Soldati israeliani arrestano bambino di 10 anni

Soldati israeliani irrompono in una scuola palestinese e arrestano un bambino di 10 anni

Soldati pesantemente armati entrano nella scuola a Hebron occupata, minacciano gli insegnanti e portano via un bambino andando probabilmente oltre il loro potere di arrestarlo perché troppo giovane

+972

Di Meron Rapoport – 21 marzo 2019

 

Questa settimana soldati israeliani pesantemente armati hanno fatto irruzione in una scuola palestinese a Hebron, nella Cisgiordania occupata, ed hanno portato via un bambino di 10 anni. Per le leggi israeliane sia civili che militari l’età minima per essere imputati penalmente è di 12 anni.

Benché i soldati in questo caso siano probabilmente andati oltre il loro potere, non sarebbe la prima volta che ciò accade. È stato documentato che nel corso degli anni soldati israeliani hanno arrestato e imprigionato bambini palestinesi ancora più giovani, soprattutto ad Hebron.

L’episodio di questa settimana è avvenuto alla scuola Haj Ziad Jaber di Hebron, una città della Cisgiordania in cui centinaia di soldati israeliani sono dislocati in permanenza vicino a centinaia di coloni ebrei e a decine di migliaia di palestinesi.

Mentre i coloni ebrei che vivono nella stessa città sono sottoposti alle leggi civili israeliane, i palestinesi, anche quelli che abitano nella stessa via, sono sottoposti alle leggi militari e possono essere arrestati in qualunque momento dalle truppe israeliane – un esercito straniero.

Secondo un articolo di Ma’an News [sito di notizie palestinese, ndt.], che ha pubblicato un video dell’episodio, i soldati hanno fatto irruzione nella scuola e hanno trascinato via il bambino dall’aula. La scuola ha scritto sulla sua pagina Facebook che il bambino frequenta la quarta elementare.

Nel video si può vedere un ufficiale dell’esercito israeliano afferrare il bambino, che sembra giovanissimo. Qualche adulto palestinese, compreso il vice-preside della scuola, cerca di impedire ai soldati di portarselo via.

Si vede un altro soldato israeliano spingere un anziano palestinese, che Ma’an ha identificato come il vice-preside. Quando un altro insegnante palestinese cerca di spiegare ai soldati che si tratta di un bambino piccolo, l’ufficiale israeliano gli risponde in ebraico: “Hanno lanciato pietre, non mi importa la loro età,” aggiungendo che li avrebbe portati in una stazione di polizia israeliana.

Quando il vice-preside chiede ai soldati israeliani di spiegare in arabo quello che sta succedendo, l’ufficiale dell’esercito risponde, di nuovo in ebraico: “Non me ne frega niente del tuo arabo.”

La maggioranza dei palestinesi non parla ebraico e quasi tutti i soldati israeliani, persino quelli con funzioni che richiedono loro di interagire quotidianamente con la popolazione palestinese occupata, non parla arabo.

Nel video ad un certo punto si vede l’ufficiale israeliano parlare nella sua radio e ordinare ad altri soldati di entrare a scuola, dicendo: “Ci sono insegnanti che mi stanno saltando addosso.” Un altro soldato allora minaccia di rompere un braccio a uno dei maestri palestinesi.

Quando un insegnante palestinese chiede di parlare con un ufficiale israeliano di grado superiore, l’ufficiale che per primo ha fatto irruzione nella scuola per arrestare il bambino risponde: “Parla con chi vuoi, non me ne frega niente.”

Alla fine, dopo che i rinforzi dell’esercito israeliano hanno occupato i corridoi della scuola elementare, ognuno con in mano un fucile da guerra, i soldati portano via il bambino palestinese di 10 anni e almeno uno degli adulti.

Secondo Ma’an, “fonti locali” hanno detto che a quel punto le autorità palestinesi hanno cercato di intervenire e il bambino è stato rilasciato qualche tempo dopo.

Gaby Lasky, avvocatessa israeliana specializzata in diritti umani nei territori palestinesi occupati, ha affermato che, poiché l’età minima per essere imputati penalmente è di 12 anni, “i soldati non avevano l’autorità di arrestare il bambino.”

“Ogni soldato, e sicuramente ogni ufficiale, dovrebbe sapere di non avere l’autorità legale di arrestare o giudicare un bambino di quell’età,” ha spiegato Lasky. Anche entrare in una scuola durante le ore di lezione con delle armi, senza autorizzazione e senza essersi messi d’accordo con la direzione della scuola è una cosa che dovrebbe essere vietata. Di solito, dice, persino l’esercito evita di farlo.

Lasky dice che sta pensando di presentare un esposto contro i soldati per essere entrati nella scuola ed aver arrestato il bambino.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha risposto affermando che un gruppo di studenti aveva lanciato pietre verso auto israeliane nella colonia ebraica di Hebron e che, in seguito all’incidente, una “forza militare ha fatto un ammonimento verbale agli scolari, ma non sono stati arrestati.”

Tuttavia, ha aggiunto il portavoce, “l’episodio verrà indagato e in base a ciò verrà chiarito il regolamento.”

 

Meron Rapoport è un giornalista di “Local Call” [sito di notizie in ebraico di +972, ndt.], dove è già stata pubblicata una versione in ebraico di questo articolo.

 

(traduzione di Amedeo Rossi)

 

 




Alture del Golan: Trump e Netanyahu

Alture del Golan: Trump intende ‘puntellare’ Netanyahu prima del voto in Israele

Alcuni analisti affermano che la dichiarazione ‘si fa beffe delle leggi internazionali’ per aiutare Netanyahu nelle imminenti elezioni israeliane

Middle East Eye

 

Di Ali Harb da Washington – 21 marzo 2019

 

Secondo alcuni analisti l’annuncio di Donald Trump che Washington riconoscerà la sovranità israeliana sulle Alture del Golan siriane occupate è un tentativo di rilanciare le possibilità di rielezione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Le affermazioni del presidente USA, fatte su twitter giovedì pomeriggio, arrivano a soli 19 giorni dalle elezioni israeliane.

E con esse Trump ha chiarito di voler “puntellare” Netanyhau, che vi si sta avvicinando indebolito, dice a MEE Khalil Jahshan, direttore esecutivo dell’“Arab Center Washington DC” [Centro Arabo di Washington].

“Il messaggio alla gente là, soprattutto nella regione, e al resto del mondo [è]: se hai la potenza militare e l’appoggio degli USA, vai avanti e occupa con la forza la terra di un altro popolo,” dice Jahshan a MEE.

Jahshan aggiunge che l’affermazione del presidente USA serve come distrazione per i rispettivi , sia di Trump che di Netanyahu, problemi giudiziari in patria.

Il leader israeliano sta affrontando una serie di inchieste per corruzione e un’imminente incriminazione da parte del procuratore generale del Paese, mentre politici USA stanno anticipando la pubblicazione del rapporto del procuratore speciale Robert Mueller sulla possibile collusione tra la squadra della campagna elettorale di Trump e la Russia.

Jahshan afferma che, in mezzo a scandali che possono minacciare la sua presidenza, Trump sta anche cercando di riaffermare il proprio impegno a favore di Israele prima dell’annuale conferenza dell’AIPAC [principale associazione della lobby filo-israeliana negli USA, ndt.] all’inizio della prossima settimana.

In effetti il presidente USA ha recentemente invitato gli ebrei americani ad abbandonare il partito Democratico, sottolineando le proprie leali politiche filo-israeliane, compresi lo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme e il ritiro dall’accordo nucleare con l’Iran.

Jahshan sostiene che la dichiarazione sul Golan coincide anche con l’imminente visita di Netanyahu a Washington, dove il primo ministro israeliano incontrerà Trump e la prossima settimana parteciperà alla conferenza dell’AIPAC come principale oratore.

 

“Presidente razzista”

Nihad Awad, direttore esecutivo del “Council on American Islamic Relations” [Comitato per le Relazioni Islamico-Americane] (CAIR), ha definito il tweet di Trump sul Golan un chiaro tentativo di intervenire nella politica israeliana e di dare un aiuto a Netanyahu.

“Trump sta intervenendo nelle elezioni di un Paese straniero a favore di un politico che si è schierato con i razzisti e che in Israele ha fatto approvare leggi segregazioniste sullo Stato-Nazione,” dice Awad del primo ministro israeliano.

Lo scorso anno Israele ha approvato la controversa legge sullo Stato-Nazione, che afferma che il Paese è “unicamente del popolo ebraico”. Chi l’ha criticata ha condannato la legge come razzista, affermando che sancisce la discriminazione contro la minoranza palestinese di Israele per legge.

