Ayman Odeh: stiamo mettendo fine alla presa di Netanyahu su Israele

Ayman Odeh

Odeh guida la Lista Unita, la terza principale coalizione nel parlamento israeliano, la Knesset, ed è il segretario del partito Hadash

22 settembre 2019 – New York Times

Il leader della Lista unita, composta principalmente da partiti arabi spiega perché userà il suo potere per contribuire a a far diventare Benny Gantz primo ministro di Israele

GERUSALEMME – i cittadini arabo-palestinesi di Israele hanno scelto di bocciare il primo ministro Benjamin Netanyahu, la sua politica di paura e di odio, la disuguaglianza e la divisione che ha promosso nell’ultimo decennio. La scorsa estate Netanyahu ha dichiarato che i cittadini arabo-palestinesi di Israele, che rappresentano un quinto della popolazione, dovessero essere ufficialmente cittadini di seconda classe. “Israele non è uno Stato per tutti i suoi cittadini,” ha scritto su Instagram Netanyahu dopo aver fatto approvare la legge dello Stato-Nazione. “Secondo la legge fondamentale sulla nazionalità che abbiamo approvato Israele è lo Stato-Nazione del popolo ebraico – e solo di esso.”

Il governo israeliano ha fatto di tutto per respingere quelli di noi che sono cittadini arabo-israeliani, ma la nostra influenza è solo aumentata. Saremo la pietra angolare della democrazia. I cittadini arabo-israeliani non possono cambiare da soli l’andamento delle cose in Israele, ma il cambiamento è impossibile senza di noi. In precedenza ho sostenuto che, se i partiti di centro-sinistra israeliani credono che i cittadini arabo-israeliani abbiano un posto in questo Paese, devono accettare che abbiamo un posto nella sua politica.

Oggi quei partiti non hanno più scelta. Almeno il 60% dei cittadini arabo-palestinesi ha votato nelle ultime elezioni, e la Lista Unita, la nostra alleanza che rappresenta gli arabi e i partiti arabo-ebraici, ha conquistato 13 seggi ed è diventata la terza principale coalizione alla Knesset. Decideremo chi sarà il prossimo primo ministro di Israele.

A nome della Lista Unita, ho suggerito che il presidente di Israele scelga Benny Gantz, il leader del partito di centro “Blu e Bianco”, perché sia il prossimo primo ministro. Questo sarà il passo più significativo per contribuire a creare la maggioranza necessaria ad impedire un altro mandato per Netanyahu. E ciò dovrebbe porre fine alla sua carriera politica.

I miei colleghi ed io abbiamo preso questa decisione non per sostenere Gantz e le sue proposte politiche per il Paese. Siamo consapevoli che Gantz ha rifiutato di accettare le nostre legittime richieste politiche per un futuro condiviso, e per questo non parteciperemo al suo governo.

Le nostre richieste per un futuro condiviso e più equo sono chiare: chiediamo risorse per affrontare la violenta criminalità che affligge città e villaggi arabi, leggi per la casa e piani regolatori che concedano alle persone dei Comuni arabi gli stessi diritti dei loro vicini ebrei e un loro maggior accesso agli ospedali.  Chiediamo un aumento delle pensioni per tutti in Israele, in modo che i nostri anziani possano vivere dignitosamente, e la creazione e il finanziamento di un piano per prevenire la violenza contro le donne.

Chiediamo l’integrazione giuridica di villaggi e cittadine non riconosciuti – per lo più arabo-palestinesi – che non hanno accesso all’elettricità o all’acqua. E insistiamo per la ripresa di negoziati diretti tra israeliani e palestinesi per raggiungere un trattato di pace che ponga fine all’occupazione e crei uno Stato palestinese indipendente sulla base dei confini del 1967. Invochiamo l’abrogazione della legge sullo Stato-Nazione che dichiara che io, la mia famiglia e un quinto della popolazione siamo cittadini di seconda classe. È a causa del fatto che per decenni i candidati a primo ministro si sono rifiutati di appoggiare un programma a favore dell’eguaglianza che dal 1992 nessun partito arabo o arabo-ebraico ha dato indicazioni di un primo ministro.

Eppure questa volta facciamo una scelta diversa. Abbiamo deciso di dimostrare che i cittadini arabo-palestinesi non possono più essere rifiutati o ignorati. La nostra decisione di indicare Gantz come il prossimo primo ministro senza unirci al suo previsto governo di unità nazionale è un chiaro messaggio che l’unico futuro per questo Paese è un futuro comune, e non c’è un futuro condiviso senza la piena e paritaria partecipazione dei cittadini arabo-israeliani.

La mattina dopo che è stata approvata la legge discriminatoria dello “Stato -Nazione”, ho accompagnato a scuola i miei figli e ho pensato al fatto di farli crescere in un Paese che ha ripetutamente rifiutato i bambini arabo-palestinesi. I governi israeliani hanno continuamente ribadito questo rifiuto, dagli anni della legge marziale imposta agli arabi in Israele tra la fondazione dello Stato [nel 1948, ndtr.] e il 1966, fino ai tentativi di lunga data di eliminare la cultura palestinese e alla continua decisione di occupare le terre e le vite dei nostri fratelli e sorelle in Cisgiordania e a Gaza.

Ogni volta che accompagno la mia figlia più giovane, Sham, a scuola vedo un brano del Libro dei Salmi scritto su un muro: “La pietra che il costruttore ha scartato è diventata una pietra angolare.”

Scegliendo di indicare Gantz abbiamo dimostrato che la collaborazione tra le persone, arabe ed ebree, è l’unica strategia politica di saldi principi che porterà a un futuro migliore per tutti noi. Innumerevoli persone in Israele e nel resto del mondo ci saranno grate di vedere la fine del lungo regno di corruzione, bugie e paura di Netanyahu.

Continueremo il nostro lavoro verso un futuro migliore e giusto, e la nostra lotta per i diritti civili, radicata nella nostra identità come palestinesi. C’è spazio sufficiente per tutti noi nella nostra patria comune, spazio sufficiente per i versi di Mahmoud Darwish e per le storie dei nostri nonni, spazio sufficiente perché tutti noi facciamo crescere le nostre famiglie nell’uguaglianza e nella pace.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Nuovo sondaggio: più del 60% dei palestinesi vuole che Abbas lasci

The Palestine Chronicle – 18 settembre 2019

Secondo un sondaggio, il 60% dei palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza vuole che il Presidente Mahmoud Abbas si dimetta.
Felesteen.ps riferisce che, da una ricerca condotta dal Centro Palestinese di Ricerca Politica e Sondaggi tra l’11 e il 14 settembre, emerge che il 50% dei palestinesi vorrebbe tornare all’Intifada armata, data la mancanza di passi avanti nel processo di pace, mentre il 40% chiede lo scioglimento dell’Autorità Palestinese.

Tra il 32 e il 50% degli intervistati ritiene che i risultati del governo siano peggiori di quelli del suo predecessore.
Il 56% è contrario alla soluzione dei due Stati, con il 37% che preferisce la resistenza armata e il 32% a favore di una soluzione nonviolenta della questione palestinese.

