Adolescenti obbligati a seguire un corso propagandistico di Israele prima di viaggiare all’estero

Tamara Nassar

19 luglio 2019 – Electronic Intifada

Il ministero dell’Educazione di Israele sta pretendendo che tutti gli studenti di scuole superiori, compresi cittadini palestinesi di Israele, seguano un corso propagandistico e facciano una prova di verifica come condizione per andare a fare un viaggio scolastico all’estero.

Lo scorso mese “Adalah”, un gruppo di assistenza legale per i palestinesi di Israele, ha inviato una lettera al ministero dell’Educazione chiedendo che elimini questa imposizione e ponga fine al corso di hasbara [propaganda israeliana, ndtr.].

Il ministero dell’Educazione israeliano sta cercando di trasformare gli studenti della secondaria in propagandisti incaricati di diffondere un’ideologia estremamente razzista,” ha affermato l’avvocatessa di “Adalah” Nareman Shehadeh-Zoabi. “È vergognoso e illegale.”

Adalah” agisce per conto dell’istituto educativo “Masar”, che gestisce alcune scuole a Nazareth.

Una delle sue scuole aveva un programma di scambi con una scuola superiore in Svezia destinato a favorire il dialogo internazionale e lo scambio culturale.

Ma la scuola ha dovuto bloccare il programma come unico modo per evitare di sottoporre i propri studenti alla propaganda razzista, e specificamente antiaraba, del governo israeliano.

Gli studenti sono obbligati a guardare una serie di video prima di essere sottoposti a una verifica.

Le domande sono volte ad inculcare “una visione politica radicale e razzista che vede i palestinesi, gli arabi e i musulmani come terroristi e come una minaccia,” afferma “Adalah”.

Ogni domanda ha una sola risposta “corretta” che è una “presa di posizione politica che lo studente deve assimilare.”

I video sono una sorta di brutale lavaggio del cervello che tenta di modellare la visione del mondo di adolescenti che gli ideatori del corso ritengono opportuna,” aggiunge la lettera.

Il corso è particolarmente offensivo per gli studenti palestinesi, che per essere promossi sono “obbligati a interiorizzare affermazioni umilianti su se stessi e sulle loro famiglie,” cosa che “Adalah” definisce un “palese insulto” e una violazione della legge.

Falsa informazione

Il corso insegna agli studenti che fonti contemporanee di antisemitismo includono il BDS – il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni per i diritti dei palestinesi – così come quelle che definisce “organizzazioni musulmane”.

In realtà secondo “Adalah” il BDS è radicato nei principi universali di giustizia, libertà e uguaglianza e “si oppone per principio a ogni forma di razzismo, compresi islamofobia e antisemitismo.”

Una domanda chiede agli studenti come le organizzazioni palestinesi usino le reti sociali online. Secondo Adalah delle quattro possibili risposte quella “corretta” è “per incoraggiare la violenza”.

Adalah” sostiene che il corso impone agli studenti anche affermazioni politiche relative al ritiro di coloni da Gaza da parte di Israele nel 2005 e altri argomenti riguardanti il conflitto tra palestinesi e israeliani.

Il solo fatto di presentare in questo modo così unilaterale questioni che per loro natura richiedono dialogo trasmette agli studenti un messaggio sbagliato e vanifica ogni tentativo di educarli al dialogo e a esaminare problemi complessi da ogni punto di vista prima di formulare un’opinione,” afferma la lettera.

Parco solo per gli ebrei

All’inizio di questo mese a Shehadeh-Zoabi e al suo bambino è stato negato l’ingresso in un parco pubblico nella città settentrionale di Afula.

L’avvocatessa ha trovato un cartello che stabilisce che il parco è aperto solo agli abitanti di Afula.

Quando la guardia di sicurezza ha appreso che venivano dalla città prevalentemente palestinese di Nazareth, alla madre e al bambino è stato vietato l’ingresso.

Mi sono sentita profondamente umiliata dalla situazione,” ha detto Shehadeh-Zoabi.

Mentre mi veniva impedito di entrare ed ero obbligata ad andarmene – solo perché vengo dalla città araba di Nazareth – gli abitanti ebrei entravano liberamente nel parco di cui avevo così spesso usufruito con mio figlio.”

Secondo “Adalah” il divieto è stato emanato in seguito all’esplicita promessa elettorale del sindaco di Afula Avi Elkabetz di agire contro quella che ha definito la “conquista del parco” da parte degli abitanti delle vicine città arabe.”

Adalah” ha affermato che il divieto “intende in primo luogo impedire agli abitanti delle vicine comunità arabe di far uso della vasta struttura.”

In seguito a una petizione da parte di “Adalah”, il 14 luglio un tribunale di Nazaret ha ordinato ad Afula di annullare il divieto di ingresso nel parco per i non residenti.

Lo scorso mese, mentre organizzava una manifestazione per protestare contro la vendita di una casa a una famiglia araba in città, il consigliere comunale Itai Cohen ha detto alla radio militare israeliana che il Comune è intenzionato a garantire che “Afula conservi il suo carattere ebraico.”

Per chiunque cerchi una città mista Afula non è il posto giusto,” ha detto Cohen. “Siamo un luogo di destra con caratteristiche ebraiche.”

Il ministro dell’educazione sostiene l’apartheid

Il ministro dell’Educazione israeliano Rafi Peretz, nominato il mese scorso, ha evidenziato il suo sostegno alla formalizzazione dell’apartheid.

Lo scorso sabato, durante un’apparizione sul Canale 12 israeliano, Peretz ha affermato di volere che Israele “estenda la propria sovranità” su tutta la Cisgiordania occupata, ma senza dare ai palestinesi il diritto di voto.

Alla domanda se ciò non costituisse apartheid, Peretz non ha escluso la possibilità che lo sia,” ha informato il giornale Haaretz.

Nella società e nello Stato di Israele viviamo in una situazione molto complicata, e dovremo trovare le soluzioni,” ha detto Peretz.

Durante la stessa intervista il ministro ha appoggiato la “terapia di conversione” – una screditata pratica pseudoscientifica che tenta di cambiare l’orientamento sessuale e che può danneggiare gravemente chi vi viene sottoposto – ed ha affermato di averla fatta lui stesso.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha condannato come “inaccettabili” i giudizi di Peretz sulla terapia di conversione, ma non ha detto niente sul suo evidente sostegno all’apartheid.

In seguito Peretz ha ritirato i suoi commenti riguardo alla terapia di conversione, definendo la pratica “illegittima e grave” e affermando che vi si oppone.

Migliaia di insegnanti, attivisti e associazioni scolastiche avevano firmato una petizione chiedendo che Peretz venisse cacciato per le sue affermazioni se non le avesse ritirate e minacciato uno sciopero.

