessuna protezione igienica come guanti, mascherine o disinfettante per le mani.

È molto diverso da quello che ci avevano detto”, lamenta. “I nostri datori di lavoro non ci hanno dato niente e se ti ammali ti mandano via senza la minima cura”.

Mercoledì il numero dei casi di coronavirus accertati in Palestina è arrivato a 62 – contro gli oltre 2.100 casi confermati in Israele.

Wafa, l’agenzia di stampa ufficiale dell’ANP, ha riferito che uno dei nuovi casi confermati, una donna sulla sessantina del villaggio di Biddu, vicino a Ramallah, “potrebbe aver contratto la malattia dai suoi figli che lavorano in Israele”.

Ribal Kurdi ha insistito sul fatto che non è stata colpa degli operai che andavano a lavorare in Israele. “Hanno dovuto scegliere tra mantenere la propria famiglia o ammalarsi. È una situazione spaventosa”, ha dichiarato l’attivista. In fin dei conti, secondo lui, “è l’occupazione israeliana ad essere responsabile di mettere a rischio la salute di tutta la Cisgiordania”.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




Netanyahu per sempre! Gantz abbandona la sua opposizione

Philip Weiss  

26 marzo 2020 – Mondoweiss

Questa mattina c’è una notizia straordinaria da Israele. Lo stallo politico del Paese durato un anno sembra essere stato superato. Il leader dell’opposizione politica a Netanyahu dell’ultimo anno, Benny Gantz, si è piegato ed ha unito le forze con Netanyahu per fare un governo che lo avrà ancora come primo ministro.

Secondo le notizie, Gantz sta rompendo la sua alleanza “Blu e Bianco” di tre fazioni di centro-destra e aggiungendo 15 seggi al blocco di 58 o 59 seggi di Netanyahu per creare una maggioranza forte.

“Benjamin Netanyahu sarà primo ministro…Benny Gantz sarà ministro degli Esteri,” afferma Ellie Hochenberg di i24 News [rete televisiva privata israeliana filogovernativa, ndtr.]. Sostiene che Netanyahu, a differenza di Gantz, è rimasto leale alla sua base e ai suoi alleati politici di destra.

Netanyahu è già il primo ministro di Israele più a lungo in carica, con quattro mandati e 14 anni, di cui 11 di fila dal 2009. È stato salvato dal suo ex- capo di stato maggiore dell’esercito – il generale Gantz ha colpito Gaza nel 2014 [operazione “Margine protettivo”, ndtr.] uccidendo più di 500 minorenni.

Netanyahu sembra essere stato salvato da due fattori: la crisi del coronavirus si sta aggravando in Israele e rendendo gli israeliani poco disposti a sostituirlo, nonostante il fatto che sia accusato di corruzione e debba essere processato, e il palese razzismo.

Solo una settimana fa, più o meno, sembrava che Gantz stesse per cacciare Netanyahu. Ma poi il razzismo ha bloccato ogni speranza di farlo. [La coalizione] “Blu e Bianco” (33 seggi), insieme al partito di destra di Avigdor Lieberman (7 seggi), i resti della sinistra israeliana (7 seggi) e la Lista Unita palestinese (15 seggi), si era impegnata a formare una maggioranza e a mettere al tappeto Netanyahu. I palestinesi non avrebbero fatto parte del governo che ne sarebbe sorto, però è così che funziona uno Stato ebraico.

Poi sono iniziate le defezioni: tre parlamentari della destra ebraica si sono rifiutati di lavorare con i loro colleghi palestinesi persino temporaneamente. Gantz è passato da 62 a 59. Ancora una volta lui e Netanyahu erano praticamente in un vicolo cieco e ci sono stati colloqui per una quarta tornata elettorale, dopo le tre nell’ultimo anno (dall’aprile 2019 al 2 marzo 2020).

Il nuovo governo non è ufficiale: quello che è ufficiale è che Benny Gantz sta per diventare presidente della Knesset, sostituendo l’alleato di Netanyahu Yuli Edelstein e riaprendo il parlamento, che era stato chiuso. “La mossa dovrebbe essere temporanea finché verrà formato un governo di unità nazionale,” scrive Lahav Harkov sul Jerusalem Post [giornale israeliano in inglese, ndtr.].

L’iniziativa di Gantz tradisce molti dei suoi alleati. Il leader politico palestinese Ahmad Tibi ha detto che i parlamentari palestinesi voteranno contro Gantz.

Un altro dirigente palestinese, Ayman Odeh, ha scritto acidamente (traduzione di google dall’ebraico): “Non perdono mai un’occasione per perdere un’occasione,” una battuta sulla falsariga di quella di Abba Eban, secondo il quale gli arabi non perdono mai simili opportunità.

La sinistra ebraica è stata totalmente screditata da questi avvenimenti. Ha giocato una parte nel portare in auge ed elogiare Gantz. Uno di loro ha rifiutato di votare per Gantz se i palestinesi avessero fatto parte della coalizione.