I contrari all’accordo di pace USA, l’“Accordo del Secolo”, raggiungono il 69% e il 72% boccia il coinvolgimento americano nella risoluzione della crisi dei rifugiati palestinesi.


Circa i tre quarti – il 72% – chiedono che si tengano elezioni legislative e presidenziali e vogliono che l’Autorità Palestinese tolga le sanzioni che ha imposto alla Striscia di Gaza sotto assedio.
Il sondaggio ha rilevato che il 63% dei palestinesi di Gaza si sente al sicuro, rispetto al 52% della Cisgiordania; a Gaza, il 43% ha dichiarato di sentirsi libero di criticare Hamas, mentre in Cisgiordania è il 36% che si sente libero di criticare Fatah.

(Middle East Monitor, PC, Social Media)

 

(Traduzione di Elena Bellini)




Le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso una donna palestinese a un checkpoint in Cisgiordania

 Shatha Hammad a  Ramallah, Cisgiordania occupata

 18 settembre 2019 – Middle East Eye

Testimoni hanno riferito a Middle East Eye che la donna è stata uccisa dopo aver sbagliato corsia pedonale al checkpoint di Qalandia.

La polizia israeliana e testimoni palestinesi riferiscono che mercoledì mattina le forze di sicurezza israeliano hanno sparato e ucciso una donna palestinese al checkpoint di Qalandia, nella Cisgiordania occupata.

Un video che circola sui social, ritenuto autentico da Middle East Eye, mostra degli uomini che, con le uniformi del personale di sicurezza privato e armati di fucili, affrontano una donna a parecchi metri di distanza da loro. Si sente uno sparo e subito dopo lei crolla a terra, lasciando cadere un oggetto che una delle guardie sembra colpire con un calcio e mandare fuori dalla portata della donna.

Testimoni hanno riportato a Middle East Eye che la donna è stata colpita quattro volte, dopo aver sbagliato corsia pedonale a Qalandia, il più importante checkpoint israeliano che separa Gerusalemme est dalla Cisgiordania centrale.

Mohammed Hammad Jaradat, un abitante di Gerusalemme, ha riferito a MEE che apparentemente la donna era entrata a piedi nel settore sbagliato del posto di blocco e stava cercando di raggiungere la zona degli autobus.

Le forze di sicurezza israeliane hanno quindi cominciato a urlare e inseguirla e, a questo punto, secondo Jaradat, lei ha tirato fuori un piccolo coltello.

 “Avrebbero potuto tenerla sotto controllo” ha detto Jadarat. “Erano cinque soldati e lei era a circa sette metri di distanza. L’hanno uccisa deliberatamente, hanno voluto non solo uccidere lei, ma anche spaventare noi palestinesi che attraversiamo il posto di blocco ogni giorno tra Ramallah e Gerusalemme.”.

Il ministero della Sanità dell’Autorità Palestinese ha confermato che la donna, non ancora identificata, è morta in un ospedale israeliano a Gerusalemme est a causa delle ferite. La Mezzaluna Rossa palestinese ha detto in un comunicato che le forze israeliane hanno impedito ai suoi medici di raggiungere la donna e prestarle i primi soccorsi.

Un portavoce della polizia israeliana ha dichiarato che “una terrorista ha cercato di compiere un attacco con un coltello” al posto di blocco di Qalandia, ed è stata pubblicata una foto di un coltello sull’asfalto.

Alaa Rimawi, il direttore del Center for Jerusalem Studies [Centro per gli Studi su Gerusalemme, programma di studi dell’università palestinese Al Quds, ndtr.], ha riferito a MEE che uno studio effettuato dal centro ha stimato che il 56% dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme dal 2015 è stato ucciso ai checkpoint, aggiungendo che Qalandia è un punto critico per tali sparatorie mortali.

Dopo la sparatoria, le forze israeliane hanno attaccato i civili palestinesi presenti nell’area con gas lacrimogeni e hanno bloccato l’accesso dei lavoratori al checkpoint, che poi è stato chiuso in entrambe le direzioni.

Secondo fonti ufficiali palestinesi la Cisgiordania era già stata blindata martedì per le elezioni generali in Israele, impedendo a circa 150.000 palestinesi con un permesso di lavoro israeliano di attraversare i checkpoint.

Rimawi ha denunciato procedure scorrette, come la mancanza di avvertimento da parte dei soldati prima di sparare, l’uso di cartucce vere e l’inosservanza delle regole dell’esercito che prevedono che si spari agli arti inferiori di un presunto aggressore onde evitare perdite di vite umane.

Ha anche aggiunto che la sua organizzazione ha documentato dal 2015 almeno 36 casi in cui dei palestinesi sono stati uccisi nonostante “mancasse la prova che fossero in possesso di un oggetto che costituisse una minaccia per le vite dei soldati”.

Documentare le uccisioni

Secondo Helmi al-Araj, il direttore del Centre for Defense of Liberties and Civil Rights [Centro per la Difesa delle Libertà e dei Diritti Civili, Ong palestinese per la difesa dei diritti umani e politici dei palestinesi, ndtr]  foto e video di uccisioni da parte delle forze israeliane costituiscono un’utile prova per rendere nota una prassi corrente nei territori palestinesi occupati indipendentemente dal fatto che si tenga conto se i palestinesi costituiscano una minaccia reale o meno.

 “Tutta la documentazione è molto importante da usare contro i soldati israeliani e i coloni e per procedere contro di loro per crimini di guerra e continuo incitamento a uccidere i palestinesi” riferisce Araj al MEE, citando l’uccisione del palestinese Abd al-Fattah al-Sharif a Hebron nel 2016.

Il video dell’uccisione di Sharif, una vera e propria esecuzione, ha suscitato la condanna internazionale e ha portato a un processo ampiamente pubblicizzato in cui Elor Azarya è stato uno dei pochi soldati israeliani a essere condannato al carcere, seppure per un breve periodo, per aver ucciso un palestinese.

Secondo l’United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari; OCHA), quest’anno, fino al 2 settembre, le forze israeliane hanno ucciso in Cisgiordania 20 palestinesi.

Si stima che, fra il 2015 and 2016, un’ondata di violenza abbia causato la morte di 236 palestinesi e circa 34 israeliani, con un numero significativo di palestinesi uccisi dalle forze israeliane nella Gerusalemme est annessa  e nella Cisgiordania occupata.

(traduzione di Mirella Alessio)




Vandalo dell’ambasciata dell’UE elogiato da Netanyahu

Ali Abunimah

16 settembre 2019 – Electronic Intifada

Domenica degli estremisti israeliani di destra hanno vandalizzato l’ambasciata

dell’Unione Europea a Tel Aviv.

Sheffi Paz ha filmato se stessa insieme ad un altro attivista che stava scrivendo con una bomboletta spray “UE get out” [UE vattene ] e “German money kills Jews” [I soldi della Germania uccidono gli ebrei] sulla porta dell’ambasciata europea.