Mentre i commenti di Peretz sulla terapia di conversione in Israele hanno provocato una condanna unanime, quelli che sostengono l’apartheid sono stati accolti dal silenzio quasi totale.

Di recente Peretz ha anche paragonato la percentuale di matrimoni misti tra gli ebrei statunitensi a un “secondo Olocausto.”

Secondo la rivista Axios, egli ha fatto queste osservazioni durante un consiglio dei ministri all’inizio di questo mese.

Hamas condanna affermazioni antiebraiche

Le dichiarazioni di Peretz sull’apartheid giungono la stessa settimana in cui l’importante dirigente di Hamas Fathi Hammad ha invocato l’uccisione di ebrei “ovunque nel mondo”.

L’organizzazione della resistenza palestinese ha preso le distanze dalle affermazioni di Hammad, sostenendo che “non riflettono le posizioni ufficiali di Hamas né la sua politica, secondo cui la nostra lotta è solo contro l’occupazione israeliana della nostra terra che dissacra i nostri luoghi santi.”

Di nuovo, la nostra lotta non è contro gli ebrei altrove o contro l’ebraismo come religione,” ha aggiunto l’organizzazione. “Hamas ha condannato e continua a condannare ogni attacco contro gli ebrei e i loro luoghi di culto in tutto il mondo.”

Ciò è coerente con i principi guida di Hamas aggiornati nel 2017, che rifiutano esplicitamente l’antisemitismo.

Il documento politico dell’organizzazione afferma che “il conflitto è con il progetto sionista e non contro gli ebrei a causa della loro religione.”

Aggiunge: “Hamas non conduce una lotta contro gli ebrei in quanto tali ma contro i sionisti che occupano la Palestina. Ma sono i sionisti che identificano costantemente l’ebraismo e gli ebrei con il loro progetto coloniale e la loro entità illegale.”

Hamas ha anche commentato le dichiarazioni di Hammad riguardo alla Grande Marcia del Ritorno, ripetendo che le manifestazioni che continuano dal marzo dello scorso anno sono “pacifiche e popolari.”

Omar Shakir, il direttore dell’ufficio di “Human Right Watch” [Ong USA per la difesa dei diritti umani, ndtr.], ha condannato le affermazioni di Hammad.

Nickolay Mladenov, inviato dell’ONU per il Medio Oriente, ha definito il comunicato di Hammad “pericoloso, ripugnante e provocatorio.”

Ma Mlademov – che non ha detto niente riguardo alle affermazioni di Peretz –in precedenza si è presentato insieme all’ex-ministro dell’Educazione Naftali Bennett [dirigente di un partito di estrema destra dei coloni, ndtr.], che elogia apertamente l’uccisione di arabi.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rassegna della stampa israeliana: ministro definisce i matrimoni con non-ebrei un “secondo Olocausto”

Da un corrispondente di MEE

10 luglio 2019 – Middle East Eye

Nel contempo ai richiedenti asilo è vietato iscrivere i bambini a scuola e il governo approva iniziative USA contro Hezbollah

Cittadina chiude scuole ai richiedenti asilo

Il giornale israeliano Haaretz ha informato che la cittadina israeliana di Petah Tikva sta impedendo ai richiedenti asilo, la maggioranza dei quali provenienti da Paesi africani, di iscrivere i figli nelle scuole della cittadina.

Secondo Haaretz i genitori di 129 bambini eritrei non hanno potuto iscrivere i propri figli negli asili e nelle scuole, aggiungendo che le famiglie hanno avviato un ricorso legale contro il Comune.

Benché la legge israeliana preveda che i genitori devono mandare i propri figli a scuola dai tre ai diciotto anni e stabilisca che l’educazione di base debba essere gratuita, a Petah Tikva i richiedenti asilo hanno scoperto di non poter iscrivere i propri figli, anche se hanno frequentato la scuola della città durante l’anno scorso.

La città utilizza due meccanismi per impedirne l’iscrizione: rifiuta di riconoscere i documenti che dimostrano che i richiedenti asilo sono residenti a Petah Tikva o sostiene che i bambini non possono completare l’anno scolastico perché i loro genitori sono in possesso di un visto che scade prima della fine dell’anno scolastico.

Il ministero dell’Interno israeliano emette permessi di permanenza a tempo determinate per periodi da tre a sei mesi.

In febbraio il Canale 13 israeliano ha informato che il sindaco di Petah Tikva Rami Greenberg ha chiesto agli abitanti della cittadina di dare notizia di richiedenti asilo nei loro quartieri per organizzare la loro deportazione.

Un ministro sostiene che i matrimoni misti sono un secondo Olocausto

Secondo notizie che hanno avuto ampio risalto, durante una recente riunione del governo il neoministro dell’Educazione, Rafi Peretz, ha affermato che i matrimoni tra ebrei e non ebrei – noti anche come matrimoni misti – sono un “secondo Olocausto”, che mette a rischio di distruzione il popolo ebraico.

Per anni l’organizzazione di destra contro i matrimoni misti “Lehava”, guidata dal Benzi Gupstein, è stata coinvolta in incitamenti all’odio e anche in attacchi fisici contro coppie miste in Israele. Tuttavia l’ufficio del procuratore generale israeliano, persino dopo che è stato presentata una denuncia ufficiale, rifiuta di incriminare Gupstein.

Prima delle elezioni Peretz ha tentato di prendere le distanze da Gupstein per mantenere un’immagine presentabile dell’Unione dei Partiti di Destra di cui è segretario, ma da quando è ministro ha apertamente manifestato le stesse opinioni sull’importanza della purezza razziale degli ebrei.

Netanyahu ammonisce l’Iran

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha usato lo sfondo di un gruppo tattico di caccia Stealth F-35 (importato dagli USA) per registrare un video in cui rivolge un monito all’Iran, affermando che “l’Iran deve ricordare che i nostri aerei da guerra lo possono raggiungere.”

Ben Kaspit, del giornale Maariv, sostiene che Netanyahu sta cercando di convincere il presidente USA Donald Trump ad affermare esplicitamente che esiste un’“alleanza militare” tra gli USA e Israele per aumentare le possibilità di Netanyahu nelle prossime elezioni.

In cambio Netanyahu farebbe una dichiarazione in appoggio al piano di Washington denominato “accordo del secolo” per risolvere la crisi israelo-palestinese.

Anche la decisione della Casa Bianca di imporre sanzioni a due deputati libanesi e ad un ufficiale della sicurezza del partito Hezbollah è stata ampiamente riportata ed in Israele è vista come una tacita accettazione dell’opinione del governo israeliano riguardo a Hezbollah come nient’altro che un rappresentante dell’Iran.