Netanyahu l’ha citata la scorsa settimana per affermare che Israele è solo per gli ebrei, “non uno Stato per tutti i suoi cittadini”.

Awad mette in relazione le politiche interne di Trump contro immigranti e musulmani e la politica estera di Netanyahu.

“Ora è visto come un simbolo dei nazionalisti e dei suprematisti bianchi in America e nel resto del mondo,” afferma Awad. “Cosa ci possiamo aspettare da un presidente razzista se non che vomiti politiche razziste e posizioni contrarie a persone di colore, a minoranze e a un popolo sotto occupazione?”

Awad dice a MEE che, nonostante le sue affermazioni, il presidente USA non ha l’autorità morale né legale di concedere la sovranità israeliana su terra siriana: “Non spetta a lui legittimare l’occupazione di una terra straniera da parte dello Stato di Israele.”

 

Netanyahu loda l’iniziativa

Israele ha occupato le Alture del Golan siriane nella guerra del 1967 e le ha annesse nel 1981. Ora vi si trovano 34 colonie che ospitano decine di migliaia di israeliani.

Ariel Gold, co-direttrice del gruppo femminista contro la Guerra CODEPINK, dice che Trump sta rafforzando la sua alleanza con dirigenti di destra in tutto il mondo, compresi Netanyahu e il brasiliano Jair Bolsonaro.

La dichiarazione sul Golan isola ulteriormente gli USA dal consenso globale – l’annessione del Golan da parte di Israele non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale – mentre riduce le prospettive di una pace in Medio Oriente.

“Ciò – come lo spostamento dell’ambasciata – fa sì che Israele sappia che il suo governo ha il sostegno degli USA, e così, con l’appoggio della superpotenza mondiale, non deve prendere troppo in considerazione quello che aiuterebbe a fare la pace,” dice Gold a MEE.

È esattamente quello che lo stesso Netanyahu ha detto giovedì, quando ha lodato la dichiarazione di Trump che riconosce il possesso israeliano delle Alture del Golan.

“Il messaggio che il presidente Trump ha dato al mondo è che l’America sta con Israele,” ha detto in un comunicato.

“Siamo profondamente grati per l’appoggio USA. Siamo profondamente grati dell’incredibile e incomparabile appoggio alla nostra sicurezza e al nostro diritto di difenderci.”

 

“Beffa alle leggi internationali”

L’annuncio di Trump ha suscitato timori che il riconoscimento da parte degli USA della sovranità israeliana sul Golan possa portare all’annessione da parte di Israele di parti della Cisgiordania palestinese occupata, se non di tutto il territorio, con l’appoggio degli USA.

Omar Baddar, vice direttore dell’“Arab American Institute” [Istituto Arabo Americano] dice che Trump sta mettendo ai margini il ruolo degli USA nel mondo non tenendo conto delle leggi internazionali e promettendo “totale appoggio all’illegittima acquisizione del territorio con la forza da parte di Israele.”

Sia Trump che Netanyahu hanno sottolineato che il possesso israeliano sul Golan deve continuare in modo indefinito per garantire la sicurezza del Paese, citando in particolare la guerra civile siriana in corso e la presenza di truppe iraniane nei pressi del suo territorio.

Baddar rifiuta questo ragionamento.

“Ciò che è più insultante per l’intelligenza di chiunque riguardo all’annuncio di Trump è che viene definito come un tentativo di migliorare la ‘sicurezza’ e la ‘stabilità regionale’, quando la verità è che l’occupazione è forse il maggior contributo all’instabilità e alla violenza,” ha scritto in un’email a MEE.

Certo, il tweet di giovedì è l’ultimo esempio della dimostrazione del disprezzo che Trump dimostra nei confronti delle norme e delle istituzioni internazionali per favorire Israele.

Dopo che la sua amministrazione ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele contro le obiezioni di alcuni degli alleati più vicini a Washington, ha anche lasciato la Commissione ONU per i Diritti Umani per protesta contro le sue critiche alle politiche di Israele.

Washington ha anche tagliato l’aiuto umanitario ai palestinesi.

Ma Trump non si preoccupa delle risoluzioni dell’ONU e dei trattati internazionali che governano le dispute territoriali, dice Jahshan, dell’“Arab Center”.

Ciò è risultato evidente giovedì, dice Jahshan, in quanto la dichiarazione del presidente “si è fatta beffe delle leggi internazionali.”

 

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Fascismo n°5: la ministra israeliana recita in una bizzarra campagna pubblicitaria per un profumo

Redazione di Middle East Eye

19 marzo 2019, Middle East Eye

Secondo la candidata di estrema destra Ayelet Shaked il profumo fascista “odora come la democrazia”

La ministra della Giustizia Ayelet Shaked recita in una propaganda elettorale satirica del suo partito di estrema destra in cui compare un profumo chiamato “Fascismo” che, dice, “odora come la democrazia”.

Shaked, che partecipa alle elezioni generali del 9 aprile per il partito “Nuova Destra”, sembra prendere in giro i timori di sinistra che il suo partito stia cercando di danneggiare il sistema giudiziario a favore del governo dominato dalla Destra.

In un videoclip in bianco e nero con una musica di pianoforte in crescendo, Shaked indossa gioielli, sta in piedi di fianco a un quadro e scende al rallentatore dalle scale prima di spruzzarsi il profumo “Fascismo”, mentre una voce fuori campo sussurra le frasi “riforma giudiziaria”, “separazione dei poteri”, “governo” e “limitazione della Corte suprema”.

Poi Shaked dice agli spettatori: “Per me ha il profumo della democrazia.” Alla fine del clip di 44 secondi, mentre si allontana dalla telecamera la pubblicità afferma: “La prossima rivoluzione sta arrivando.”

L’annuncio, diffuso in ebraico, può essere visto come un esplicito sostegno al fascismo, ma colpisce per la particolare somiglianza con una scenetta di “Saturday Night Live” [programma comico di una televisione americana, ndt.] che ha ospitato Scarlett Johansson [attrice americana, ndt.] che recitava il ruolo di Ivanka Trump [figlia del presidente americano Donald Trump, ndt.] nella pubblicità di un profumo chiamato “Complicit”, in quanto il programma satirico americano voleva attirare l’attenzione sulla Trump per quelle che considera le sue responsabilità nel governo del padre.

Lunedì il co-fondatore di “Nuova Destra” e ministro dell’Educazione, Naftali Bennett, ha condiviso il video di Shaked con la didascalia: “Il profumo che a quelli di sinistra non piacerà molto.”

La campagna elettorale di Shaked e Bennett promette di contrastare il movimento palestinese Hamas e la Corte Suprema israeliana con lo slogan: “Shaked sconfiggerà l’Alta Corte di Giustizia, Bennett sconfiggerà Hamas.”

Membri del partito hanno accusato la Corte Suprema, formata da 15 persone, di limitare la capacità dei soldati israeliani di “sconfiggere il terrorismo”.

Nel 2017 Shaked ha fatto pressione con successo per la nomina alla Corte di tre giudici di destra, compreso un colono.

Domenica la corte ha escluso dalle elezioni del prossimo mese un candidato ebreo di estrema destra e approvato la candidatura di un partito arabo, una decisione che Shaked ha liquidato come un’“interferenza sbagliata nel cuore della democrazia israeliana.”

Shaked, che si definisce una politica laica, ha co-fondato il partito “Nuova Destra” a dicembre. Ora il partito ha tre seggi nel parlamento israeliano.

I sondaggi prevedono un massimo di sette seggi per il partito “Nuova Destra” nelle imminenti elezioni.

Shaked è stata costantemente criticata da parte di organizzazioni per i diritti umani per le sue virulente posizioni di estrema destra. Nel 2015 avrebbe affermato che le madri palestinesi allevano “piccoli serpenti” e chiesto che vengano uccise.

Ma in un’atmosfera politica di estrema destra in Israele molti politici competono per chi esprime la posizione più intransigente nei confronti dei palestinesi.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha alternativamente definito il suo principale oppositore nelle prossime elezioni, Benny Gantz, “debole” e “di sinistra” per il suo presunto atteggiamento disponibile a compromessi verso i palestinesi.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Ispettori dell’ONU chiedono a Israele di rivedere le “regole d’ingaggio” nell’imminenza dell’anniversario delle proteste a Gaza.