Sebbene vi sia stata una generale condanna dell’azione da parte dei diplomatici europei, non è stato fatto presente il fatto che Paz proviene dallo stesso ambiente di estrema destra di cui la UE ha cercato di procacciarsi i favori.

Paz è stata una leader delle bande che prendono di mira i rifugiati neri e i richiedenti asilo nel sud di Tel Aviv.

Lei e i suoi sodali hanno percorso le strade cercando di imporre il preservativo a uomini e donne africani, [sulla base di] un pensiero secondo cui il tasso di natalità africano dovrebbe azzerarsi.

Un palcoscenico per i suprematisti bianchi

Il mese scorso un altro esponente della destra, Avishai Ivri, ha intervistato Paz per promuovere la sua ultima campagna razzista, rivolta ad espellere i caregiver filippini i cui figli sono nati in Israele. Ivri ha descritto Paz come “la numero uno dell’attivismo anti-immigrazione in Israele”. Ivri è corrispondente di TheRebel, la voce dell’estremista canadese della destra radicale Ezra Levant.

Levant e il suo sito hanno offerto ampio spazio al suprematismo bianco, all’antisemitismo e persino a negazionisti dell’Olocausto. TheRebel  promuove anche il punto di vista dell’agitatore anti-musulmano britannico Tommy Robinson.

Nell’intervista con Ivri, Paz racconta di aver recentemente incontrato Ayelet Shaked, l’ex ministra della giustizia israeliana nota per aver pubblicato un appello per il genocidio dei palestinesi.

Shaked,che è stata accolta calorosamente dalla EU, è ora alla guida, alle elezioni israeliane di questa settimana, del partito di estrema destra Yamina.

“Noi poniamo delle condizioni per sostenerli”, ha detto Paz di Yamina. “Mi auguro che possano soddisfare le nostre richieste.”

Shaked, a quanto sembra, ha soddisfatto quelle condizioni, firmando un accordo con Paz secondo cui Yamina si sarebbe unita a un governo solo nel caso [questo] avesse promesso politiche xenofobe ancora più dure.

Paz è stata precedentemente corteggiata da Benjamin Netanyahu, un segno di quanto sia popolare la sua politica razzista.

Il primo ministro l’ha incontrata all’inizio di quest’anno e ha approvato i suoi progetti intesi a prendere di mira le persone provenienti dall’Africa.

La Ue ha assunto un razzista genocida

Ma chi è Avishai Ivri? Nel 2017, Ivri venne assunto nientemeno che dall’ambasciata della UE a Tel Aviv per recitare  in un video di propaganda che promuoveva i vantaggi che l’Unione europea offre a Israele. “L’Unione Europea. Tu Pensi che sia anti-israeliana, vero?” esordiva Ivri nel video “Lascia che ti sorprenda.”

L’ambasciata era soddisfatta dell’impiego di Ivri come volto della sua campagna nonostante il – o più probabilmente a causa del – modo in cui egli aveva apertamente sostenuto il genocidio dei palestinesi. “Fanculo, annientata Gaza”, afferma uno dei suoi tanti tweet che incitano al massacro di uomini, donne e bambini palestinesi.

Dopo che The Electronic Intifada ha denunciato i ripetuti inviti di Ivri all’uccisione in massa dei palestinesi, l’ambasciata dell’UE ha ritirato il video promozionale. Ma, in primo luogo, non ha mai spiegato perché avesse assunto Ivri né ha mai presentato delle scuse. Non è, tuttavia, difficile da capire.

L’indulgenza dellaUE nei confronti dell’estrema destra israeliana fa parte della sua più ampia strategia volta a cercare di placare Israele offrendo supporto politico ed economico incondizionato, indipendentemente da quanto [siano] sfacciati i crimini di guerra e le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Ma non ha funzionato.

Indipendentemente da quanto spesso i diplomatici dell’Unione europea si rechino in Israele, vengono comunque  paragonati a nazisti o gli viene detto dai ministri israeliani di andare a “migliaia e migliaia di inferni”.

Gli slogan tracciati sul muro da Paz sono un evidente distillato del messaggio anti-UE che è stato diffuso dal governo israeliano per anni.

Un’ipocrita condanna

C’è stata un’ondata di indignazione da parte dei diplomatici europei per l’atto vandalico di Paz sull’ambasciata della UE. Emanuele Giaufret, ambasciatore della UE a Tel Aviv, ha richiesto che l’incidente “debba essere condannato”. “Condanniamo fermamente l’attacco vandalico”, ha affermato l’ambasciata spagnola. L’ambasciatore danese lo ha definito “disgustoso” e l’ambasciatore svedese ha dichiarato che è “deplorevole e triste”. L’ambasciata italiana ha definito le azioni di Paz “vili”. L’ambasciatore austriaco ha chiesto il rapido arresto dei colpevoli. Anche la portavoce, a capo della politica estera della UE, Federica Mogherini lo ha definito un “deplorevole atto di vandalismo” e ha dichiarato che la UE avrebbe atteso dei “rapidi risultati” da un’indagine annunciata dal ministero degli Esteri israeliano.

C’è un sorprendente contrasto tra l’appassionata pioggia di condanne riguardanti una porta imbrattata con una bomboletta spray e il grado di calma e tolleranza dei diplomatici europei quando i comandanti israeliani, nella Striscia di Gaza assediata, ordinano ai cecchini di sparare sui minorenni. Fino ad oggi, l’Unione Europea si è rifiutata di condannare questo massacro intenzionale. Il messaggio è chiaro: uccidete i minori palestinesi e i diplomatici europei si siederanno insieme a voi per il pranzo o per una piacevole chiacchierata. Il Cielo ti proibisce di verniciare uno slogan sulla porta dell’ambasciata dell’UE. Ma neppure la rabbia a parole era destinata a durare.

Lunedì, non appena l’ambasciata della UE ha riaperto, l’ambasciatore Giaufret ha chiaramente fatto presente che il suo staff avrebbe risposto nell’unico modo che conosca: premiando un governo che sostiene i razzisti e che incita all’odio con iniziative per “rafforzare le relazioni UE-Israele”.

(traduzione  di Aldo Lotta)




Netanyahu incita all’odio contro i palestinesi

La campagna elettorale di Netanyahu mette in guardia gli elettori israeliani: ‘gli arabi vogliono annientarci tutti’

L’associazione per i diritti Adalah ha denunciato il fatto alla commissione elettorale per incitamento all’odio contro i palestinesi cittadini di Israele

 Redazione di MEE

11 Settembre 2019 – Middle East Eye

 

Mercoledì un’associazione per i diritti ha presentato una denuncia legale dopo che i media hanno rivelato che la pagina Facebook del Primo Ministro Benjamin Netanyahu chiede ai suoi followers di inviare messaggi di avvertimento ai potenziali elettori dicendo: “Gli arabi vogliono annientarci tutti: uomini, donne e bambini.”

Adalah, un’associazione legale che combatte la discriminazione contro i palestinesi cittadini di Israele, ha presentato una denuncia per incitamento all’odio al Comitato Centrale Elettorale israeliano (CEC) e al procuratore generale di Israele.