Tibi ha scritto alla CNN che la Lista Unita è la vera opposizione al governo di destra israeliano. Ma Harkov afferma che ci sarà una lotta politica per il ruolo di opposizione tra la Lista Unita e i resti dell’alleanza “Blu e Bianco” – i circa 18 seggi dei partiti di destra di Moshe Ya’alon e di Yair Lapid. Raviv Drucker [noto giornalista investigativo israeliano ostile a Netanyahu, ndtr.] sostiene che il partito di destra di Moshe Ya’alon guiderà l’opposizione. Alcuni osservatori dicono che Gantz sarà giocato dal mago della politica, Netanyahu.

“Con 15 seggi Benny Gantz è completamente nelle mani di Netanyahu. Non sarebbe sorprendente se le promesse di Netanyahu iniziassero a svanire ora che ha ottenuto il suo principale obiettivo – è riuscito a smantellare ‘Blu e Bianco’,” ritiene Raviv Drucker. Chemi Shalev di Haaretz ha la stessa opinione (traduzione di google): “Se fossi Bibi, un minuto dopo che Gantz ha prestato giuramento (come presidente del parlamento), romperei l’accordo per l’unità. [Netanyahu] ha schiacciato l’opposizione senza pagare un centesimo.”

Shalev paragona Gantz a un vice-cancelliere tedesco di breve durata, Franz von Papen, che consentì ad Hitler di arrivare alla cancelleria nel 1933. Chi ha detto che le metafore sul nazismo sono illegittime riguardo a Israele? Ancora Shalev (traduttore google): “Inconcepibile…Come se il coronavirus non fosse abbastanza, Gantz è arrivato e l’ha fatta sulla testa di metà dei civili. C’è di che essere sollevati?”

Shalev dice anche che “gli unici voti sicuri contro Netanyahu saranno quelli di Lieberman e della Lista Unita.” Un altro segno che nell’epoca di Netanyahu la sinistra ebraica è ridotta a brandelli, mentre la Lista Unita è l’unica a cui la sinistra in Israele si può rivolgere. E nella crisi sta assurgendo al ruolo di guida.

Arabi ed ebrei lottano insieme contro il coronavirus, ma gli ebrei non vogliono i palestinesi in politica, scrive Odeh: “Garantisco che, che siate arabi o ebrei, che abbiate votato per noi o meno, che vi abbiano fatti uscire dall’URSS, ridotto lo stipendio o licenziato, avete un punto di riferimento nella Knesset. Siamo qui per voi.”

Philip Weiss è caporedattore di Mondoweiss e fondatore del sito nel 2005-06.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Salvateci dal Coronavirus prima che le nostre celle diventino le nostre tombe!

Appello dei prigionieri palestinesi, ammalati e detenuti nelle carceri dell’occupazione israeliana, indirizzato alle organizzazioni internazionali per i diritti umani e a tutti i liberi del mondo

Giorno dopo giorno, ora dopo ora, e con la propagazione del Coronavirus, avvertiamo un pericolo sempre crescente per le nostre vite nelle carceri israeliane. La pandemia sta minacciando il mondo intero. Mentre il governo israeliano e tutti gli altri governi diramano indicazioni ai rispettivi popoli nel tentativo di rallentare la diffusione del virus, non sentiamo e non vediamo alcuna azione seria che risponda alla nostra domanda: cosa sarà di noi se il virus dovesse diffondersi qui, dentro le prigioni? Quali saranno le azioni pratiche e umane che l’amministrazione carceraria israeliana metterà in campo nei nostri confronti?

Si sente parlare solo di misure precauzionali messe in atto da parte dell’amministrazione carceraria. Ma quali sono realmente queste precauzioni? Si tratta, secondo noi, di “semplice fumo negli occhi. Dentro le prigioni ci sono diverse centinaia di prigionieri affetti da varie problematiche sanitarie, alcune delle quali anche gravi. Altri hanno problemi respiratori e cardiaci per non parlare di quelli che sono colpiti dall’ipertensione, dal diabete o da molte altre patologie croniche.

Ci appelliamo al mondo intero e a tutti coloro che si occupano dei diritti dell’uomo in quanto esseri umani. Con la malattia che ci minaccia giorno dopo giorno, di quali diritti godiamo? Non è stata adottata alcuna misura reale di tutela e non abbiamo visto un minimo segnale di buon senso e di prevenzione nei nostri confronti. La negligenza sanitaria e il ritardo nelle cure perseguitano da sempre le/i detenute/i palestinesi nelle carceri israeliane. Già in passato molti prigionieri sono deceduti proprio per la mancanza di cure mediche. Figuriamoci ora che le autorità sanitarie israeliane hanno già dichiarato di non essere in grado di assorbire il crescente numero dei pazienti colpiti dal virus.