Silverstein rivela il nome del presunto uccisore di un ebreo etiope

Gli ebrei israeliani di origine etiope continuano a protestare in Israele e chiedono che il poliziotto che il 30 giugno avrebbe sparato e ucciso il diciottenne Salomon Teka ad Haifa venga chiamato a risponderne.

Su richiesta delle autorità israeliane l’identità del poliziotto sospettato è stata tenuta segreta, ma il blogger residente negli USA ed editorialista di Middle East Eye Richard Silverstein ha rivelato che il suo nome è Baruch Ben Azari.

Tuttavia Silverstein ha informato che, in conformità con le norme israeliane sulla censura, il motore di ricerca Google ha impedito alla gente in Israele di leggere il suo post.

L’identità di Ben Azari non è un segreto ben custodito, in quanto il suo nome è filtrato anche sulle reti sociali ed egli è stato identificato in un hotel. Si è anche lamentato di aver ricevuto minacce di morte.

A titolo di confronto, anche Mahmoud Qatusa, un palestinese falsamente accusato dello stupro di una bambina di sette anni in una colonia israeliana illegale nella Cisgiordania occupata, ha ricevuto minacce di morte, mentre delinquenti hanno fatto scritte nella sua città chiedendo la sua esecuzione e danneggiando veicoli nella zona.

A differenza di Ben Azari, l’identità di Qatusa non è stata protetta quando la polizia israeliana lo ha sospettato di un crimine che non aveva commesso e il suo nome e la sua foto sono stati pubblicati dai mezzi di comunicazione israeliani.

* La rassegna della stampa israeliana è un compendio di notizie la cui accuratezza non è stata verificata in modo indipendente da Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Israele afferma che l’uccisione di un membro di Hamas a Gaza è stata frutto di un ‘malinteso’

MEE e agenzie di stampa

11 luglio 2019 – Middle East Eye

Hamas dice che la morte di un membro del suo braccio armato, che stava seguendo altri palestinesi che si avvicinavano alla barriera, “non resterà impunita”

Giovedì un portavoce dell’organizzazione ha detto che un membro palestinese del braccio armato di Hamas è stato colpito a morte dalle forze israeliane vicino alla barriera di confine nel nord della Striscia di Gaza.

Hamas ha indicato il nominativo dell’uomo ucciso come Mahmoud al-Adham.

In una dichiarazione ha affermato che non lascerà questa morte “impunita” e che Israele “pagherà le conseguenze di questo atto criminale.”

Secondo una fonte di Hamas che ha parlato con Haaretz, il compito di Adham era di “impedire (ai palestinesi) di oltrepassare la barriera di confine.”

L’esercito israeliano lo ha confermato al sito di informazioni, dicendo che “una prima indagine evidenzia che un membro di Hamas si è avvicinato alla zona della barriera di confine seguendo due palestinesi che si avvicinavano alla barriera.”

Le truppe dell’esercito israeliano sono giunte sul luogo e hanno identificato il membro di Hamas come un terrorista armato. Hanno iniziato una sparatoria che è nata da un equivoco. Sull’incidente verranno fatte indagini.”

Il braccio armato di Hamas ha dei punti di osservazione vicino alla barriera di confine.

Da quando massicce proteste sostenute da Hamas sono iniziate lungo la barriera di confine nel marzo 2018, a Gaza sono stati uccisi dal fuoco israeliano almeno 295 palestinesi.

La maggior parte di loro è stata uccisa nel corso delle manifestazioni, ma altri sono stati uccisi da attacchi aerei o dal fuoco di carri armati. Sono stati uccisi sei israeliani.

L’enclave è sotto assedio dal 2007, il che ha causato grave penuria e stagnazione economica.

In base ad un accordo informale raggiunto a novembre, Israele avrebbe dovuto alleggerire le restrizioni in cambio di una tregua, ma da allora Hamas ha accusato Israele di non rispettare l’accordo.

lLe forniture di combustibile, che sono coordinate con le Nazioni Unite e pagate dallo Stato del Golfo del Qatar, facevano parte di quell’accordo di tregua.

Secondo l’ONU, esse hanno migliorato la fornitura di elettricità nell’enclave, dove gli abitanti attualmente usufruiscono di circa 12 ore di elettricità al giorno.

Prima dell’accordo la fornitura quotidiana di elettricità era abitualmente solo di sei ore.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Israele isola università palestinesi

Maureen Clare Murphy

11 luglio 2019 – Electronic Intifada

Israele sta isolando le università palestinesi per obbligare studiosi internazionali a lasciare i propri incarichi accademici nella Cisgiordania occupata.

Due gruppi palestinesi per i diritti umani, così come l’università di Birzeit, stanno chiedendo a Israele di togliere le restrizioni che impediscono ad accademici internazionali di lavorare in Cisgiordania e di rendere nota “una procedura chiara e legale per il rilascio di visti di ingresso e di lavoro.”

La politica di Israele di negare a stranieri l’ingresso in Cisgiordania, così come di negare e non trattare per tempo le richieste per l’estensione dei visti, ha colpito decine di studiosi che lavorano nelle università palestinesi.

Ranking a rischio

L’istituzione educativa e i gruppi per i diritti affermano che le restrizioni israeliane minacciano il ranking di Birzeit, inclusa nel 3% delle migliori università del mondo. La percentuale di docenti e studenti internazionali è un indicatore fondamentale per determinare il livello dell’università.

Impedendo a Birzeit di assumere corpo docente straniero, Israele sta ostacolando la sua possibilità di funzionare come un’università che risponda agli standard internazionali,” hanno affermato l’università e i gruppi per i diritti “Al-Haq” e “Adalah”.

Negli ultimi due anni quattro docenti a tempo pieno e tre a tempo parziale di Birzeit, la più antica università palestinese aperta in Cisgiordania, sono stati obbligati a lasciare il Paese e non hanno potuto continuare ad insegnare dopo che Israele ha rifiutato di rinnovare i loro visti.

Quest’anno Israele ha negato l’ingresso a due [docenti] stranieri con contratti a tempo pieno alla Birzeit. Sei membri del corpo docente sono attualmente senza visto valido e altri cinque, compreso un direttore di dipartimento, “sono all’estero senza chiare indicazioni se potranno tornare.”

Decine di membri del personale e docenti stranieri sono stati “colpiti durante gli ultimi due anni dalle restrizioni israeliane riguardo alle richieste di nuovi visti o di prolungamento del visto o dal rifiuto di consentire loro di entrare in Cisgiordania.”

Molti sono palestinesi con passaporto internazionale e la maggioranza proviene dagli USA e da Stati membri dell’Unione Europea.

La politica di Israele nei confronti degli accademici stranieri “viola la libertà delle università di espandere le aree di ricerca e di studio che offrono agli studenti sia palestinesi che stranieri. Di conseguenza Israele sta impedendo alla popolazione palestinese occupata di decidere da sé che tipo di educazione voglia avere.”