La denuncia, presentata a nome della coalizione politica ‘Lista Araba Unita’, invita “il Presidente del CEC,  il giudice Hanan Melcer, ad emanare un’ingiunzione che impedisca a Netanyahu ulteriori illecite diffusioni di propaganda elettorale razzista, e il procuratore generale israeliano Avichai Mandelblit ad avviare un’inchiesta penale relativamente all’incitamento al razzismo da parte del Primo Ministro israeliano.”

“La recentissima dichiarazione di Netanyahu mostra un deciso incremento del suo incitamento razzista all’odio contro gli arabi cittadini di Israele”, ha dichiarato Adalah.

Mercoledì il quotidiano israeliano Haaretz ha rivelato che Netanyahu sta conducendo una campagna attraverso Facebook Messenger, utilizzando tecnologia digitale per inviare messaggi tutti uguali.

Un messaggio automatico chiede ai followers se vogliono diventare volontari nella campagna elettorale di Netanyahu, prima di fornire un suggerimento di testo per convincere potenziali elettori a dare il loro voto al Likud, partito del Primo Ministro.

Il messaggio suggerisce di mettere in guardia gli elettori contro la “pericolosa” minaccia dei palestinesi cittadini di Israele e della sinistra israeliana e sostiene che il partito di centro ‘Blu e Bianco’ di Yair Lapid e Benny Gantz unirà le sue forze con la Lista Araba Unita.

“Martedì”, dice il messaggio, “puoi decidere il futuro della nostra Nazione. Il Primo Ministro Netanyahu propone una politica di destra di uno Stato ebraico, di sicurezza e di un Israele forte.

Non possiamo trovarci fra una settimana con un pericoloso governo di sinistra con Lapid, Ayman Odeh, Gantz e Avigdor Lieberman.”

Aggiunge che sarebbe “un debole governo laico di sinistra che si baserebbe sugli arabi che vogliono distruggerci tutti, donne, bambini e uomini, e consentirebbe a un Iran nucleare di eliminarci”, riferendosi ai palestinesi cittadini di Israele – spesso chiamati in Israele “arabi”.

Dopo la rivelazione della chat l’ufficio di Netanyahu ha detto che si trattava dell’ “errore di un collaboratore.” Il capo della coalizione Lista Araba Unita nel parlamento israeliano, Ayman Odeh, ha attaccato Netanyahu per i suoi commenti sui palestinesi cittadini di Israele.

“Netanyahu è uno psicopatico che non possiede limiti e vuole vedere il sangue”, ha scritto Odeh su Twitter, prima di parlare delle continue indagini per corruzione che coinvolgono il Primo Ministro. “Questo ignobile criminale continuerà a spremerci il sangue in quanto pensa che questo lo aiuti a evitare la prigione.”

Odeh ha scritto nel suo tweet di aver denunciato il messaggio automatico a Facebook “per fermare il pericoloso incitamento razzista di Netanyahu contro la popolazione araba.”

Secondo la radio dell’esercito israeliano, dopo che mercoledì Netanyahu ha fatto un discorso alla Knesset, il parlamento israeliano, Odeh lo ha avvicinato e filmato con il suo telefono cellulare, a quanto pare dicendo a Netanyahu: “Sei un bugiardo e sai che stai mentendo”.

Le infuocate parole e le dichiarazioni da “occhio per occhio” giungono nel momento in cui Israele sta per andare alle urne martedì 17 settembre.

Durante le elezioni legislative del 2015 Netanyahu ha usato toni simili per spingere gli elettori ad andare a votare, ammonendo in un video che un governo israeliano di destra era “in pericolo” e che i palestinesi cittadini di Israele stavano recandosi ai seggi elettorali “in massa”.

Nei sondaggi il partito ‘Blu e Bianco’ risulta testa a testa col Likud, il che significa che l’affluenza di palestinesi cittadini di Israele potrebbe costituire un fattore determinante per il risultato finale.I palestinesi cittadini di Israele sono il 21% della popolazione e generalmente votano per i propri partiti che fanno parte della coalizione ‘Lista Araba Unita’, o per i partiti di centro e di sinistra.

 

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Minori palestinesi uccisi da Israele a Gaza

Due adolescenti palestinesi colpiti a morte dall’esercito israeliano

Fonti ufficiali affermano che durante le proteste a cui hanno partecipato più di 5.000 persone sono anche state ferite dall’esercito israeliano 76 persone.

di Ali Younes

6 settembre 2019 – Al Jazeera

 

Nel corso di una protesta lungo la barriera di confine tra Israele e Gaza due palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano.

Le autorità sanitarie di Gaza hanno detto che venerdì Ali al-Ashqar, di 17 anni, e Khaled al-Ribie, di 14, sono stati colpiti al petto dalla polizia israeliana, mentre migliaia di palestinesi manifestavano in diversi punti della barriera.

Ashraf al-Qidra, un portavoce del Ministero palestinese della Sanità a Gaza, ha detto ad Al Jazeera che sono state ferite dal fuoco israeliano anche 76 persone, 45 delle quali sono state colpite deliberatamente.

“La maggior parte delle vittime ha riportato ferite alla parte superiore del corpo, il che indica l’intenzione di uccidere”, ha detto.

Secondo i partecipanti, oltre 5.000 palestinesi hanno preso parte alla marcia di venerdì.

L’esercito israeliano ha stimato un numero maggiore di partecipanti, affermando che 6.200 persone si sono radunate in diversi punti lungo il confine con Israele.

Le proteste settimanali sono state organizzate a partire dal marzo 2018 dalla ‘Commissione per la Marcia per il Diritto al Ritorno’, una coalizione di organizzazioni della società civile.

Ghazi Hamad, un importante dirigente di Hamas a Gaza, ha detto ad Al Jazeera che Israele ha adottato la prassi di prendere di mira i manifestanti palestinesi, ma il livello della sua azione contro di loro spesso è dipeso dalla situazione politica tra Israele e Hamas.

Hamad ha sottolineato che le uccisioni e l’alto numero di feriti di venerdì sono indicative della mancanza di “un’intesa politica” tra Israele e Hamas.

“Quando non ci sono accordi o un’intesa politica tra Hamas e Israele, come accade adesso, la tensione alle frontiere sale e spesso Israele inasprisce la sua reazione letale”, ha detto.

Assenza di speranza

Un palestinese che partecipa regolarmente alle marce ha detto da Gaza ad Al Jazeera che la maggior parte della gente partecipa perché loro e le loro famiglie stanno pagando un alto costo a causa del blocco economico e anche della chiusura del valico di confine tra Gaza ed Egitto.

“La gente ha perso la speranza. Intorno a loro ci sono solo disperazione e miseria”, ha detto il palestinese, che ha chiesto di restare anonimo.