Un News -18 marzo 2019

Lunedì gli ispettori nominati dal Consiglio [ONU] per i Diritti Umani hanno esortato Israele a rivedere le regole d’ingaggio del suo esercito poco prima del primo anniversario dell’inizio delle manifestazioni presso la barriera di confine del Paese con Gaza, con un bilancio di centinaia di palestinesi morti e altre migliaia feriti.

Parlando a Ginevra il presidente della commissione d’inchiesta sulle proteste del 2018 nel territorio palestinese occupato, Santiago Canton, ha spiegato quello che la commissione ha scoperto riguardo alle relative regole dell’esercito israeliano.

“In base alle regole, possono essere colpiti alle gambe in qualunque momento,” ha detto. “Mentre in teoria questa fondamentale condizione di istigazione doveva essere attribuita solo quando la folla poneva un’imminente minaccia alla vita [dei soldati], in realtà – e questa è stata una delle principali conclusioni della commissione –raramente è stato così.”

Le dichiarazioni di Canton hanno fatto seguito alla sua affermazione secondo cui “la principale conclusione della commissione…è che abbiamo trovato fondati motivi per credere che l’esercito israeliano abbia commesso gravi violazioni dei diritti umani e delle leggi umanitarie internazionali.

Durante le manifestazioni dello scorso anno nella Striscia di Gaza – definite “Grande Marcia del Ritorno e della Rottura dell’Assedio”- la commissione ha scoperto che sono stati uccisi 189 palestinesi, 183 dei quali da proiettili veri.

Tra le vittime ci sono stati minori, persone disabili – compresa una persona amputata a entrambe le gambe che è stata colpita e uccisa mentre era sulla sua sedia a rotelle – , giornalisti e personale paramedico.

A meno di due settimane dall’anniversario dell’inizio delle proteste, la preoccupazione della commissione è evitare che si ripetano dimostrazioni con morti come quelle del 30 marzo, del 14 maggio e del 12 ottobre. “Noi speriamo che la comunità internazionale venga coinvolta per evitare più morti e più sparatorie durante l’anniversario,” ha detto Canton ai giornalisti dopo il suo discorso della mattina al Consiglio per i diritti umani. “Penso che sia la ragione per cui questa presentazione è stata importante. In sostanza è importante che Israele modifichi le regole d’ingaggio e blocchi le sparatorie.”

Si è premuto il grilletto 6.000 volte”

Oltre a quanti sono stati uccisi durante le proteste settimanali alla barriera di confine con Israele, la commissione ONU ha sottolineato i danni causati da proiettili ad alta velocità, che hanno sostituito quelli ricoperti di gomma inizialmente utilizzati contro i manifestanti.

“Nel caso di molte delle uccisioni, ci sono stati fori molto piccoli in entrata e molto grandi in uscita,” ha detto il membro della commissione Sara Hossain. “Abbiamo anche prove dettagliate sul tipo di proiettili, ma pure sull’uso di fucili di precisione di lunga distanza, di sofisticati dispositivi ottici di mira,” ha aggiunto.

“Sappiamo che nel mirino dei cecchini il bersaglio può essere ingrandito, per cui avrebbero potuto sapere le conseguenze di almeno una parte dei tiri. Ciononostante hanno premuto il grilletto, e ciò è avvenuto più di 6.000 volte.”

Alla domanda riguardo alla legalità del fatto di prendere di mira dimostranti disarmati in una manifestazione, la commissione ha insistito che farlo sulla base dell’appartenenza dei singoli a un gruppo armato è illegittimo.

“Crediamo che in una situazione di controllo della folla e che noi crediamo fosse fondamentalmente di civili, se in essa ci sono individui che possono essere un bersaglio legittimo, in ogni caso non si può sparare contro la massa, perché si potrebbero uccidere o colpire individui innocenti,” ha detto Canton.

Apprezzata l’inchiesta di Israele su 11 episodi

La commissione ha anche apprezzato le indagini su undici episodi che Israele ha detto di voler intraprendere, anche se Hossain chiede maggiore trasparenza.

“Sulla natura delle inchieste, per quelle di Israele, hanno annunciato che ci sono questi 11 episodi…ma ciò dopo un anno,” ha affermato. “E non ci sono dichiarazioni su come procedono queste inchieste e pensiamo che ci sia quanto meno un obbligo etico di rivelare quale sia il loro risultato.”

Hossein ha detto che nel rapporto della commissione per il Consiglio per i Diritti Umani è stato anche affrontato il problema del lancio di aquiloni e palloni incendiari da parte dei manifestanti di Gaza, notando che hanno provocato “significativi danni alle proprietà” nel sud di Israele.

Lunedì, in un ulteriore incontro, il relatore speciale del Consiglio per i Diritti Umani Michael Lynk ha messo in guardia su un’imminente “catastrofe umanitaria” a Gaza legata alle “soffocanti restrizioni” sugli abitanti della Striscia.

“Israele ha continuato a imporre un ermetico blocco aereo, marittimo e terrestre attorno a Gaza, controllando chi e cosa entra ed esce dalla Striscia (di Gaza),” ha detto Lynk al Consiglio. “Per circa cinque milioni di palestinesi che vivono sotto occupazione il peggioramento della fornitura di acqua, lo sfruttamento delle risorse naturali e la deturpazione del loro ambiente sono sintomatici della mancanza di ogni significativo controllo che possono avere sulla loro vita quotidiana.”

Una gravissima preoccupazione è dovuta all’“esaurimento delle fonti naturali di acqua potabile a Gaza e all’impossibilità per i palestinesi di avere accesso alla maggior parte delle loro sorgenti in Cisgiordania,” ha detto il relatore speciale.

L’agenzia ONU per la salute avverte che il livello di necessità delle vittime di Gaza è enorme

In concomitanza con gli sviluppi al Consiglio per i Diritti Umani di lunedì, l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha chiesto 5,3 milioni di dollari per aiutare le molte migliaia di gazawi feriti e menomati durante le manifestazioni.

“La vastità delle necessità traumatologiche a Gaza è enorme: ogni settimana continuano ad arrivare agli ospedali pazienti feriti, che necessitano di complesse cure a lungo termine,” ha detto il dottor Gerald Rockenschaub, capo dell’ufficio del OMS per i Territori Palestinesi Occupati.

L’OMS ha ripetuto la preoccupazione che l’imminente anniversario di un anno della “Grande Marcia del Ritorno” il 30 marzo possa avere come risultato ulteriori vittime e un incremento di persone che hanno bisogno di cure traumatologiche e di servizi di riabilitazione.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Hamas reprime le proteste per le condizioni di vita a Gaza

Kaamil Ahmed

16 marzo 2019, Middle East Eye

I palestinesi di Gaza hanno protestato per tre giorni contro il crescente costo della vita e gli aumenti delle tasse

Pare che le forze di Hamas abbiano represso le proteste per migliori condizioni di vita nella Striscia di Gaza assediata, incolpando delle dimostrazioni la rivale Autorità Nazionale Palestinese. 

Le proteste sono proseguite sabato per il terzo giorno consecutivo, per denunciare le misere condizioni economiche, il crescente costo della vita e gli aumenti delle tasse.

Le manifestazioni si sono svolte in tutta Gaza, ma si sono concentrate a Deir al-Balah, una cittadina a sud di Gaza City.

Riprese dal vivo postate sui social media da Deir al-Balah sembrano mostrare forze di sicurezza di Hamas in assetto antisommossa che picchiano i manifestanti con bastoni.

Dei testimoni, che in gran parte filmavano dalle loro case, hanno gridato vedendo altri abitanti inseguiti, compreso un uomo che sembrava chiedesse agli altri manifestanti di smettere di lanciare oggetti contro la polizia.

La giornalista di Gaza e corrispondente di MEE Hind Khoudary ha detto che i manifestanti, comprese le donne, sono stati picchiati e che le forze di sicurezza hanno fatto incursione nelle case intorno al luogo della protesta. Ha aggiunto che durante le dimostrazioni si è sentito il rumore di proiettili veri.

L’associazione palestinese per i diritti umani Al-Haq ha criticato le “gravi aggressioni” ai manifestanti, inclusi tre membri dell’associazione di Gaza per i diritti ‘Commissione indipendente per i diritti umani’.

“Le aggressioni contro di loro sembrano indicare che i servizi di sicurezza a Gaza volevano impedire che conducessero il loro lavoro a favore dei diritti umani, e ostacolare il loro monitoraggio e la documentazione delle violazioni e le relative conseguenze sulla situazione dei diritti umani”, ha detto sabato Al-Haq in una dichiarazione.