Un regolamento emanato dal COGAT, il braccio burocratico dell’occupazione militare israeliana, consente a “docenti ed esperti” stranieri di presentare domanda per un visto di soli tre mesi. Nel contempo le università israeliane “possono reclutare professori stranieri con una procedura separata che consente l’ingresso e il lavoro di stranieri per periodi fino a cinque anni.”

Regime dei permessi

Il regime dei permessi israeliani impedisce ai palestinesi di Gaza di studiare nelle università della Cisgiordania e viceversa.

Una volta gli studenti di Gaza rappresentavano il 35% degli iscritti nelle università della Cisgiordania. A causa del blocco israeliano che dura da più di 10 anni, lo scorso anno la disoccupazione tra i neolaureati ha raggiunto a Gaza circa l’80%.

Le associazioni internazionali di docenti, comprese l’“Associazione per gli Studi sul Medio Oriente”, con sede negli USA, “Docenti della California per la Libertà Accademica” e la “Società Britannica per gli Studi sul Medio Oriente”, hanno condannato le restrizioni israeliane sui docenti stranieri nelle università palestinesi. Nel contempo accademici e ricercatori europei hanno chiesto la fine dei finanziamenti dell’UE alle istituzioni accademiche israeliane con “stretti legami con l’industria militare israeliana.”

L’Unione Europea ha destinato più di 800 milioni di dollari ai ricercatori israeliani, soprattutto attraverso il suo programma di finanziamenti “Horizon 2020”.

Dal 2004 gruppi della società civile palestinese hanno chiesto un boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane.

L’appello al boicottaggio afferma che tali istituzioni “hanno contribuito direttamente a mantenere, difendere o comunque giustificare” l’oppressione dello Stato di Israele o “con il loro silenzio” sono state complici.

In quella che si dice sia la prima volta, un’associazione di studiosi della salute mentale ha appena annullato il progetto di tenere la sua conferenza del 2021 a Gerusalemme.

ENMESH” avrebbe preso la decisione dopo la reazione fortemente negativa di alcuni membri della direzione che non vogliono che l’organizzazione passi i prossimi due anni sotto pressione da parte di attivisti solidali con i palestinesi.

Secondo il giornale israeliano Haaretz, “è la prima volta che un’organizzazione di questo genere fa marcia indietro su sulla decisione già approvata di tenere un convegno in Israele, dimostrando il fatto che la campagna di boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane forse sta prendendo piede.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




La polizia israeliana espelle una famiglia palestinese a Gerusalemme est, mentre entra un gruppo di coloni

Redazione di MEE

10 luglio 2019 – Middle East Eye

La famiglia Siyam ha sostenuto una battaglia legale di 24 anni sulla proprietà contro il potente gruppo di coloni “Elad”

Mercoledì la polizia israeliana ha espulso una madre con i suoi quattro figli dalla loro casa nel quartiere della Gerusalemme est occupata di Silwan per consegnarla all’organizzazione di coloni “Elad”.

Negli ultimi 24 anni Jawad Siyam, un importante attivista locale che ha condiviso la titolarità della proprietà con la sua famiglia, è stato impegnato in una interminabile battaglia legale contro la ricca e potente “Elad” riguardo alla proprietà.

Secondo i media locali, è stato arrestato durante lo sfratto di sua sorella e dei suoi figli.

Dagli anni ’90 la famiglia Siyam ha vinto vari ricorsi nei tribunali israeliani contro Elad, ma il gruppo di coloni ogni volta ha presentato appello e esibito documenti ai giudici per dimostrare il proprio possesso della proprietà.

Lo scorso mese il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha sentenziato a favore di Elad, una potente organizzazione il cui patrimonio è stimato ammontare a oltre 300 milioni di shekel (circa 74 milioni di euro).

Ora alla famiglia Siyam sono rimaste solo due unità abitative di un edificio di otto unità, dopo che Elad ne ha ottenute quattro.

Altre due unità immobiliari sono andate alla “Custodia israeliana delle proprietà di assenti” – un ente coloniale istituito in seguito alla Nakba (Catastrofe) del 1948 per prendere il controllo delle proprietà di palestinesi fuggiti dalla repressione durante la creazione dello Stato di Israele.

Secondo testimoni, mercoledì membri di Elad hanno occupato l’ultimo appartamento dei Siyam, buttando fuori gli effetti personali della famiglia, cambiando le serrature, erigendo cancelli tra loro e i Siyam e tagliando alberi in giardino.

Il capo di Elad, David Beeri, è stato filmato mentre esaminava la proprietà e poi stringeva la mano a un ufficiale della polizia israeliana. Nel 2017 Beeri ha ricevuto il Premio Israel alla carriera.

Jawad Siyam è il fondatore e direttore del centro d’informazione “Wadi al-Hilweh”, una Ong che intende fornire informazioni ai media e all’opinione pubblica sulle attività israeliane di colonizzazione nei quartieri di Silwan e Wadi al-Hilweh e e sugli scavi e i tunnel realizzati sotto le case palestinesi dalle autorità israeliane.

A lungo i palestinesi hanno accusato Israele di cercare di “ebraicizzare” la Gerusalemme est occupata e di cacciare i suoi 300.000 abitanti palestinesi per avere il controllo totale sulla città santa.

I due quartieri si trovano a sud delle mura della Città Vecchia di Gerusalemme e nei pressi della moschea di Al-Aqsa. Il quartiere è stato una zona di attività dei coloni e delle autorità israeliane, dove vengono tuttora effettuati scavi sotto le case dei palestinesi per trovare la perduta Città di Davide.

Negli ultimi 30 anni Elad ha occupato circa 75 case palestinesi. Lo scorso mese l’ambasciatore USA in Israele David Friedman e l’inviato della Casa Bianca per il Medio Oriente Jason Greenblatt hanno partecipato all’inaugurazione di un discusso tunnel sotto Silwan.

Il progetto del tunnel, chiamato dal governo israeliano “Via del pellegrinaggio”, è stato costruito nel corso degli ultimi otto anni con il sostegno di Elad. Passa sotto il quartiere in maggioranza palestinese di Wadi al-Hilweh.

Dal 1995 l’Autorità Israeliana per le Antichità, con l’appoggio della fondazione di coloni “Ir David”, ha scavato siti archeologici a Wadi al-Hilweh, ufficialmente per creare una nuova attrazione turistica e scoprire nella zona prove dell’esistenza della trimillenaria “Città di David”.

Il completamento del progetto della nuova “Città di David”, compreso un viale di stile romano costruito su strade che hanno ospitato generazioni di palestinesi, rafforzerebbe la posizione dei 450 coloni illegali che attualmente vivono a Silwan sotto scorta pesantemente armata, ed emarginerebbe i 10.000 abitanti palestinesi del quartiere.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Come “colonie archeologiche” stanno distruggendo case palestinesi

Mersiha Gadzo

 8 luglio 2019 – Al Jazeera

Secondo una Ong, Israele sta creando una “realtà storica immaginaria” con scavi di tunnel nella Gerusalemme est occupata.