Negli ultimi mesi le marce sono diventate meno partecipate, dopo che a inizio anno dei mediatori hanno ottenuto un cessate il fuoco non ufficiale. Secondo l’Associated Press [agenzia di stampa USA, ndtr.], dal 2018 durante queste marce sono stati uccisi più di 200 palestinesi e un soldato israeliano

Circa il 70% dei due milioni di palestinesi di Gaza sono rifugiati ufficialmente riconosciuti, che sono stati originariamente espulsi dalle loro case da quelle che all’epoca erano milizie armate sioniste, prima della fondazione di Israele nel 1948.

 

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 

 




Rapporto ONU su crisi economica in Palestina

L’Onu segnala il gravissimo collasso dell’economia palestinese

11 settembre 2019 – Middle East Monitor

 

Ieri la conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD) ha avvertito riguardo al gravissimo collasso dell’economia palestinese a causa delle misure distruttive dell’occupazione israeliana.

In un rapporto l’UNCTAD afferma che le prestazioni dell’economia palestinese e le condizioni umanitarie hanno raggiunto nel 2018 e all’inizio del 2019 il livello minimo da sempre.  Aggiunge: “Nel territorio palestinese occupato, nel 2018 il livello di crisi dovuto al tasso di disoccupazione ha continuato ad aumentare, arrivando al 31%: al 52% a Gaza e al 18% in Cisgiordania.”

Afferma anche: “Il salario reale e la produttività del lavoro sono diminuiti. Nel 2017 il salario reale e la produttività per singolo lavoratore sono stati rispettivamente inferiori del 7% e del 9% rispetto ai livelli del 1995.”

Il reddito pro capite si è ridotto, la disoccupazione di massa è aumentata, la povertà si è accentuata e sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania è aumentato il degrado ambientale causato dall’occupazione.

In conseguenza delle misure dell’occupazione israeliana, “l’economia di Gaza ha subito una contrazione del 7% ed è aumentata la povertà, gli investimenti sono praticamente scomparsi, scendendo al 3% del PIL, di cui l’88% è stato destinato alla ricostruzione delle infrastrutture distrutte durante varie pesanti operazioni militari negli ultimi 10 anni.”

Secondo la UNCTAD il rallentamento dell’economia in Cisgiordania “si spiega con la diminuzione dell’appoggio da parte dei donatori, la contrazione del settore pubblico e il deterioramento generale della sicurezza, il che ha scoraggiato le attività del settore privato.”

“La partecipazione complessiva della produzione nel valore aggiunto totale si è ridotta dal 20% all’11% del PIL tra il 1994 e il 2018, mentre la partecipazione dell’agricoltura e della pesca è diminuita da più del 12% a meno del 3%.”

“Al popolo palestinese viene negato il diritto di sfruttare le risorse di petrolio e gas naturale e pertanto lo si priva di migliaia di milioni di dollari di entrate”, aggiunge.

La UNCTAD ha ancora aggiunto: “La comunità internazionale deve aiutare il popolo palestinese a garantire il proprio diritto al petrolio e al gas nel territorio palestinese occupato e stabilire la sua legittima partecipazione alle risorse naturali, che sono proprietà collettiva di diversi Stati vicini nella regione.”

Nel contempo l’organizzazione sostiene: “Nel marzo 2019 il governo di Israele ha iniziato a ridurre di 11,5 milioni di dollari al mese le entrate di liquidità palestinese [si riferisce alle tasse che Israele riscuote e che dovrebbe poi girare all’ANP, ndtr.] … Questo impatto fiscale è aggravato dalla diminuzione dell’appoggio dei donatori.”

 

 

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




In Austria censura contro film sul calcio palestinese

Un cinema di Vienna censura un film palestinese sul calcio

 

Ali Abunimah

5 settembre 2019 – Electronic Intifada

 

 

Gli attivisti manifestano la loro indignazione perché un cinema a Vienna ha cancellato la prima visione austriaca di un film sul calcio palestinese.

Intanto, in Canada, gli attivisti protestano contro la decisione del partito liberale al governo di escludere un candidato al parlamento sulla base di false accuse di antisemitismo.

BDS Austria, gruppo che sostiene la campagna per boicottare Israele a causa delle sue violazioni dei diritti dei palestinesi, afferma che la cancellazione della proiezione di ¡Yallah! ¡Yallah! rappresenta un caso di censura.

Diretto da Cristian Pirovano e Fernando Romanazzo, il film del 2017 è una coproduzione argentino-palestinese e racconta la storia di sette palestinesi attraverso il loro legame con il calcio.

La proiezione avrebbe dovuto avvenire martedì al cinema Artis International, seguita da una discussione con Pirovano, che è in tournée in Europa. Il film è già stato proiettato in dozzine di città in tutto il mondo.

Il co-direttore Pirovano ha condannato la censura.

BDS Austria ha dichiarato: “La cancellazione all’ultimo minuto della proiezione del film al cinema Artis, che appartiene al più grande operatore cinematografico austriaco, Cineplexx Ltd., è illegale e inaccettabile.”

Secondo il gruppo [BDS], il cinema avrebbe dichiarato: “Negli ultimi giorni abbiamo ricevuto sempre più informazioni e messaggi che sottolineavano la posizione politicamente controversa non tanto del film in quanto tale, quanto del movimento sostenuto dal BDS”.

BDS è acronimo di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, una campagna avviata dai palestinesi sul modello del movimento di solidarietà globale che ha contribuito a mettere fine all’apartheid in Sudafrica.

L’obiettivo del BDS è di fare pressione su Israele affinché rispetti il diritto internazionale ponendo fine all’occupazione militare in terra palestinese, abolendo ogni forma di discriminazione nei confronti dei cittadini palestinesi di Israele e rispettando il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare in patria.

Ma nel 2018 il consiglio comunale di Vienna ha adottato una risoluzione di non collaborazione con il movimento BDS accusandolo ingiustamente di essere antisemita.

BDS Austria afferma che Artis ha citato questa risoluzione come pretesto per vietare la proiezione.

Il BDS accusa il Comune di mettere in atto “restrizioni irragionevoli e sproporzionate alle libertà di espressione e di riunione pacifica” e di “razzismo organizzato e istituzionalizzato”.

Gli attivisti hanno protestato fuori dal cinema Artis per la cancellazione di ¡Yallah! ¡Yallah !.

 

Censura draconiana

Questo incidente conferma il timore che l’adozione delle definizioni altamente politicizzate di antisemitismo volute da Israele e dalla sua lobby incoraggino una censura draconiana.

Israele e i suoi alleati stanno premendo per l’adozione istituzionale della cosiddetta definizione di antisemitismo dell’IHRA [International Holocaust Remembrance Alliance, organizzazione intergovernativa per la conservazione della memoria dell’Olocausto, ndtr.], che equipara le critiche alle politiche e alle pratiche razziste di Israele al fanatismo antiebraico.

L’Austria, membro di un’Unione Europea che pretende di difendere la libertà di parola come diritto fondamentale, è un posto sempre più ostile alla libera espressione.

A marzo a Vienna persino la Conferenza Rosa Luxemburg, di sinistra, ha condannato il BDS Austria.