Come si sa, l’unico modo – e forse l’unica speranza – per ridurre il contagio e la propagazione del Coronavirus è quello di fare attenzione, prendere le adeguate misure precauzionali e cautelative ed applicare rigidamente una serie di pratiche igienico-sanitarie. Ma l’amministrazione carceraria israeliana non fornisce nulla: nessun mezzo per la sterilizzazione e nessuna mascherina. Siamo di fronte ad azioni formali che si avvicinano di più a minacce vere e proprie piuttosto che a degli accertamenti sanitari o reali pratiche preventive. L’unico nostro contatto col mondo esterno è rappresentato dai nostri carcerieri. Loro non esitano ad entrare in contatto con noi, senza rispettare la distanza di sicurezza, con il rischio appunto di contagiarci. Gli agenti dell’amministrazione carceraria hanno la possibiltà eventualmente di isolarsi e sottoporsi alle dovute cure. Noi, ovviamente, no!

La responsabilità di questa situazione è tutta dell’amministrazione carceraria, del governo israeliano e tutti coloro che si proclamano difensori dei diritti dell’uomo.

Ci appelliamo a tutte le persone libere: non lasciateci morire nelle nostre celle, senza alcuna misura protettiva col contagio che si sta propagando.

O forse dobbiamo fare come hanno già fatto in altre prigioni nel mondo? Rivoltarci per poi morire colpiti dalle pallottole, prima ancora di essere uccisi dal Coronavirus?

Il nostro è un grido rivolto al mondo intero. Alleghiamo un elenco dei nomi di alcune/i prigioniere/i affette/i da svariate patologie. Chi è interessato può così rendersi conto delle nostre pessime condizioni sanitarie all’interno delle carceri israeliane. In realtà, l’elenco è molto più lungo.

Comitato dei prigionieri palestinesi per la difesa dei diritti dell’uomo

Alcuni nomi dei detenuti malati:

1. Mo’tasim Raddad/ tumore intestinale e immune-depresso,

2. Khaled al-Shawish/ disabile, cateterizzato, iperlipemia e allergia sanguigna,

3. Mansour Moqadi/ disabile, protesi gastrica e cateterizzato,

4. Kamal abu Wa’r/ tumore laringeo con problematiche respiratorie,

5. Ahmad Sa’adeh/ infarto cardiaco,

6. Walid Daqqa/ patologie cardiocircolatorie, problematiche respiratori e in trattamento chemioterapico,

7. Sa’di al-Gharabli/ prostatite, ipertensione, diabete e problemi geriatrici,

8. Zamel Shallouf/ aritmie cardiache con pace maker, problemi respiratori,

9. Miqdad al-Hih/ ictus cerebrale emisfero sinistro, dispnea e problemi gastrointestinali,

10. Khalil Msallam Baraq’ah/ problemi respiratori e polmonari,

11. ‘Ala’ Ibrahim ‘Ali/ tubercolosi, complicanze respiratorie e problemi gastrointestinali,

12. Ayman Hasan al-Kurd/ paraplegico, problemi nel sistema nervoso e problemi gastrointestinali,

13. Saleh Daoud/ epilessia, problemi respiratori,

14. Mohammad Jaber al-Hroub/ epatite per incuranza medica,

15. Ra’ed al-Hutari/ problemi respiratori, emicrania, gotta,

16. Hamza al-Kalouti/ gotta gastroenterite, dispnee,

17. Ibrahim ‘Isa ‘Abdeh/ patologia nervosa, gotta,

18. ‘Ezzeddine Karajat/ respirazione artificiale,

19. Mutawakkel Radwan/ infarto e problemi respiratori,

20. Usama abu al-‘Asal/ problemi respiratori e cardiaci,

21. Khalil abu Ni’meh/ problemi respiratori,

22. Fawwaz Ba’areh/ cancro cerebrale con momenti di sincope/coma,

23. Mahmoud abu Kharabish/ crisi respiratoria,

24. Fu’ad al-Shobaki/ problemi geriatrici,

25. ‘Abd al-Mu’iz al-Ja’abeh/ infarto cardiaco, iperlipemia,

26. Nasri ‘Asi/ problemi alle tiroidi,

27. Mamdouh al-Tanani/ diabete, ipertensione, iperlipemia, problemi renali e altre patologie,

28. Ahmed E’beid/ problemi circolatori, ipertensione, iperlipemia,

29. Muwaffaq al-‘Erouq/ tumore intestinale,

30. Ibrahim abu Mukh/ leucimia,

31. Musa Sufan/ polmonite,

32. Israà Ja’abis/ ustione su tutto il corpo, amputazione alcune dita,

33. Yousef Iskaf/ cardiopatico,

34. Nabil Harb/ intestino artificiale,

35. Yusra al-Masri/ infiammazione ghiandolare.

Rete Samidoun – Palestina Occupata

Traduzione a cura dell’Unione Democratico Arabo Palestinese – UDAP