L’organizzazione ha affermato che centinaia di manifestanti si erano radunati in diverse città, esponendo cartelli che chiedevano sia al governo de facto di Hamas che al suo rivale, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) capeggiata da Fatah con sede nella Cisgiordania occupata, di migliorare le condizioni di vita.

Gaza ha subito per oltre un decennio un blocco terrestre, marittimo e aereo imposto da Israele ed Egitto, che limita il movimento sia di merci che di persone. Nello stesso periodo vi è stata una contrapposizione tra Hamas e Fatah, dopo che il primo ha assunto il controllo di Gaza nel 2007 in seguito alle elezioni legislative del 2006 in cui la vittoria di Hamas è stata contestata da Fatah. 

Dal 2017 il leader di Fatah e presidente dell’ANP Mahmoud Abbas ha cercato di aumentare la pressione su Hamas, tagliando la fornitura di elettricità a Gaza e bloccando il pagamento dei salari dei dipendenti dell’ANP a Gaza.

Dopo il ritiro dell’ANP da Gaza nel 2007, essa ha continuato tuttavia a pagare quei dipendenti a condizione che non lavorassero per Hamas. Nelle drammatiche condizioni dell’enclave assediata, i salari dell’ANP sono stati spesso un’ancora di salvezza per molte famiglie di Gaza.

Una dichiarazione di Hamas di sabato attribuisce la colpa delle condizioni economiche del territorio all’assedio e alle misure dell’Autorità Nazionale Palestinese, definendole un “crimine nazionale, morale ed umanitario” finalizzato a seminare divisione tra i palestinesi.

Dopo le proteste di venerdì, l’ufficio ONU per l’Alto Commissario dei diritti umani ha detto di essere “scioccato dalla risposta violenta delle forze di sicurezza di Hamas nel disperdere le dimostrazioni nella Striscia di Gaza”.

“Personale della sicurezza in borghese, tra cui molti armati di bastoni, ha fatto irruzione nelle manifestazioni e impedito con la forza ai partecipanti di filmare o fotografare anche i casi di pestaggi e ricoveri in ospedale di molti manifestanti. Un numero imprecisato di dimostranti è stato arrestato e detenuto dalle forze di sicurezza”, si afferma nella dichiarazione.

Le proteste per le condizioni di vita a Gaza sono iniziate nel momento in cui venerdì per la prima volta è stata annullata la protesta della ‘Grande Marcia del Ritorno’, dopo che aerei israeliani hanno fatto incursioni notturne nell’enclave e sono stati lanciati razzi su Tel Aviv.

La ‘Grande Marcia del Ritorno’, una serie di manifestazioni periodiche iniziata il 30 marzo 2018, chiedeva la fine dell’assedio e la concretizzazione del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi le cui famiglie furono espulse al momento della nascita dello Stato di Israele. Dall’inizio della marcia le forze israeliane hanno ucciso a Gaza più di 255 palestinesi e ne hanno feriti oltre 29.000. Nello stesso periodo sono stati uccisi due soldati israeliani.

La sospensione della ‘Grande Marcia del Ritorno’ avviene nel momento in cui pare che l’Egitto stia facendo da intermediario in un accordo di tregua tra Israele e Hamas – nel timore che, se non si fa nulla, le attuali tensioni possano sfociare in una vera e propria guerra.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

 




Un’impennata della censura: nel 2018 Israele ha censurato in media un articolo al giorno

Haggai Matar

15 marzo 2019, +972

Lo scorso anno la censura dell’esercito israeliano ha vietato la pubblicazione di più notizie che in quasi ogni altro anno in questo decennio. Mentre meno articoli che negli anni precedenti sono stati sottoposti alla verifica, la percentuale di articoli che sono stati parzialmente o totalmente censurati è stata notevolmente più alta.

Nel 2018 la censura militare israeliana ha vietato la pubblicazione di 363 articoli, più di 6 alla settimana, mentre ha parzialmente o totalmente cancellato un totale di 2.712 notizie che le sono state sottoposte a controllo preventivo. Secondo i dati, forniti in risposta a una richiesta relativa alla libertà di informazione presentata da +972 Magazine [sito web israeliano di sinistra in inglese, ndt.], da “Local Call” [versione in ebraico di +972, ndt.] e dal “Movimento per la libertà d’informazione” [associazione israeliana per la trasparenza nell’informazione, ndt.], nel 2018 il censore ha vietato la pubblicazione di notizie più che in qualunque altro anno del decennio.

È aumentato anche il numero di notizie pubblicate con l’intervento della censura, in quanto la percentuale di informazioni censurate nel 2018 è stata più alta che in qualunque anno dal 2011. Solo il 2014 – l’anno dell’ultima guerra israeliana contro Gaza – ha visto una censura altrettanto significativa sulla stampa, quando il censore dell’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] ha parzialmente o totalmente cancellato 3.122 notizie e ha completamente bloccato la pubblicazione di altri 597 articoli.

Rispetto al 2017 il picco di interventi censori è significativo: nell’ultimo anno il censore dell’IDF ha impedito la pubblicazione di 92 articoli in più rispetto all’anno precedente, mentre ha parzialmente o totalmente cancellato altre 625 notizie. Negli ultimi otto anni il censore ha impedito che venisse stampato un totale di 2.661 informazioni.

In Israele viene chiesto a tutti i mezzi di comunicazione di sottoporre al controllo della censura dell’IDF gli articoli riguardanti la sicurezza e le relazioni internazionali prima della loro pubblicazione. Il censore ricava la propria autorità dalle “disposizioni d’emergenza” messe in atto dopo la fondazione di Israele e che sono rimaste in vigore fino ad oggi. Queste disposizioni consentono al censore di cancellare totalmente o parzialmente un articolo, vietando ai mezzi di comunicazione di segnalare in qualche modo se un articolo è stato modificato. Negli ultimi anni, tuttavia, sempre più giornalisti in Israele hanno utilizzato il termine “approvato dalla censura” nei loro articoli.

Negli ultimi anni il censore ha anche cercato di estendere il raggio del proprio potere per controllare informazioni prima della pubblicazione in rete, anche notificando a blogs indipendenti e a pubblicazioni digitali, come +972 Magazine, che devono sottoporre a controllo certi articoli.

Mentre i criteri giuridici che definiscono il mandato della censura militare sono sia stringenti che decisamente ampi, la decisione su quali articoli sottoporre al controllo rimane a discrezione dei direttori dei mezzi di informazione israeliani. Nel 2018 i giornalisti hanno sottoposto a controllo 10.938 articoli, meno che nell’anno precedente (11.035). La diminuzione degli articoli presentati, insieme all’aumento degli interventi censori, potrebbe indicare che i redattori hanno imparato cosa sia o non sia di reale importanza per il censore, diventando più selettivi riguardo a quello che presentano [alla censura]. Oppure la riduzione può essere il risultato del fatto che i mezzi di comunicazione pubblicano meno articoli su problemi riguardanti la sicurezza.

Mentre il censore dell’esercito israeliano non rivela quali articoli ha revisionato con maggiore frequenza, è probabile che il significativo aumento della censura lo scorso anno sia legato alle attività dell’esercito israeliano, sia palesi che occulte, contro l’Iran in Siria e in Libano, o ad articoli sulle unità israeliane in incognito nella Striscia di Gaza denunciate da Hamas lo scorso novembre.

Israele è l’unico Paese del mondo democratico in cui ai giornalisti e alle pubblicazioni è legalmente richiesto di sottoporre a controllo i propri articoli prima della pubblicazione e l’unico in cui questa censura può essere imposta penalmente. Oltretutto i poteri della censura militare israeliana si estendono al di là dei mezzi di informazione e includono l’autorità di controllare prima della loro pubblicazione e censurare libri e documenti negli archivi di Stato.

Nel 2018 gli editori israeliani hanno sottoposto 83 libri alla censura militare israeliana, di cui solo 34 sono stati approvati senza nessun intervento. Nel contempo lo scorso anno il censore ha parzialmente o totalmente censurato 49 libri. Nel 2017 sono stati presentati alla censura dell’IDF 84 libri, 53 dei quali sono stati censurati e 31 approvati.

Negli ultimi anni il censore dell’IDF ha anche controllato documenti negli archivi di Stato, presumibilmente come parte di un tentativo di rendere disponibili questi documenti al pubblico. Il personale degli archivi di Stato ha sempre usato la propria discrezionalità riguardo a quali documenti rendere pubblici e quali potessero eventualmente rappresentare una minaccia per il prestigio internazionale o per la sicurezza nazionale. Nel 2018 gli archivi di Stato hanno sottoposto a controllo solo 2.908 documenti, rispetto ai 7.770 del 2016 e ai 5.213 del 2017. La censura dell’IDF, tuttavia, ha rifiutato di comunicare il numero di documenti su cui è intervenuta.