Lo stesso mese, il Volkskundemuseum [Museo del Folklore, ndtr.] di Vienna, su pressione dei gruppi della lobby israeliana, ha annullato un evento sui diritti dei palestinesi in cui era previsto un intervento di Ronnie Kasrils.

Kasrils è un veterano anti-apartheid ed ex ministro del governo di Nelson Mandela.

L’anno scorso, l’Università di Vienna si è piegata alle pressioni della lobby israeliana in Austria e ha vietato una conferenza pubblica di un autorevole attivista nero americano.

E nel 2017 a Vienna un hotel ha annullato la conferenza di un avvocato che si occupa  di diritti umani dopo le intimidazioni di attivisti anti-palestinesi.

 

Candidato canadese diffamato come antisemita

La scorsa settimana, il partito liberale canadese ha tolto Hassan Guillet dalla lista dei candidati alle elezioni politiche di ottobre in un collegio elettorale del Quebec.

Questo dopo che il gruppo della lobby filo-israeliana B’nai Brith Canada ha accusato Guillet di aver postato in rete dichiarazioni antisemite e anti-israeliane.

Ma Independent Jewish Voices [Voci Ebraiche Indipendenti, gruppo di ebrei contrari alle politiche israeliane, ndtr.] Canada si è indignato per la decisione.

“Dopo aver esaminato i fatti, per noi è evidente che Guillet è tutt’altro che un antisemita”, ha detto Corey Balsam, coordinatore nazionale di IJV.  “Ciò che è assolutamente chiaro è che Guillet è stato preso di mira a causa delle sue esplicite critiche a Israele e alle sue politiche”.

B’nai Brith Canada ha accusato Guillet di essersi congratulato con Raed Salah [palestinese con cittadinanza israeliana leader del Movimento Islamico in Israele, ndtr.] per la sua liberazione da una “prigione della Palestina occupata” e di aver auspicato la liberazione di “tutta la Palestina”.

Salah è un leader di spicco tra i cittadini palestinesi di Israele. Ha subito ripetutamente la prigione in Israele per la sua attività politica.

Nel 2011, le autorità del Regno Unito hanno ordinato la deportazione di Salah sulla base di false accuse di antisemitismo da parte di un gruppo britannico della lobby israeliana.

Dopo 10 mesi di battaglia legale, Salah è stato completamente scagionato da un tribunale che ha accettato “da ogni punto di vista” il suo appello contro la deportazione.

Nel maggio 2018, il giorno dopo il massacro da parte di Israele di dozzine di manifestanti disarmati a Gaza, B’nai Brith Canada ha diffuso una calunnia razzista secondo cui i palestinesi manderebbero deliberatamente i propri figli a morire per il solo scopo di scattare foto propagandistiche che mettano in imbarazzo Israele.  Eppure il gruppo pretende di combattere il fanatismo.

In Canada Independent Jewish Voices ha fortemente criticato B’nai Brith per aver citato la definizione IHRA di antisemitismo recentemente adottata dal governo liberale del Primo Ministro Justin Trudeau.  “Ovviamente la preoccupazione globale per i diritti umani dei palestinesi sta provocando serie preoccupazioni a Israele e ai suoi sostenitori”, ha detto Balsam.  “Quindi, invece di cercare di difendere le azioni di Israele – il che è praticamente impossibile – hanno optato semplicemente per etichettare chi le critica come antisemita. Come società dobbiamo andare oltre l’apparenza.”

Grazie agli sforzi di Independent Jewish Voices Canada, che ha lavorato a fianco di gruppi per i diritti dei palestinesi e di attivisti per le libertà civili, a luglio il consiglio comunale di Vancouver ha deciso di non adottare la definizione IHRA.

 

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)

 




Visita di Netanyahu a Hebron

La visita senza precedenti di Netanyahu a Hebron scatena la rabbia tra i palestinesi e richieste di annessione da parte di ministri israeliani

 

Yumna Patel

4 settembre 2019 – Mondoweiss

 

Mercoledì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto una visita senza precedenti alla città di Hebron nella Cisgiordania occupata, provocando irate reazioni da parte di dirigenti e cittadini palestinesi, che l’hanno definita una “pericolosa escalation”.

Per la prima volta un primo ministro israeliano ha pronunciato un discorso nella turbolenta città: Netanyahu ha partecipato a una cerimonia di commemorazione dei disordini del 1929 che provocarono la morte di 67 ebrei.

Durante il suo discorso il primo ministro ha definito i palestinesi “terroristi assetati di sangue” che “perpetrarono questo orribile massacro 90 anni fa,” ribadendo la narrazione israeliana secondo cui i disordini che provocarono morti furono motivati dall’odio palestinese per gli ebrei.

“Erano sicuri che con ciò ci avrebbero sradicati da questo luogo per sempre. Si sbagliavano,” ha detto Netanyahu, aggiungendo: “Siamo tornati a Hebron”, lodando l’espansione delle colonie nella città, in particolare la notoriamente violenta colonia di Kiryat Arba.

La cerimonia si è svolta nella piazza antistante la moschea di Ibrahim, o tomba dei Patriarchi, un sito santo sia per musulmani che per ebrei, e luogo in cui nel 1994si svolse il massacro di 29 fedeli palestinesi da parte di un colono americano israeliano.

“Nel novantesimo anniversario dei disordini dico: non siamo stranieri a Hebron, vi rimarremo per sempre,” ha detto il primo ministro, aggiungendo che “il popolo di Israele è profondamente radicato a Hebron. Fin dalle nostre origini il nostro posto è qui.”

Ricordate dai palestinesi come la “rivolta di Buraq” del 1929, in tutta la Palestina storica scoppiarono massicce proteste dopo che un gruppo di immigrati ebrei andò ad “al-Buraq”, noto come il “Muro del Pianto”, portando bandiere e gridando slogan sionisti.

I palestinesi videro l’iniziativa, in coincidenza con l’anniversario della nascita del profeta Maometto, come la manifestazione di una crescente presenza sionista in Palestina che minacciava di impossessarsi della loro terra e dei luoghi santi.

A Gerusalemme l’avvenimento portò in città a violenti scontri tra palestinesi ed ebrei, che poi si diffusero in diverse città in tutta la Palestina, compresa Hebron, iniziando la rivolta di “al Buraq”.

Si ritiene che 133 ebrei e 116 palestinesi vennero uccisi durante la rivolta, per lo più per mano delle forze coloniali britanniche, mentre altri furono uccisi durante attacchi di ebrei contro comunità arabe.

La commissione Shaw, un’indagine britannica sulla rivolta, stabilì che “non c’erano dubbi” che la ragione fondamentale della ribellione fosse la sensazione di ostilità tra i palestinesi “in conseguenza della delusione delle loro aspirazioni politiche e nazionali e del timore per il loro futuro economico.”

Sfatando il mito secondo cui i palestinesi avrebbero ucciso gli ebrei semplicemente per la loro religione, la commissione mise in evidenza il fatto che nei 10 anni precedenti la rivolta di “al Buraq” c’erano stati solo tre incidenti rilevati di attacchi arabi contro ebrei, e negli 80 anni precedenti ad essa “non c’erano stati casi registrati di alcun incidente simile.”