Fayyad Abu Rmeleh, 60 anni, teme che un giorno il pavimento e il cortile della sua casa crollino. Ogni giorno, dice, dalla mattina fino al tardo pomeriggio, la famiglia sente scavare e trivellare tunnel sotto l’edificio.

Gli scavi condotti dalle autorità israeliane sono iniziati per la prima volta nel 2000, ma è stato solo cinque anni fa che loro hanno iniziato a notare danni alla casa.

“Sta mettendo in pericolo le nostre vite,” dice Abu Rmeleh ad Al Jazeera. “Se ti guardi intorno trovi nuove crepe. Non sappiamo quanti tunnel ci siano sotto la nostra casa, ma crediamo che siano almeno tre.”

I cinquanta membri della famiglia Abu Rmeleh vivono nel quartiere Wadi Hilweh di Silwan, nella Gerusalemme est occupata, pubblicizzato come l’attrazione turistica della “Città di Davide”, dove secondo alcuni israeliani il re Davide biblico costruì l’“originaria città di Gerusalemme”, circa 3000 anni fa.

Sotto la loro casa le autorità israeliane hanno scavato tunnel, cercando le tracce dell’epoca del Secondo Tempio.

Nella sua casa si sono formate lunghe crepe irregolari in ogni direzione – sulle scale, vicino alle finestre in bagno e in sala, mentre in certi punti si sono staccati dal muro dei calcinacci.

Fuori di casa una crepa lunga un metro e mezzo si snoda sul terreno.

Ma la casa di suo nipote, che si trova nello stesso edificio, è stata ancora più danneggiata. All’inizio del 2018 è stato obbligato ad andarsene con la moglie e i cinque figli, in quanto il terreno ha ceduto e può a malapena sostenere i muri.

“Ho sempre paura, sono sempre preoccupato. Chiedo ai bambini di non giocare molto nel cortile o di non correre troppo, in quanto il pavimento potrebbe crollare in qualunque momento,” dice Umm Jihad, la moglie di Abu Rmeleh.

Da anni gli abitanti palestinesi di Silwan sono allarmati dai danni che le loro case hanno subito a causa degli scavi nel sottosuolo.

La scorsa settimana le autorità israeliane hanno inaugurato il tunnel scavato da poco, “il Cammino dei Pellegrini”, che si estende da Wadi Hilweh al Muro del Pianto, appena fuori dal complesso di Al Aqsa nella Città Vecchia della Gerusalemme est occupata.

Fonti ufficiali israeliane – compresi membri dell’organizzazione dei coloni “Elad”, che finanzia gli scavi e gestisce il sito – affermano che la strada era percorsa dai pellegrini ebrei verso il Secondo Tempio, che credono si trovasse dove ora c’è il complesso di Al Aqsa.

L’Autorità Nazionale Palestinese ha condannato la presenza di funzionari USA all’inaugurazione, definendo l’avvenimento come parte della “ebreizzazione” di Gerusalemme.

Il consigliere della Casa Bianca Jason Greenblatt ha risposto in un tweet che la protesta è “ridicola”, aggiungendo: “Non possiamo ‘ebreizzare’ quello che la storia/archeologia mostrano. Possiamo attestarlo e voi potete smettere di fare finta che non sia vero! La pace può essere costruita solo sulla verità.”

Cattiva archeologia”

Mentre Greenblatt e membri di “Elad” sono certi che il nuovo tunnel servisse come cammino dei pellegrini verso il Secondo Tempio, molti archeologi non lo sono, come ha notato in un articolo Yonathan Mizrachi, che vive a Gerusalemme.

Mizrachi, direttore dell’Ong israeliana “Emek Shaveh”, dice ad Al Jazeera che i tunnel che Israele ha scavato dentro e attorno alla Città Vecchia e a Silwan sono “problematici”.

Finora non è stato pubblicato nessun articolo accademico o scientifico sui tunnel, né è stato pubblicato alcun dato su quello che è stato scoperto. Secondo “Emek Shaveh”, riguardo al “Cammino dei Pellegrini” non ci sono certezze relative alla datazione del canale di drenaggio.

Oltretutto i tunnel sono stati scavati orizzontalmente, rompendo in pratica con il metodo di scavo verticale dalla superficie in giù accettato da un secolo, secondo Mizrachi il metodo utilizzato dagli archeologi in tutto il mondo. Le informazioni ottenute da scavi orizzontali sono quasi senza alcun valore.

“Quando scavi orizzontalmente, non puoi capire esattamente come i vari periodi si sono sviluppati nel sottosuolo, non capisci correttamente quello che trovi perché lo vedi da una sezione laterale, non dall’alto,” dice Mizrachi.

“Non è il modo di fare archeologia. Quando scavi orizzontalmente commetti fin dall’inizio un errore.” In precedenza due importanti funzionari dell’Autorità Israeliana delle Antichità, Jon Seligman e Gideon Avni, avevano criticato l’escavazione dei tunnel, affermando che, contrariamente alla prassi accettata, è “cattiva archeologia” e “le autorità non dovrebbero essere orgogliose di questi scavi.”

Realtà storica immaginaria”

L’ultima inaugurazione è emblematica del più complessivo problema: ai visitatori dei luoghi archeologici accompagnati nella Gerusalemme est occupata viene detto che gli scavi sono esclusivamente relativi alla storia ebraica, ignorando i diversi capitoli multiculturali della storia di Gerusalemme, come i periodi bizantino e omayyade.

“La gente della fondazione “Elad” ha creato una realtà storica immaginaria fondata sulle sue convinzioni religiose e sui suoi obiettivi nazionalisti piuttosto che su ritrovamenti archeologici e altre prove storiche,” ha osservato Emek Shaveh in un suo rapporto del 2017.

Per esempio, secondo Emek Shaveh presso i famosi tunnel del Muro del Pianto resti di periodi non relativi alla storia ebraica rimangono per lo più ignorati dai visitatori, nonostante gli archeologi concordino sul fatto che la maggior parte dei reperti sia successiva alla distruzione del Secondo Tempio.

In realtà la maggior parte degli scavi presso i tunnel del Muro del Pianto sono al di sotto di strati che sono totalmente musulmani, strutture dei Mamelucchi del XIV° e XV° secolo, nota Mizrachi.

Eppure quello che viene raccontato ai visitatori si concentra quasi esclusivamente sulla storia del Secondo Tempio. Uno degli spazi più vasti scavati nei tunnel del Muro del Pianto è un hammam (bagno turco) del periodo mamelucco, nel XIV° secolo.