Il censore dell’IDF è escluso dalla legge sulla libertà di informazione e quindi non è affatto obbligato a pubblicare i propri dati. Nel corso degli anni si è anche modificata l’ampiezza delle informazioni condivise. Prima che nel 2015 il generale di brigata Ariella Ben Avraham assumesse l’incarico di capo censore, eravamo abituati a ricevere risposte su quanto materiale di archivio fosse stato censurato, così come su quanto spesso i censori avessero chiesto di eliminare o modificare le informazioni che erano già state pubblicate senza essere sottoposte a controllo.

In una lettera del 2018 il generale di brigata Ben Avraham ha scritto che questi dati non sono più raccolti e di conseguenza non possono più essere divulgati al pubblico. In merito Racheli Edri, direttrice esecutiva del “Movimento per la Libertà di Informazione” ha chiesto che il censore tenga nota di questi dati e li renda pubblici in futuro, ma non ha ricevuto risposta.

Questi dettagli non sono stati inclusi nell’ultima serie di dati diffusi dal censore nel 2019.

Tutti sanno che, di questi tempi, tutta l’istituzione della censura militare deve essere in qualche modo rivista,” dice Edri. “Poiché cerchiamo di capire l’ampiezza del lavoro di revisione dei censori, ci rivolgiamo a loro con l’intesa non scritta che rispondano davvero. Tuttavia, quando non condividono le informazioni con noi, i nostri strumenti per impugnare la loro decisione sono molto scarsi, quasi inesistenti.”

Edri spiega che in un certo senso ciò crea una specie di censura doppia: “Prima loro censurano, poi non forniscono le informazioni sull’ampiezza della censura.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Elezioni in Israele, bombe su Gaza

Patrizia Cecconi

15 marzo 2019 , Pressenza

Tutto è cominciato nella tarda serata di ieri, 14 marzo, quando due razzi del tipo Fajar sono stati lanciati su Tel Aviv. Uno dei due è stato intercettato e neutralizzato dall’iron dome e l’altro è caduto in zona disabitata senza creare danni né a persone né a cose.

I razzi Fajar hanno una gittata capace di raggiungere il centro di Israele, sono in possesso del partito della Jihad Islamica a cui sarebbero forniti dall’Iran. Infatti la prima dichiarazione israeliana ha tirato in mezzo proprio l’Iran che, come tutti sanno, è la bestia nera di Netanyahu. Per la prima volta Israele non ha accusato Hamas del lancio, bensì la Jihad proprio in quanto questa sarebbe foraggiata dal paese islamico che il premier israeliano sogna di distruggere e non ne fa mistero. Così, grazie ai due razzi Fajar, Israele ha potuto accusare al tempo stesso due nemici assoluti: l’Iran e l’islam, ottenendo i consensi che sa di ottenere quando gioca sulla confusione tra islamici e islamisti mettendo nello stesso cesto l’Isis e i suoi avversari musulmani, cosa che fa abitualmente riferendosi ad Hamas il quale, in realtà, è il vero baluardo contro l’Isis. Ma la storia dei razzi fajar questa volta ha del giallo, visto che il partito della Jihad, per voce del suo rappresentante Dawod Shihab, ha categoricamente smentito ogni implicazione ed altrettanto ha fatto il partito al governo, lasciando trapelare nell’aria l’idea che possa essersi trattato di “missili elettorali”.

Per esperienza pluriennale, ogni analista politico sa che tutte le azioni contro Israele partite da Gaza vengono rivendicate con orgoglio e come esempio di resistenza attiva, per cui suona veramente strano che quest’azione non abbia rivendicazioni dall’interno della Striscia. Dopo i recenti episodi di infiltrazioni straniere, non stupisce l’ipotesi che questo lancio possa essere stato pilotato a distanza, una distanza che qualcuno legge come servizi speciali israeliani e qualcuno come mano palestinese profondamente avversa sia alla riconciliazione che al partito al governo nella Striscia.

Al momento ogni opinione ha una sua possibilità di accoglimento, ma nessuna di queste si fonda su basi documentate. Ciò che invece è sotto gli occhi di qualunque lettore minimamente attento, è l’uso elettorale pro-Netanyahu che i due Fajar stanno giocando. A poche settimane dalle elezioni , con cause pendenti per frode e corruzione e con avversari politici che dirigono il loro consenso elettorale sul dichiarato impegno genocidario verso i palestinesi, cosa può essere più indicato – per la risalita nel gradimento elettorale del premier uscente – di una punizione collettiva all’incubo-Gaza, anticipando i vari Gantz, o Bennet, o Lieberman nell’uso dell’aviazione di guerra?

Per quanto Israele ci abbia abituati ad agire in totale libero arbitrio e quindi a uccidere quasi quotidianamente, arrestare adulti e bambini, rubare terra e, non ultimo, bombardare senza doverne mai rispondere, l’ultimo rapporto Onu deve aver influenzato il primo ministro il quale, secondo la comprovata ratio del lupo e dell’agnello, ha avuto bisogno del casus belli per trovare il consenso mondiale alla sua azione, riconquistando, attraverso la punizione collettiva contro Gaza, l’elettorato israeliano.

Interessante notare la correlazione suggerita da diversi media più o meno filo-israeliani, tra le manifestazioni dei gazawi contro il carovita, represse dalla polizia governativa, e il lancio dei razzi su Tel Aviv, come fossero non semplici concomitanze ma frutto di una stessa strategia. Ma se così fosse, la strategia mirerebbe ad accrescere il dissenso verso il governo e a far considerare la “punizione collettiva” come indotta dal partito che governa la Striscia. Ovvero mirerebbe all’abbattimento dall’interno, grazie ad una serie di azioni combinate, della componente che governa Gaza. Chi beneficerebbe di questo, oltre a Israele? E, prima di tutto, ha basi reali per essere presa in considerazione una tale ipotesi o è pura fanta-politica basata su connessioni non troppo dissimili da quelle create da statistici fantasiosi capaci di correlare l’aumento delle vendite di lavatrici in Scozia con l’aumento delle nascite in California?

Per evitare di essere trascinati nella spirale del caos, che impedisce di vedere i fatti nella loro concretezza contestuale, partiamo dalla situazione reale ponendo, metaforicamente, su una superficie piana l’avvicendarsi degli eventi. Da una parte Israele, con le prossime elezioni e gli elementi considerati vincenti dai vari candidati. Dall’altra parte Gaza, come parte della Palestina che rivendica la fine dell’assedio e il rispetto di una Risoluzione Onu, la 194 che Israele calpesta da sempre e che riguarda tutti i palestinesi. Per quanto riguarda le elezioni in Israele, basta una rapida occhiata a quanto successo in tutte le tornate elettorali per capire che il consenso va a chi mostra maggior truculenza, possibilmente genocidaria, verso i palestinesi. Netanyahu è sempre stato uomo di parola, ha rispettato le sue promesse elettorali con espropriazioni di terre palestinesi, incremento degli insediamenti ebraici su terreno palestinese, politiche di arresti e di demolizione di case palestinesi e solenne promessa che con lui al potere non ci sarebbe mai stato uno Stato palestinese. Ciò nonostante, nel democratico Stato ebraico c’è chi promette di più. C’è chi, ignaro dei fondamentali tanto della politica che dell’economia, promette che col suo eventuale governo si arriverebbe alla “soluzione finale” della Striscia di Gaza, senza l’uso di camere a gas, perché quelle appartengono a un passato che non tutti gli ebrei accetterebbero, ma con l’uso di armi moderne già sperimentate nei terribili massacri – ovviamente impuniti – di “piombo fuso” e “margine protettivo”. Questi dichiarati fascisti ebrei ignorano quanto Gaza possa servire economicamente e politicamente a Israele o, forse, non lo ignorano ma contano sull’ignoranza e l’odio viscerale dei loro potenziali elettori.