Nonostante le testimonianze storiche, il presidente israeliano Reuven Rivlin si è unito a Netanyahu nel ribadire la convinzione che, come ha affermato, “i disordini del 1929 furono diretti contro ogni ebreo di qualunque etnia e opinione, semplicemente in quanto ebrei.”

Rivlin ha persino trattato di affermazioni da parte di storici, secondo cui i moti erano diretti contro il sionismo, affermando che “esse sono totalmente infondate.”

Durante la cerimonia, che è stata vista innanzitutto come un tentativo di Netanyahu di ingraziarsi la base di destra in vista delle elezioni di questo mese, alcuni ministri del partito Likud di Netanyahu hanno invitato il premier ad estendere la sovranità israeliana a tutta Hebron.

Secondo il “Times of Israel” [giornale israeliano indipendente in inglese, ndtr.] il presidente della Knesset [parlamento israeliano, ndtr.] Yuli Edelstein ha chiesto che Hebron diventi “una città israeliana a pieno titolo,” affermando che “è venuto il tempo che la colonia ebraica di Hebron cresca di migliaia di abitanti.”

Durante il suo discorso nel corso della cerimonia la ministra della cultura Miri Regev ha chiesto direttamente al primo ministro di adempiere alla sua promessa di estendere la sovranità israeliana a tutta la Cisgiordania, affermando che “non c’è posto migliore di Hebron per iniziare a portare a compimento l’impegno.”

“Se non c’è Hebron non c’è Tel Aviv,” ha detto Regev.

Yishai Fleisher, portavoce della comunità dei coloni di Hebron, ha condiviso su Twitter la maggior parte degli eventi del giorno, elogiando Regev e Netanyahu per le loro affermazioni e congratulandosi per gli avvenimenti del giorno.

I dirigenti palestinesi hanno condannato la cerimonia di mercoledì, che ha coinciso con un crescente dispiegamento di truppe israeliane nella zona e forti limitazioni agli spostamenti dei palestinesi in città.

Secondo l’agenzia palestinese di notizie WAFA le forze israeliane “hanno imposto il coprifuoco sui quartieri palestinesi”, mentre negozi e scuole palestinesi sono stati obbligati a chiudere in anticipo.

Hanan Ashrawi [nota dirigente palestinese, ndtr.] ha definito la visita di Netanyahu e Rivlin “un tentativo irresponsabile e offensivo di compiacere gli elementi più estremisti e razzisti del movimento dei coloni.”

“L’intollerabile situazione di segregazione, discriminazione razziale, vessazioni quotidiane e oppressione imposte sulla popolazione palestinese ad Hebron è guidata dalle politiche razziste e illegali che il signor Netanyahu vuole perpetuare e promuovere contro il popolo palestinese nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme,” ha detto Ashrawi.

Il portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas Nabil Abu Rudeineh ha condannato la visita come tentativo di provocare i musulmani della regione, affermando che “lanciamo un monito contro le pericolose ripercussioni dell’iniziativa di Netanyahu, che viene messa in atto per conquistare i voti dell’estrema destra (israeliana).”

Sia Ashrawi che Abu Rudeineh hanno sottolineato lo status di patrimonio dell’umanità dell’UNESCO del centro storico di Hebron e della moschea di Ibrahim ed hanno chiesto alla comunità internazionale di impedire ulteriori “aggressioni” contro i luoghi.

“La comunità internazionale ha l’ulteriore responsabilità di proteggere questa città da nuove spoliazioni e devastazioni, di obbligare Israele a porre fine alle sue misure draconiane contro la popolazione palestinese di Hebron e a ripristinare vita e libertà nei quartieri assediati, che sono stati svuotati a forza di vita e speranza dall’occupazione israeliana,” ha detto Ashrawi.

Nel centro storico di Hebron circa 800 coloni estremisti israeliani vivono sotto la protezione di migliaia di soldati israeliani, che garantiscono l’accesso dei coloni alla maggior parte della zona.

Nel contempo più di 30.000 palestinesi originari della città sono sottoposti al sistema israeliano di permessi e devono affrontare quotidianamente la violenza dei coloni e i più di venti posti di controllo militari che limitano ogni loro movimento.

 

 

Yumna Patel

Yumna Patel è l’inviata di Mondoweiss in Palestina.

 

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

 




La morte di una neonata beduina

Caccia mortale: famiglia palestinese piange una bambina uccisa mentre scappava da un’incursione dell’esercito israeliano

Come a molti beduini che vivono nella valle del Giordano, i soldati israeliani hanno dato la caccia per anni ai Kaabnahs. Questa volta l’inseguimento è finito in tragedia

Di Shatha Hammad

a Gerico, Cisgiordania occupata

2 settembre 2019 – Middle East Eye

 

Nelle prime ore del mattino del 5 agosto la ventiquattrenne Sara Kaabnah si è svegliata per allattare al seno sua figlia di tre mesi, Hanaa. Ma non si trattava solo di occuparsi di lei.

Sara e tutta la sua famiglia di 16 membri hanno dovuto prendere in gran fretta le proprie cose, compresa la tenda collettiva in cui vivono, e poi mettersi in cammino.

La famiglia beduina, che vive nel villaggio di al-Hadidiya, nel nord della valle del Giordano di Gerico, aveva progettato di spostarsi temporaneamente verso una comunità vicina nota come Jiftlik,  a 40 minuti di distanza.

Trasferendosi, la famiglia sperava di prevenire l’arrivo dell’esercito israeliano per confiscare il loro unico serbatoio d’acqua. I soldati erano andati da loro il giorno prima, avevano fatto fotografie della cisterna per l’acqua e minacciato che sarebbero tornati a sequestrarlo.

Come per altre famiglie beduine che dipendono dall’allevamento come principale fonte di sostentamento, l’acqua per le pecore è indispensabile. Trovare il modo per sfuggire all’esercito israeliano è parte della sopravvivenza della famiglia.

Sara ha preso la piccola Hanaa  tra le braccia ed è partita con la sua famiglia su un trattore, il loro unico mezzo di trasporto. Una parte del gruppo ha guidato le pecore a piedi e un altro ha aspettato fino a quando il trattore fosse tornato a prenderlo.

Ma le cose non sono andate come previsto. Sara ed Hanaa non sono mai arrivate a Jiftlik.

Dato che la famiglia viaggiava nel buio quasi assoluto, due veicoli israeliani hanno urtato il trattore nei pressi di un posto di controllo militare. Il trattore si è rovesciato, Hanaa è caduta dalle braccia di sua madre ed è morta. Sara è rimasta sotto il pesante veicolo.

L’equipe dell’ambulanza israeliana ha subito informato la famiglia che Hanaa era rimasta uccisa nell’incidente. Sua madre è rimasta in coma, inconsapevole che non rivedrà né avrà mai più tra le braccia la sua unica figlia.