Eppure è stato convertito in un’esposizione dell’eredità ebraica, dedicato a raccontare la storia del pellegrinaggio degli ebrei a Gerusalemme, “ignorando quindi completamente il significato storico del sito in cui si trova”, ha scritto Emek Shaveh.

Non ci sono indicazioni per fare in modo che il visitatore sappia che si tratta di una struttura mamelucca o che è stata costruita dal governatore di Damasco, Sayf al-Din Tankaz, responsabile di alcuni degli edifici più considerevoli del tempo, ha scritto Mizrachi in un articolo.

Allo stesso modo nel 2012 il governo israeliano ha deciso di progettare un Centro Biblico all’ingresso di Silwan, che avrebbe presentato storie bibliche e la loro importanza per gli israeliani.

Eppure, secondo Emek Shaveh, nessun resto significativo di periodi biblici è stato scoperto in quel luogo.

A Silwan continuano gli scavi sotto le case palestinesi per trovare prove storiche di re Davide per pubblicizzarla come la “Città di Davide”, nonostante il fatto che gli archeologi mettano in discussione le testimonianze di un regno nel X° secolo a.C.

“C’è un dibattito molto acceso tra gli archeologi su quanto avvenne a Gerusalemme nel X° secolo a.C., il periodo che intendo come l’epoca di Davide e del regno di Salomone,” dice Mizrachi.

“Le testimonianze archeologiche sono molto poche e non ci forniscono il quadro di una vera e propria città, né assolutamente di una città vasta, grande, importante.

“Ci sono stati 150 anni di scavi (alla ricerca della città di Davide), ci sono certamente ancora molte testimonianze mancanti riguardo al tempo di Davide e Salomone. Questo è sicuramente un problema.”

Colonia archeologica”

Mizrachi afferma che gli scavi del tunnel fanno “tutti parte di un progetto politico”.

“Sfortunatamente Israele sta utilizzando questi tunnel mascherati da scavi archeologici, ma in realtà ciò fa parte dell’obiettivo politico di impedire che Gerusalemme rientri in qualunque soluzione politica,” afferma Mizrachi. “Pensiamo che sia un’altra forma di colonizzazione. È una colonia senza persone, ma si tratta di una colonia archeologica. Non è meno problematica, ma persino di più, rispetto ad altre colonie.”

Riguardo alla famiglia Abu Rmeleh, pensa che la sua vita sia in pericolo ma non sa a chi rivolgersi per essere aiutata.

Oltre alle crepe che il loro edificio ha subito, nella casa del nipote hanno anche trovato un buco che porta ai tunnel.

“Lo abbiamo coperto con questo pezzo di legno e qualche pietra perché temiamo quello che potrebbe uscire da quel buco,” dice Abu Rmeleh.

In marzo l’agenzia di notizie Ma’an ha informato che a Silwan un campo giochi è crollato in seguito a 12 anni di scavi sotterranei.

“La cosa più importante nella vita di una persona è vivere in sicurezza e con stabilità. Una casa dovrebbe essere il luogo in cui ci possiamo sentire (sicuri), ma non è il nostro caso,” afferma Abu Rmeleh, aggiungendo che continueranno a vivere nell’edificio nonostante la sua fragilità.

“Questa casa vuol dire tutto per un anziano come me…Il legame tra me e la casa è come quello tra padre e figlio,” dice Abu Rmeleh.

Sull’autrice

Mersiha Gadzo è una giornalista e produttrice in rete di Al Jazeera in inglese.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Noto attivista anti occupazione aggredito a Tel Aviv

Oren Ziv

8 luglio 2019 – +972

L’attivista di sinistra Jonathan Pollak aggredito da due assalitori fuori dal suo posto di lavoro nel sud di Tel Aviv. Gli aggressori mentre lo picchiavano avrebbero gridato ‘stronzo di sinistra’, prima che uno di loro tirasse fuori un coltello e lo ferisse in modo lieve.

Domenica a Tel Aviv un noto attivista di sinistra è stato aggredito fisicamente da due assalitori sconosciuti mentre usciva dal lavoro. Pare che gli aggressori mentre lo picchiavano abbiano gridato “stronzo di sinistra”, prima che uno di loro estraesse un coltello e lo ferisse in modo lieve al viso e alle braccia.

Jonathan Pollak, che ha militato a lungo nel movimento anti-occupazione in Israele e in Cisgiordania, è stato aggredito mentre usciva dall’edificio di Haaretz, nel sud di Tel Aviv, dove lavora come grafico.

Pollak ha detto che aveva notato di essere seguito da due individui che lui ha pensato fossero poliziotti che cercavano di arrestarlo a causa di un mandato di cattura. “Ho cercato di correre ma mi hanno raggiunto, mi hanno spinto a terra e hanno incominciato a prendermi a pugni e calci”, ha raccontato a casa sua dopo l’aggressione. “Quando ho cercato di difendermi uno di loro ha estratto un coltello e mi ha fatto un taglio in faccia”. Pollak ha riferito che i due mentre lo picchiavano gridavano “stronzo di sinistra”, prima di scappare.

Pollak ha riportato graffi al volto e alle braccia ed è stato colpito in faccia e alle costole. Ha detto di non avere idea di chi lo abbia aggredito, ma gli assalitori sembravano avere “tra i 20 e i 30 anni”.

Nel dicembre 2018 ‘Local Call’ [sito web in ebraico di +972, ndtr.] ha riferito che il gruppo di destra ‘Ad Kan’ ha avviato un’azione giudiziaria privata contro tre israeliani, compreso Pollak, per aver partecipato alle proteste contro la barriera di separazione in Cisgiordania. L’azione giudiziaria privata di ‘Ad Kan’, la prima di questo genere contro attivisti anti-occupazione, accusa gli imputati di “aggresssione contro soldati dell’esercito israeliano e contro la polizia di frontiera.”

Ad Kan’ si è messo in evidenza per la prima volta negli ultimi anni per aver infiltrato i suoi collaboratori nelle organizzazioni per i diritti umani per registrare con telecamere nascoste ogni loro mossa.

Tuttavia Pollak si è rifiutato di comparire in tribunale, sostenendo di non riconoscere la legittimità di un sistema che mantiene una “dittatura militare” su “soggetti privati di tutti i fondamentali diritti democratici” in Cisgiordania e Gaza, o che sono “cittadini di serie B” in Israele.

Il tribunale ha quindi emesso un mandato di arresto per Pollak, che consente alle autorità di trattenerlo fino all’ udienza successiva, prevista a settembre. Secondo il tribunale Pollak verrà rilasciato se accetterà di pagare una cauzione di 1.000 shekels (250 euro).