In questa gara in cui “vinca il migliore” si trasforma in “vinca chi offre maggiori garanzie antipalestinesi” anche il falco Netanyahu sembra poco affidabile ed ecco quindi la necessità di dar prova del suo coraggio da leone nel bombardare in poche ore – ovviamente dall’alto, sapendo che Gaza non ha né aviazione, né unità di contraerea – ben 100 strutture dette, ad usum delphini, postazioni di Hamas, vale a dire uffici pubblici, caserme, palestre, posti di guardia e così via.
Come iniziare un bombardamento così possente, durato un’intera notte? Forse senza il rapporto ONU non ci sarebbe neanche stato bisogno dei missili, comunque i due missili sono stati lanciati, seppur senza danni, e tutto rientra perfettamente nel quadro della risposta del povero Israele aggredito dal terrorismo palestinese. Bugia che ormai non dovrebbe più reggere ma che viene alimentata dai media trasmettitori della narrazione israeliana ormai senza più neanche bisogno di istruzioni. Se qualche operatore dell’informazione stesse qui ora, in Gaza city, scrivendo mentre i droni volano bassi e il loro insopportabile ronzio avverte, da oltre 12 ore, i gazawi che l’occupante guarda dall’alto e può decidere in ogni momento un bombardamento addizionale, forse scriverebbero altro che non la narrazione israeliana, sebbene in salse diversamente colorite come si addice alla forma democratica che accantona la sostanza. Questo tormento di “zannana” cioè dei droni, come vengono chiamati qui per il loro ronzio insopportabile, viene ripreso e rimandato sui canali televisivi israeliani in modo che i telespettatori sappiano che Netanyahu sa come tenere a bada la popolazione assediata di Gaza e in tal modo le pesanti accuse di frodi e corruzioni passino per peccati veniali.

Dall’altra parte della nostra metaforica superficie piana abbiamo una popolazione di circa 2 milioni di abitanti di cui un’alta percentuale è stremata dal disagio economico crescente e dalla mancanza di prospettive; abbiamo al governo un partito che molti anni fa vinse legalmente le elezioni grazie anche al suo impegno a migliorare strutture sanitarie e sociali in genere che ora, però, non riesce più a offrire. Un governo oggettivamente intollerante e bigotto, ma anche ostacolato ed emarginato dal mondo in omaggio a Israele e, secondariamente, all’Anp. Abbiamo un lavorio subdolo portato avanti, anche in buona fede, da molti occidentali che indirettamente fanno cantare nelle menti dei gazawi le sirene del consumismo e, insieme, la frustrazione di non poterle raggiungere. Abbiamo una larga fetta di popolazione che non vuole neanche sentire la parola “politica” ormai considerata solo come clientelismo e rovina, che però sta perdendo il suo antico orgoglio, distruggendolo con continue richieste di elemosine a quell’Occidente che immagina tenutario di ricchezze infinite e dal quale, anche psicologicamente, finisce per dipendere. Ma abbiamo anche energie, minoritarie come numero, ma fortissime come volontà, che sono il vero incubo di Israele. Sono quelle che respingono con dignità e orgoglio il “deal of century” di Trump e il paternalismo del Qatar che pensava di tacitare la popolazione gazawa a beneficio di Israele offrendo denaro e caramelle. E’ questa minoranza che rappresenta la vera resistenza di Gaza, è questa minoranza l’incubo di Israele. Il cuore pulsante, attualmente, ce l’ha nell’organizzazione della Grande marcia del ritorno, anche se Hamas ormai cerca ti tenerne il controllo. L’innovazione politica ce l’ha la costruzione di “Alleanza democratica”, la nuova formazione che raggruppa tutti i partiti di sinistra unendo l’aspetto politico e quello sociale e ponendosi come terzo polo tra Fatah e Hamas. E’ con questa che Israele dovrà fare i conti anche se dovesse arrivare, grazie alla mediazione dell’Egitto, a un accordo con Hamas.

Proprio mentre la delegazione egiziana ieri sera era in riunione con Hamas per stabilire gli eventuali passi per una tregua di lunga durata sono partiti i “missili elettorali” che Gaza NON rivendica. E proprio l’immediato avviso dell’IDF alla delegazione egiziana di lasciare immediatamente la Striscia è stato il campanello d’allarme che ha permesso di svuotare le cosiddette “postazioni di Hamas” ed evitare martiri, nonostante i massicci bombardamenti.
Data la situazione particolarmente drammatica, la Grande Marcia oggi è stata eccezionalmente sospesa. Che sia un bene o un male lo diranno gli eventi. Al momento sappiamo che il governo di Gaza non vuole un’escalation militare. Sappiamo che la resistenza gazawa questa notte ha risposto ai pesanti bombardamenti israeliani lanciando una ventina di missili e sparando colpi di mortaio. Sappiamo che la stampa mainstream ha posto umana attenzione verso gli israeliani spaventati dai razzi i quali correvano nei rifugi – che loro fortunatamente hanno – e che 5 di loro sono stati soccorsi da personale paramedico per ansia da stress. Sappiamo che una donna di Rafah ha subito l’amputazione di una mano e che ci sono diversi altri feriti. Per quanto riguarda lo stress, questo per i palestinesi non è preso in considerazione. Sappiamo inoltre che se non fosse Israele, ma un altro paese ad agire così, non avremmo remore a definirlo Stato canaglia. Sappiamo anche che i droni che fanno impazzire per il loro ronzio sono l’occhio di Israele su Gaza, ma ciò che non sappiamo ancora è chi e perché ha lanciato quei due missili che hanno permesso a Netanyahu di mostrare agli israeliani la faccia che a loro piace di più. Altra cosa che non sappiamo ancora è se Israele è sazio o se stanotte ci sarà un’altra nottata “elettorale”




La polizia israeliana aggredisce i fedeli e chiude il complesso di Al-Aqsa

12 marzo 2019, Al-Jazeera

Sono scoppiati disordini dopo che la polizia israeliana ha affermato che era stata lanciata una bomba incendiaria contro la sua postazione all’interno dell’area sacra

Una fonte ufficiale palestinese ha detto che forze israeliane hanno chiuso tutte le entrate nel conflittuale complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata, tra continui scontri con fedeli palestinesi. “Decine di soldati israeliani hanno fatto irruzione nel complesso di Al-Aqsa e aggredito alcune personalità religiose,” ha detto martedì in un comunicato Firas al-Dibs, portavoce dell’Autorità delle Dotazioni Religiose di Gerusalemme, un ente diretto dalla Giordania incaricato della supervisione dei luoghi musulmani e cristiani della città.

Secondo al-Dibs, il direttore della moschea di Al-Aqsa Omar Kiswani e Sheikh Wasef al-Bakri, il giudice supremo dei tribunali islamici di Gerusalemme attualmente in carica, sono stati tra le persone aggredite dalla polizia israeliana. Ha affermato che poliziotti che brandivano bastoni hanno attaccato decine di fedeli musulmani nei pressi della moschea di Omar [o Cupola della Roccia, ndt.], nel complesso di Al-Aqsa.

“Almeno cinque palestinesi sono stati fermati prima di essere arrestati per ulteriori accertamenti,” ha detto al-Dibs.

Informando da Gerusalemme est occupata, Harry Fawcett di Al Jazeera ha affermato che la polizia israeliana sostiene che “una bottiglia molotov è stata lanciata verso un edificio della polizia” all’interno del complesso.

“Abbiamo sentito fonti palestinesi all’interno del luogo sostenere che invece potrebbero essere stati fuochi d’artificio. Quello che è avvenuto in seguito sono stati scontri piuttosto prevedibili tra le forze di sicurezza israeliane e fedeli palestinesi,” ha detto Fawcett, aggiungendo che sono state chiuse porte all’interno della Città Vecchia.

Secondo l’ong palestinese “Ir Amim” [organizzazione israeliana che sostiene la convivenza tra ebrei e palestinesi a Gerusalemme, ndt.] almeno 10 palestinesi sono rimasti feriti durante gli scontri, dopo di che tutti i fedeli sono stati obbligati ad uscire dal sito.

Martedì “Ir Amim” ha scritto in un comunicato che “la polizia ha risposto con una forza eccessiva, buttando violentemente a terra una donna e spingendo con aggressività altre persone.”

“La risposta eccessivamente dura da parte della polizia israeliana può essere interpretata come una sfacciata affermazione dell’autorità israeliana sul complesso. Svuotare Al-Aqsa, chiuderne le porte e limitare l’accesso a tre importanti ingressi della Città Vecchia trasmette un chiaro messaggio di controllo unilaterale di Israele.”

L’ong ha avvertito che l’uso eccessivo della forza per minacciare lo status quo porterà a un ulteriore incremento delle tensioni nel sito.

Mentre la presidenza palestinese ha condannato l’escalation nel conflittuale luogo religioso, le autorità israeliane non hanno ancora fatto commenti.

Un comunicato pubblicato dall’agenzia di notizie palestinese WAFA dice che il presidente palestinese Mahmoud Abbas sta mantenendo “intensi contatti” con tutte le parti interessate nella speranza di disinnescare la situazione.