“Siamo scappati per paura che ci venisse confiscato il nostro serbatoio, per paura della sete,” ha detto a Middle East Eye  Odeh Kaabnah. “Nostra figlia è morta a causa del fatto che l’esercito israeliano ci insegue in continuazione, ed ora potrei perdere anche mia moglie.”

Con voce tremante e lacrime agli occhi, Odeh spiega che la coppia aveva chiamato la neonata Hanaa, che significa ‘felicità’ in arabo, dal nome di sua madre. È un’ironia della sorte, dice il ventiquatrenne, che Hanaa non abbia avuto l’opportunità di provare e comprendere il sentimento espresso dal suo nome.

Quando Hanaa aveva 10 giorni l’esercito israeliano ha demolito la casa della famiglia. Prima che arrivasse ai due mesi, l’esercito ha di nuovo demolito la loro casa ed ha espulso la famiglia. E quando aveva tre mesi è morta mentre la sua famiglia cercava di scappare dall’ultima operazione dell’esercito contro la loro casa.

“L’esercito israeliano ha demolito le nostre cinque tende e baracche, in cui viviamo o che utilizziamo per ricoverare le pecore,” dice Odeh. L’hanno fatto due volte in un mese, spiega, la prima il 30 giugno e poi il 20 luglio.

 

Beduini nella valle del Giordano

I Kaabnahs riempiono quotidianamente la loro cisterna con l’acqua di una sorgente di una zona vicina. Poi devono riportarla ad al-Hadidiya per uso personale e per far bere le pecore. Questa attività fondamentale richiede almeno un’ora al giorno.

“Se loro (l’esercito israeliano) ci confiscano il serbatoio per l’acqua perderemo le nostre pecore e non potremo più vivere qui. La nostra cisterna per l’acqua e il trattore sono le uniche due cose di cui siamo proprietari e che ci consentono di vivere una vita molto semplice,” dice Odeh.

Al-Hadidiya e molte altre comunità beduine tradizionalmente nomadi nella valle del Giordano sono state bersaglio di politiche israeliane intese a creare condizioni coercitive per spingere le comunità ad andarsene. Queste politiche si sono presentate sotto forma di demolizioni quasi quotidiane, de-sviluppo intenzionale e ostacoli ad ogni tentativo di costruire infrastrutture come servizi idrici o elettrici.

L’espulsione forzata, diretta o indiretta, di una popolazione civile occupata è considerata dalle leggi internazionali un crimine di guerra.

La maggioranza delle comunità beduine della Cisgiordania si trova a vivere in quella che è stata denominata Area C, che copre il 60% della Cisgiordania occupata, come parte degli accordi di Oslo del 1993 firmati tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Da quando gli accordi sono stati firmati l’area è stata sotto totale controllo dell’amministrazione civile e del sistema di sicurezza israeliani. È stata delimitata così per includere le colonie israeliane che ospitano più di 600.000 coloni in Cisgiordania, che per il diritto internazionale sono tutte illegali.

Mentre le colonie israeliane continuano a prosperare, l’esercito israeliano impedisce alla comunità palestinesi dell’Area C di espandersi o persino di rimanere sulla terra in cui vivono attualmente. L’esercito richiede permessi di costruzione per qualunque cosa, dai recinti per gli animali alle case, e nel contempo si rifiuta di concederli. Poi procede a demolizioni punitive delle strutture per la sopravvivenza delle comunità.

 

Politiche dell’acqua

Muayyad Bisharat, il coordinatore della zona nord della valle del Giordano per l’Unione delle Commissioni per il Lavoro Agricolo (UAWC), un’associazione no profit che aiuta contadini e pastori palestinesi, afferma che l’esperienza della famiglia Kaabnah è comune nella valle del Giordano.

In base agli accordi di Oslo circa l’87% delle risorse idriche in Cisgiordania ricade sotto il controllo israeliano. Con le politiche discriminatorie israeliane i palestinesi hanno gravissimi problemi di accesso all’acqua.

Bisharat spiega che la maggioranza dei pozzi sotterranei è stata scavata tra il 1948 e il 1967 durante il governo giordano in Cisgiordania e raggiungono solo la profondità di circa 70 metri. Con il passar del tempo in alcuni dei pozzi l’acqua è diventata salata ed altri si sono asciugati a causa delle politiche israeliane che hanno impedito ai palestinesi di risistemarli ed ampliarli.

Nel contempo le autorità israeliane consentono ai coloni di scavare i loro pozzi a una profondità di 500 metri, pompando grandi quantità di acqua per le colonie agricole e le basi militari.

“Le tubature idriche passano sotto comunità beduine e villaggi palestinesi, ma ai palestinesi è vietato utilizzare quest’acqua. La grande maggioranza è obbligata a comprarla e a trasportarla da lunga distanza, al costo di circa 50 dollari per un serbatoio d’acqua,” dice Bisharat.

In varie occasioni la dirigenza israeliana ha manifestato l’intenzione di conservare il totale controllo della valle del Giordano, che contiene la maggior parte delle ricche risorse naturali della Cisgiordania ed è ritenuta da Israele indispensabile.

“L’esercito ci dà la caccia, le guardie dei coloni ci danno la caccia, l’amministrazione civile israeliana ci dà la caccia e tutti i giorni fa irruzione nelle nostre case. Ci aggrediscono davanti alle nostre famiglie senza ragione,” dice Odeh, aggiungendo di credere che gli attacchi non siano solo fisici ma anche psicologici, intesi a instillare paura nelle famiglie.

In base alle tradizioni beduine Odeh e Sara si sono sposati molto giovani nel 2016. Lui immaginava che la sua vita sarebbe stata molto più stabile, dice.

“Ho costruito una stanza in cemento con un tetto di zinco perché ci andassimo a vivere. Pochi mesi dopo il nostro matrimonio l’esercito israeliano ha demolito la stanza,” dice.

“Da quando ci siamo sposati ed abbiamo formato una famiglia abbiamo sofferto a causa dell’ esercito israeliano e delle sue persecuzioni. La mia vita si è trasformata in paura ed ansia, e in spostamenti da un posto all’altro.”

 

Continue sofferenze

Odeh è riuscito ad andare a trovare sua moglie Sara in ospedale solo una volta, e solo per pochi minuti. Sta aspettando un altro permesso israeliano, di cui ha bisogno per entrare a Gerusalemme, dove lei è in cura nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale Hadassah.

“Dall’incidente Sara è in coma. È stata colpita alla testa, ha fratture al cranio e al volto ed emorragie interne nei polmoni,” dice Odeh.

Da una parte teme di perderla. Dall’altra ha paura del momento in cui dovrà dirle della morte della loro figlioletta. Come farà a dirglielo nel momento in cui lei chiederà di Hanaa? Cosa le dirà? si chiede.

Esita prima di riuscire a descrivere com’era ridotta Sara quando è andato a trovarla.

“Era come un cadavere. Niente si muoveva, tranne il suo petto quando respirava. Ho molta paura che muoia.

“Tutto quello che spero in questo momento è che Sara viva, che torni con noi. Abbiamo sofferto troppo, vogliamo solo vivere.”

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)