Non intendo presentare denuncia alla polizia perché verrò arrestato, ma non lo avrei fatto comunque”, ha detto Pollak. “Mi rifiuto di andare in tribunale perché i miei amici palestinesi ed io veniamo processati con diversi sistemi giudiziari e mi rifiuto di utilizzare i servizi della polizia che si attivano per me, mentre non lo fanno per i palestinesi.”

Immediatamente dopo il suo rifiuto di presentarsi in tribunale, ‘Ad Kan’ ha pubblicato parecchi post su Facebook e Twitter, inclusa una fotografia di Pollak, chiedendo al pubblico di contribuire a localizzarlo. Un utente di Twitter ha risposto che Pollak “si trova spesso nell’edificio di Haaretz in Schoken Street”, dove si è verificata l’aggressione di lunedì.

Dopo l’aggressione, ‘Ad Kan’ ha twittato: “Negli ultimi 15 anni Pollak è stato coinvolto in violente manifestazioni contro i soldati dell’esercito israeliano. Pollak attualmente ha in corso una denuncia penale che noi abbiamo presentato contro di lui. Noi, al contrario di Pollak, siamo contrari ad ogni forma di attività violenta. Il signor Pollak è invitato a contattare le forze dell’ordine, che ha recentemente dichiarato di non riconoscere, in modo che possano esaminare le sue accuse.”

Da anni i palestinesi e coloro che si oppongono all’occupazione vengono aggrediti nei territori occupati. Oggi questo è successo anche a Tel Aviv”, ha dichiarato dopo l’aggressione Ayman Odeh, capo del partito ‘Hadash-Ta’al [partito di sinistra arabo-israeliano, ndtr.]. “Dopo una campagna di istigazione delle organizzazioni di coloni mirata contro Jonathan Pollak, due uomini – di cui uno armato di coltello – lo hanno aggredito. Si tratta di un altro violento colpo basso e di una vittoria per l’apparato di istigazione della destra.”

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in ebraico su ‘Local Call’.

Oren è un fotogiornalista e membro fondatore del collettivo di fotografi ‘Activestills’. Dal 2003 ha documentato una serie di vicende sociali e politiche in Israele e nei territori palestinesi, con una particolare attenzione nei confronti delle comunità di attivisti e delle loro lotte.

Tra gli eventi che io documento, con la convinzione che la fotografia possa provocare dei cambiamenti, vi sono: le proteste contro il muro e le colonie, la possibilità di avere un’abitazione ed altre questioni socio-economiche, le lotte contro il razzismo e le discriminazioni e la lotta per liberare gli animali.

Sono stato collaboratore di +972 quasi fin dall’inizio e lavoro anche per diversi altri mezzi di informazione locali e internazionali.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Il capo di un gruppo lobbistico israeliano scoperto da un documentario realizzato da un infiltrato si dimette

Asa Winstanley

3 luglio 2019 – Electronic Intifada

L’amministratore delegato di uno dei più influenti gruppi lobbistici israeliani in America si è dimesso nel mezzo di quella che viene definita una crisi di finanziamenti.

Benché non venga citato nelle notizie in merito, le dimissioni di Josh Block da capo di ‘The Israeli Project’ giungono a meno di un anno di distanza da quando un documentario realizzato da un infiltrato ha rivelato molte delle attività segrete del gruppo.

I donatori e gli amministratori fiduciari probabilmente hanno visto il fatto che l’organizzazione si sia fatta infiltrare da un giornalista come un grave passo falso.

Comunque, in un messaggio ai sostenitori, Block ha accusato “il clima politico polarizzato negli Stati Uniti” di rendere più difficile per il gruppo reclutare persone.

Il messaggio è stato visto dalla JTA, un’agenzia di informazioni ebraico-americana. Block ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni alla JTA.

La JTA ha riferito che, in base ai più recenti dati disponibili sulle entrate fiscali, anteriori al documentario riservato, i finanziamenti a “The Israel Project” sono calati di circa la metà dal 2015 al 2016.

L’anno scorso l’indagine riservata ha rivelato che uno dei finanziatori di ‘The Israel Project’ è Adam Milstein, condannato per evasione fiscale.

Nell’ambito dell’indagine, l’allora direttore della raccolta fondi del gruppo ammette in privato che Milstein “finanzia ‘The Israel Project’, come anche ‘Canary Mission’, un anonimo sito web antipalestinese che compila liste di proscrizione.

Il film, ‘The lobby – USA’, è stato prodotto dall’unità investigativa di Al Jazeera, ma non è mai stato trasmesso dal canale qatariota, in seguito a una pesante pressione censoria da parte della lobby israeliana. Il giornalista in incognito ha osservato dall’interno ‘The Israel Project’, entrandovi nel 2016 e ricevendo in seguito persino un’offerta di lavoro.

The Electronic Intifada’ l’anno scorso ha diffuso tutte le quattro parti del documentario.

Campagna segreta di condizionamento

Il film rivela che ‘The Israel Project’ sta conducendo una massiccia campagna online di condizionamento. Il gruppo gestisce una serie di pagine Facebook che sembrano riguardare argomenti non collegati a Israele, come storia, diritti delle donne e ambientalismo.

Ma in realtà le pagine sono gestite da ‘The Israel Project’ ed hanno diffuso contenuti che hanno raggiunto milioni di visualizzazioni.

Si tratta in gran parte di argomenti a caso e forse circa il 25% di essi sarà su Israele o relativo agli ebrei”, ha spiegato un membro del gruppo che ha lavorato sulle pagine [in rete] per ‘The Israel Project’.

Abbiamo molti progetti collaterali con cui stiamo cercando di influenzare il dibattito pubblico”, ha detto Jordan Schachtel al giornalista in incognito di Al Jazeera.

 

Ecco perché è una cosa riservata”, ha ammesso Schachtel. “Perché non vogliamo che la gente sappia che questi progetti paralleli sono collegati a ‘The Israel Project’”.

Si può vedere la sezione relativa a questo nel quarto episodio del suddetto film.

A febbraio ‘The Electronic Intifada’ ha rivelato che Facebook aveva dato l’assenso a questa campagna segreta di condizionamento per conto di uno Stato estero.

Un portavoce di Facebook ha sostenuto con ‘The Electronic Intifada’ che le pagine della campagna di condizionamento “non violano alcuna politica delle pagine di Facebook.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Turista americana maltrattata ed arrestata da agenti della polizia di frontiera israeliana mentre cerca di andare a un matrimonio a Ramallah

Laura Comstock

2 luglio 2019 – MondoWeiss

Il 1 luglio ho cercato di attraversare il confine tra Giordania e Israele per visitare luoghi storici e partecipare a un matrimonio a Ramallah. Ero stata invitata in Cisgiordania da una mia docente universitaria che si dà il caso sia palestinese. Ci eravamo separate al posto di controllo di frontiera sul lato giordano e il mio bagaglio era stato caricato sul suo autobus, mentre io ho dovuto rimanere indietro in Giordania ed aspettare l’autobus turistico.