Abbas ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire ed ha accusato la polizia israeliana e i coloni di “violare sistematicamente la sacralità della moschea e di provocare la sensibilità dei musulmani.”

Lo scorso mese nella Gerusalemme occupata è montata la tensione quando la polizia israeliana ha chiuso la porta Al-Rahma del complesso di Al-Aqsa, situata nei pressi del muro orientale della Città vecchia, scatenando manifestazioni palestinesi.

Nelle settimane seguenti le autorità israeliane hanno vietato a decine di palestinesi, compresi funzionari religiosi, di entrare ad Al-Aqsa, il terzo luogo più sacro per l’Islam.

“Quella che era già una situazione tesa in seguito a una lotta di tre settimane per quest’area all’interno del complesso della moschea di Al-Aqsa, con questo ultimo incidente è ora precipitata,” ha detto Fawcett.

Israele ha occupato Gerusalemme est, dove si trova il complesso di Al-Aqsa, durante la guerra arabo-israeliana del 1967. Ha annesso tutta la città nel 1980 con un’iniziativa che non è stata riconosciuta dalla comunità internazionale.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Il New York Times lascia che sia Israele a fare il suo “controllo dei fatti”

Michael F. Brown

7 marzo 2019, Electronic Intifada

Il New York Times mi ha detto che è assolutamente disposto ad accettare la parola del governo israeliano sui fatti.

Avevo avvertito il giornale dell’informazione secondo cui l’editorialista Bret Stephens ha travisato i fatti nella sua implicita replica all’incisivo articolo di opinione di Michelle Alexander che chiedeva di rompere il silenzio sulla Palestina.

Stephens aveva scritto: “In questo secolo circa 1.300 civili israeliani sono stati uccisi durante attacchi terroristici palestinesi: questo in proporzione corrisponde a circa 16 volte l’11 settembre negli Stati Uniti.”

Ciò è falso.

Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, che raccoglie statistiche scrupolose, dal 29 settembre 2000 alla fine di gennaio di quest’anno sono stati uccisi 823 civili israeliani, insieme a 433 “persone delle forze di sicurezza israeliane”.

Nello stesso periodo circa 10.000 palestinesi sono stati uccisi da Israele – il corrispettivo di decine di 11 settembre, per utilizzare il metro di valutazione di Stephens – anche se per lui a quanto pare le vittime palestinesi non hanno nessuna importanza.

Invece di correggere o verificare con decisione l’informazione errata presentata dal suo editorialista antipalestinese, il caporedattore degli articoli di opinione James Dao mi ha scritto che Stephens aveva avuto la sua “informazione dal governo israeliano, e a me va bene così.”

A me invece non va per niente bene. Trasmettere all’opinione pubblica un’informazione falsa del governo israeliano come se fosse vera è propaganda, non giornalismo o un commento legittimo.

Stephens è autorizzato ad avere le proprie opinioni, ma non i propri dati di fatto. Né lo è il governo israeliano. La parola del governo israeliano – e di Bret Stephens – dovrebbe essere messa a confronto con i dati reali.

In questo caso, non solo ci ha mentito, ma ha affermato che tutti i combattenti palestinesi sono terroristi e tutti gli israeliani – anche i soldati armati dell’occupazione – sono civili.

Il giornale, che giustamente è pronto a contraddire le menzogne del presidente Donald Trump, in questo caso sta prendendo un atteggiamento molto diverso verso le menzogne del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Notevole peggioramento

Ciò è pericoloso. E riduce la credibilità di un giornale che ho a lungo sollecitato perché facesse di meglio.

Non aver fatto una rettifica rappresenta un notevole peggioramento da quando, quasi 14 anni fa, parlai al public editor [giornalista incaricato di verificare la correttezza degli articoli pubblicati dal suo quotidiano, ndt.] del New York Times, Daniel Okrent.

Ci sono meno opportunità ora di quante ce ne fossero allora, in quanto il quotidiano non ha più un garante a cui i lettori possano rivolgersi.

Non lo posso sapere con certezza, ma penso che Okrent sarebbe sconcertato dal fatto che il “controllo dei fatti” sia stato appaltato al governo israeliano.

Stephens è di parte. E gioca a favore del razzismo contro i palestinesi. La sua credibilità è stata intaccata – o lo avrebbe dovuto essere – quando ha scritto di un “feticismo del sangue dei palestinesi.” Questo è un estremismo vile e lampante contro il popolo palestinese.

Sorprendentemente ha fatto un’affermazione altrettanto generale nel suo recente articolo domenicale quando ha reagito contro i progressisti che sono sempre più preoccupati per le politiche discriminatorie di Israele: “Tutto ciò è profondamente inquietante per una comunità ebraica che ha in genere visto il partito Democratico come il proprio referente politico.”

Questa è una generalizzazione antisemita da parte di Stephens, né tutti nella comunità ebraica la pensano come sostiene Stephens. Gli ebrei americani non sono monolitici quando si tratta dei tentativi di garantire i diritti e la libertà dei palestinesi.

Molti ebrei si oppongono all’occupazione israeliana e ad altri crimini, e sono profondamente sconvolti dai continui attacchi da parte di membri della lobby israeliana contro donne di colore che parlano a favore dei diritti dei palestinesi.

Oltretutto molti ebrei rifiutano l’ideologia ufficiale di Israele, il sionismo, in quanto colonialismo di insediamento e apartheid. Oltre ai dubbi sollevati da “Jewish Voice for Peace” [“Voce Ebraica per la Pace”, organizzazione di ebrei USA contraria all’occupazione dei territori palestinesi, ndt.] riguardo al sionismo, gruppi ebraici antisionisti includono Neturei Karta [gruppo di ebrei religiosi contrari al sionismo e all’esistenza di Israele, ndt.] e Satmar Hasidim, la principale setta hassidica [corrente religiosa ebraica con tendenze mistiche e messianiche, ndt.] negli Stati Uniti.

Lettere invece di un fatto accertato

Invece di pubblicare una rettifica, Dao mi ha suggerito di mandare piuttosto una lettera. Ma quella era stata la mia reazione prima ancora di rivolgermi a lui.

La lettera non era stata pubblicata. Né avrebbe sortito un risultato del tutto accettabile. Una rettifica da parte del giornale ha un peso molto maggiore rispetto all’opinione di chi avesse scritto una lettera.

Più di un decennio fa il New York Times Magazine [supplemento domenicale del NYT, ndt.] ebbe un approccio simile e insistette che scrivessi una lettera su un errore riguardante la posizione della barriera israeliana e il fatto che in molti punti non separa Israele dalla Cisgiordania occupata ma la Cisgiordania dalla Cisgiordania [perché non segue il percorso del confine tra Israele e Giordania precedente alla guerra del ’67, ma passa per lo più nei territori palestinesi occupati, ndt.].

Invece il supplemento pubblicò una rettifica piuttosto insignificante riguardo all’articolo, rilevando che una didascalia “aveva sbagliato ad identificare un mezzo meccanico su una strada nei pressi della struttura. Si trattava di un veicolo militare israeliano e non di un carrarmato.”

Questa “rettifica” affermava persino che l’articolo a cui faceva riferimento riguardava la “discussa barriera costruita per separare Israele dalla Cisgiordania.” In altre parole, la “rettifica” conteneva un errore peggiore di quello che avrebbe dovuto correggere.

Come segnalato, il giornale da allora ha fatto lo stesso errore e non lo ha corretto nonostante numerose sollecitazioni.

Nel marzo 2017 il giornalista Russell Goldman ha scritto: “L’inafferrabile artista di strada Banksy ha decorato gli interni dell’hotel “Walled Off” [Recintato], un albergo di nove stanze nella città cisgiordana di Betlemme le cui finestre danno sulla barriera che separa il territorio da Israele.”

Ancora una volta il New York Times avrebbe dovuto descrivere una barriera che in larga misura separa i palestinesi tra loro e dalle loro terre all’interno della Cisgiordania occupata.

La posizione della barriera e il fatto che molti israeliani uccisi non erano civili ma forze militari di occupazione sono dati informativi che possono essere facilmente verificabili.

Il fatto che il New York Times rifiuti di correggere Stephens, confidando in modo incondizionato nelle affermazioni di fonti ufficiali israeliane, indica che a Stephens è stato dato troppo spazio per proporre la propaganda legata ad Israele.