Sono arrivata sul lato israeliano alle 15,30 ed ho aspettato di raggiungere il controllo passaporti. Quando ho spiegato le ragioni della mia visita in Israele al poliziotto di frontiera, sono stata immediatamente interrogata sulla storia della mia famiglia e mi è stato chiesto delle mie intenzioni in Israele. Non volevo far altro che visitare i principali luoghi di interesse, partecipare al matrimonio e tornare in Giordania entro due settimane.

Quando li ho informati che quella notte sarei stata con la mia docente universitaria a Ramallah il loro atteggiamento è completamente cambiato e sono diventati estremamente ostili.

Allora sono stata interrogata e tre agenti di frontiera mi hanno gridato contro con dietro di me una lunga fila di altri turisti americani. Sono stata immediatamente arrestata senza spiegazioni e il mio passaporto mi è stato tolto.

Dato che le mie valige erano già in Israele, avevo con me solo lo zaino e la pattuglia di frontiera ha fatto pesanti commenti su di me, affermando: “Come pensi di poter sopravvivere solo con una borsa?” Ho gentilmente spiegato agli agenti che le mie cose erano già passate dal posto di controllo di confine con la mia compagna di viaggio e che mi stavano aspettando.

Questa risposta non gli è bastata, e hanno fatto commenti ancora più pesanti riguardo alla quantità di denaro che avevo nel portafoglio. I soldi (50 dinari giordani) che avevo nel portafoglio sarebbero stati totalmente privi di importanza dato che in Israele avevo intenzione di utilizzare la mia carta di credito. Mi hanno obbligata a stare seduta da sola senza dirmi cosa stesse accadendo dopo che ho fornito loro indirizzi e informazioni sulla mia compagna di viaggio.

Dopo circa tre ore sono stata informata dal soldato di guardia che dovevo essere rispedita in Giordania senza le mie cose. Nelle mie borse avevo medicine importanti di cui non posso fare a meno, ma il controllo di frontiera e i soldati non se ne sono preoccupati e hanno fatto volgari apprezzamenti sulla mia necessità delle medicine, di occhiali da vista e lenti a contatto.

La ragione che mi hanno dato è stata: “È improbabile che qualcuno ti abbia invitata a un matrimonio qui e che tu non sia organizzata, per cui per la sicurezza di Israele sei rimandata in Giordania.”

Non so bene come partecipare a un matrimonio e fare turismo siano una ragione perché venga negato l’ingresso in un Paese.

La villania del personale israeliano al posto di controllo del ponte Re Hussein è stata ingiustificabile e una macchia nera sull’esercito e sul governo israeliani. Sono anche stata obbligata a farmi prendere le impronte digitali e mi hanno fatto sentire come una criminale e coperta d’insulti, finché sono stata messa a forza su un autobus di ritorno al lato giordano, dove sono stata trattata molto gentilmente dalla polizia e mi è stato garantito che sarei tornata ad Amman sana e salva.

Nessun essere umano dovrebbe sopportare scherno e intimidazioni solo perché viaggia. Ho contattato l’ambasciata USA per informarli di questo problema.

Sono disgustata e amareggiata per il fatto che un Paese preferisca disumanizzare le persone invece di lasciare che si spostino liberamente. Quello che è avvenuto oggi è stato solo un assaggio di quanto i palestinesi devono subire ogni giorno.

Laura Comstock è una studentessa esperta di storia e studi sul Medio Oriente all’università Bloomsburg. I suoi interessi di ricerca si concentrano sui rapporti delle minoranze in Medio oriente, principalmente in Egitto e nella Palestina occupata.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Partito israeliano a favore dell’espulsione ha inaugurato la sua campagna elettorale

5 luglio 2019 Palestine Chronicle

Il partito israeliano di estrema destra “Otzma Yehudit” (Potere ebraico) ha inaugurato la sua campagna elettorale chiedendo l’espulsione dei palestinesi verso i loro “Paesi d’origine”.

Otzma Yehudit” ha iniziato ieri la sua campagna a Gerusalemme in vista delle elezioni politiche israeliane, che si terranno il 15 settembre, dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non è riuscito a formare una coalizione di governo in seguito alla sua rielezione il 9 aprile.

Il capo del partito Michael Ben Ari ha detto ai presenti: “Vogliamo riportare i nostri nemici nei loro Paesi (…) daremo loro una bottiglia di acqua minerale e persino un panino. Troveremo loro i Paesi d’origine in cui possano andare.”

Otzma Yehudit” ha una storia di incitamento contro i palestinesi, avendo in precedenza chiesto l’espulsione dei palestinesi sia da Israele che dai territori occupati (TPO). I suoi membri sono seguaci dichiarati del rabbino estremista Meir Kahane, il cui partito Kach venne messo fuorilegge dalla Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] negli anni ’80.

L’ideologia di Kahane ispirò anche il massacro compiuto da Baruch Goldstein nel 1994 alla moschea di Ibrahim a Hebron, che lasciò un bilancio di 29 fedeli musulmani morti e molti altri feriti.

A marzo la Commissione Elettorale Centrale israeliana ha pensato di escludere “Otzma Yehudit” dalla partecipazione alle elezioni di aprile a causa del suo discorso antipalestinese, mentre la Corte Suprema alla fine ha deciso di escludere solo Ben Ari dalla competizione [per la carica di primo ministro, ndtr.].

Durante il lancio della campagna di ieri il capo del partito ha attaccato questa decisione affermando che “ci hanno detto che questo (discorso) è razzista (…) hanno detto che mi hanno escluso per questo.”

Il partito ha anche annunciato che parteciperà da solo alle elezioni di settembre, confermando una separazione dall’Unione dei Partiti di Destra (URWP) – un’alleanza di destra tra Casa Ebraica [partito di estrema destra dei coloni, ndtr.] e i partiti dell’Unità Nazionale – con cui ha fatto un accordo di collaborazione prima delle elezioni di aprile.

Questo compromesso è fallito dopo che il leader dell’URWP Rafi Peretz e il numero due del partito Bezalel Smotrich hanno rifiutato di lasciare i propri seggi alla Knesset per consentire al candidato successivo, Itamar Ben Gvir di “Otzma”, di sedere in parlamento come avevano promesso in precedenza.

La legge israeliana consente a ogni parlamentare della Knesset (MK) che abbia un incarico ministeriale di abbandonare il proprio seggio alla Knesset, facendo così posto al primo candidato non eletto del proprio partito. Benché Peretz e Smotrich siano stati nominati ministri rispettivamente dell’Educazione e dei Trasporti, non hanno lasciato libero il proprio seggio per Ben Gvir.

(traduzione di Amedeo Rossi)