Non credo che Dao nutra lo stesso animo antipalestinese di Stephens – e venerdì persino Stephens ha criticato gli “attacchi demagogici contro gli arabi israeliani” da parte di Netanyahu, benché non si sia potuto spingere fino a chiamarli cittadini palestinesi di Israele o manifestare un minimo di preoccupazione per l’occupazione e per i crimini di guerra di Netanyahu a Gaza e in Cisgiordania.

Ma critiche relativamente moderate nei confronti di Netanyahu non possono mitigare grossolani errori riguardo ai fatti, insinuazioni razziste e indulgenza nei confronti delle violazioni dei diritti umani da parte di Israele, come Stephens ha fatto nella sua carriera. Con questi precedenti, Dao non dovrebbe privilegiare la parola di Stephens – e del governo israeliano – rispetto a quella di una credibile organizzazione per i diritti umani.

Il New York Times dovrebbe pubblicare una rettifica alla fine del prossimo articolo di Stephens, chiarendo che il governo israeliano ha fornito un’informazione errata e che chi controlla i fatti non ha cercato altre fonti di informazione più attendibili.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Khalida Jarrar lascia il carcere israeliano con “messaggi di libertà”

Tamara Nassar

2 marzo 2019, Electronic Intifada

Giovedì Israele ha rilasciato la parlamentare [del Consiglio Legislativo Palestinese dell’Autorità Nazionale Palestinese, ndtr.] di sinistra Khalida Jarrar, dopo averla tenuta in carcere senza accuse né processo per 20 mesi.

È stata portata via da casa sua il 2 luglio 2017 durante un’incursione prima dell’alba nella città di Ramallah, nella Cisgiordania occupata.

Israele ha incarcerato Jarrar molte volte.

“Hanno detto alla mia famiglia che sarei stata rilasciata a mezzogiorno al checkpoint militare di al-Jalameh, ma l’autorità penitenziaria ha fatto arrivare un bosta speciale e ha deciso di portarmi al checkpoint di Salem e di rilasciarmi al mattino presto”, ha detto Jarrar in un video.

Bosta è il nome di un veicolo usato per trasferire i prigionieri in piccole gabbie di metallo con braccia e gambe incatenate, spesso per lunghe ore – una crudele forma di violenza.

“Hanno rilasciato la mamma molto presto al mattino e in un luogo diverso e l’hanno lasciata a camminare da sola in mezzo al nulla. A dispetto dei tentativi di Israele di disturbare la festa [per accogliere il suo rilascio], la mamma è libera!”, ha detto sui social media la figlia di Jarrar, Yafa, secondo quanto riportato dall’associazione per i diritti dei prigionieri “Samidoun”.

Dopo il suo rilascio Khalida Jarrar ha fatto visita alla tomba del padre.

“ In definitiva, ci auguriamo il rilascio di tutti i prigionieri e portiamo i loro messaggi di libertà”, ha aggiunto Jarrar.

Le condizioni dei prigionieri

La parlamentare ha sottolineato “le difficili condizioni in cui vivono le donne detenute, soprattutto dopo che sono state raggruppate e trasferite dal carcere HaSharon a quello di Damon, dove vivono in condizioni disumane.”

La commissione per i prigionieri dell’Autorità Nazionale Palestinese ha dichiarato che le autorità penitenziarie israeliane distribuivano alle detenute di Damon cibo avariato e scaduto.

Ha aggiunto che vi sono ancora telecamere di sorveglianza installate nel cortile, che costringono le donne a indossare l’hijab – il velo sul capo – anche dentro le loro stanze.

Intanto i palestinesi delle prigioni israeliane nella regione del Naqab (Negev) nel sud di Israele stanno sciogliendo le organizzazioni dei prigionieri per protesta contro le repressioni delle autorità carcerarie israeliane.

Le donne palestinesi detenute nel carcere di HaSharon hanno contestato la decisione delle autorità di installare a settembre telecamere di sorveglianza nel cortile del carcere, rifiutandosi di andare in cortile.

Secondo The Times of Israel, Jarrar ha parlato del piano di peggiorare le condizioni dei palestinesi nelle prigioni israeliane e riportare il loro livello di vita al “minimo indispensabile” , annunciato il mese scorso, del ministro israeliano per la Pubblica Sicurezza Gilad Erdan.

Erdan fa parte di una commissione composta da diversi membri del parlamento israeliano, come anche lo Shin Bet [servizio di sicurezza interno, ndtr.], che stabilisce le condizioni dei prigionieri palestinesi ed impone loro ulteriori restrizioni.

“Parte dell’attacco è stato contro le donne detenute”, ha detto Jarrar alla rete televisiva Wattan dopo il suo rilascio. “Stanno cercando di ridurre le detenute in una situazione in cui ricomincino la loro lotta dal punto di partenza.”

“Le celle sono molto umide, le installazioni elettriche sono pericolose perché sono bagnate, soprattutto d’inverno, e questo provoca incendi”, ha detto Jarrar. “Il cortile è pieno di telecamere. Non abbiamo una biblioteca, non abbiamo un’aula scolastica. Non esiste cucina e le detenute sono costrette a cucinare nelle loro umide celle.”

Erdan ha annunciato il blocco dei fondi destinati dall’Autorità Nazionale Palestinese ai servizi per i detenuti, riducendo la loro autonomia e limitando le forniture d’acqua.

Secondo Haaretz, ha sostenuto che il consumo d’acqua dei prigionieri è “folle” ed è un loro modo “di sovvertire lo Stato”.

Il quotidiano non ha specificato quanta acqua si presume consumino i prigionieri palestinesi.

Citati in un rapporto del governo

Allo scopo di screditare e diffamare il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni [contro Israele] (BDS) per i diritti dei palestinesi, il governo israeliano il mese scorso ha pubblicato un rapporto intitolato “Terroristi in giacca: i legami tra le ONG che promuovono il BDS e le organizzazioni terroriste”.

Il rapporto definisce Jarrar, che fa parte del consiglio direttivo dell’associazione “Addameer” per i diritti dei prigionieri, come una dei “numerosi membri e agenti terroristi che sono diventati figure dirigenti in organizzazioni non governative che delegittimano e promuovono boicottaggi contro Israele, mentre nascondono o minimizzano il loro passato di terroristi.”

È da notare che Israele non ha mai formulato accuse contro Jarrar negli scorsi 20 mesi, nonostante sostenga che lei abbia legami “col terrorismo”.

Jarrar è membro del Consiglio Legislativo Palestinese e ex leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Israele considera quella fazione politica, come praticamente tutti gli altri partiti politici palestinesi, un’organizzazione “terroristica”. Attualmente ci sono otto parlamentari palestinesi nelle carceri israeliane, cinque dei quali in detenzione amministrativa [cioè senza accuse e senza processo, ndtr.].

Anche l’artista palestinese Mustapha Awad è citato nel rapporto.

E’ in carcere da luglio e a novembre è stato condannato ad una pena di un anno in una prigione israeliana.

Awad, che ha 36 anni, è nato nel campo profughi di Ein al-Hilweh in Libano e a 20 anni ha ottenuto asilo in Belgio.

Come molti rifugiati palestinesi, Awad non era mai stato in Palestina e ha deciso di visitarla la scorsa estate, ma è stato arrestato dalle autorità israeliane quando ha cercato di entrare nella Cisgiordania occupata dalla Giordania, e da allora è in carcere.

Israele accusa Awad, che è co-fondatore di un gruppo di danza popolare, di appartenere al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

L’Egitto rilascia membri di Hamas

Giovedì le autorità egiziane hanno rilasciato quattro membri di Hamas, che erano stati rapiti da uomini armati in Egitto nell’agosto 2015, e altri quattro palestinesi della Striscia di Gaza.

I membri di Hamas Abdeldayim Abu Libdah, Abdullah Abu al-Jubain, Hussein al-Zibdah e Yasir Zannoun sono arrivati attraverso il valico di Rafah nella Striscia di Gaza accompagnati dal membro dell’ufficio politico di Hamas Rawhi Mushtaha.

Il leader di Hamas Ismail Haniyeh, che era tornato nella Striscia il giorno prima, avrebbe ringraziato le autorità egiziane per aver rilasciato gli uomini.

I quattro membri di Hamas sono stati rapiti da uomini mascherati dopo essere entrati in Egitto da Gaza attraverso il valico di Rafah e si trovavano su un autobus diretto all’aeroporto internazionale del Cairo quando è avvenuto il rapimento.

L’Egitto non ha mai ammesso ufficialmente di detenerli in carcere.

Tamara Nassar è assistente di redazione di ‘The Electronic Intifada’

(Traduzione di Cristiana Cavagna)